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La missione Tenshō e le Relationi di Guido Gualtieri. Un viaggio tra Portogallo, Spagna e Italia

IMG-20231120-WA0015di Raimondo Giustozzi

Convegno di alto profilo culturale quello tenuto al teatro Cecchetti, via Vittorio Veneto, 128, di Civitanova Marche, giovedì 30 novembre 2023, con relazioni al mattino, dalle 9,30 alle 13,00 e al pomeriggio, dalle 15,00 alle 18,00. E’ stato possibile organizzare l’evento grazie ad una sinergia di forze tra enti locali e università: Centro Studi Civitanovesi, Arcidiocesi di Fermo, Comune di Civitanova Marche, Azienda Teatri di Civitanova, Archeoclub d’Italia – sede di Civitanova Marche,  Lions Club Cluana, Lions Club Host di Civitanova Marche e Rotary Club di Civitanova Marche. Le istituzioni accademiche coinvolte: Università degli Studi di Torino, Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Pescara “Gabriele D’Annunzio”, Università della Tuscia, Università degli Studi di Roma / Cham Universitade de Lisbona, Istituto di cultura per l’Oriente e l’Occidente – Università di Bologna e Camōes Insituto de Cooperaçᾶo – Portugal, Minestèro dos Negócios Estrangeros.

Una trentina, compresi i relatori, i presenti al convegno, sia al mattino che al pomeriggio. Non c’era nessuna rappresentanza delle scuole superiori della cittadina adriatica né del territorio, alle quali era stata spedita la locandina del convegno, come ha ricordato il prof. Alvise Manni, coordinatore della sezione del mattino. Centinaia le E Mail spedite ai privati, solo in pochi hanno risposto all’invito. Anche la stampa locale aveva dato la notizia dell’iniziativa. Sette le Università coinvolte, con docenti di grande preparazione culturale, il meglio che si poteva mettere insieme per dibattere l’argomento trattato da molteplici angolature: La prima missione di quattro giovani giapponesi in Italia, Spagna e Portogallo, nell’ultimo scorcio del XVI secolo, viaggio fortemente voluto e programmato fin nei minimi dettagli dai Gesuiti e dal Papa.

Prima dei lavori, programmati per tutta la mattinata, sono state invitate sul palco le personalità presenti, che hanno portato i propri saluti. Mons. Rocco Pennacchio, arcivescovo di Fermo, ha ribadito la rilevanza missionaria della Chiesa: “Andate in tutto il mondo, annunciando il Vangelo a tutte le creature”. Nella missione Tenshō del 1584 – 1586, un progetto Erasmus ante litteram, c’è tutta la bellezza degli scambi culturali, la capacità di accogliere e confrontarsi con chi ha un’altra cultura, altri modi di vivere, un’altra lingua. Maria Luce Centioni, presidente Azienda Teatri di Civitanova Marche, il consigliere Gianluca Crocetti, in rappresentanza del sindaco Fabrizio Ciarapica, impossibilitato a venire per altri impegni, hanno ribadito l’impegno delle istituzioni cittadine nella valorizzazione del territorio e promuovere cultura. La prof.ssa Anna Vecchiarelli e il prof. Alvise Manni, la prima, presidente dell’Archeoclub d’Italia, sede di Civitanova Marche e del Lions Club Cluana, il secondo, presidente del Centro Studi Civitanovesi, hanno portato i saluti dei rispettivi club di appartenenza. I saluti ai partecipanti sono stati portati infine da Filiberto Bracalente, a nome di Pio Amabili, presidente del Rotary Club di Civitanova Marche, assente al mattino ma presente nel pomeriggio, e da Franco Santini, presidente del Lions Club Host di Civitanova Marche.

La relazione introduttiva del Convegno, “Per far conoscere l’Europa ai giapponesi: la strategia messa in campo dal gesuita Alessandro Valignano”, è stata tenuta dal prof. Giovanni Pizzorusso, docente presso l’Università degli Studi di Pescara, “Gabriele D’Annunzio”. Alessandro Valignano (Chieti, 15 febbraio 1539 – Macao, 20 gennaio 1606) studia Diritto all’Università di Padova. Dopo la Laurea inizia un periodo di ricerca su cosa fare della propria vita. Nel 1565 si trasferisce a Roma, dove conosce da vicino la Compagnia di Gesù e rimane colpito fortemente dai racconti sulle missioni. Entra nel noviziato di Sant’Andrea al Quirinale e inizia a studiare filosofia, metafisica, fisica e matematica; frequenta il corso di teologia (1569 – 1571) al termine del quale viene ordinato sacerdote in Laterano. Dopo l’ordinazione ha diversi incarichi dalla Compagnia di Gesù, tra le quali la nomina a maestro dei novizi e rettore del Collegio dei Gesuiti di Macerata, dove ha come scolaro il futuro padre Matteo Ricci.

Nell’estate del 1572, dopo la professione del “quarto voto” (*), il preposto generale della Compagnia di Gesù Everardo Mercuriano lo ritiene idoneo a ricoprire il delicato incarico di Visitatore Generale delle missioni delle Indie Orientali. Nel 1573 parte per il Portogallo, da dove salpa nel marzo 1574 per le Indie Orientali assieme a 41 gesuiti, con i quali arriva a Goa, in India. Lasciata Goa, visita la Malaysia, le Molucche e Macao. Qui convoca padre Matteo Ricci e il suo amico sinologo Michele Ruggieri. Supervisiona la missione in Cina, non facendo mancare mai il proprio appoggio, ma il suo sogno è il Giappone, dove arriva nel 1580. Soggiornerà tre volte in Giappone, diviso allora tra feudatari. Alessandro Valignano è un abile diplomatico. Riesce ad avvicinare le autorità locali, tra queste, il nobile Ōmura”Bartolomeo” Sumitada, al quale chiede e ottiene la gestione del porto di Nagasaki, trasformato dal gesuita da un porto di pescatori in porto commerciale, sviluppando enormemente il traffico con Macao. Valignano (*) imbastisce linee navali di interscambio di merci tra Cina e Giappone, traendo anche buoni profitti a vantaggio dei Gesuiti.

Valignano intanto andava elaborando una strategia per incontrare la cultura e la civiltà giapponese. Anche lui era figlio del suo tempo. Considerava infatti inferiori tutti i popoli che non erano europei. Si rendeva conto che questo non era il modo migliore per raggiungere un suo sogno: portare in Europa (Portogallo, Spagna e Italia) una legazione di giovani nipponici perché conoscessero l’Italia. Il contatto iniziale era solo una premessa. In Giappone non era mai arrivato l’annuncio del Vangelo. Il suo intento era quello di proporre la vera fede, quella cattolica, eliminando però la posizione di superiorità. Traduce nella lingua nipponica il catechismo della religione cattolica. Apprende la lingua giapponese, obbliga i confratelli a seguire un corso biennale di lingua nipponica, cura personalmente la diffusione della stampa delle belli arti occidentali, introduce la stampa a caratteri mobili, anche con caratteri giapponesi, con la tipografia da lui fondata.

Costruisce ben quattro seminari, era la novità portata in Europa dalla chiesa di Roma al concilio di Trento (1545 – 1563), propone la lettura in lingua locale della Bibbia. Suggerisce ai missionari di entrare nella cultura giapponese per conoscerla. Occorreva sì acquistare autorità ma senza imposizione, accettare l’altro per essere accettato. La fase successiva è quella di far conoscere la religione cattolica. Per questo coltiva l’idea di inviare in Europa una legazione di giovani giapponesi, scelti tra quelli che sono diventati cristiani. Alla fine del 1581 padre Alessandro Valignano costruisce la vice provincia gesuita del Giappone. Nello stesso anno redige il “Cerimoniale per i missionari in Giappone”, vero e proprio manuale dei concetti di inculturazione e di adattamento, di sua ideazione, affinché possano giovarsene i confratelli. La predicazione del Cristianesimo non doveva in nessun modo intaccare la tradizione e la cultura locale.

Scelti quattro seminaristi giapponesi, di nobile stirpe: Itō Mancio (*), Michele Chijwa, Giuliano Nakaura e Martino Hara, la legazione parte dal Giappone nel 1582, con un piccolo gruppo di accompagnatori e con l’interprete gesuita Diego de Mesquita. Dopo aver fatto tappa a Macao, Cochin e Goa, gli ambasciatori approdano a Lisbona nel 1984. Valignano non può accompagnarli in Europa in quanto ha avuto l’ulteriore incarico di Superiore Provinciale delle Indie. I legati visitano il Portogallo e la Spagna dove vengono accolti dal re Filippo II, allora sovrano di Spagna e Portogallo. Successivamente raggiungono l’Italia, sbarcano a Livorno nel 1585; accompagnati dal granduca Francesco de’ Medici visitano Firenze, Pisa e Siena. Chiamati dal pontefice, incontrano Papa Gregorio XIII (Bologna 1501- Roma 1585) e, alla morte di questi, il suo successore, Papa Sisto V (Montalto 1521- Roma 1590), al secolo Felice Peretti, uno dei diversi pontefici marchigiani che li onora della cittadinanza romana e dona loro la chiesa di Santa Maria dell’Orto. Successivamente gli ambasciatori fanno tappa a Napoli, Ferrara, Venezia, Mantova, Milano, Genova da dove si imbarcano per il viaggio di ritorno.

Il viaggio viene riportato in tutte le sue diverse fasi nell’opera “De missione legatorum Iaponensium” . Papa Sisto V voleva essere informato personalmente di tutto il viaggio. Quando la legazione giapponese attraversava le città italiane, visitando le splendide corti rinascimentali del tempo, i legati vedevano quale fosse l’arte, la cultura e la civiltà rinascimentale in Italia. Il Papa chiedeva se fossero state osservate tutte le tabelle di marcia che aveva predisposto personalmente e come fossero stati accolti. Armò una seconda nave che raccogliesse tutti i regali che offrì spontaneamente agli ambasciatori giapponesi. Il libro De Missione legatorum Iaponensium, redatto nella lingua latina è scritto sotto forma di dialogo. Due giapponesi che hanno visitato l’Europa dialogano con altri due giapponesi che non l’hanno visitata. Purtroppo in Giappone le cose cambiano quando il paese del Sol Levante si avvia a diventare nazione con una forte autorità centrale che non tollera intrusioni straniere, compresa la religione cattolica. Per la piccola comunità cristiana del Giappone inizia il periodo della persecuzione e dei martiri tra i quali c’è anche un reduce della missione dei legati.

Prima sessione (9,30- 13,00) Viaggi, missionari e pellegrini nello Stato Pontificio e verso le Indie Orientali

Presiede Alvise Manni

Relazioni e relatori: Michela Catto (Università degli Studi di Torino) L’idea di missione nelle istruzioni gesuitiche per l’Oriente. L’idea di inviare una delegazione giapponese in Italia era già nelle corde di Francesco Saverio (Javier, 1506 – 1552), gesuita e missionario spagnolo. La sua opera in estremo orienta fu proseguita da Alessandro Valignano e da Matteo Ricci. In una sua ultima lettera Francesco Saverio teneva in alta considerazione la popolazione giapponese che giudicava ingegnosa. Una missione giapponese in Italia avrebbe portato gloria e grandezza alla religione cristiana che in terra giapponese aveva acquistato credito e autorità. Grazie alle prime missioni cristiane in terra nipponica erano sorti orfanatrofi e opere di carità con ospedali e ospizi per poveri. Dal lontano Oriente i primi missionari facevano conoscere agli europei, grazie ai loro scritti, usi e costumi della Cina, del Giappone, Malacca, India, Filippine. Si era sviluppato nel corso degli anni uno scambio culturale, grazie all’attività di Matteo Ricci, Alessandro Valignano, Francesco Saverio, Giambattista Lucarelli. La svolta nei rapporti interculturali avviene con Alessandro Valignano in Giappone e con Matteo Ricci in Cina.

Valignano nel 1582 fonda un collegio per l’insegnamento della Filosofia in Giappone; nel 1586 stampa il Catechismo della religione cattolica in giapponese con l’imprimatur del Vaticano. In terra Giapponese, come Matteo Ricci lo fa in Cina, Valignano consiglia i confratelli ad essere cortesi, gentili ed educati nei rapporti con la gente locale, mai mettersi in una posizione di contrasto ma sempre di dialogo, di empatia con l’interlocutore di turno. Portare modelli occidentali in una terra del tutto diversa per usi e costumi non giova per essere accettati. In una lettera, padre Matteo Ricci invita caldamente a non mandare in dono calici d’argento. Il loro uso può alienare la gente, abituata a bere in semplici boccali di legno che vanno bene anche per celebrare l’eucaristia, Il fasto non serve anzi danneggia. In tutte le lettere dei missionari che arrivano in Europa c’è una valutazione sempre positiva degli indigeni per quanto riguarda la Cina, il Giappone, la Corea. La gente pratica l’autocontrollo, non ingiuria nessuno, è modesta, e sa celare le proprie emozioni. “Viviamo in una continua mortificazione”, scrivono i missionari. I Giapponesi sono unici arrivano a dire. I Gesuiti ammiravano la bellezza dell’architettura orientale, i loro templi e i luoghi di culto.

Antonio Volpini (Centro Studi Civitanovesi) Viaggi e viaggiatori nello Stato pontificio alla fine del XVI secolo. “Odeporica è la narrativa di viaggio. Illustra le persone, gli eventi, ciò che vede l’autore che si trova in un paese straniero o in un luogo inconsueto” (Fonte Internet). Antonio Volpini è uno studioso di questa scienza, nonché collezionista di Carte geografiche, topografiche, oggettistica che attiene alla storia della vita materiale. Nel corso del suo intervento ha illustrato con slide ma mostrando anche carte topografiche, la stampa di una carta geografia del Giappone del 1595, oggetti della propria collezione, come si viaggiava lungo le strade dello Stato Pontificio alla fine del XVI secolo e oltre.

Lungo le strade principali, tra le quali anche la via lauretana, c’erano ad intervalli regolari, ogni quindici chilometri circa, le stazioni di posta, dove si provvedeva al cambio dei cavalli, rifocillarsi e proseguire il viaggio verso le diverse destinazioni dove si era diretti. Stazioni di posta, nella provincia di Macerata, erano situate a Valcimara, Case Nuove, Tolentino, Pollenza, Sforzacosta, Macerata, Sambucheto, Loreto. Alcune di queste stazioni di posta esistono ancora, altre sono state demolite. Le stazioni di posta erano proprietà dello Stato, che dava il servizio in appalto ai privati. Questi ultimi dovevano osservare tutte le disposizioni ricevute. Non ci dovevano essere ritardi nelle tratte percorse, tranne quelli dovuti a cause di forza maggiore: rottura del mezzo, incidenti vari. Le cronache del tempo riferiscono di carrozze finite in fondo al burrone per l’allagamento della strada, assalti di briganti. I bagagli dei viaggiatori erano legati sul tettuccio della carrozza con catene in ferro, perché quelle di corda, spesso e volentieri erano tagliate dai ladri e banditi, che approfittando di un momento di sosta della diligenza, provvedevano a ripulirla di bagagli e di tutto ciò che potevano rubare. Nell’attraversamento di uno Stato e in Italia erano molti gli Stati regionali, si doveva esibire il passaporto che aveva una durata limitata nel tempo. Nei tempi di epidemie si doveva esibire un foglio di via da mostrare al personale preposto ai controlli.

Curiosità e interesse hanno suscitato gli oggetti che il viaggiatore era solito portare con sé: clessidre o meridiane solari per misurare il tempo, cassettina per il necessaire, per signori e signore, piccoli scrittoi da appoggiare sulle gambe, borracce in ceramica, lo scaldino di viaggio del postiglione che, esposto a tutte le intemperie, in quanto era posizionato in alto davanti alla diligenza, d’inverno pativa il freddo e il gelo, il corno del postale, che veniva suonato all’approssimarsi della fermata e alla ripartenza, il pitale incastrato dentro ad una sedia, il cui contenuto veniva svuotato al lato della strada nelle soste di emergenza, diverse forme di cappelli usati per ripararsi dal sole o dalla pioggia, il costo del viaggio e i tempi di percorrenza dalla stazione di partenza a quella di arrivo.

Marco Rochini (Isem – CNR / Università Cattolica Sacro Cuore) Tra letteratura e teologia: la vocazione missionaria gesuitica attraverso le Litterae Indipetae. Il prof. Marco Rochini, impossibilitato ad essere presente in persona per indisposizione dovuta a febbre, si è collegato da remoto per leggere e spiegare la relazione in oggetto. Marco Rochini è docente di Storia del Cristianesimo nell’età moderna e di Agiografia  presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ricercatore presso l’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea (Consiglio Nazionale delle Ricerche). E’ autore di numerosi libri dedicati proprio allo studio di quelle lettere che i giovani, interessati ad entrare nella Compagnia di Gesù, scrivevano al Superiore Generale della Congregazione o più raramente ai superiori locali per recarsi come missionari nelle lontane Indie. La parola latina littera è tradotta con lettera. Indipetae sta per “Petere Indias”. Il verbo petere in Latino ha una molteplicità di significati: dirigersi, andare verso, chiedere per ottenere una risposta, ecc. Gli Indipeti erano i giovani, soprattutto cadetti, che desideravano andare verso le Indie o comunque in terra di missione con i Gesuiti.

Le lettere suddette rappresentano un genere letterario e non solo. Hanno un valore burocratico – amministrativo e spirituale. Costituiscono una fonte molto preziosa per indagare l’evoluzione dell’idea della missione sviluppatasi entro la Compagnia nel corso dei secoli, mettendo in luce le continuità e le discontinuità nel lungo periodo. Presso l’Archivio Romano della Compagnia di Gesù sono conservate, in un fondo che non ha eguali rispetto ad altri ordini religiosi, oltre 14.000 Indipetae che vanno dal 1540 al 1773. Recentemente, grazie al lavoro di équipe di ricerca e di singoli studiosi, il prof. Marco Rochi è uno dei massimi esperti, le litterae indipetae sono state indagate secondo punti di vista originali. Emblematico risulta a tal proposito l’obiettivo di utilizzare questa fonte per lo studio della storia delle emozioni o della psicologia o per l’approfondimento delle conoscenze riguardo alla storia delle vocazioni nella Compagnia o, ancora, per l’analisi dell’evoluzione dell’idea di missione sviluppatasi entro la Compagnia dopo la ricostituzione del 1814. Solo recentemente sono state individuate numerose indipetae redatte a seguito della ricostituzione della Compagnia: dal 1814 e almeno fino al Concilio Vaticano II i gesuiti hanno mantenuto la tradizione di scrivere al generale chiedendo di essere mandati in  missione.

Seconda sessione (!5,00- 18,00)  Sisto V, Guido Gualtieri e la prima ambasceria in Europa (1584 – 1586)

Presiede Enrica Manni.

Vincenzo Catani (Archivio diocesi di San Benedetto – Rpatransone – Montalto) L’apertura missionaria del papato di fine Cinquecento verso l’Estremo Oriente. Don Vincenzo Catani, parroco per 40 anni in una grande parrocchia di San Benedetto del Tronto, è anche archivista oltre che laureato in psicologia, esercitata solo nella propria attività pastorale, come detto da lui stesso all’inizio del suo intervento. Con il Concilio di Trento (13 dicembre 1545 – 1563) la Chiesa Cattolica risponde alla Riforma Protestante con una propria Riforma, chiamata impropriamente Controriforma Cattolica. Lati positivi e negativi sono sempre presenti in ogni passaggio epocale. Si tratta sempre né di mettere in luce i primi e screditare i secondi né fare l’operazione inversa. Con il Concilio di Trento vengono istituiti nuovi ordini religiosi: Teatini, Oratoriani, Somaschi, Barnabiti, Cappuccini, Camilliani, Fatebenefratelli, e le Congregazioni femminili delle Angeliche e delle Orsoline.

Sotto il pontificato di Pio V (1566 – 1572), di Gregorio XIII (1572 – 1585) e di Sisto V (1585 – 1590), la Chiesa Cattolica riscopre la propria vocazione missionaria, secondo il dettato lasciato da Gesù Cristo:  “Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo”. La Chiesa Cattolica vive una nuova Primavera. Vengono istituiti i seminari per la formazione dei futuri sacerdoti, riformati gli studi filosofici e teologici. Ai vescovi viene imposto l’obbligo di risiedere nella diocesi dove hanno la propria cattedra. Le due parole d’ordine lanciate sono: evangelizzare e rie – vangelizzare. Pio V, teologo e inquisitore domenicano vede nel proprio ordine il cane da guardia dell’ortodossia cattolica. Chiede e ottiene la comunione cardinalizia nelle scelte da operare in seno alla chiesa, riconosce l’autonomia ecclesiale locale, l’obbedienza incondizionata dei Gesuiti, l’istituzione dei Visitatori Apostolici e la centralizzazione della Congregazione. Gregorio XIII si adopera per la costituzione dei collegi per i Gesuiti ai quali riserva le missioni in Giappone. Sisto V apre la prima diocesi in Giappone. Appoggia con ogni mezzo padre Alessandro Valignano. Riceve a Roma, proprio nel giorno della sua incoronazione a Papa e Vescovo di Roma, gli ambasciatori giapponesi. Chiede ed ottiene che venga informato di tutto circa la missione promossa da Alessandro Valignano. Raccoglie tutti i documenti della missione nipponica in Italia negli Avvisi, depositati in più volumi presso la Biblioteca Vaticana. Tutto il materiale sarà raccolto e pubblicato da Guido Gualtieri nell’opera “De missione legatorum Iaponensium”.

Carlo Pelliccia (Università degli Studi di Roma / Cham Universitade de Lisbona) La missione Tenshō, Sisto V e Guido Gualtieri: il passaggio in alcuni territori dello Stato Pontificio. I quattro giovani nipponici della missione Tenshō sono inviati dai signori locali, sono pertanto dei veri ambasciatori. La missione giapponese è accolta con tutti gli onori in ogni città raggiunta. Solo Rimini non aveva preparato nulla, per questo gli abitanti rimangono mortificati. Quelli del paese vicino, deridendoli, chiedono a loro cosa approntare per ricevere adeguatamente i graditi ospiti. Le relazioni odeporiche arrivano tutte sul tavolo di Sisto V che provvede a catalogarle con ogni cura. Sono le fonti di cui si servirà Guido Gualtieri. Sono 34 dialoghi scritti in Latino.

I legati nipponici vengono accolti con tutti gli onori nelle diverse città visitate: Tolentino, Macerata, Recanati e Loreto. Non mancano le lettere inviate al governatore di Camerino, nelle quali viene invitato ad accogliere gli ospiti, fornendo lo cibo in abbondanza, alloggio e tutte le attenzioni. L’opera di Guido Gualtieri si sofferma a delineare le costumanze, i colori, gli abiti dei legati, che costituiscono l’occasione per conoscere da vicino l’altro da sé, che proviene da una cultura diversa. Nel testo si parla delle difficoltà superate perché il viaggio dei giovani ambasciatori risultasse a loro gradito. Il libro fu di sprone per la pubblicazione di altre opere sull’argomento

Cristina Rosa (Università degli Studi della Tuscia) Le relationi di Guido Gualtieri: biografia, produzione letteraria e riferimenti alla letteratura lusitana. La relazione di Cristina Rosa, impossibilitata a venire, è stata letta e commentata da Francisco Diaz, collega d’Università degli Studi della Tuscia. Guido Gualtieri nasce a San Ginesio nelle Marche tra le fine degli anni Trenta e l’inizio dei Quaranta del XVI secolo. Educato direttamente dal padre, lettore di umanità, il giovane si avvantaggia dell’ambiente culturale piuttosto vivace della cittadina, che dopo la lunga dominazione dei Duchi Da Varano, passa nel 1545 direttamente sotto il dominio diretto della Chiesa. Nei primi anni Sessanta, Guido Gualtieri si rivolge a Paolo Manuzio perché si adoperi per procurargli una sistemazione a Roma. Manuzio scrive ad un suo amico G.P. Maffei, docente di retorica a Genova, incarico ottenuto grazie all’appoggio di Manuzio stesso, perché si attivi a  cercare qualcosa per Guido Gualtieri. Maffei gli parla di un posto da precettore offerto dal facoltoso G.B. Di Negro. L’operazione non ha un esito felice. Gualtieri il 9 marzo del 1564 si rivolge di nuovo al Manuzio, accludendo nella richiesta scritta un suo lavoro sulle Familiares di Cicerone.

Guido Gualtieri nel luglio del 1565 giunge a Roma, dove rimane poco più di un anno. Alla fine del 1566, scomparso il padre, trova una sistemazione a Narni come professore di retorica presso la scuola pubblica. La vittoria della flotta cristiana contro i Turchi nella battaglia di Lepanto (1571) gli suggerisce la Canzone sopra la vittoria ottenuta dall’armata de’ principi cristiani contra la turchesca, nella quale l’autore celebra l’eroismo di don Giovanni d’Austria e della flotta al suo comando. Nel 1575 si sposta a Macerata e pubblica un’opera: Oratio in die Natali Iesu Christi Servatoris, indirizzata alle cittadinanza, nella cui prefazione afferma di aver seguito l’insegnamento manuziano nell’uso della lingua latina. Nel 1580  era a Camerino, dove si unisce con un’Oratio, carmina et inscriptiones al comitato di accoglienza per il passaggio di Alessandro Sforza, legato pontificio inviato a debellare il brigantaggio che infestava le campagne.

L’elezione (1585) al soglio pontificio di Sisto V, papa marchigiano, al secolo, cardinale Felice Peretti, nato a Montalto, trasferitosi poi nella vicina Grottammare con la famiglia, cambia radicalmente le aspirazioni di Guido Gualtieri che vede in un pontefice marchigiano la possibilità di coronare le proprie ambizioni. Nel 1585 infatti ottiene la nomina a segretario delle lettere latine. Nel nuovo incarico pubblica diversi opuscoli su Orazio, un romanzo, le Ephemerides e un fitto diario in cui sono registrati gli avvenimenti del pontificato sistino. L’opera in cui Guido Gualtieri mette tutto il proprio impegno è sulle Relationi della venuta degli ambasciatori giapponesi a Roma sino alla partita di Lisbona (due edizioni nel 1586: Roma, F. Zanetti, con dedica al segretario di Stato D. Azzolini; Venezia, Giolito; Milano, P. Ponzio, 1587; un’edizione moderna Schio 1895). La Chiesa Cattolica non è la chiesa dei poveri come potevano pensare i giapponesi prima di venire come ambasciatori in Italia, Spagna e Portogallo ma la chiesa ricca di arte e storia.

Dopo la morte di Sisto V, Guido Gualtieri ritorna nelle Marche. Nel 1592 è a San Ginesio, dove riprende l’insegnamento di umanità. L’anno successivo si trasferisce in Ancona e quindi, su invito del cardinale A.M. Gallo, al seminario di Osimo. Forse è da attribuire a quest’estremo periodo della sua vita il volgarizzamento (che il Benigni vuole conservato presso la Biblioteca agostiniana di San Ginesio) del III libro dell’Eneide.

Mari Musillo (Istituto di Cultura per l’Oriente e l’Occidente) Cambi d’abito per identità in movimento: Guido Gualtieri e la legazione Tenshō in Italia. Essere membro di una ambasceria significa parlare a nome di altri; questo lo è per i missionari gesuiti in Giappone e per i quattro legati giapponesi che visitano la città eterna ed altre grandi città italiane, ricche di fastose corti rinascimentali. Gli uni e gli altri si spogliano momentaneamente di una propria identità e imparano a conoscere quella degli altri. Conoscere l’altro in quello che questi mi dà di diverso a quello che ho io, non significa perdere la propria identità ma metterla a confronto con quella degli altri e crescere nella conoscenza di sé e  dell’altro. L’inculturazione reciproca e la ricchezza della diversità passano attraverso questa prima fase. Gli uni e gli altri imparano aspetti della vita materiale del tutto nuovi, come ci si veste, come si sta a tavola, come si prende il the, caro alla tradizione nipponica.

I legati nipponici, una volta giunti a Roma, diventano de iure dei nobili, sanno suonare il clavicembalo, sanno ballare e sanno parlare di tutto, perché nei collegi dei gesuiti in Giappone hanno imparato tutto questo. Nei ricevimenti ufficiali indossano i loro abiti orientali, quando si mescolano nella strada, nelle piazze, nelle carrozze per gli spostamenti da un luogo all’altro dell’Italia, lungo la via lauretana, vestono all’occidentale. Cambiar d’abito per identità in movimento è una necessita, ieri come oggi, come sempre. Ecco il perché il titolo dato alla relazione. Certa stampa di allora dipingeva i missionari gesuiti in Giappone dei vili ragazzacci travestiti da giapponesi. Anche i cittadini italiani vedevano in questi quattro legati dei ragazzetti, appena quindicenni, con una brutta cera, olivastri di carnagione, pallidi e slavati. L’identità è in quello che indossiamo, abita la lingua che usiamo, ognuno diverso ma uguale nell’umanità.

Note al testo

(*) Itō Mancio viene raffigurato in un quadro del Tintoretto, commissionato dal Senato di Venezia in occasione della visita nella città lagunare degli ambasciatori giapponesi del 1585.

(*) La nobile famiglia Valignano o Valignani, di origine normanna, abitava a Chieti. Possedeva il feudo di Turri. Nella media valle del Pescara esiste il paese di Turrivalignani, che trae origine dal nome di questo casato. E’ un piccolo centro di appena 797 abitanti, in provincia di Pescara, posto a 312 m s.l.m. in una posizione incantevole dalla quale si gode uno spettacolo imprendibile. Lo sguardo spazia dalla Maiella, al Monte Morrone, al Gran Sasso. Appena sotto il paese corre la Tiburtina Valeria, l’autostrada A25 e la ferrovia Pescara – Sulmona – Avezzano – Roma.

(*) “Quarto voto”. Con il quarto voto, i Gesuiti dichiarano la propria incondizionata obbedienza verso il Papa. Gli altri tre voti sono: castità, povertà, obbedienza.

 

Raimondo Giustozzi

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