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Massimo Orlandi, Romena porto di terra Prefazione di Luigi Verdi

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di Raimondo Giustozzi

La Fraternità di Romena nel 1998 festeggia i primi sette anni di attività. In quell’occasione sono invitate molte personalità, tra le quali Giancarlo Caselli, all’epoca presidente della Camera. “Sa presidente, Romena è un porto di mare”, gli dissi per descrivergli la varietà delle persone che si trovava davanti. “Be’ – mi rispose accennando un sorriso – visto dove vi trovate lo chiamerei piuttosto un porto di terra” (Massimo Orlandi, Romena porto di terra, pag. 118, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano, 2021). Il titolo del libro lo si deve proprio a questo episodio lontano. Romena è una vecchia pieve medievale, nel comune di Pratovecchio, nel Casentino, Alta valle dell’Arno. Fu edificata nel 1152 su iniziativa del pievano Alberico da artigiani locali e maestranze lombarde. Fu costruita, come è scritto in latino, nell’abaco del primo capitello a sinistra, entrando, in “Tempore famis”, al tempo della fame e della carestia. Posta lungo la Romea, la strada percorsa dai pellegrini che si recavano a Roma, era anche un punto di riparo, di sosta e di ristoro.

Per trovare Dio bisogna prima essersi persi. E’quando siamo smarriti, spogliati di certezze rassicuranti, che siamo pronti a guardarci dentro, a ritrovarci. Il figliol prodigo del Vangelo si rimette in viaggio, per ritornare alla casa del padre, che lo accoglie a braccia aperte, solo dopo che la sua vita si era arenata, solo dopo aver ritrovato un contatto con la sua fragilità” (Ibidem, pag. 56). L’ideale del ritornare in se stessi per ritrovare pace e felicità è proprio l’esperienza di tutti, uomini e donne, religiosi e laici, credenti e non, perché “Le storie umane e cristiane sono percorsi unici e affascinanti, quando abbiamo al centro la volontà di un cammino alla ricerca di senso e, insieme, la consapevolezza di una fragilità da ammettere e con la quale fare i conti” (Ibidem, seconda pagina di copertina). La pieve di Romena ritorna ad essere luogo di ristoro e di salvezza per la decisione del suo fondatore, don Luigi Verdi, che accetta la propria fragilità e con lui tutti quelli che avvicinano la Fraternità di Romena nel corso di questi trent’anni trascorsi dalla sua fondazione.

Massimo Orlandi (Pratovecchio, Arezzo, 1965), giornalista e scrittore, è nato e cresciuto vicino alla pieve di Romena; ha accompagnato il percorso della Fraternità sin dal suo inizio, nel 1991. Conosceva don Luigi Verdi, quando questi era viceparroco a Pratovecchio. “Il giovane sacerdote, dopo un anno trascorso in parrocchia, vive un periodo di riflessione. Chiede al proprio vescovo di poter vivere un anno sabbatico. Avuto il permesso dall’autorità ecclesiastica, si reca in Bolivia, per portare il suo cuore dove quasi gli mancasse il respiro e per farsi accarezzare dal vento di calore degli indios, e in Algeria, per respirare l’aria di Charles de Foucauld e ascoltare la voce di quel silenzio, nello spazio infinito e senza tempo del deserto” (Ibidem, pag. 30). Dopo un anno, don Luigi Verdi ritorna a casa; passa e ripassa davanti all’antica pieve, quando decide di farne un centro perché ogni persona stanca e affaticata, fragile e indifesa, possa trovarvi una risposta alla propria ricerca di senso.

Massimo Orlandi lo affianca subito, prima come volontario, poi come collaboratore stabile assieme a molti altri: “Massimo Orlandi è nato accanto a questa pieve, l’ha abitata prima che nascesse la Fraternità e mi ha accompagnato fino a qui. Ha scortato con le sue parole ogni movimento dell’anima di questo luogo. Grazie a lui, Romena ha potuto negli anni farsi racconto. Per questo è bello che sia suo lo sguardo di quello che è stato. Il descrivere questi trent’anni. Erri De Luca ha detto: Il volersi bene si costruisce. Ma l’amore quello vero, no. L’amore lo senti immediato, non ha tempo. E’ dire ti sento. Massimo ha scritto tanti libri sulla vita di persone che hanno acceso la sua passione. Ma questo libro in cui parla della sua Romena è amore vero. E’ dire: Ti sento” (Luigi Verdi, prefazione al libro Romena Porto di terra, pag. 8, op. cit.).

Una recensione al libro può partire da angolature diverse. Quanto a me ha colpito soprattutto la quantità di persone che hanno avvicinato la fraternità di Romena e a vario titolo ne sono diventati stimatori, collaboratori, destinatari e sostenitori di quell’approdo che cercavano per rigenerarsi dopo le ferite subite dalla vita. La fraternità non sarebbe nata se non fosse stata approvata dal suo vescovo. Mons. Luciano Giovannetti, vescovo di Fiesole, ha visto in modo positivo e fin da subito quanto bene la fraternità avrebbe potuto fare nel tempo. “Va bene don Luigi, e Romena sia”. “Non so se furono queste le parole del vescovo. Di sicuro fu quello il momento dello Spirito Santo. E della sua beata indisciplina” (Ibidem, pag. 37). “La chiesa – spiegava mons. Giovannetti – io la vedo come una realtà multiforme. Sono chiamato a fare sintesi, d’accordo, ma la sintesi non si fa omologando” (pag.143).

Sistemata l’antica abazia, recuperate le stanze della canonica, la legnaia, la cantina e tutti i locali al piano terra, iniziano ad arrivare i primi viandanti, desiderosi di rigenerarsi nell’anima e nello spirito. Partono i primi due corsi, alternando le fasi più impegnative a quelle più giocose. “Ciascuno dei viandanti, che era stato a Romena, poteva continuare il suo cammino nell’ambiente dove viveva. Romena non cercava fedeli. Nell’organizzazione delle attività e nelle verifiche successive don Gigi ha bisogno di collaboratori. Giovanni Abignente, psicologo e docente all’università di Salerno, si trasferisce da Napoli al Casentino: “A Romena aveva scoperto che poteva continuare un percorso di vita nel quale, fondamentali erano state le figure di Carlo Carretto e dell’Abbé Pierre, suoi riferimenti giovanili” (Ibidem, pag. 60). All’inizio accompagna le fragilità più esposte di alcuni giovani dei corsi, offrendo loro, senza alcun lucro, un sostegno psicologico. Col tempo entra nel cuore del cammino, divenendo una sorte di fratello maggiore per Gigi e per tutti (pag. 61).

Luisa, ex cuoca dell’asilo di Pratovecchio si occupa della cucina allestita negli spazi recuperati. I ragazzi, che erano transitati alla Fraternità, convincono i propri genitori a passare anche loro dei giorni a Romena: “I primi adulti portarono subito un ingrediente prezioso dentro ai corsi. Le dinamiche dei figli che si sentivano non capiti si arricchirono di quelle, inverse, dei genitori” (pag. 65). L’allargamento delle frontiere anagrafiche e sociali ha un’incidenza anche sulle motivazioni che portano le persone a fare il corso. Basta il passaparola di chi aveva avvicinato la fraternità di Romena perché arrivino coppie in bilico o appena separate che volevano riaccendere una luce dentro l’oscurità (pag. 66). Una sera si fermano a cena nella fraternità i genitori di Pamela, morta tragicamente una settimana prima, a vent’anni. Simone, suo fratello era già amico e collaboratore della fraternità. Da quella sera, nasce il gruppo Nain: “Naìn era il nome della città in cui Gesù aveva resuscitato l’unico figlio di una madre vedova: era un luogo di lacrime e di gioia, di dignità e di coraggio. Naìn: quattro sole lettere per scrivere ciò che univa quelle famiglie. Erano genitori che avevano perso il proprio figlio” (pp. 68 – 71).

Giosuè Boesch è un monaco svizzero. “Giosuè era nato a Niederweningen, vicino Zurigo, nel 1922. Quando entrò nella nostra vita, all’inizio degli anni novanta, di vite ne aveva vissute parecchie; marito di Ann, padre di tre figli, teologo, pastore della chiesa luterana. Negli anni settanta lascia la Svizzera e approda ad Assisi, “richiamato dalla lezione di umiltà e di semplicità di san Francesco”. Nel 1979 si ritira nell’eremo di Camaldoli, successivamente si trasferisce a Farneta, non lontano dall’eremo. In una piccola cella, un ex porcile ristrutturato, riduce la sue esigenze a un minuscolo ambiente dove sistema un tavolo per mangiare, un angolo per lavorare, una tela di juta dove sedersi e un’icona per pregare, accogliendo la luce. L’universo in un piccolo spazio” (pag. 76). Giosuè è teologo con una straordinaria cultura biblica e una conoscenza profonda della lingua ebraica e greca, ma davanti ad ogni persona sa svestirsi di tutto. Il monaco svizzero per la fraternità, all’inizio è un’onda anomala. Porta nell’aria di Romena la luce della meraviglia. Da orafo qual è aiuta tutti a leggere in trasparenza il valore autentico di ogni cosa. Esce con i giovani nel cuore della notte e nelle soste ripete la frase della Bibbia. “Sentinela, quanto resta della notte?”(Isaia 21, 11). Prima di ritornare in Svizzera trasmette a don Gigi la tecnica per costruire le icone e quando vede che ci sa fare gli consegna per intero il suo laboratorio (Ibidem, pp. 74 – 83).

Wolfgang Fasser, svizzero anche lui, è custode e guida dell’eremo di Quorle, un pezzo di Romena realizzato, dove la campagna accetta poche incursioni di civiltà, malato di retinite pigmentosa, una malattia progressiva degli occhi: il sipario della sua vista sarebbe andato stringendosi passo passo, fino a chiudersi definitivamente, intorno ai venti anni. Poco oltre i vent’anni è fisioterapista apprezzato, posto in clinica, casa tutta sua, uno stimolante circuito di relazioni. Nel 1987, a 33 anni parte per il Lesotho, uno dei paesi più poveri dell’Africa. Vi resta tre anni, impara la lingua, cura i malati, diventa per tutti Ntate Thuso, padre aiuto. Ritorna a Zurigo ma solo per uno scalo, da qui nel Casentino, destinazione Quorle: due piccole stanze, studio e cucina, un soppalco per dormire, il bagno all’esterno. Qui conosce don Luigi Verdi. Wolfang guida e anima la terza tappa del cammino di Romena: “ Sui passi di Francesco”, una settimana da Assisi a Romena, passando per la Verrna e Camaldoli: “Wolfgang procedeva davanti con movimenti sicuri, sembrava che la terra lo riconoscesse e gli offrisse il terreno giusto su cui appoggiarsi. Passo dopo passo ci dimostrava che, se a lui mancava un senso, noi ne avevamo quattro inutilizzati” (Ibidem, pp. 85 – 97).

Don Gianni Marmorini da Bibbiena a Milano e ritorno. Conosceva don Luigi Verdi. Tra i due piena sintonia di intenti e di vedute. Don Gianni porta a Romena un suo grande amico Pier Luigi Ricci, detto Pigi. Quest’ultimo “aveva lasciato il sacerdozio, non per mancanza di vocazione, ma per autenticità e coerenza rispetto a regole che non poteva cambiare” (pag. 105). Pigi ballava sul ritmo dell’ironia, Tra i tre, don Luigi, don Gianni e Pigi, c’è grande sintonia, sono tre pilastri. Il consiglio di Abbé Pierre, fondatore di Emmaus: “Lasciate sempre un vetro rotto nella vostra comunità: se si lasciano vedere le proprie ferite, le proprie incompiutezze, è più facile che una persona che cerca aiuto senta di potersi fermare” (pag. 109).

La Fraternità di Romena è figlia di molti padri: don Giovanni Vannucci, con il suo eremo alle Stinche, nel Chianti fiorentino, non è mai stato a Romena ma della Fraternità è l’ideale compagno di viaggio. Altri padri della fraternità: Charles De Foucauld, Arturo Paoli, Luigi Ciotti. Dopo il 1998 per i primi sette anni della propria storia, la fraternità di Romena prende contatti con altre comunità e con altri testimoni di fede: Frei Betto, Raniero La Valle, artisti come Alessandro Benvenuti, Alberto Fortis e Simone Cristicchi, scrittori come Marco Lodoli, Eraldo Affinati, magistrati come Giancarlo Caselli. Pietro Ingrao e Alex Zanotelli sono invitati nell’estate del 2002:” Che avete fatto a Pietro? Non fa altro che parlare di voi, mi disse Rossana Rossanda, sua grande amica, qualche tempo dopo. La nostra pieve non aveva convertito Ingrao. Ma lo aveva fatto star bene. Lo aveva fatto sentire a casa. Chi siete? Quello eravamo. Collaboratori … Compagni di viaggio che ogni persona poteva compiere, senza muovere un passo. Semplicemente andando incontro a se stessa” (Ibidem, pp. 129 – 131).

Antonio Salis è musicista e artista. Scriveva canzoni sul travaglio e la meraviglia del vivere, la sua voce un po’ ruvida ne tirava fuori l’anima. Nona aveva mai amato né i preti, né le forme tradizionali della religione, ma aveva una fede impregnata di umanità che nei suoi testi si faceva poesia. Diventa il cantore della Fraternità (pag. 139). Collaboratrici storiche della Fraternità: Paola Francalanci, Maria Teresa Abignente, moglie di Giovanni, Luciana Rosi, che insieme al marito Sandro si era trasferita in Casentino dal Lazio. Giuseppe Baracchi è l’imprenditore che, acquistata l’area attorno alla pieve di Romena, permettendo di creare nuovi spazi, dona tutta la proprietà in comodato d’uso alla Fraternità. In questo modo la Fraternità cresce. Romena non è solo l’antica Pieve anche se tutto ruota attorno ad essa.

Rita e Vittoria due religiose, dopo essere transitate a Romena, avevano deciso di gettare il cuore oltre l’ostacolo: erano uscite dal loro Ordine e avevano realizzato a San Pancrazio, una località del Casentino, a quindici chilometri da Romena, una comunità che accoglieva con un valore in più, la loro sensibilità femminile. Don Luca Buccheri aveva compiuto un percorso simile: dopo aver trascorso a Romena una fase di crisi, aveva trovato lo spazio giusto per la sua vocazione, realizzando esperienze itineranti nel segno della Bibbia, con base prima a Pratovecchio e poi a Terzelli. Infine Gianni Novello, dopo una trentennale esperienza comunitaria in Calabria, era arrivato come migrante dello spirito a Romena, appoggiando le sue radici a pochi chilometri dalla Fraternità” (Ibidem, pag. 167).

“Lo scrittore Maurizio Maggiani”, ricorda Massimo Orlandi, “ci chiese provocatoriamente se volevamo essere una pieve o una clinica. In una clinica si va per curarsi e star meglio. Voi invece siete una pieve. Una pieve è un luogo che deve attrarre solo perché esiste, perché c’è, perché è per tutti. Il compito di Romena non è quello di offrire terapie o soluzioni ai malesseri delle persone, e nemmeno di garantire l’ombrello protettivo di un maestro o di un guru … Romena doveva invece semplicemente attingere alle sue radici di pieve per invitare ogni persona, come diceva Gigi, a essere babbo e mamma di se stessa, senza dover dipendere da nessuno. Il nostro compito era di favorire il contatto con la semplicità del luogo offrendo uno stile che non replicasse i meccanismi distorti del consumismo e che lasciasse a ognuno la possibilità di muoversi in libertà” (pag. 188).

Fra Giorgio Bonati, nato a Bergamo il 6 luglio 1964, arriva a Romena nel 2011, dopo essere passato, prima come cappellano dell’ospedale, presso la propria città natale, poi a Crema, Milano e Roma. “Giorgio era un francescano nell’animo, prima ancora che nei voti. Sapeva accorgersi delle albe e indugiare sui tramonti, ammirare un prato dal basso, incantarsi a guardare un neonato. Viveva di incontri, di attenzioni e di abbracci: i suoi erano così intensi da lasciare, su chi li riceveva, un’impronta di calore umano che stordiva” (pag. 202). Rimane nella Fraternità di Romena per tre anni, dopo averne fatto richiesta ai propri superiori. Nel convento di Varese, dove era stato destinato, aveva poi ricreato una piccola Romena, seguita da tantissimi viandanti. Fra Giorgio Bonati muore il 15 novembre 2019 in un incidente di macchina. Per don Luigi Verdi è come se avesse perso un figlio, come provano i genitori del gruppo Naìn. Ci volle del tempo per rialzarsi, ma è pronto per accettare la sfida, lui e l’intera Fraternità, con un nuovo nemico: la pandemia causata dal Covid 19, con il distanziamento, mascherine e altro. Ma a Dio nulla è impossibile. Questa è la fede.

Raimondo Giustozzi

Bibliografia

Massimo Orlandi (Pratovecchio, Arezzo, 1965) è giornalista e scrittore. Nato e cresciuto vicino alla pieve di Romena, ha accompagnato il percorso della Fraternità sin  dal suo inizio, nel 1991. Cura tutti gli incontri che vengono organizzati a Romena ed è il responsabile dell’attività editoriale della Fraternità. Ha dedicato molti suoi lavori al racconto biografico di crescita umana e ricerca spirituale di testimoni speciali. Tra i suoi libri: Giovanni Vannucci custode della luce; Invisibile agli occhi (con Wolfgang Fasser); il morso dei più (con Luigi Ciotti), tutti per le Edizioni Romena. La terra è la mia preghiera. Vita di Gino Girolomoni, padre del biologico (Emi) e Abbi cura di me, con Simone Cristicchi, San Paolo (Risvolto terza pagina di copertina).

 

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