bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
settembre 2023
L M M G V S D
« Ago   Ott »
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
252627282930  

Ucraina è Europa Non si può rimanere indifferenti quando c’è una guerra a due passi da casa

Senza titoloda Raimondo Giustozzi

Yuri è un ragazzo italiano di ventotto anni, faceva il camionista e aveva una vita tranquilla. Da febbraio però ha deciso di indossare la mimetica delle Forze armate di Kyjiv e andare al fronte. Si è lasciato intervistare da Linkiesta in un raro giorno di riposo

All’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha diramato un’ordinanza per formare la Legione Internazionale, composta da volontari stranieri che hanno deciso di venire a combattere in Ucraina. E mentre sembra ovvia la decisione di molti ucraini di unirsi volontariamente alle forze armate per difendere il proprio Paese, il motivo che spinge gli stranieri a prendere una decisione del genere non è poi così scontata.

All’interno della Legione ci sono combattenti di varie nazionalità, tra cui anche alcuni italiani. L’Italia è uno dei terreni più fertili per la propaganda russa, ma nonostante i messaggi del Cremlino molti sono pronti a dare la propria vita per l’Ucraina perché «l’Ucraina è l’Europa e non si può rimanere indifferenti».

Mi ci è voluto un po’ per ottenere il permesso per questa intervista ma ne è valsa la pena. All’orario concordato, dall’altro lato dello schermo appare un giovane ragazzo con la mimetica delle Zsu, ovvero le Forze armate dell’Ucraina. Si chiama Yuri, ha ventotto anni, da febbraio di quest’anno combatte contro l’invasione russa in Ucraina. Mi soffermo sul suo nome poco italiano e da quel che mi dice non sono l’unica, lui lo usa anche come nome da battaglia. Ha avuto due giorni di riposo e mentre va al ristorante con la sua ragazza ucraina parliamo di questa guerra atroce e di cosa abbia spinto lui, un italiano, a prendere una decisione tanto importante, tanto cruciale. Mentre alcuni fuggono dal terrore della guerra ce ne sono altri che abbandonano tutte le comodità di una vita ben organizzata per lottare contro il male.

«Avevo un lavoro stabile, una vita tranquilla, facevo il camionista. Ma praticamente dall’anno scorso ho iniziato a interessarmi alla situazione in Ucraina, guardavo i video e le informazioni che arrivavano dal fronte, non riuscivo a rimanere indifferente. Quindi ho mollato tutto e sono partito, senza avere informazioni. Mi è andata bene e sono riuscito ad arruolarmi. Volevo fare qualcosa, potevo fare il volontariato. Diciamo che fare il militare è stato il mio sogno, in Italia non ne ho avuto la possibilità, qua l’ho avuta», è così che risponde Yuri alla mia domanda sul perché di questa sua decisione.

E per quanto io, da ucraina, ammiri la sua scelta mi rendo conto che difficilmente i suoi familiari o amici abbiano gli stessi sentimenti. «I miei genitori li ho tenuti all’oscuro, hanno saputo delle mie intenzioni praticamente quando ero già a Leopoli. Non è una cosa facile da accettare, per i miei genitori. Tutt’ora non riescono a darsi una spiegazione sul perché io sia partito. Sacrificare la propria vita per un Paese che non sia l’Italia per molti è difficile da accettare. Da quando sono entrato in Ucraina ho messo in conto che potrei anche morire e ho rischiato parecchie volte».

Mi racconta di come aveva inizialmente combattuto nel battaglione ucraino Karpatska Sitch insieme ad altri stranieri – perlopiù provenienti dall’America Latina – con cui parlava lo spagnolo. «Sono stato con loro per circa cinque mesi. Eravamo dispiegati a Lyman. Si andava a rotazione ogni quattro giorni e si manteneva la linea del fronte, quindi con delle postazioni ben solide. Puntualmente si veniva bombardati da ogni tipo di artiglieria russa, fosforo, magnesio. Non potevi neanche andare al bagno perché erano dei cecchini posizionati che ti sparavano».

Data questa sua esperienza mi viene spontaneo chiedergli se cambierebbe qualcosa, potendo tornare indietro. Osservo la sua reazione e percepisco quasi fisicamente lo stupore causato dalla mia domanda. «No. No. Sarei partito prima senza preoccuparmi troppo. Avrei speso più tempo qui in Ucraina, avrei potuto aiutare di più di quel che ho fatto fino ad ora», risponde Yuri come se questa decisione fosse la cosa più ovvia al mondo.

La guerra cambia le persone e lascia dei segni indelebili nella mente. E quindi chiedo cosa lo ha colpito di più in questi mesi, un ragazzo che non aveva mai prestato il servizio militare e si è trovato nel bel mezzo dei combattimenti da trincea.

«Si chiama Ptsd», mi risponde e ride. Sono solo quattro lettere ma che racchiudono al proprio interno il folle impatto della guerra sull’uomo. È ammirevole con quanta tranquillità lui riesca a parlarne. Io, invece, nel frattempo penso a quanta gente in Ucraina sarà colpita dal disturbo della sindrome post traumatica e che tutta la società europea dovrà fare i conti con una nuova realtà, difatti la nuova realtà è già arrivata. È dal 2014 che si combatte in Ucraina e si affrontano delle conseguenze del fronte, ma ora la loro portata è davvero immane. «Credo che le scene che ho visto – continua a parlare Yuri – non andranno mai via dalla memoria. Nell’unità in cui sono ora si fanno assalti quindi puoi ben immaginare a cosa si va incontro, magari dobbiamo prendere le posizioni che erano in mano ai russi, che prima avevano provato ad attaccare gli ucraini quindi sul campo di battaglia, è brutto da dirlo, ma trovi i cadaveri di tutti i tipi. Dove ero prima è uguale. Sei sempre a due passi dalla morte, al punto che ogni giorno è un regalo. Ammiro gli ucraini, loro combattono col cuore».

Dall’inizio dell’invasione su vasta scala è passato più di un anno e mezzo. Da qualche mese è iniziata la controffensiva, dalla quale in molti si aspettano risultati rapidi e importanti. E dunque gli chiedo quale potrebbe essere la svolta decisiva in questa guerra. «Credo il maggior rifornimento di armi europee, secondo me servono armamenti di ogni tipo, artiglieria, munizioni. Puntualmente scarseggiano anche le munizioni dei fucili. Poi come ben sai i fucili sono dei kalashnikov Ak-74 ancora di fabbricazione sovietica, quindi immagina di essere al fronte con un fucile di quarant’anni che non è molto affidabile. Mentre stai sparando ti lascia anche “a piedi”», dice Yuri.

Dopo mesi di guerra è chiaro che servono anche dei soldati. Adesso con le armi che si hanno, l’Ucraina riesce a mantenere la linea del fronte stabile e a recuperare qualche territorio, «però ci vuole un set up degli armamenti in maniera che si possa lavorare diversamente, i sistemi di artiglieria che ancora non si hanno potrebbero aiutare a riconquistare terreno», aggiunge.

Il fronte più importante in questa guerra è sul territorio ucraino, ovvero quello dove si combatte con le armi, dove ogni centimetro si riconquista con il sangue degli uomini.

Poi c’è un altro fronte, quello in cui si batte per il sostegno alla nazione a livello culturale, politico, militare. Ciononostante rimane ancora un numero di persone che le ragioni per farlo non le vede. Per Yuri, invece, che consciamente ha preso una decisione tanto importante, il puzzle è al completo. «Partiamo dal fatto che è anche uno dei motivi che mi ha spinto a venire qua, e poiché l’Ucraina è Europa. Per assurdo a tredici ore di macchina c’è una guerra in corso. E la gente non può rimanere indifferente e girarsi dall’altra parte o fare tifo da stadio. Qua si combatte tutti i giorni. Una guerra che assomiglia molto alla Seconda guerra mondiale per come è fatta. Più che la terza guerra mondiale per come l’ho vissuta io mi sembra la seconda, quella che ho studiato sui libri di scuola. Qui non bisogna rimanere indifferenti. Ho visto qui parecchie macchine con targhe italiane, i volontari, però si dovrebbe far di più, si può fare di più».

Mentre parliamo, sullo schermo del pc compare anche la sua ragazza. Non voglio trattenerlo oltre, so bene cosa vuol dire per un militare poter passare del tempo con una persona cara. Ma devo chiedergli quali sono le sue intenzioni per quando la guerra sarà finita. «Mi sono innamorato di questo Paese, è la mia seconda casa. A luglio sono tornato per due settimane in Italia perché ho avuto una microfrattura al menisco in seguito al bombardamento mentre facevamo la rotazione. Sono tornato in Italia per farmi curare e perché avevo bisogno di riposare, ma con la testa io ero qua (in Ucraina, ndr). Ero a casa con i genitori, uscivo con gli amici ma, è brutto da dire, non mi sentivo più a casa. L’Ucraina è la mia casa ormai».

Mentre per molti ucraini fuggiti dalla guerra, l’Italia è diventata un’ancora di salvezza, Yuri, un italiano, in questa guerra ci è entrato dentro e nel suo cuore ha trovato il posto per un Paese intero. L’Ucraina.

 

Kateryna Kovalenko

Linkiesta – Esteri  20 settembre 2023

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>