Coloro che hanno a cuore Israele e la vita e la sicurezza degli israeliani dovrebbero essere i primi e più convinti sostenitori della necessità di un cessate il fuoco immediato e di una soluzione politica che riconosca in pieno i diritti dei palestinesi.
Cinzia Sciuto 18 Gennaio 2024
Nei giorni immediatamente successivi al massacro perpetrato da Hamas in Israele molti commentatori nel tentare di scongiurare un’invasione via terra di Gaza paventavano due possibili, catastrofiche, conseguenze: il rischio di uno sterminio di fatto della popolazione della Striscia e quello di un allargamento del conflitto. A più di 100 giorni dall’inizio della guerra possiamo dire che entrambi questi scenari catastrofici sono diventati realtà. Il primo è sotto gli occhi di tutti: quasi 25mila morti palestinesi, di cui la stragrande maggioranza civili, un milione e mezzo di sfollati, cibo e acqua introvabili, accesso alle cure un miraggio, un intero territorio reso inabitabile, preludio di una seconda nakba.
La scorsa settimana, a poche ore dall’inizio del procedimento presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia avviato dal Sudafrica che accusa Israele di genocidio, Netanyahu ha dichiarato: “Israele non ha intenzione di occupare in modo permanente Gaza o di spostare la sua popolazione civile. Israele sta combattendo i terroristi di Hamas, non la popolazione palestinese”, che quindi secondo questa impostazione sarebbe una vittima collaterale della guerra ad Hamas. Che l’estrema destra israeliana sogni una Palestina senza palestinesi in realtà non è una novità, ma anche volendo prendere per buona la tesi degli “effetti collaterali”, è del tutto evidente che Netanyahu e il suo governo non si sono posti nessun limite e che l’obiettivo dichiarato – distruggere Hamas – verrà perseguito a qualunque costo. E già questa è una palese violazione del diritto di guerra e del diritto internazionale, che invece richiedono di soppesare in maniera molto accurata le conseguenze sui civili di ogni azione militare.
Immaginate che un terrorista si barrichi in una scuola usando bambini e insegnanti come scudi umani: chi di noi accetterebbe che venga sganciata una bomba su quella scuola per uccidere quel terrorista, essendo perfettamente consapevoli che questo causerà la morte certa anche di tutta la comunità scolastica? Chi di noi accetterebbe la tesi degli inevitabili effetti collaterali in questo caso? Solo se considerassimo le vite di quei bambini e di quegli insegnanti di nessun valore, potremmo sostenere una simile tesi.
Nel frattempo, anche il paventato allargamento del conflitto è diventato realtà. E anche questo era facilmente prevedibile: la questione palestinese non è mai stata una questione limitata e interna a Israele e Palestina, ma un nodo attorno a cui si sono sempre intrecciati moltissimi fili. Per questo era prevedibile la mobilitazione di Hezbollah e, per chi segue da vicino le vicende di quell’area, anche quella degli Houthi in Yemen. Anche se non direttamente ed esplicitamente legate alla guerra a Gaza, anche i recenti attacchi dell’Iran in Iraq, Siria e Pakistan possono comunque essere ricondotti al quadro di pericolosissima instabilità che la sciagurata decisione israeliana di intraprendere la via della vendetta costi quel che costi ha creato e che i bombardamenti americani e inglesi non aiutano certo a raffreddare.
Rimane ancora aperta la domanda che ci siamo posti in questi mesi: in che modo il massacro indiscriminato di un intero popolo che già viveva sotto occupazione e l’odio e il risentimento che questo sta diffondendo a macchia d’olio può contribuire alla sicurezza di Israele? Coloro che hanno a cuore la vita e la sicurezza degli israeliani dovrebbero essere i primi e più convinti sostenitori della necessità di un cessate il fuoco immediato e di una soluzione politica che riconosca in pieno i diritti dei palestinesi, come chiesto dal parlamento europeo.
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