bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
giugno 2023
L M M G V S D
« Mag   Lug »
 1234
567891011
12131415161718
19202122232425
2627282930  

Amarcord salesiano: Ricordi della propria giovinezza e l’incontro con i Salesiani di don Bosco

Piazzetta San Marone con il SantuarioSono sessantotto, tra sacerdoti e coadiutori, i Salesiani di don Bosco che si sono avvicendati nella parrocchia San Marone in settant’anni di storia (1951 – 2021). Una precisazione è d’obbligo. Il Salesiano Coadiutore è un religioso a tutti gli effetti, come i Salesiani Sacerdoti o Chierici. Vive la vita comunitaria, condivide la preghiera e la mensa, professa gli stessi voti di povertà, castità e obbedienza, ma mantiene il suo stato di laico. Generalmente nella comunità salesiana assolve il compito di economo. I Coadiutori Salesiani furono voluti personalmente da don Bosco. Erano valenti artigiani impiegati come istitutori nelle Scuole Professionali Salesiane, fiore all’occhiello della Congregazione. I primi salesiani arrivarono a San Marone l’8 settembre 1951: don Tarcisio Ciurciola, don Luigi Colucci, don Marco Perego, don Emilio Giancola (chierico) e Valentino Giovagnoli (coadiutore).

Queste informazioni sono prese dal calendario 2021, che la parrocchia stampa ogni anno. La pagina reca anche le fotografie di ognuno di loro, solo per pochi non è stato possibile metterle. Un quartiere non si identifica con la parrocchia come è giusto che sia. La parrocchia è il territorio attorno alla chiesa, la casa per eccellenza di un cristiano. Questo per dire che il termine parrocchia è formato da due parole greche traslitterate: parà (attorno) e oichia (casa). La parola chiesa deriva dal termine greco Ecclesia (ek, da, a e il verbo caleo = chiamo), l’assemblea dei chiamati. Non tutti gli abitanti di un quartiere si riconoscono in un credo religioso. Nel 2011, in occasione del sessantesimo anniversario della presenza salesiana, la Commissione Cultura della parrocchia aveva predisposto quattro quadernoni nei quali si invitavano fedeli, e non, di lasciare per iscritto pensieri e riflessioni su questa presenza. I pensieri lasciati non sono molti. Quelli raccolti comunque bastano per farne una piccola antologia alla “Spoon River” di impronta religiosa. Cambia solo il nome del fiume, sostituito dal Chienti, muto testimone anch’esso, al pari del quartiere e di Colorito, di storie, fatti ed episodi accaduti attorno alla parrocchia in questi sessant’anni.

Molte riflessioni hanno parole di ringraziamento, altre raccontano di ferite aperte: “La mia fede vacilla, non prego più come una volta e vado in chiesa di rado. Pregate il Signore che mi illumini”. “La mia vita è costellata da angustie ed avversità, dissapori tra me e mia moglie, ho perso il lavoro. Ero ingegnere elettronico. Provo invidia per le persone a cui non manca niente. Ho bisogno dell’aiuto del Signore. Noi siamo piccoli e fragili”. “Ho cinquantasei anni e nessuno mi vuole più al lavoro, che la Madonna mi faccia la grazia”. Molti ritornano ai bei tempi dell’Oratorio e dei figli ormai grandi. “L’Oratorio è lo scrigno dei ricordi e delle esperienze più belle”. “Ricordo i primi salesiani: don Ciurciola, don Marco, don Luigi, don Mario, Valentino, don Germano, don Erasmo”. “Ho l’impressione di aver vissuto una favola: don Dante nel cortile, poi giochi, calcio, tutto aveva un profumo intenso, indimenticabile. E’ stata un’esperienza bellissima che ha inciso nella mia formazione”. “Alla mia dorata Parrocchia, un bacione ed un abbraccio, porto tutti nel cuore”.

“… Ringrazio Dio e la Madonna che mi hanno dato sempre la forza ed il coraggio di superare tante prove difficili. Sono qui per dirvi che la fede aiuta sempre”. Nonostante il tempo trascorra via inesorabile, il ricordo dei figli diventa pressante: “Qui, in questa chiesa, i miei figli: Marco e Roberta hanno fatto la Prima Comunione, poi la Cresima. Erano tempi belli. Frequentavano l’oratorio”. “Mi sono sposata in questa chiesa ventisei anni fa. I miei figli sono cresciuti nell’oratorio salesiano, in questa stessa chiesa ho salutato mio padre che è ritornato alla casa del Padre”. “In questa comunità sto attraversando la vita e mi sento a casa mia”. “Varcata la porta di questa chiesa, ritrovo la pace nonostante non abbia più il lavoro”. Tante riflessioni diventano preghiera: ”Che il Signore illumini tutti questi figli divorziati”. “E’ sempre più difficile credere in un mondo che premia i falsi ed i viziosi. Bisogna trovare le forze per non soccombere”. Don Bosco ed i Salesiani sono nel cuore di chi ha lasciato scritto: “Da ragazza leggevo “La figlia cristiana provveduta del venerabile don Bosco”. E’ stato il libro di preghiere della mia giovinezza. L’hanno letto anche le mie due figlie. Sono state educate all’Oratorio. Vengo da fuori regione ed il Signore mi ha fatto incontrare nella Parrocchia dove abito, i figli di don Bosco, i Salesiani che la guidano magnificamente”. “Amatissimo don Bosco, tu, giovane per i giovani, prega per i miei figli che siano sempre sulla retta via”. Il rendimento di grazie è in chi ha scritto: “Chiedo che la mia vita ed anche quella di tanti sia sempre serena e tranquilla per tutti, come lo sono stati i giorni trascorsi con l’uomo della mia vita”. “Grazie Signore per averci donato la presenza dei Salesiani… Sono grata ai miei genitori perché a me ed ai miei fratelli hanno fatto frequentare l’Oratorio dove ci siamo formati ed abbiamo conosciuto numerosi salesiani speciali e molti indimenticabili. Hanno saputo forgiare la nostra vita spirituale che abbiamo poi trasmesso ai nostri figli ed al prossimo. La presenza sempre più attiva dell’Opera Salesiana nella nostra città è un dono prezioso per tutti: bambini, giovani, adulti e prego che prosegua sempre meglio negli anni futuri per formare famiglie di “buoni cristiani ed onesti cittadini”, come voleva don Bosco, per riunirci un giorno in una grande famiglia in Paradiso”.

Non manca un “mega saluto a Mr. Buffo, il giornalino dell’Oratorio, buono, utile, facile da leggere, fantastico”. Piccoli tasselli di una grande storia, granelli di sabbia che formano uno accanto all’altro le nostre belle spiagge assolate, gocce d’acqua del nostro mare e del nostro fiume, graziosi puzzle le di un grande quadro sono tutti i pensieri vergati da mani anonime o con tanto di firma lasciati nei due quadernoni della chiesa, al Centro Pastorale don Bosco ed all’Oratorio Salesiano, per ricordare il sessantesimo della presenza salesiana a Civitanova Marche (Diario del Sessantesimo Anniversario (1951 – 2011) dei Salesiani di don Bosco nella parrocchia San Marone di Civitanova Marche)

Amarcord salesiano di Andrea, Ivo, Claudio, Maria, Giuliana, Delia.

Andrej Zuczkowski, nome e cognome polacchi, ci tiene a precisarlo, ma conosciuto da tutti come Andrea, è uno dei tanti campioncini che ha calpestato il campetto da calcio dell’Oratorio salesiano di San Marone. Conosco Andrea per aver frequentato assieme l’Università degli Studi di Macerata. Nei lunghi anni della mia residenza a Giussano, in Brianza, ho conosciuto Pierluigi Lambrugo, ex giocatore del Bologna. Ci si vedeva spesso in casa di una sua zia, l’architetto Luigia Lambrugo. Abitavano nella stessa villetta posta a ridosso della ferrovia Nord Milano, poco lontano dalla stazioncina di Carugo – Giussano. Un giorno, parlando di calcio, la conversazione finì sui compagni conosciuti quando Pierluigi era ragazzo. Mi parlò di Andrea Zuczkowski. A Carugo, in provincia di Como, Pierluigi mi stava parlando di Andrea che conoscevo anch’io.

Ricordo che un anno, quando ero qui a Civitanova Marche per trascorrere le ferie, telefonai ad Andrea, anche per salutarlo. Non ci vedevamo più dagli anni dell’Università. Gli raccontai di Pierluigi Lambrugo e mi chiese come mai lo conoscessi. Glielo dissi e ne fu felice perché gli stavo ricordando gli anni giovanili, quando giocavano entrambi in serie C nel Rapallo nel 1967-68. Oggi Andrea Zuczkowski è un professore in pensione; è stato ordinario di Psicologia Generale presso l’Università degli Studi di Macerata, Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, dopo aver insegnato in quello di Filosofia e di Scienze della Comunicazione. Ogni tanto, qualche suo studente, appassionato di calcio, lo sorprendeva piacevolmente mostrandogli la “figurina” di quand’era calciatore, scovata negli album della “Panini” di Modena. Pur essendo trascorso metà secolo, Andrea non ha dimenticato affatto gli anni in cui iniziava a tirare i primi calci al pallone, proprio nel campetto dell’oratorio.

“Era il 1960. Dopo la Scuola Media mi iscrissi al Liceo Classico “G. Leopardi” di Macerata. Partivo da Civitanova Marche per il capoluogo alle 7.00 del mattino, con la corriera, assieme a Giuliano Polzoni, Lucio Gatti e Claudio Petrolati. Ritornavo a casa alle 14,00 circa e dopo aver mangiato qualcosa in tutta fretta, andavo quasi subito al campetto dei Salesiani, per divagarmi un po’, prima di mettermi a studiare. Era una striscia di terreno, ricoperto da brecciolino, posto là dove ora c’è il cine teatro “Conti”. Chiamarlo campo da calcio oggi fa sorridere, ma per me e i miei amici di quegli anni era lo spazio ideale per dare sfogo alla nostra insaziabile voglia di muoverci, correre, divertirci, dopo essere stati cinque ore seduti a scuola. Ricordo i palloni, di gomma nera spessa, ben gonfi, avevano dei rimbalzi accentuati, l’ideale per migliorarmi nel loro controllo, stop e passaggio. Mamma era contenta che stessi dai Salesiani, non per il calcio ma ovviamente per motivi religiosi e perché era un ambiente protetto, affidabile, in cui si prendevano cura di te come persona. Amarcord salesiano di Andrea, Ivo, Claudio, Maria, Giuliana, Delia 35 Alla domenica andavo sempre a messa, quella delle nove, assieme ai miei compagni. Non mancava comunque, di tanto in tanto, qualche rimprovero perché secondo lei la mia strada era lo studio, non il calcio. Riuscivo comunque a fare bene ambedue le cose: traduzioni dal Greco e dal Latino, studio della Filosofia e delle altre materie e giocare a calcio.

Dal campetto passai al campo vero e proprio, che è ancora lì, a due passi dall’oratorio: giocavo con altri ragazzi, di età leggermente maggiore della mia, che si segnalarono poi come validi giocatori, ad esempio Alberto Principi, i fratelli Lazzarini. La Salesiana Vigor era una squadra fortissima! Ricordo due campionati che vincemmo alla grande, con una finale nazionale a Roma, allenatore Pizzicara”. Dopo questo primo approccio al mondo del pallone, giocai con la VIGOR SMA nelle stagioni 60- 61 e 61- 62. Ero un bravo giocatore, almeno così dicevano. Ricoprivo il ruolo di centrocampista ma venivo utilizzato anche come ala. Un bel giorno fui avvicinato da alcuni dirigenti della Civitanovese che mi proposero di passare a giocare nella più titolata squadra cittadina. Risposi che dovevano parlarne con i Salesiani perché, andandomene via di mia spontanea volontà, avrei tradito la loro fiducia. Don Mario Pace e don Dante Ceccarelli stravedevano per me. I responsabili della Civitanovese mi fecero capire che l’operazione sarebbe andata felicemente in porto.

Mi dissero, ridendo, che i Salesiani, bisognosi com’erano di tutto, avrebbero avallato il mio trasferimento in cambio di una cinquantina di palloni che loro avrebbero regalato all’oratorio. Non so se ci fu questo accordo, ma nella stagione ’62- ’63 ed in quella successiva ’63- 64 mi ritrovai a giocare con la Civitanovese, mettendomi in evidenza. Nella stagione ’64- ’65 fui ingaggiato dal Pisa, mi trasferii così nella città toscana dove consegui anche la maturità classica”. Dopo aver scelto la carriera di calciatore professionista, non ho più frequentato ambienti salesiani. Il calcio professionistico mi impegnava troppo. Gli allenamenti erano quotidiani, c’era poi la partita della domenica. C’erano tante trasferte. Ho giocato contro campioni allora famosi: Sandro Mazzola, Mario Corso, Gianni Rivera, Tarcisio Burgnich, Giacinto Facchetti, Angelo Domenghini, Gigi Riva. Il mio più profondo desiderio era poi quello dello studio. A Pisa frequentavo la facoltà di Filosofia che ho terminato presso l’Università di Macerata, dopo aver smesso di giocare a ventiquattro anni. Fu una scelta di vita. Il calcio era stato il mio primo amore, poi però ho vissuto delle situazioni che mi hanno disamorato.

Ho cambiato radicalmente, come un innamorato deluso, e ho ripreso l’altra mia grande passione, lo studio, la ricerca”. “Ho ripreso a frequentare l’ambiente salesiano di San Marone agli inizi del 1980, quando mi chiamarono ad allenare i ragazzini della Vigor SMA e per cinque anni, fino al 1985, ci siamo tolti non poche soddisfazioni, vincendo tutto quello che c’era da vincere, anche il “Trofeo Marche” e creando anche dei futuri campioncini, come ad esempio Luca Cerquetti o Michele Paolucci, che ho allenato poi alla Vis Fontespina”. La Pedagogia è l’arte di guidare, condurre, accompagnare il bambino nella sua crescita. Don Bosco, senza aver scritto nessun libro di Pedagogia, ma solo alcuni piccoli volumetti, fu l’autore del cosiddetto “Sistema Preventivo”, per altro già teorizzato da Ferranti Aporti e da Antonio Rosmini, fondato sulla ragione, sulla religione e sull’autorevolezza, che insegna ad amarsi e a rispettarsi, tirando fuori le qualità positive del ragazzo. Certo che ritengo valido il Sistema Preventivo di don Bosco. C’è da dire comunque che l’ambiente salesiano di San Marone, frequentato quando ero ragazzo, veniva a rafforzare una educazione che avevo già ricevuto in famiglia, soprattutto da mamma e nonna.

C’era sintonia tra Famiglia e Scuola, Famiglia ed ambiente Salesiano. Non so se questo oggi sia ancora vero e qui è tutta la sfida educativa”. Vittorio Messori scrive che don Milani e don Bosco avevano la stessa divorante passione per i giovani. Enzo Biagi, in un suo editoriale, li ha definiti due grandi educatori che pur essendo vissuti in contesti e periodi storici diversi, l’uno nel Novecento, l’altro nell’Ottocento, hanno rappresentato qualcosa di unico nel panorama educativo. Condivido queste affermazioni. Sono convinto che la funzione di “educatore” riguardi ognuno, tutti, non solo come genitori, ma in qualunque settore, come allenatori, come insegnanti, giusto per rimanere nel campo delle mie principali esperienze di vita. E credo anche che il processo educativo non sia a senso unico, cioè non sia solo “il più grande educa il giovane”, come perlopiù è, ma che possa riguardare anche i coetanei, i pari età, e addirittura che il giovane possa educare il più grande. Ad esempio, l’insegnante che ringrazia i suoi alunni per quello che ha imparato da loro, non è una boutade, normalmente corrisponde al vero.

Ivo Bartozzetti, professore di Matematica, ora in pensione, è stato il primo bambino di San Marone a ricevere il battesimo dai Salesiani arrivati nella cittadina adriatica l’8 settembre 1951. Ha ricevuto il Battesimo il 16 Settembre del 1951 da don Marco Perego, assieme ad un altro bambino del quartiere: Guido Cifola, scomparso prematuramente in questo anno. E’ nato, cresciuto e vissuto da sempre a San Marone. Non c’è persona quindi che può ricordare meglio di lui questo sessantennio. “Il salesiano che ricordo con tanta simpatia per quanto era bravo nell’intrattenimento è senz’altro don Mario Pace. Ne inventava una ogni giorno per farci giocare. Il sacerdote che ha curato la mia preparazione catechistica è stato don Antonio Fanesi. Ricordo anche don Germano, di meno don Tarcisio Ciurciola. Il merito dei Salesiani è stato quello di aver tolto tanti ragazzi dalla strada ed aver curato l’aggregazione giovanile. Per i ragazzi della mia generazione esistevano solo la casa, la scuola e l’oratorio.

Le cose sono iniziate a cambiare quando venne inaugurato il nuovo campo da calcio sulla terra donata dall’Amministrazione Bonaparte. Io mi sento legato agli spazi che esistevano dietro alla chiesa, là dove ora ci sono le abitazioni dei Salesiani ed il cine teatro “Conti”. Una sala per il cinema, un piccolo bar ed un campo per il gioco delle bocce era tutto quello che esisteva. Il catechismo lo facevamo in parrocchia, là dove ora ci sono gli uffici della stessa. Era una sala affollatissima di bambini. D’inverno, nella sala dietro alla Chiesa, venivano proiettati dei filmini. Erano delle istantanee di cartoni animati. Ad un certo punto, la proiezione si interrompeva e noi ragazzi dovevamo indovinare quale personaggio veniva dopo quello che era stato proiettato. Nel corso delle proiezioni, un ragazzino, cassetta a tracolla, vendeva le liquirizie. D’estate si andava al Chienti. Anche qui, don Mario Pace superava se stesso.

Ci mettevamo in fronte, legati con lo spago dietro alla testa, dei numeri. Ci dividevamo in due squadre. Il gioco, “Tattica”, consisteva nel non farti riconoscere il numero che portavi, diversamente venivi eliminato. Erano allora corse affannose per nascondersi dietro agli alberi o ad altri ragazzi. Il numero non lo si poteva nascondere con le mani”. Il papà di Ivo Bartozzetti, il signor Nazzareno, costruita la casa per la propria famiglia, con l’abitazione al piano superiore, lavorava come meccanico nel proprio laboratorio, sistemato al piano terra, proprio sul fronte della strada. Le ore di lavoro non si contavano. Era un uomo che sapeva far tutto con le mani, ingegnoso come nessun altro. I suoi clienti erano i primi padroncini che si erano messi in proprio, aprendo la classica piccola fabbrica di scarpe. Arrivavano ad ogni ora, finanche di notte, quando, dopo aver fuso la propria macchinetta in alcune sue componenti meccaniche, sottoponendola a ritmi di lavoro furiosi, non sapevano a chi santo appellarsi. Andavano o ritornavano quindi dal papà di Ivo che pazientemente rifaceva il lavoro fatto poco tempo prima. Aveva rapporti continui con questi ultimi ma anche con gli operai della vicina fabbrica “Cecchetti”.

Ivo frequenta a Civitanova Marche, prima le scuole dell’obbligo: Elementari e Medie, poi l’Istituto Magistrale a Macerata. Arriviamo in questo modo sul finire degli anni sessanta. Il nostro, sui vent’anni circa, ha come tutti i giovani di questa età, una propria visione del mondo e della realtà che lo circonda. “Ricordo una manifestazione in piazza con tanti operai della “Cecchetti” che avevano promosso un corteo e la polizia schierata che caricava gli operai. Mio papà mi aveva quasi legato ad una pianta temendo che potesse succedermi qualcosa di brutto. Ma, niente paura. C’era con me anche mia mamma che mi proteggeva. Ero molto piccolo. Avrò avuto circa sei anni. Senz’altro le difficoltà maggiori all’interno della fabbrica le hanno vissute gli operai più sindacalizzati. Sono stati i primi ad essere licenziati. Tanti di loro, una volta licenziati, aprirono stabilimenti balneari, altri entrarono a lavorare in ferrovia, altri ancora aprirono attività in proprio”.

Ivo Bartozzetti, conseguita la Laurea in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Camerino, si trasferisce al Nord, più precisamente a Como. In terra lombarda trascorre circa sei anni, insegnando in diverse scuole della provincia: Como, Costamasnaga, Cantù. Dopo la permanenza in terra lombarda, ritorna a Civitanova Marche e insegna in diverse scuole della provincia di Ascoli e di Macerata. “Sì, sono stato lontano per sei anni, ma ho sempre mantenuto i contatti e le amicizie che ho coltivato fin da piccolo. Ho iniziato ad allontanarmi dall’oratorio quando ero già grande, ma la formazione ricevuta, basata sull’amicizia, il rispetto e la condivisione con l’altro sono valori che ho imparato proprio in oratorio. I Salesiani hanno rappresentato una realtà molto positiva per il quartiere San Marone. Di loro c’è forse più bisogno ora che una volta”.

Claudio Paniccia, classe 1924, fondatore dell’ICA (Industria Chimica Adriatica), ha avvicinato fin dagli inizi i Salesiani di San Marone. E’ ritornato alla casa del Padre qualche anno fa. Ciò che Claudio racconta è frutto di una intervista di molti anni prima. Scrive don Giancarlo Manieri: “Il nuovo anno, il 1952, consolida e rende definitive certe scelte ed amplia il “parco pastorale” dei Salesiani e dei loro collaboratori, la maggior parte giovani. Sorgono le ACLI, tra le altre associazioni, che scelgono, con rescritto vescovile, come assistente ecclesiastico don Marco Perego e come primo presidente il dinamico Claudio Paniccia” (Cfr. G. Manieri, Lungo il fiume – scorci di vita salesiana in San Marone di Civitanova Marche, pag. 18, Civitanova Marche,1989). “Ricordo che erano anni brutti. La guerra era terminata da sei anni, ma le difficoltà materiali erano ancora tante. La fabbrica “Cecchetti” aveva ripreso la produzione nel 1946 e con la morte del suo fondatore “Adriano Cecchetti”, avvenuta nel 1947, entrò in un vortice di difficoltà sempre crescenti che si acuirono nella seconda metà degli anni cinquanta. All’età di undici anni mi sono trasferito dalla vecchia casa di Corso Umberto, insieme a tutta la mia famiglia, in via Parini, in una casa dei “Cecchettari”.

Mio papà Sante era l’autista e segretario di Adriano Cecchetti. Era quasi sempre fuori casa. Accompagnava Adriano nei suoi continui viaggi a Roma, Milano, Torino. In casa eravamo ben otto persone. Io ho frequentato prima l’asilo presso le suore dello Istituto “Stella Maris”, poi la Scuola Elementare di via Triste ed infine L’Istituto Tecnico che era l’unica Scuola Superiore della città. Successivamente ho vinto il concorso per entrare nell’Accademia Navale di Livorno. Sono rimasto in Marina fino al 1944, ma mi sono congedato dall’Arma nel 39 corso dello stesso anno perché capivo che dovevo fare altro nella vita. Mi è rimasta comunque una grande passione per il mare e per le barche a vela. Conoscendo bene l’Inglese, io e mio fratello Primo ci siamo prestati per circa diciassette mesi a fare da interpreti presso il Comando Militare alleato.

Nel 1948 sono entrato a lavorare nella “Cecchetti” dove sono rimasto fino al 1952. Proprio in questo anno mi sono trasferito a Modena perché assunto in una delle più importanti fabbriche di “ghisa malleabile a cuore nero” d’Europa. Sono rimasto nella città emiliana per otto anni, con incarichi dirigenziali. Era nato nel frattempo, a Civitanova Marche, il mio primo figlio Fabio. Sandro e Piero sono nati a Modena. Sono ritornato a Civitanova Marche nel 1960 e nel 1962 è nata mia figlia Valeria”. “Don Marco Perego è stato uno dei primi sacerdoti salesiani di San Marone che ho avuto la fortuna di conoscere. Mi ha sposato lui, nella chiesa di San Marone, il 22 Ottobre del 1951. Il 22 Ottobre del 2011, io e mia moglie Maria Cesari celebreremo le nozze di diamante presso la chiesa di San Marone. La passione politica di quegli anni si accendeva soprattutto in occasione dei comizi elettorali. Come si combattevano i rossi ed i bianchi, comunisti e democristiani? Come era la società civile di quegli anni? Che ruolo ebbero i salesiani in quel clima infuocato, fatto di tensioni, di manifestazioni e di scioperi che coinvolsero la fabbrica “Cecchetti”? “Come ho detto, erano anni difficili.

Ricordo un giorno imprecisato del 1946, quando venni invitato assieme all’amico Ubaldo Ferraro e ad altri che erano con me, da alcuni comunisti a seguirli nella loro sede che era allora sopra la Farmacia Roani. Sapevano che eravamo di idee democristiane, ma volevano vedere se riuscivano a convincerci di abbracciare la loro fede politica. In quegli anni, la Democrazia Cristiana aveva in Alcide De Gasperi l’uomo politico più valido e rappresentativo. Ricordo un’assemblea di fabbrica che si tenne dentro alla “Cecchetti”. Io ero già stato nominato presidente delle ACLI. Parlai, assieme ad mio amico, davanti a circa novecento operai che erano fortemente politicizzati ed erano tutti della parte avversa a quella democristiana.

I Salesiani, in questo ambiente, diciamo fortemente rosso, condizionato dalla politica del PCI e del Partito Socialista di Pietro Nenni, potevano intervenire su quella parte della popolazione che non si riconosceva negli ideali predicati da chi si professava ateo e dileggiava la Chiesa in tutti i modi. Gli inizi sono stati difficili anche per loro, poi, col tempo, le difficoltà si sono smussate ed hanno avuto modo di costruire a favore della gioventù e della popolazione del quartiere, grandi strutture, tra tutte, quella più importante, l’Oratorio, grazie alla cessione di parte del terreno di proprietà della Amministrazione Bonaparte. Il lascito di Pier Alberto Conti in loro favore ha permesso poi la costruzione di altre strutture in favore della gioventù e di tutto il quartiere, tra tutti il teatro “Pier Alberto Conti”. Anche a Modena la società era fortemente orientata verso il Comunismo. Non dimentichiamo che faceva parte di quel famigerato triangolo rosso: Modena, Bologna e Reggio Emilia, di cui tanto si è parlato anche in anni a noi più vicini”.

La guerra aveva lasciato odi profondi. Claudio Paniccia ha lavorato nella fabbrica, da lui fondata, fino ad ottantasette anni. “Lo faccio per un motivo molto semplice. Voglio che questa azienda, leader in Europa tra le dieci fabbriche del settore, continui ancora ed anzi cresca, soprattutto in un periodo nel quale il mercato è diventato globale. La sento come una mia creatura. Entro al mattino alle ore 9.00 e sto in fabbrica fino alle 12.00. Rientro al pomeriggio alle 15.00 ed esco alle 19.00. Ascolto i problemi degli operai e quando mi riesce cerco anche di trovare delle soluzioni. Trovo il tempo per occuparmi dei miei nipoti e di tutto ciò che riguarda la mia famiglia. Fabio, Sandro e Piero, i miei tre figli, sono ai vertici dell’azienda. Sono entrati in fabbrica anche i nipoti più grandi, i figli di Fabio, che seguono due sedi: l’una produttiva, a Romano D’Ezzelino in Veneto, l’altra di natura prettamente commerciale in Spagna. Attualmente, le tre sedi, tra operai, impiegati, tecnici, ingegneri e dirigenti, hanno 380 addetti. Una realtà così grande potrebbe avere ancora bisogno del mio lavoro e delle mie attenzioni”.

Giuliana Giuliani, per tutti la signora Giuliana, scomparsa alcuni anni fa, si trasferisce a Civitanova Marche dalla nativa Toscana, meglio, dal paese di Gavorrano, in provincia di Grosseto, poco lontano da Follonica, nel 1959. I Salesiani erano arrivati a Civitanova Marche l’8 settembre 1951. Non avevano nulla, nemmeno “gli occhi per piangere”, come recita il classico detto popolare. La signora Giuliana si rende subito disponibile. Prepara per loro ed a prezzi modici, il pranzo e la cena, dal momento che gestisce col marito Narciso, il Motel Agip, poco lontano dalla parrocchia San Marone.

La signora Maria Orsili, anche lei ritornata alla Casa del Padre, aveva donato alla chiesa una splendida statua della Madonna, quella che stava nel santuario di San Marone, ora nella chiesa di Maria Ausiliatrice. La signora Giuliana, per non essere da meno, offre a sue spese una statua di Maria Ausiliatrice, facendola collocare al quadrivio delle strade: Cecchetti, Carducci e Dante Alighieri, sia per quelli che vanno in chiesa, ma soprattutto per coloro che in chiesa non ci vanno mai. La statua è ancora nell’area della attuale rotonda di San Marone, sempre adorna di fiori e di tutte le attenzioni dei fedeli. Giuliana è stata l’anima della parrocchia. In chiesa, durante le funzioni liturgiche, cantava e leggeva. In strada, con quel suo fare aperto e solare, si fermava a parlare con tutti, dava un bacio e rivolgeva sempre una parola gentile.

Maria Beruschi, da Civitanova Alta, si trasferisce nel 1955 al Porto e viene subito in contatto con i Salesiani. 41 Il marito, il signor Gaetano, archivista presso il Comune, quando va in pensione, diventa quasi il segretario della Parrocchia, chiamato dal parroco don Franco Luchetta, per tenere in ordine l’Archivio Parrocchiale ed aggiornare i registri di Battesimi, Cresime, Comunioni. Quando lascia, molti dei Salesiani, tra i quali don Alessandro Canu, vedono la differenza tra il prima ed il dopo. Era lettore nella celebrazione delle Sante Messe, qui in chiesa a San Marone, ma anche nella piccola cappella di Colorito, quando l’amena località di montagna diventa, d’estate, quasi una succursale della Parrocchia Salesiana di San Marone.

Era anche ministro straordinario dell’Eucaristia, incarico che, alla sua morte, verrà preso poi dal signor Pietro Pepa. I figli di Maria: Mario e Patrizio sono cresciuti all’Oratorio Salesiano, all’ombra di don Erasmo prima e di don Giorgio poi. Mario, il dottore, maggiore di Patrizio, è proprio frequentando l’Oratorio che incontra Paola, la figlia di Giuliana, che sposerà ed insieme si trasferiranno a Terni, città nella quale Mario ha esercitato la propria professione di medico anestesista presso l’ospedale cittadino. Anche Maria Beruschi è ritornata nella casa del Padre. Delia Santarelli, più giovane delle prime due, ha accudito come pochi, don Ilario, don Erasmo e don Giorgio, dividendosi in questo ultimo caso tra l’INRCA di Ancona, l’Istituto beato Stefano di Porto Potenza, Villa Pini e l’Ospedale Civile di Civitanova Marche.

Notti passate accanto a chi aveva bisogno anche solo di un bicchiere d’acqua, quella gassata, con le bollicine, per smorzare la propria arsura. “Avevo sete e mi avete dato da bere, ero ammalato e mi avete visitato”. E’ l’invito fatto da Gesù e tradotto in gesti concreti che sanno di amore e di carità praticati senza rumore né frastuono. Fino a quando la signora Delia ha gestito assieme alla nuora ed al figlio il negozio “L’angolo fiorito”, poco lontano dalla chiesa di San Marone, ha sempre curato l’addobbo floreale nel piccolo ma grazioso santuario. “Don Antonio Fanesi, don Luigi Colucci, don Mario Pace, don Dante Ceccarelli, don Gennaro Ferretti, don Germano Orazio, don Erasmo Salvatori, sono stati i primi salesiani avvicinati da Giuliana, Maria e Delia. Ognuno di loro, con il proprio carisma, diverso l’uno dall’altro, ha contribuito a fare della Parrocchia Salesiana e dell’Oratorio due realtà che tanta gente di altre parrocchie di Civitanova Marche ci invidia. E’ importante che, pur nell’avvicendamento dei preti, ognuno diverso dall’altro per carattere e per temperamento, si mantenga l’unità tra tutte le realtà parrocchiali”.

“Ricordiamo tanti momenti della parrocchia, ma in particolare alcuni. Maurilio Murri venne vestito dai ragazzi dell’Oratorio. Si erano messi in cerchio attorno alla bara e vegliarono la sua salma dandosi i turni. I ragazzi dell’Oratorio vissero un momento particolarmente difficile con la partenza di don Erasmo, mandato in Ancona e sostituito nell’oratorio da don Carlo Ravaldini. Non ci stavano proprio di perdere il mitico don Erasmo e resero la vita difficile al nuovo arrivato. Impararono comunque ad apprezzare la sua grande bontà e la sua completa dedizione ai giovani. Portava i ragazzi nella colonia estiva di Fontespina ed in giro col pulmino dell’Oratorio nelle diverse gare sportive della provincia di Macerata. Incontrò la morte proprio col pulmino mentre ritornava da Colorito, all’altezza di Tolentino. Inutile dire che rimasero molto scossi per questa morte così tragica”. “La gente accolse bene l’arrivo dei Salesiani ed ha sempre voluto bene a loro, anche ora che sono trascorsi sessanta anni dal loro primo arrivo. C’è da dire comunque che, in Parrocchia, ogni avvicendamento viene sempre vissuto in modo difficile. Chi arriva nuovo deve capire che quel poco o molto che è stato fatto lo si deve a chi è venuto prima. Gelosie ed invidie devono essere bandite perché appartengono ad ambienti che non sono quelli propri di una comunità ecclesiale. Non è che la gente si divida tra Paolo, Barnaba e Cristo, come nella lettera scritta da San Paolo, perché Cristo non può essere fatto a pezzi, ma è anche vero che la gente chiede che la Famiglia Salesiana diventi così come è stato detto più volte in passato una “Famiglia di famiglie”.

Le differenze di vedute o di carattere non devono rovinare il lavoro fatto. La gente va conquistata anche con un sorriso e nulla più”. “Abbiamo sempre aiutato i Salesiani come abbiamo potuto: lavare, stirare, cucire, rammendare capi di biancheria e d’abbigliamento, ma anche candide tovaglie da mettere sull’altare in occasione delle celebrazioni liturgiche. In questo lavoro non possiamo non ricordare – sottolineano Giuliana e Maria – la grande disponibilità di Antonina Foresi, scomparsa anche lei anni fa. Don Erasmo ci portava grandi rotoli di stoffa. Noi dovevamo trasformare questi rotoli di stoffa pesante nei tendaggi che esistono tuttora presso il cine – teatro “Conti”. Siamo andate per quindici giorni, dalle 14.00 alle 18.00 in parrocchia per costruire questi tendaggi. Ci portavamo da casa il ferro da stiro. Antonina trapuntava la stoffa con la macchina usata per la calzatura, noi due (Giuliana e Maria) facevamo le pieghe. Una volta terminato il lavoro, Tarciso ci aiutava con la carrucola a tirare su tutta la grande pezzatura, la più grande e pesante quella relativa al sipario del teatro. Non possiamo poi non ricordare anche altre donne che si sono davvero spese per la comunità salesiana di San Marone: Bruna Macciolli, Amerina Ripa ed Ida Cervellini, la cuoca della Comunità”.

Raimondo Giustozzi

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>