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Fotografia. Elliott Erwitt

Daniele Cardinali

JAPAN. Yokohama. 2003.

JAPAN. Yokohama. 2003.

Elliott Erwitt (nato Elio Romano Erwitz) nasce il 26 luglio 1928 a Parigi da emigrati ebrei russi che hanno vissuto anche a Roma(foto 1); il padre, tra i mille lavori che ha svolto, ha anche studiato all’ Università e in Giappone è stato anche ordinato sacerdote buddista (un tipo decisamente singolare anche lui); la madre era di famiglia molto ricca, ciononostante lei si prestò negli Stati Uniti a lavorare da infermiera negli ultimi anni della sua vita assistendo alcolisti e malati terminali, senza mai mostrare un briciolo di autocommiserazione, “una qualità davvero straordinaria”, dirà lui di entrambi i genitori .
Elliott trascorre la sua infanzia a Milano, ma nel 1938 viene costretto, a causa delle leggi razziali imposte dal fascismo, a trasferirsi di nuovo a Parigi e, successivamente, a Los Angeles, negli Stati Uniti, nel 1941; di questo episodio di vita dirà: “è grazie a (o per colpa di ) Mussolini se ora sono americano”.
Elliott inizia a interessarsi di fotografia nel 1944 lavorando nella camera oscura di una ditta di Hollywood che stampa le foto delle star dell’ epoca; inizia a conoscere l’operato di Henri Cartier-Bresson (rimarrà impressionato dal suo “attimo decisivo”, foto 2 e 3) e l’arte di Modigliani, che a suo dire in età adolescenziale lo influenzeranno molto: “Quei colli lunghi di Modigliani mi piacciono ancora oggi”, dirà; il primo cliente di Elliott è stato il suo dentista e la sua prima macchina fotografica una Rolleiflex, molto in voga nel periodo (usata anche da Fritz Henle, altro suo mentore giovanile).
Nel 1945, ancora minorenne, inizia a viaggiare attraverso gli Stati Uniti per iniziare le sue perlustrazioni, ed in questo periodo conoscerà e verrà aiutato da Edward Steichen, Robert Capa e Roy Stryker, che di lì a poco fonderanno la prestigiosa agenzia Magnum Photos.
Nel 1949 Elliott inizia ufficialmente la sua vita fatta di viaggi in giro per il mondo, ritorna infatti in Francia e in Italia (la guerra era finita ormai da quattro anni).
Nel 1950 ritorna negli Stati Uniti e decide di stabilirsi definitivamente a New York; Roy Stryker si ricorda di lui e lo prende a lavorare con sé presso la Standard Oil prima e successivamente per un suo progetto fotografico realizzato a Pittsburgh (foto 4).
Foto 21Allo scoppio della guerra di Corea, nel 1951, Elliott viene arruolato nell’esercito americano al settore comunicazioni e per sua fortuna resta accantonato nelle retrovie in Francia e in Germania; gira per i reparti con la sua Leica con ottica pieghevole e lì scatta la prima foto che gli fa vincere un concorso organizzato dalla rivista “Life”; il premio era di $1500, cifra veramente pazzesca, per l’epoca (foto 5, pag. 54 del libro); persino il suo sergente lo tratterà con riguardo dopo questo felice episodio.
Va detto che nel periodo del servizio militare (1951/53) Elliott si è divertito molto, nonostante avesse un’avversione malcelata per l’esercito e la guerra (il padre era socialista).
Nel 1953 Elliott viene congedato dall’esercito con il grado di caporale; ritorna a New York e, appena smessi gli abiti militari, indossa subito quelli di fotografo free-lance, entrando a far parte dell’ormai affermata agenzia Magnum Photos su invito dell’amico Robert Capa (foto 6). Negli anni a venire Elliott dell’agenzia ne sarà il presidente per tre mandati.
E’ di questo periodo l’inizio della sua rocambolesca vita sentimentale, infatti sposa Lucienne Van Kan, che sarà la madre di 4 dei suoi 6 figli (pagg. 16, 17 del libro); delle sue mogli e compagne dirà poi che “sono state e sono persone davvero intelligenti”. Misha, il figlio maschio maggiore, ha intrapreso le orme del padre e, a suo dire, “è uno street photographer davvero in gamba”(foto 7). Elliott continua a vivere a New York ma i fotografi, si sa, appena possono levano le tende…..
Anche i migliori fotografi, loro malgrado, possono incappare in un “annus horribilis”, e per Elliott questo coincide con il 1960: Lucienne chiede il divorzio e lui viene separato dai figli, come se non bastasse un incendio distrugge la casa di famiglia con tutto ciò che era al suo interno, negativi e stampe compresi; si salverà solo un po’ di materiale che non era in casa al momento del disastro.
Nel 1961 Elliott conosce Okky Offerhause, modella olandese/brasiliana che diventerà la sua musa, ma secondo i pettegolezzi dell’epoca anche qualcosa di più…. (foto 8); i successivi quattro anni saranno molto felici e produttivi e lo vedranno realizzare lavori davvero interessanti.
Il rapporto tra Elliott e Okky non dura a lungo, infatti nel 1968 lui sposerà l’affascinante Diana Dann (foto 9).
Foto 3Nel frattempo Elliott inzia a fotografare anche personaggi famosi (Ernesto “Che” Guevara, Kruscev, Nixon e tanti altri) ma la persona con cui più di tutti instaura un sincero rapporto di amicizia è Marylin Monroe (foto 10, 11), la grande attrice di cui all’epoca si disse che ebbe una relazione con l’allora presidente americano John F. Kennedy; entrambi moriranno tragicamente, l’uno assassinato a Dallas nel 1963 e l’altra suicidatasi (secondo la versione ufficiale) a Brentwood nel 1962 con un mix di alcool e barbiturici.
In questo periodo Elliott diventa anche famoso come “il fotografo dei cani”, un inaspettato ambito in cui lui riesce a esprimere in maniera migliore tutta la sua vena creativa e la sua ironia, non che gli altri generi da lui affrontati siano da meno; egli stesso afferma che per attirare su di sé l’attenzione dei suoi soggetti animali si metta proprio ad abbaiare loro (foto 12, 13, 14)!!
Ovviamente sa trasmettere la sua ironia molto bene anche con le foto ai soggetti umani… (foto 15, 16, 17); a suo dire, riuscire a far ridere la gente è decisamente una cosa non facile, ma se si riesce, come Charlie Chaplin (altro suo idolo cinematografico), a far ridere e piangere alla stessa maniera allora si toccano i vertici assoluti.
Gli anni ’70 saranno anche per Elliott un periodo di cambiamenti radicali sia nel suo lavoro che, di nuovo, nella sua vita privata: nel 1971 inizia il suo percorso artistico nel cinema realizzando il suo primo documentario (Beauty Knows No Pain, “La bellezza non conosce il dolore”) e da questo momento la settima arte farà il paio con la fotografia nelle sue opere; nel 1977, finito anche il matrimonio con Diana Dann, sposa Susan Ringo, che gli darà altri due figli.
Gli anni ’80 vedono Elliott districarsi tra alti e bassi sia lavorativi che sentimentali: viene spesso multato per eccesso di velocità, anche la terza moglie Susan lo lascia e si porta via i figli, ma almeno stavolta la casa non va a fuoco…. Inoltre subirà, suo malgrado, un intervento alla colonna vertebrale non bene riuscito; in compenso l’ attività cinematografica è molto intensa e nel 1986 è protagonista di un documentario autobiografico di un’ ora, “Elliott Erwitt By Design”, realizzato da televisioni tedesca, inglese e americana.
Nel 1987 Elliott riprende a tempo pieno l’ attività fotografica;inizia a fare delle valutazioni sulla “sua opera” preparando una sua retrospettiva e un libro intitolato “Personal Exposures” ,“Scatti Personali” , pubblicato nel 1988 (foto 18). Inizierà da questo periodo in poi a porsi molte domande sul senso della vita….
Fino alla metà degli anni ’90 Elliott riesce a condurre una vita decisamente più tranquilla, continua a viaggiare anche se meno spesso e applica più rigore nel suo lavoro, cercando anche di non essere ripetitivo nelle opere che realizza per suo piacere; questi anni segneranno il boom di un nuovo modo di  fotografare che ai suoi occhi risulterà freddo, volgare, privo di quell’approccio semplice e diretto basato sull’osservazione e sul cuore, e che guarderà con costernazione; l’avvento del digitale, con le nuove tecniche di manipolazione delle immagini daranno il colpo di grazia a quella fotografia che lui ama tanto ma che, a suo dire, “per reazione ne uscirà più forte”.
Un altro cambiamento radicale si profila all’orizzonte, per Elliott, alla metà degli anni ’90: a New York, nel 1995, arriva la regista tedesca Pia Frankenberg, di Amburgo, per produrre la sequenza di una trasmissione televisiva che rappresenti Elliott come “il fotografo dei cani” (foto 19). I due si conoscono e in poco tempo lei, insieme a suo figlio Johnny avuto da un precedente matrimonio e al suo cane Sammy, si trasferiscono negli Stati Uniti; nel 1998, al Municipio di New York, presenti la maggior parte dei fotografi dell’agenzia Magnum in riunione annuale, Elliott e Pia si sposano, con la speranza di poter un giorno vedere il matrimonio più fotografato che si ricordi a memoria di pellicola (foto 20). E’ di questo periodo la pubblicazione di altri tre libri, “DogDogs”, “Museum Watching” e “Snaps”, che diventeranno best sellers e faranno intuire a Elliott che fare libri è il modo migliore per potersi guadagnare da vivere.
I viaggi e l’attività fotografica, per Elliott, riprendono in maniera vorticosa proprio agli inizi del nuovo millennio, anche se lui si ripromette di prendersela con più calma….
Ovviamente, nonostante l’avanzare degli anni, per Elliott non sarà cosi; infatti la sua produzione bibliografica continua con “Woof”, del 2005, e “Elliott Erwitt’s Dogs” del 2008; è del 2005 anche la sua partecipazione come fotografo di scena per il documentario biografico sulla vita di Bob Dylan: “No Direction Home”. Altri importanti riconoscimenti a livello internazionale arriveranno nel 2009 e nel 2011.
Nel 2017, nonostante sia malfermo sulle gambe e anziano, arriva a sorpresa a Forlì, all’inaugurazione della sua ultima mostra, “Personae”, dove vengono esposte per la prima volta anche le sue foto a colori (foto 21, 22, 23, 24); si reca anche nella vicina cittadina di Predappio, paese natale di Mussolini, colui che costrinse la sua famiglia a lasciare l’Italia nel 1938 per le leggi razziali. Pare che abbia chiesto ai suoi accompagnatori perché la casa di un dittatore possa ancora essere visitata mentre lui, per  causa sua, la casa l’ha dovuta abbandonare…. Nota dell’autore: in questa sua visita si può anche percepire un cerchio che si chiude….
Un vezzo che non lo ha mai abbandonato è quello di girare con un bastone a cui ha attaccato una trombetta, per spaventare la gente ma per fare anche foto spontanee, come piace a lui (foto 25); la sua ironia e il suo fare foto è anche questo, e questo suo modo di fare è considerato da lui come qualcosa per abbattere una barriera.
Un capitolo a parte va dedicato all’ opera di Elliott riguardo le sue foto a colori: lui ha spesso dichiarato che il colore funziona molto di più per i lavori su commissione, mentre la sua predilezione principale è per il bianco e nero, soprattutto per i suoi “scatti personali”, infatti dichiarerà che “il bianco e nero è ciò che permette di arrivare all’essenziale, anche se di più difficile realizzazione”, mentre “il colore è molto più adatto all’ambito dell’informazione, anche se poi le foto più belle possono capitare in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo”; ciononostante la sua opera a colori è comunque di notevole pregio (foto 26, 27, 28, 29).
Elliott riesce a esprimere bene la sua autoironia venata di provocazione anche attraverso il suo divertente alter ego, André S. Solidor (non a caso l’acronimo è A. S. S., “lato B” in inglese) (foto 30, 31, 32). Il suo alter ego ama tutto ciò che Elliott detesta: il digitale e il ritocco portato all’estremo, la nudità gratuita e l’ eccentricità fine a se stessa, sempre il tutto ricondotto a un invito a riflettere sull’ attuale mercato dell’ arte (foto 33, 34).
In un passo dell’ intervista che nel 2017 Elliott rilascia a Daniela Bazzani, del circolo fotografico di Forlì, quando gli viene chiesto se c’è una fotografia o una serie di fotografie alle quali lui si sente più affezionato, lui risponderà: “Senza dubbio la foto del bambino di colore che si punta la pistola alla tempia (foto 4), un’ opera altamente contraddittoria, come del resto lo è la vita, che può essere divertente oppure non esserlo affatto. Nutro decisamente un grande amore per la contraddizione, per quelle situazioni che possono sembrare comiche ma che potrebbero anche essere riferite a qualcosa di tragico; è un contrasto che rende le foto molto interessanti”.
In un altro passo dell’ intervista viene chiesto a Elliott quanto è importante, nel nostro tempo, educare alle immagini e diffondere la cultura fotografica; lui risponderà: “L’ educazione visiva è molto importante a tutti i livelli, ma l’apprezzamento delle immagini non si può insegnare, essere capaci di una sensibilità visiva è fondamentalmente qualcosa che si ha o non si ha, ma è un dono che si può sviluppare”.

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