di Valerio Calzolaio
Venerdì 7 giugno 1918. L’esplosione del polverificio della Sutter & Thévenot, fabbrica di munizioni di Castellazzo di Bollate (bombe per la fanteria dal novembre 1916) in Lombardia, fa cinquantanove vittime, quasi tutte donne e ragazzine. Fra di loro lavorava da un paio di mesi come operaia la ventenne Emilia Minora, assunta nel reparto inchiodatura manici e pulizia delle granate, accanto alla baracca spedizioni, uno dei quaranta edifici che componevano la struttura, costruita vicino al deposito militare e alla linea ferroviaria. Il padre è Martino, che ha appena compiuto quarant’anni ma ne dimostra molti di più, zoppo fin da ragazzino per via di una brutta caduta da cavallo, cammina storto e lavora male malato, perplesso quando il parroco don Antonio aveva suggerito quel posto per la figlia unica, “la piscinina”. La madre è Teresa, anche lei lavora da salariata nei campi ma la miseria è tanta, lei è favorevole, lo stipendio garantito in fabbrica serve alla famiglia povera. Emilia li salutava quando era ancora notte a Traversagna, partiva in bicicletta, una trentina di chilometri, poi su uno sgabello inchiodava centinaia di manici ogni giorno con le dita sottili, i capelli raccolti sulla nuca, spesso a piedi nudi con la gonna infagottata tra le ginocchia. Una accanto all’altra, talvolta si fanno compagnia con canzoni e cori. Per i genitori la vita si ferma quel venerdì, il corpo viene portato in ospedale a Milano, tutto è sospeso, Teresa va tutti i giorni al capezzale, Martino si dispera, la produzione riprende subito. Il 3 novembre 1918 il conflitto militare finisce e quel dì entrambi i genitori rivivono il dramma fra clamori e nuovi eventi, in particolare l’incontro con il giovanissimo disertore Corrado, che vuole raggiungere una possibile fidanzata in città.
Ottimo nuovo romanzo per la bravissima matura scrittrice Ilaria Rossetti (Lodi, 1987), capace di coltivare presto una precoce vocazione letteraria e sociale, confermandosi poi via via in molti successivi romanzi per l’impasto lirico di fatti accaduti con colori, odori, sapori, linguaggi, dialetti, umori e sentimenti popolari, qui di donne e uomini nella campagna del nord Italia in guerra, circa un secolo fa. L’esplosione ci fu davvero, uno dei due incidenti sul lavoro con maggior vittime nel nostro paese, ed Emilia Minora è uno dei nomi ufficiali delle donne morte, risulta negli archivi, era nata a Bollate e il suo corpo non fu mai trovato. Quasi tutto il resto, pensieri e cascine, personaggi e intrecci, sono fertile toccante invenzione narrativa, in terza persona al passato. L’episodio drammatico fu presto dimenticato non solo per le urgenze militari, nel mondo e anche in Italia gli incidenti sul lavoro (crimine di pace) sono una tragica colpevole costante e colpiscono spesso la sottovalutata occupazione femminile (da cui il titolo). L’autrice si è documentata e ha studiato la situazione della sicurezza sul lavoro in Italia, ha seguito le indagini d’archivio e fotografiche sugli ecosistemi dove sorgeva effettivamente la fabbrica smantellata nel 1919 e demolita. Segnala che uno dei primi a parlare letterariamente del disastro fu Ernest Hemingway, arruolato come autista dell’American Red Cross e inviato 18enne sul luogo dell’esplosione, in un racconto pubblicato poi nel 1938. Il vino è rosso e le canzoni sono quelle delle mondine e d’epoca (Sciur padrun, La bella la va al fosso, per esempio).
v.c.
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