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A 60 anni dalla tragedia del Vajont un’azione corale di teatro civile

diga-vajont

di Valerio Calzolaio

La tragedia del Vajont è forse poco conosciuta dalle ultime generazioni di cittadini e studenti. Il disastro ebbe inizio in Italia alle 22.39 del 9 ottobre 1963. Quella sera morirono quasi duemila persone, 1.910 concittadini (solo circa 1.500 i cadaveri recuperati), tra loro ben 487 di età inferiore a quindici anni, a causa dell’esondazione della diga costruita sul torrente Vajont nell’omonima valle al confine fra le due regioni del Nordest, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Dal sovrastante pendio del Monte Toc una frana precipitò nelle acque del recente bacino idroelettrico (non era la prima, peraltro); la conseguente tracimazione e l’effetto di dilavamento delle sponde del lago coinvolsero drammaticamente improvvisamente chi abitava sia intorno all’invaso che nelle decine di paesi e borghi del fondovalle veneto del Piave.

Fu disastro “evitabile” e innaturale, provocato dall’uomo, è ormai accertato: dopo la costruzione della diga emerse che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico, inoltre che, pur essendo a conoscenza della pericolosità, i dirigenti dell’ente gestore coprirono con dolo i dati a disposizione, senza opposizione di vari enti pubblici a carattere locale e nazionale in pieno periodo di nazionalizzazione elettrica, e infine che nella fase del collaudo dell’impianto vi furono altre colpevoli disattenzioni e negligenze. Le vicende giudiziarie durarono dal 1968 al 1997, un percorso mai lineare, contraddittorio, fra vari conflitti interni, sviamenti laterali, drammi umani e sentenze di colpevolezza, condanne e “risarcimenti”. Al 2000 risale l’accordo per la ripartizione degli oneri di risarcimento danni tra ENEL, Montedison e Stato Italiano, al 33,3% ciascuno.

Per i primi anni il disastro fu anche al centro di ovvio clamore, dibattitti e polemiche, non solo a livello nazionale, non solo di carattere amministrativo, simbolo di un atteggiamento invadente dei sapiens verso gli ecosistemi (con effetto boomerang su noi stessi), di un colpevole ritardo culturale e politico nei confronti delle competenze ambientali e dell’ecologia, di una scarsa cura dell’assetto idrogeologico del paese.  Un momento terribile e significativo della storia italiana. Trent’anni fa, nel 1993 Il racconto del Vajont si manifestò tramite la voce e il corpo di Marco Paolini, un monologo teatrale scritto a quattro mani da Paolini e dal regista Gabriele Vacis, assieme a Gerardo Guccini e Alessandra Ghiglione, interpretato dallo stesso Paolini come una moderna “orazione civile” sugli eventi dell’intero decennio dall’inizio della costruzione della diga nel 1956 alla frana del 1963. Lo spettacolo arrivò al grande pubblico italiano, vinse nel 1995 il Premio Speciale Ubu, nel 1996 il Premio Idi per la migliore novità italiana e nel 1997 l’Oscar della televisione come miglior programma, trasmesso da Rai2 in diretta dalla diga il 9 ottobre 1997, trentaquattresimo anniversario del disastro.

Marco Paolini (Belluno, 1956) è uno straordinario premiatissimo drammaturgo nel teatro e nel cinema contemporanei, scrittore regista narratore produttore; recentemente ha anche condotto su Rai3 La fabbrica del mondo con Telmo Pievani. Segni distintivi sono la ricerca storica e scientifica a monte, la cura dei testi, la capacità comunicativa dello stile e del linguaggio, l’eccelsa espressività drammaturgica. Anche senza effetti scenografici e tecnologici. Anche con belle concessioni a dialetti locali e invenzioni colte. Per il sessantesimo triste anniversario del Vajont, la casa di produzione del poliedrico Paolini si è mossa per tempo, con lungimiranza, intelligenza, sensibilità e fantasia, promuovendo una stimolante manifestazione nazionale teatrale multispettacolare.

Lunedì 9 ottobre 2023, nel sessantesimo anniversario della tragedia, si svolgerà in tutt’Italia VajontS 23, azione corale di teatro civile messa in scena in contemporanea in almeno 150 teatri dalla Val d’Aosta e dall’Alto Adige alla Sicilia e al Salento, anche all’estero: quel che è accaduto, quel che potrebbe accadere. Grandi attori e allievi delle scuole di teatro, teatri stabili e compagnie di teatro di ricerca, musicisti e danzatori, maestranze, personale dei teatri e spettatori arruolati come lettori si riuniranno nei posti più diversi, dai mitici noti grandi teatri metropolitani di Milano ai più piccoli teatri di provincia e in altri luoghi non specificamente deputati come scuole, chiese, centri civici, biblioteche, piazze di quartiere, dighe e centri parrocchiali. Ciascuno realizzerà un proprio allestimento sulla base delle peculiarità del proprio territorio.

Tutti si fermeranno, tutti ci fermeremo nello stesso fatidico momento, alle 22.39 di sera, l’ora in cui la montagna franò nella diga. La storia del Vajont riscritta da Marco Paolini con la collaborazione di Marco Martinelli, 25 anni dopo il racconto televisivo, non è più solo un racconto di memoria e di denuncia sociale, potrebbe diventare una “sveglia” per i meno giovani di noi e una “scoperta” per chi non c’era e non ne ha sentito parlare con chiarezza. Quella del Vajont è la storia di un avvenimento che inizia lentamente e poi accelera. Inesorabile, spiegano gli autori. Si sono ignorati i segni e, quando se ne è presa coscienza, era troppo tardi. In tempo di climate change e di crisi climatica, non si possono ripetere le inerzie, non possiamo permetterci di calcolare il rischio con l’ipotesi meno pericolosa tra tante. Tra le tante scartate perché inconcepibili, non perché impossibili. Prestiamo intransigente attenzione!

Quando 30 anni fa cominciai a raccontare il Vajont – ha ricordato e spiegato Marco Paolini – avevo dentro una grande rabbia per l’oblìo. Ce l’avevo prima di tutto con me stesso: come avevo potuto crescere ignorando quella storia, archiviando il disastro come opera della Natura? C’era ribellione alla base del gesto di narrare il Vajont, e voglia di risarcimento e giustizia. Durante la performance era difficile tenere a bada l’emozione con il mestiere. Qualcosa di tutto questo è arrivato anche attraverso la televisione con la diretta del 9 ottobre 1997. Erano passati trentaquattro anni dal disastro. Adesso, sono sessanta. Cos’è cambiato? Noi non siamo gli stessi. È passata una generazione, ma non è solo questione anagrafica. Da alcuni anni ho cominciato a studiare i report sul clima, a leggere i libri di chi prova a narrare ciò che stiamo vivendo, a misurare le strategie del negazionismo prima e del populismo poi nel cavalcare i luoghi comuni che contrastano il quadro scientifico, giustificando un’inerzia diffusa alla transizione ecologica. La storia del Vajont racconta nonsolo ciò che è accaduto sessant’anni fa, ma quello che potrebbe accadere a noi su scala diversa, in un tempo assai più breve. Come le tragedie classiche, racconta di come i segnali, che c’erano, furono ignorati o sottovalutati”.

Il testo di VajontS 23 sarà per i gruppi di tutt’Italia un punto di partenza per una propria messa in atto su scene diverse: la sera del 9 ottobre Marco Paolini sarà una delle voci che daranno vita al coro dal Teatro Strehler di Milano. A TorinoGabriele Vacis, che del primo Vajont firmò la regia, porterà in scena il racconto con i giovani della compagnia PEM, a Roma ci saranno, tra gli altri, Piero Sermonti, Neri Marcorè, e Isabella Ferrari, a Ravenna Marco Martinelli, a Palermo Teresa Mannino, a Udine Davide Enia, a Genova Luca Bizzarri ed Elisabetta Pozzi, a Venezia e Padova Ottavia Piccolo, Giuliana Musso, Maria Roveran, Roberto Citran, Sandra Toffolati e Diego Ribon. E ancora, in giro per l’Italia, Lella Costa, Mario Brunello, Ascanio Celestini, Antonio Catania, Donatella Finocchiaro, Valerio Aprea, Mario Tozzi, Marta Cuscunà, Alessandro Tiberi. Accanto ai grandi nomi e ai maggiori teatri parteciperanno tantissimi giovani, autorganizzati o coinvolti dalla proposta di insegnanti, parrocchie e gruppi di lettura.

VajontS 23 sarà come una sorta di canovaccio gestibile a piacere da comunità sociali e collettivi di spettacolo. Ci sarà chi lo metterà in scena integralmente, chi lo userà come uno spunto e lo legherà alle tante tragedie annunciate che si sono succedute dal 1963 a oggi: in Toscana l’alluvione di Firenze del 1966, in Piemonte si racconterà di quando il Po e il Tanaro esondarono nel 1994, in Veneto delle alluvioni del 1966 e del 2010, in Campania della frana di Sarno del 1998, in Friuli degli incendi del Carso nel 2022, in Alto Adige della valanga della Marmolada del 3 luglio del 2022 e in Romagna dell’alluvione di maggio. Oppure pensiamo ai drammi di questi giorni in Marocco e in Libia. Ci sarà la storia del Petrolchimico di Porto Torres e della zona industriale di Padova. Ci saranno messe in scena corali, letture, spettacoli dove alla voce si alterneranno la danza a Trieste, la musica a Palermo o le videoinstallazioni come al Politecnico di Milano.

Tra i teatri nazionali parteciperanno al coro oltre al Piccolo Teatro di Milano, lo Stabile del Veneto, lo Stabile Torino e il Teatro di Genova, e ancora lo Stabile del Friuli Venezia Giulia, lo Stabile di Bolzano, Sardegna Teatro, lo Stabile dell’Umbria, i Teatri di Reggio Emilia. A loro si uniranno compagnie storiche del teatro di ricerca come, CSS di Udine, Accademia Perduta/Romagna Teatri, Fontemaggiore Teatro di Perugia, Ravenna Teatro, La Contrada di Trieste, Compagnia Vetrano-Randisi, Cada Die Teatro di Cagliari, Crest di Taranto, Kismet e Tric Teatri di Bari, Artisti Associati Gorizia, Arca Azzurra Teatro, Coop Teatro Lanciavicchio, INTI di Brindisi, Koreja di Lecce, le compagnie della Rete RSVP e della Rete Teatrale RES e chi più ne ha ne metta.Possiamo partecipare anche noi al coro.

Il 9 ottobre il racconto andrà in scena in contemporanea in edifici teatrali lungo tutta il territorio nazionale (Teatro Donizzetti a Bergamo, Teatro Brancaccio a Roma, Teatro Galli a Rimini, Teatro Puccini a Firenze, Teatro Comunale a Belluno, Villa dei Leoni a Mira, Teatro Astra a Vicenza, Teatro Nuovo a Verona, Teatro Nuovo Giovanni da Udine, ancora a Milano Campo Teatrale, Teatro della Cooperativa, MTM manifatture teatrali, Elfo Puccini e Teatro Verdi, Real Teatro Santa Cecilia di Palermo, Limonaia di Sesto Fiorentino, Teatro Goldoni a Livorno oltre ai tanti teatri dei circuiti ATER Fondazione Emilia Romagna, APT Teatri di Pistoia, Casa del Contemporaneo di Napoli, ERT Friuli Venezia Giulia, CLAPS Lombardia e Collettivo Costellazioni di Brescia) e in alcuni luoghi particolari come l’ex ospedale psichiatrico Pini di Milano, dighe, piazze di quartiere, circoli di lettori, spazi agricoli, l’Hangar 11 a Belluno, le aule del Politecnico di Milano, dello IUSVE di Venezia o dell’Università di Edimburgo.

Si faranno interpreti dei vari spettacoli attori e attrici di alcune compagnie che hanno formato generazioni con il loro teatro per ragazzi come Pandemonium Teatro, Teatro Testoni – La Baracca, Teatro Gioco Vita, Teatro del Buratto, Giallo Mare Minimal Teatro, La Piccionaia, Catalyst e altre giovani compagnie di teatro di ricerca come Capotrave, TOP teatri Off, Farmacia Zooé, Babilonia. VajontS 23 varcherà anche i confini italiani con appuntamenti a Parigi, Edimburgo eGinevra e Maiorca. Ognuno di noi si fermi un attimo in quel momento in quel giorno, qualsiasi altra cosa debba fare, ci riguarda tutti. Sul sito www.lafabbricadelmondo.org  è possibile trovare la mappa completa dei gruppi che hanno aderito e dei luoghi in cui VajontS 23 andrà in scena il 9 ottobre, oltre a continui aggiornamenti.

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