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Libri. Maria Elena Ascoli Caterina da Siena, mistica dell’incontro

CATERINA DA SIENA. Mistica dell'incontro.

CATERINA DA SIENA. Mistica dell’incontro.

di Raimondo Giustozzi

“La mia esperienza di Caterina è quella di un incontro. Ecco la motivazione e l’ottica di queste pagine che non hanno la pretesa di essere una biografia, ma piuttosto una testimonianza viva della straordinaria ricchezza umana e soprannaturale di questa giovane donna domenicana. Quando si fa il suo nome la prima reazione è di affermarne la grandezza. La seconda, l’impossibilità non solo di imitarla, ma di avvicinarla. Così, Caterina, donna capace di intensa e calda comunicazione, è spesso prigioniera di un ammuffito stereotipo della santità” (Maria Elena Ascoli, Caterina da Siena, mistica dell’incontro, pag. 25, Paoline, Milano, 2016).

La vita terrena di Caterina da Siena è breve (Siena, 25 marzo 1347 – Roma, 29 aprile 1380), appena 33 anni, ma lei, donna inviata da Cristo stesso, come “l’apostola degli apostoli”, che con fuoco d’amore, per il “vasello” del suo cuore abitato e plasmato dallo Spirito Santo, giunge sino alle frontiere esistenziali dei nostri giorni. E’ dalla lettera apostolica Mulieris dignitatem – in cui Papa Giovanni Paolo II tratteggia così la personalità e la santità di Caterina da Siena – che l’Autrice attinge lo sfondo teologico per il suo meditare sul profetismo domenicano della Santa” (risvolto, seconda pagina di copertina, op. cit.).

Tutto il libro è ricco di un continuo confronto tra scritti di San Paolo, primo testimone di Cristo tra i Gentili, San Domenico e Santa Caterina da Siena: “Il mio vivere è Cristo e il morire un guadagno” (San Paolo, Fil. 1, 21) o ancora: “Non ho voluto sapere fra voi se non Cristo e questi Crocifisso” (San Paolo, 1 Cor. 2,2). Caterina scrive: “E non vogliate né reputate di saper altro che Cristo crocifisso” (Santa Caterina da Siena, Le lettere 134). San Domenico di Guzmán conosceva tanto bene le lettere di Paolo da saperle a memoria. L’espressione: “Guai a me se non annunziassi Cristo e questi crocifisso” (San Paolo, 1 Cor. 9,16; 1,23; 2,2) ha abitato Domenico e ne ha diretto i passi e le scelte. Proprio l’urget nos (ci spinge) della predicazione aveva infiammato il cuore del “padre dei Predicatori”. “La Carità di Cristo ci possiede, in quanto ci avvolge, ci coinvolge e ci travolge, quindi “urget”, ci so – spinge, perciò ci trasforma in nuove creature” (fonte Internet).

“Il Cristianesimo non è una morale, ma l’incontro con una persona: Cristo Gesù. Le citazioni potrebbero moltiplicarsi, ma non è questa la sede. Ciò che mi preme, è trasmettere l’attualità dell’esperienza di Caterina che anche nei momenti più soprannaturali e negli insegnamenti più alti trasuda umanità fatta d’amore e amicizia. Le nozze mistiche approfondiscono la sua maturazione umana e spirituale e la rendono pronta ad andare sulle strade d’Europa, sempre aperta a rispondere alla chiamata quotidiana di Dio per realizzare la missione affidatale. La risposta esistenziale, però, non è data a una ideologia, a una filosofia, a idee o organizzazioni per quanto nobili possano essere” (Maria Elena Ascoli, Caterina da Siena, mistica dell’incontro, pag. 84, Paoline, Milano, 2016).

Caterina Benincasa conosce Cristo Gesù in famiglia, a Siena, contrada Fontebranda, dal papà Jacopo Benincasa e da Monna Lapa. Il padre è un tintore di stoffe e ha alle sue dipendenze una discreta manovalanza. Ha ottimi rapporti con i propri dipendenti che lavorano nei suoi laboratori. In casa e in famiglia, nei rapporti con i clienti non tollera parole volgari. Ha rispetto per tutti e chiede rispetto. Ha una forte personalità ed è schietto nel parlare. Caterina eredita dal padre questi tratti del carattere. Terminato il lavoro, a casa, nella grande cucina che raccoglie tutta la famiglia, legge le Scritture in Volgare di Jacopo Passavanti e la legenda aurea del domenicano Jacopo da Varazze. Caterina è attenta alla narrazione e fa tesoro di tutto ciò che vede e ascolta. Quando manifesta il desiderio di avere in casa un luogo, anche piccolo, dove ritrovarsi in preghiera, il padre l’accontenta, liberandola da tutti i lavori domestici e ordinando “con solennità patriarcale” che Caterina sia lasciata in pace, riservandole una stanza dove lei possa ritirarsi per pregare.

La mamma, Monna Lapa, invece vorrebbe che Caterina l’aiutasse nei lavori domestici, anche per liberarla, così pensa lei, dalle sue ubbie in fatto di religione. La donna ha messo al mondo ben venticinque figli. Caterina è la ventiquattresima con la gemella Giovanna, che non sopravviverà. E’ la sola tra tutti i fratelli e sorelle che viene allattata dalla mamma. Forse si capisce anche in questo particolare il forte attaccamento della madre verso la figlia. Monna Lapa sogna per lei un matrimonio con uno dei tanti giovani, scelto tra le più facoltose famiglie senesi. Attorno ai quattordici, quindici anni, Caterina è già una bella ragazza. La madre la invita ad acconciarsi nel migliore dei modi anche per essere guardata dai giovani. Un giorno le chiede di accompagnarla ai Bagni di Vignone, luogo termale e mondano, anche per farla distrarre.

L’atteggiamento di Monna Lapa è quello di ogni genitore che cerca di programmare il futuro della propria figlia, pensando di scegliere il meglio per lei. Succede anche oggi, ma ogni figlio che cresce appartiene a se stesso. Così è Caterina. Accompagna la mamma ma coltiva sempre nel suo cuore “Quel fuoco d’amore”, che la spinge verso altre mete. Un pomeriggio di molti anni prima, mentre sta ritornando di corsa verso casa, assieme al fratellino Stefano, di poco più grande di lei, si rivolge a lui, dicendogli: “Se tu vedessi”. Cosa aveva visto Caterina?  In quel pomeriggio, intorno al 1355, mentre gli ultimi raggi di sole scivolavano sui tetti delle case, delle piazze e delle strade senesi, in un’atmosfera di rara bellezza, Caterina aveva visto Gesù, in abiti pontificali, circondato dagli apostoli Pietro, Giovanni e Paolo. In quella visione, Caterina Benincasa, sebbene fosse ancora una bambina, aveva capito che Cristo la chiamava per sé e lei non poteva più vivere che per Cristo.

Chiede di entrare nell’ordine delle Mantellate o sorelle della penitenza. Erano donne vedove che non intendevano sposarsi nuovamente e insieme continuavano una vita cristiana fatta di carità e preghiera. Caterina era giovane, troppo giovane; non era vedova, clausola fondamentale nel loro statuto. “Ma Gesù voleva Caterina e la voleva domenicana, sua apostola, sua predicatrice. Qualche volta il Signore si serve di metodi che ci sorprendono: non gli manca certo la fantasia” (Ibidem, pag. 71). Così Caterina si ammala e il suo volto è sfigurato: forse morbillo, scarlattina? Non importa la diagnosi. La priora delle Mantellate e alcune consorelle più anziane vanno in casa di Caterina Benincasa per conoscerla di persona. La trovano decisamente brutta, il suo volto non ha nulla di seducente. Decidono di accoglierla nel loro ordine.

Nel suo nuovo stato, Caterina rimane sì a casa ma non trascura il servizio della carità: “Alle prime luci del giorno, quando gli usci e le finestre sono ancora serrati, con discrezione, avvolta nel suo mantello, va a deporre cibo e quant’altro necessario alla porta dei poveri … Non c’è vicolo di contrada, non c’è volto provato dalla povertà che Caterina, con la sensibilità femminile che la caratterizza, non riconosca. E la carità non deve mai umiliare: il paniere nascosto sotto il nero mantello va svuotandosi e nessuno vede. Così solo Lui è glorificato, per la provvidenza che, aprendo i battenti, i poveri di Siena troveranno” (Ibidem, pag. 73). Dona tutte le sue attenzioni ad una donna, chiamata Cecca piena di scabbia dalla testa ai piedi. Non possedendo nulla, vive in un povero ospedale. Nessuno si avvicina a lei. Solo Caterina la cura, dandole da mangiare, pulendola dalle orribili piaghe che le infestano il corpo, non curandosi affatto se la donna la rimprovera per futili motivi. Scriveva in una lettera inviata a Giovanna la pazza: “Che vasello ci conviene portare? Il vasello del cuore, affinché come spugna, mettendo l’affetto del cuore nel sangue, tragga a sé il sangue e l’ardore della carità con la quale fu versato. Allora l’anima si inebria”.

Nei primi anni da domenicana, chiusa nella sua piccola stanza, ingaggia una lotta quotidiana con il diavolo, chiamato “malatasca” secondo il detto toscano. Il demonio la tenta in tutti i modi dicendole chiaramente, in un gesto di sfida, che quanto lei sta facendo non è cosa gradita a Dio, perché lei è fondamentalmente cattiva. Cerca di distoglierla dalla preghiera, dicendole di rimandarla ad altro tempo più opportuno, quando starà meglio. Per Caterina Benincasa solo la forza della preghiera è l’arma più efficace per praticare la carità e l’umiltà come vuole Cristo. Caterina, pur con tutti i limiti di creatura terrena, “cerca lAmato come la sposa del Cantico dei Cantici e l’Amato la cerca. Ecco la pregnanza dell’insegnamento che Gesù stesso impartisce a Caterina: Caterina pensa a me che io penso a te. Io sono Colui che sono. Tu sei colei che non è. Sappi questo e sarai beata”.

Caterina è riconosciuta come dottore della Chiesa perché attraverso la conoscenza di sé “Ha scovato il vero volto dell’uomo dietro le maschere di sempre: del potere, della vanità, del denaro, della corruzione politica, dell’usura e dell’orgoglio sia temporale che spirituale. Ma non le sarebbe stato possibile se non fosse stata pienamente donna, totalmente libera da se stessa. Sì, Caterina Benincasa è libera da Caterina Benincasa. Solo così comprendiamo tutta l’importanza del conoscimento di sé che è fondamento di tutto l’insegnamento dialogico del nostro Dottore. Questa libertà le fa contemplare in ogni uomo e in ogni donna la bellezza della dignità dei figli di Dio … nei volti stravolti dal dolore e dal peccato, Caterina ha visto la fragile nobiltà ed eterna bellezza umana; ogni incontro è una nuova visitazione” (Ibidem, pag. 95).

Il tempo durante il quale vive Caterina Benincasa è un periodo difficile. La Toscana e l’Italia sono in preda a terribili guerre intestine e sempre più terra per i diversi interessi politico – economici delle nascenti nazioni europee. Oggi, in un mondo globalizzato, si parla di geopolitica, di sovranità di uno stato ai danni di un altro. La guerra diventa una opzione per risolvere questioni territoriali e per altri interessi geopolitici. Caterina è portatrice di pace perché sa che Cristo è la nostra pace: la croce e l’ulivo diverranno i suoi vessilli. Ambasciatrice di pace, prima sulle strade di Siena, ben presto in quelle d’Italia e di Francia; più tardi al momento dello scisma con l’elezione dell’antipapa, raggiungerà con le sue lettere i più importanti governanti europei, portando dappertutto il proprio credo pedagogico, che ha alla base alcuni capisaldi.

Chi ha una qualsiasi forma di potere, deve sapere che la polis è città prestata e la politica è un servizio per il raggiungimento di un bene comune. Altro aspetto importante: “Non puoi governare se non sai governare te stesso”. Infine, la margherita della giustizia, per cui i poverelli non devono aspettare, e tanto meno devono essere sfruttati con l’usura. Il pregio del libro sta nell’utilizzo, non invasivo, delle lettere di Caterina da Siena. Sono passaggi sempre infuocati d’amore “per la gloria di Dio e la salvezza delle anime”. Alcuni stralci di lettere sono messi come titoli dei singoli paragrafi: “Servire è regnare”, scriveva in una lettera indirizzata a Benedetta della nobile e potente famiglia dei Salimbeni. In un’altra lettera, spedita ad un altro membro della stessa famiglia, Agnolino di Giovanni d’Agnolino Salimbeni, invitava il giovane a fare proprio il detto di Gesù: “Padre ho fame” di carità, di giustizia e di misericordia.

Nelle tre lettere che Caterina invia a Andrea Vanni, senese, capitano del popolo, uomo versatile, ricco di risorse intellettuali, artistiche e politiche, possiamo cogliere l’uomo di governo esposto a tutte le tentazioni del potere: la vanagloria, una giustizia esercitata, adattandola al cliente più o meno potente, una vita cristiana più di apparato che di convinzione interiore, una grande attività che sfiora l’attivismo. In te stesso abita la verità, scriveva Sant’Agostino. Per Caterina incontrare se stessi è la chiave di volta per incontrare l’altro. La contemplazione diventa incontro. “La vita interiore, come la vita mistica più alta, è movimento, danza, dialogo e solo così incontro. La strada che porta al profondo del cuore è lunga, a volte ardua, ma l’amore illuminato dall’intelligenza è capace di superare lontananze di tempo e di spazio. Allora nella profondità sacra del nostro essere accade l’incontro che dischiude la porta della conoscenza” (Ibidem, pag. 118). Il tempo che ci è dato di vivere è breve ma è nostro. Sta a noi farne tesoro, eliminando tutte le distrazioni. Tutte le trecento ottantuno lettere di Caterina, giunte fino a noi, iniziano così: “Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo fratello e figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso suo sangue suo, con desiderio di vedervi” (pag. 119). Caterina Benincasa non sapeva scrivere. Dettava agli amici e alle amiche della “Bella Brigata” quello che il cuore le dettava dentro, e a turno, chi l’ascoltava, scriveva le sue parole e le argomentazioni addotte.

La Bella Brigata era formata da un gruppo di uomini e donne che la seguivano, la sorvegliavano nelle sue lunghe estasi, l’aiutavano in ogni modo nelle attività caritative e anche nella corrispondenza che gente di ogni parte intratteneva con lei” (Fonte. Internet). Caterina Benincasa, spesso, per parlare direttamente con il destinatario delle lettere, si sottoponeva a lunghi viaggi, non solo per le strade d’Italia ma anche di Francia, per recarsi ad Avignone, quando la cattedra di Pietro si era trasferita in questa città, su pressione della monarchia d’oltre Alpe. Di ritorno da Avignone e da papa Gregorio XI, riporta sulla retta via Dom Francesco Vanni dei Malavolti di Siena, monaco di San Benedetto. Era accaduto che dom Francesco, forte della ricchezza di famiglia, si era dato ad una vita dissoluta. Su insistenza di un suo amico, tale Neri, decise di conoscere di persona Caterina Benincasa. Il suo intendo era quello di riderle in faccia, nel caso che gli avesse parlato di cose spirituali: “Ma non appena la vidi mi entrò nel cuore un timore tremendo e fui colto da un tremito così grande che fui sul punto di svenire. E pur non avendo nessun pensiero né proposito di confessarmi, alle sue prime parole Dio trasformò totalmente il mio cuore che subito corsi a confessarmi” (pag. 125)..

Caterina, ormai quasi trentenne, vive appieno il percorso voluto da San Domenico: andare ovunque per portare pace, per incontrare ogni tipo di umanità e riconciliare tutti con Cristo dolce Gesù, l’immacolato Agnello. Il desiderio della riforma della Chiesa la consuma. Decide allora di arrivare ad Avignone, per incontrare personalmente papa Gregorio XI al quale aveva già inviato delle lettere. Scriveva in una missiva: “Il motivo per cui ci vengono meno le cose temporali è l’aver abbandonato la cura di quelli spirituali”. Filippo il bello, il re francese, è attorniato da cardinali e principi pronti a tutto. Lo scisma d’Avignone l’ha voluto lui. Per Caterina l’impresa di arrivare dal papa, sequestrato dal re di Francia, è un’impresa ardua. Firenze preme perché il papa Gregorio XI tolga la scomunica alla città e chiede alla Benincasa di recarsi ad Avignone. Caterina accetta anche se lo scopo della sua missione è di ben altro spessore: “Il ritorno del Papa a Roma, solo così inizierà la riforma della santa Chiesa. Desiderio fondante di tutta la sua vita da quando, bambina, le fu dato di contemplare il Cristo in abiti pontificali benedicente” (pag. 141.

Nella sosta a Pisa partecipa alla Messa nella bellissima chiesa di Santa Cristina lungo l’Arno. Dopo l’Eucaristia, ricevuta con straordinaria intensità e partecipazione, le appare il Cristo: dalle sue piaghe partono dei raggi che imprimono le stesse gloriose piaghe sul corpo di Caterina svenuta a terra. Caterina Benincasa vuole tenere nascosto questo evento. Vuole che nessuno lo sappia, umile e schiva com’è per quanto riguarda la sua vita privata. Prima di arrivare ad Avignone la precedono altre lettere che lei ha scritto a Gregorio XI. Una volta giunta alla corte pontificia, accompagnata dal suo padre spirituale, fra Raimondo da Capua, che ne sarà il primo biografo, Caterina riesce a convincere il Papa, preso tra due fuochi, quello divino che lo richiama alla sede petrina e quello umano intessuto di bassi interessi personali. Contro ogni parere di cardinali e consiglieri che gli dipingono Roma come un groviglio di minacce, Gregorio XI parte per fare ritorno a Roma, dove giunge il 18 gennaio 1378, mentre Caterina si trova a Siena, la sua città: “Un tratto questo che la caratterizza. Si direbbe che il suo motto siano le parole del profeta Giovanni Battista: Bisogna che io diminuisca perché Lui possa crescere” (Ibidem, pag. 145.

La basilica di San Giovanni in Laterano, la madre di tutte le chiese, è in uno stato fatiscente. Gregorio XI giunge a piedi in quella che è la sua sede. Il popolo lo acclama ma il pontefice vede attorno a sé solo il degrado materiale e morale della città e del clero. Muore nello stesso anno del suo ritorno. Dopo diverse traversie, i cardinali, ossessionati da popolo che grida: “Romano lo volemo o almeno italiano”, eleggono al soglio di Pietro il vescovo di Bari, Bartolomeo Prignano, che prende il nome di Urbano VI. La reazione di oltralpe non si fa attendere: in quello stesso anno, dopo appena cinque mesi, 20 settembre 1378, i cardinali “scismatici” eleggono papa il cardinale Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII. Lo scisma durerà sino al tormentato Concilio di Basilea nel 1449 che vedrà finalmente riconosciuto come unico e legittimo pontefice Niccolò V (pag. 149).

Caterina non demorde. Una battaglia persa non è la sconfitta definitiva, anzi è l’occasione per rinnovare i propri sforzi e si mette subito all’opera. Fa inviare a re e regine, potenti della Chiesa e della società, un fiume di lettere perché restino fedeli all’unico vero papa. In una lettera inviata a Giovanna, regina di Napoli, la mette in guardia da coloro che, anche se sono colonne della Chiesa, diffondono il veleno della menzogna. Sono ormai gli ultimi anni  della sua vita e Le Lettere sono dettate anche a tre o quattro scrivani alla volta. Il papa legittimo, Urbano VI convoca un concistoro e invita Caterina a Roma, dove si trova già come consigliere del pontefice fra Raimondo Da Capua. Caterina obbedisce, arriva a Roma e alloggia in via del Papa, oggi via Santa Chiara, non lontano dai suoi confratelli domenicani che sono nel convento della chiesa di Santa Maria sopra Minerva. Al concistoro esorta, incoraggia e supplica i cardinali alla fedeltà, chiede la riforma della Chiesa ed invita tutti ad avere come obiettivo solo Cristo e Cristo crocifisso, che mai abbandona la sua Sposa e i suoi veri servitori. Scuote anche il papa, uomo di grande virtù, ma di carattere impulsivo e ruvido, invitandolo ad accogliere tutti con la dolcezza e pazienza di Cristo del quale è servitore. Il richiamo a San Paolo è talmente forte negli scritti di Caterina Da Siena che suor Maria Elena Ascoli titola  l’ultimo capitolo del libro, “Alla scuola di san Paolo e santa Caterina” (pp. 176- 188). Caterina Benincasa nuore il 29 aprile 1380, il 29 aprile, a soli 33 anni, ma la sua vita e la sua opera rimangono in eterno.

Il saggio di 230 pagine, diviso in otto brevi capitoli, è arricchito da una prefazione di Bernardino Prella, dalla introduzione dell’autrice, dalla conclusione della stessa, dalla postfazione di Alessandra Bartolomei Romagnoli, da un glossario breve riguardante Caterina da Siena, da una scheda con una cronologia della vita di santa Caterina da Siena, dalle fonti cateriniane, usate a piene mani dall’autrice del libro e da un elenco dei libri consultati. Un valore aggiunto del libro è costituito da un apparato fotografico di otto pagine, con sculture lignee, disegni a china, sculture monumentali, sculture in terracotta, pitture, che hanno come oggetto la Santa Senese. La lettura del saggio è piacevole. Il linguaggio è chiaro e semplice. Il libro contiene spunti di riflessioni valide anche per il nostro tempo. Come tutti i libri che commentano e non raccontano soltanto, il testo va letto più volte per trarne più insegnamenti possibili. Se gli esperti di linguistica consigliano, per ogni libro che si legge, di passare da una lettura ingenua, ad una disponibile, per arrivare ad una lettura critica, questo vale soprattutto per il libro di Maria Elena Ascoli.

Suor Maria Elena Ascoli sarà a Civitanova Marche venerdì 24 novembre 2023, alle ore 21,15, presso la sala dell’oratorio di Cristo Re, Civitanova Marche. L’intervento di suor Maria Elena Ascoli su “Caterina da Siena mistica dell’incontro” si lega al tema Testimoni di fede, pace e giustizia. Al momento sono otto gli incontri, promossi dall’Unità Pastorale San Pietro – Cristo Re, tenuti nell’arco di più anni

Raimondo Giustozzi

 

Note bio – bibliografiche

Maria Elena Ascoli è religiosa domenicana. Laureata in Lettere con una tesi sulle “Fonti paoline negli scritti di Caterina da Siena” e in Filosofia dell’educazione a Roma presso la Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta), ha insegnato Lingua e letteratura italiana presso il Liceo di Studi francesi Saint Dominique e Storia della filosofia presso l’Istituto teologico della diocesi di Porta Santa Ruffina. Per cinque anni ha diretto l’Ufficio scuola della diocesi di Arezzo. Nel 2001 ha ricevuto il premio “Santa Caterina d’oro” a Siena. Vive a Perugia e svolge attività culturali e spirituali, con particolare attenzione ai giovani (risvolto terza pagina di copertina del libro, Caterina, mistica dell’incontro, Paoline Editoriali libri, Milano, 2016).

 

1 commento a Libri. Maria Elena Ascoli Caterina da Siena, mistica dell’incontro

  • […] Oggi non si ha la capacità di desiderare più nulla perché si pensa di avere tutto: telefonino di ultima generazione, capi di abbigliamento alla moda. La fonte del desiderio è sempre Dio; trovarlo per trovare se stessi, offrire la propria vita come rendimento di grazia verso chi ci ha posti nel campo della battaglia, questo ci insegna Caterina da Siena. “Tu sei colui che non è. Io sono colui che è. Sappi questo e sarai beata”. Questo è ciò che ci consegna la santa senese. Se io non Ti pensassi, io sparirei, perché esisto solo perché un Altro ha voluto così. La grande bugia dei nostri tempi è che noi crediamo di essere e questa presunzione genera: guerre, cattiverie, disonestà, corruzione. Dobbiamo sempre ricordarci che noi siamo perché in ogni istante abbiamo Dio con noi, per questo siamo eternamente vivi. Memoria, intelletto e volontà sono i tre scaloni da salire. Molte le domande poste dai presenti a suor Maria Elena Ascoli che ha saputo rispondere con precisione e compiutamente. Su Caterina Benincasa mistica dell’incontro si rimanda il lettore al link http://www.specchiomagazine.it/2023/11/libri-maria-elena-ascoli-caterina-da-siena-mistica-dellincont… […]

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