La biologia evoluzionistica è una cosa seria e l’evoluzionismo permea di sé tante altre discipline scientifiche. Anche chi scrive fiction può esserne in vario modo utilmente condizionato, prestare attenzione nell’uso delle parole e dei concetti sia a contenuti aggiornati della conoscenza della realtà che a un meditato metodo aperto di ricerca. Si sussurra che possano comportarsi di conseguenza anche i giornalisti, chi dovrebbe informare con cognizione di causa, e addirittura cantanti e poeti, chi usa schemi narrativi non piani e lineari, bensì molto sintetici e tendenzialmente lirici. Un’efficace formazione scolastica potrebbe porre le basi per trasmettere un corretto modo evoluzionistico di pensare e argomentare, al di là che si studi biologia, oppure scienze naturali, matematica, fisica, geografia, psicologia, e poi anche lettere, storia, diritto, sociologia. Si possono forse apprendere le basi senza connettervi tutte le “nozioni” essenziali. Questo comporta anche essere consapevoli che non c’è un giorno fatidico di inizio e un merito rigido, esso non coincide né con la data di nascita di Darwin né con la data d’uscita di una delle sue opere, le scadenze materiali e le acquisizioni culturali cui fare riferimento sono più antiche e contraddittorie, si muovono, evolvono di continuo, aggiornano.
Spesso si è parlato di proto evoluzionismo per il naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck (1744 – 1829) o per il geologo britannico Charles Lyell (1797 – 1875), ma la questione è complessa, un po’ come per tutte quelle culturali relative alla nascita di una “teoria” scientifica, oltre che per le stesse speciazioni biologiche. Debiti e crediti, anticipazioni e definizioni, spirito del tempo e combinati disposti, analogie e convergenze, osservazioni e descrizioni di specie animali o vegetali e impostazioni antropocentriche, coerenze e travisamenti, di molte variabili occorre tener conto anche per le fondamenta e gli sviluppi dell’evoluzionismo darwiniano, come ricordato di recente all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Padova (e qui in alcune delle altre occasioni. Senza andare troppo indietro nel tempo e troppo avanti nell’interdisciplinarietà, è abbastanza acquisito che una sorta di proto-evoluzionismo esistesse in parte d’Europa nel diciottesimo secolo, connesso soprattutto alle impostazioni illuministiche che lo hanno fatto definire il secolo dei Lumi.
La poesia è una cosa altrettanto seria. Lemmi, versi, frasi, strofe disegnano un’architettura narrativa originale, le cui storia ed evoluzione si perdono nella notte dei tempi linguistici umani. E poi gli umani hanno tratto poesia, sguardi tatti olfatti odori colori accenti parole, da sempre e con crescente cognizione di causa, grazie alla biologia e all’ecologia, grazie alla convivenza con piante e animali immersi in un contesto naturale e parti degli ecosistemi di sopravvivenza e riproduzione. La comunicazione poetica fa parte dell’evoluzione biologica e culturale della nostra specie, qualunque sia il grado di alfabetizzazione in una relazione, in un gruppo, in una comunità, in un popolo, in una nazione. Il rapporto fra scienza e poesia, fra scienziati e poeti (anche musicisti), fra sapiens sensibili insieme a testi lirici e a saggi disciplinati andrebbe forse indagato di più. Leopardi, per fare un esempio, fu notevole scienziato e grande poeta (come qui accennato). Nel 2022 è uscito su Darwin e Leopardi un bel libro scientifico scritto da una poetessa: Antonella Anedda, Le piante di Darwin e i topi di Leopardi, Interlinea Novara, pag. 297.
Anedda esamina alcune connessioni culturali e filologiche dirette fra la seconda metà del Settecento fin oltre la prima metà dell’Ottocento, cercando di riflettere sulla seguente ipotesi, implicita nel titolo: forse esiste una vicinanza non fisica bensì motivatamente scientifica e letteraria tra l’atteggiamento antiantropocentrico verso il mondo dell’inglese, giramondo in gioventù, malato ben prima della vecchiaia, Charles Darwin (1809-1882) e quello (precedente) dell’italiano, girovago dopo la “gabbia” recanatese, malato dalla nascita e poi costantemente, Giacomo Leopardi (1898 – 1837). Wow! L’autrice segnala solo alcuni fra i molti che vi hanno in vario modo accennato e suggerisce di approfondire e spiegare meglio una sorta di triangolazione: Charles aveva il nonno Erasmus (1731-1802), medico inventore botanico, mai incontrato personalmente, il quale scrisse opere di idee progressiste protoevoluzioniste, che Giacomo aveva nella biblioteca paterna e comunque lesse o discusse (pure a Pisa e Napoli, probabilmente).
L’amore per la scienza, la prospettiva antifinalistica, il distacco da una concezione di disegno provvidenziale, il rifiuto dell’arroganza e del trionfalismo, il peso dell’abitudine, il contributo del piacere, la possibilità di trasformarsi proprio nell’errore, una certa insensibilità verso sé stessi e il ripensamento del nostro insufficiente io, la riflessione sulla social catena, la compassione come opzione potenzialmente evolutiva, le conseguenze etiche contro la schiavitù e la sopraffazione, sono le terre contigue in cui questi tre straordinari autori sapiens si incontrano. Il loro sguardo sul mondo (talora censurato, incompreso, male interpretato e vilipeso), le loro riflessioni su piante e animali, il loro rivoluzionario meditato innovativo linguaggio, ridimensionano culturalmente e poeticamente la presenza e il volere degli esseri umani. In modi diversi Leopardi e Darwin metabolizzano le idee di Erasmus, occorre mappare bene passi e fonti, testi e rimandi, letterature e traduzioni, discendenze e genealogie, eredità incerte e convergenze evolutive.
Il testo della bravissima poetessa scientifica Antonella Anedda-Angioy (Roma, 1955), di famiglia sardo corsa, laureata in Storia dell’arte moderna, affermata autrice lirica contemporanea (la prima raccolta uscì nel 1989, di recente Garzanti ha ripubblicato l’opera omnia), è davvero stimolante. Il volume è il frutto di un’accurata ricerca filologica comparata discussa a Oxford nel 2010, rielaborata con stile e metodo fino al 2022 fra La Maddalena e Roma, attraverso molte altre verifiche e visite mirate. Lo spiega in esergo: “Questo libro è il racconto di un’indagine. Parla di bestie, di piante e di tre autori: Giacomo Leopardi, Erasmus Darwin e suo nipote Charles. A monte ci sono molti viaggi, un’altra lingua e una serie di studi scientifici che credo siano confluiti obliquamente in altre scritture, prima tra tutte la poesia. Come scrive Osip Mandel’stam: leggere i naturalisti può spalancare nella nostra vita una radura”. E il grandissimo saggio Mandel’stam (1891 – 1938) ricorre spesso nel testo, come pure altri poeti.
I capitoli del volume (non facile ma coinvolgente) sono cinque, il primo è introduttivo: sintonie, diffrazioni, costellazioni, oltre a interazioni, affinità, echi, interferenze, incrementi, trasferimenti linguistici e diversità (tralasciamo qui il significativo utilizzo dei punti e delle virgole). Ben accennata appare anche la Serendipity, in modo pertinente ma precedente rispetto ai volumi su Imperfezione (2019), Finitudine (2020) e Serendipità (2021) di Telmo Pievani, pur più volte citato (la bibliografia risente della lunga stesura). Il progresso non è graduale. Si scopre per caso e a tentoni. Si scopre anche per insoddisfazione. Del resto, citando Rebecca Scott: “Darwin è stato il primo ad ammettere che avrebbe dovuto fare riferimento a tutti quei filosofi della natura che prima di lui avevano avuto il coraggio di pubblicare idee evoluzionistiche, uomini come suo nonno…”
Protagonista del secondo capitolo è appunto Erasmus, un nonno lunatico, i suoi amici (i Lunar Men, imprenditori, industriali, medici non oziosi, geniali eccentrici anticonformisti) e i suoi nemici antilucreziani e antigiacobini. Il terzo capitolo è dedicato al ruolo delle bestie (vermi, topi, asini, cani e soprattutto uccelli) nelle opere di Giacomo, la solidarietà fra animali come fondamento di ogni garanzia etica. Il quarto capitolo costituisce uno spazio importante e assestante dedicato ai Paralipomeni della Batracomiomachia, capolavoro di sublime ironia, poema interrotto di uno sguardo animale, preludio necessario per arrivare alla Ginestra. D’altra parte, Anedda mostra grande riconoscenza per la recente versione inglese dello Zibalbone, la cui lettura “ha significato conoscerlo di nuovo, come ascoltare una musica in diverse esecuzioni. Un’altra lingua è infatti spesso la cartina al tornasole di un testo, fa scoprire idee latenti che sonnecchiavano tra i due vocabolari”. Nelle citazioni più volte tornano anche le straordinarie Operette Morali, da decenni uso anch’io nella divulgazione il Dialogo della Natura e di un Islandese.
Il quinto e ultimo capitolo riattraversa la relazione tra piante e pietre, la presenza degli gnomi, la passione geologica che i tre condividono (in più punti sono richiamati Vesuvio e Tambora, ovviamente). Tutto il testo è percorso da un’acuta disanima del linguaggio dei tre autori, soprattutto in riferimento al proprio “io”: Leopardi elucubra in modo esilarante e paradossale sull’io del topo, lo fa diventare gigante e ridimensiona così noi umani. Per esperienze e ragioni diverse qualche “scrittore” acquisisce una quasi perfetta insensibilità verso se stesso e contempla la propria vita e i propri pensieri come se appartenessero a un’altra persona, pensate a Gramsci in carcere come qui è stato già osservato proprio in parallelo con Leopardi. Lava, fuoco, acqua e neve sono le manifestazioni di un progressivo smottamento dell’io nel pensiero di Leopardi: La ginestra è appunto “una meditazione sulla vita, la sua precarietà, la nostra insignificanza”. L’io è ridotto al minimo, chi scrive siede in disparte, osserva, esercita l’ironia, riflette ma non su sé stesso.
L’anno di morte di Leopardi coincide con la spedizione di Charles sul Beagle, lì inizia un’altra storia scientifica e letteraria (l’entrata in campo della selezione naturale), Darwin aveva ragione, oltre che una grande competente passione per le piante, è bene ripeterlo. Charles Darwin produce una svolta nel comune pensiero umano, per quanto siano rilevanti antefatti culturali, affinità linguistiche, legami poetici.
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