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Libri. Stefania Severi, l’essenza della solitudine. Vita di Dolores Prato.

Copertina del librodi Raimondo Giustozzi

Il libro è una brillante biografia su Dolores Prato. “Stefania Severi, romana, giornalista, critico d’arte, studiosa di storia e costumi di Roma, curatrice di mostre d’arte contemporanea” (quarta pagina di copertina) ripercorre la vita di Dolores Prato, utilizzando testi autobiografici della stessa e le lettere che la scrittrice inviava, conservandone la minuta (1904 – 1983) e riceveva dai suoi numerosi amici, amiche e conoscenti. Dopo la morte di Dolores Prato, nella sua casa romana, grande e luminosissima, all’attico d’un palazzone che fa angolo, tra la via Fracassini e la via Flaminia, dove lo sguardo poteva estendersi da Ponte Milvio a Piazza Venezia, furono ritrovati due grandi bauli, che contenevano centinaia di lettere e manoscritti. Stefania Severi, anche con l’aiuto di Ines Ferri Ferrari, grande amica di Dolores Prato, ha attinto a piene mani a questi scritti. Il risultato del lavoro è confluito in questo libro di cento sessanta pagine, compreso l’indice e una breve introduzione di Maria Teresa Secondi Mongiello, veneziana, laureata in Pedagogia all’Università di Padova, docente e direttrice didattica, giornalista pubblicista per il “Gazzettino”.

Scrive Maria Teresa Secondi Mongiello: “Negli scritti di Dolores Prato vi è una ricerca quasi manzoniana del vocabolo o un piacere dannunziano del suono della parola … Il tono è fresco, spontaneo, immediato. Ne scaturisce la suggestione di un lessico ricco, appropriato, particolarmente espressivo, che va dalla bonaria ironia, alla drammaticità di una vita particolarmente provata” (Stefania Severi, l’essenza della solitudine. Vita di Dolores Prato, pp. 5 – 9, Sovera Editore, Roma, 2002). La biografia di Dolores Prato è la risultante di più racconti, stesi da Stefania Severi, ma dettati quasi a lei da quanti l’hanno conosciuta in vita. Questa finzione letteraria è il valore aggiunto del volume, che reca in copertina la stampigliatura “Saggi”, ma è soprattutto una biografia scritta a più mani. Le fonti consultate sono quelle pubblicate dalla studiosa romana nel libro, Dolores Prato voce fuori coro, carteggi di una intellettuale del Novecento, il lavoro editoriale, Ancona, 2007 e i romanzi di Dolores Prato: “Giù la piazza non c’è nessuno”, “Scottature”, “Campane a Sangiocondo”, “L’Educandato”.

La vita di Dolores Prato viene raccontata, in quindici capitoli, da chi ha avuto amicizia o comunque dei contatti con lei. Ogni capitolo ha uno o più narratori: Maria Prato, vedova Paciarelli, la mamma, Paolina Ciaramponi, la zia di Treia, che l’ha accolta nella propria casa, suor Margherita Maria Masi, la Madrina dell’Educandato, dove Dolores Prato visse dal 1905 al 1911, Vittorio Paciarelli, il fratellastro di Dolores Prato, padre Cesare Goretti dei conti Miniati, uno dei padri spirituali di Dolores Prato, don Domenico Ciaramponi, lo zio di Treia, fratello di Paolina Ciaramponi, Maria Paoli, grande amica di Dolores Prato, don Paolo Silva, padre spirituale di Dolores, Domenico Capocaccia, avvocato milanese, iscritto al Partito Comunista, che in qualche modo fece conoscere a Dolores Prato l’ideologia marxista, lontana mille miglia dall’orizzonte culturale di Dolores Prato, Lina Brusa Arese, sorella di Andreina Arese, che Dolores Prato assiste, dietro pagamento,  per molti anni, perché malata, Luciano Moretti, alunno di Dolores Prato alla Scuola “Gentili” di San Ginesio, dove la scrittrice insegnò per tre anni, Torquato Ferrari, romano, fervente cattolico, che conobbe Dolores Prato negli anni romani della scrittrice (1912 – 1983), Bianca Torriglia, vedova di Adriano Ossicini, Ines Ferri Ferrari, sposa di Filippo Ferrari, figlio di Torquato Ferrari. Capitolo a parte è il sedicesimo nel quale è la stessa Dolores Prato che racconta la propria vita negli anni che vanno dal 1980 al 1983.

Il termine Saggio, stampato in alto a sinistra della copertina, credo sia stato messo, perché, in qualche modo, il libro è anche un saggio. Quando si parla di ciò che si agita nel cuore umano, come nel caso di Dolores Prato, che fin dalla nascita visse senza l’affetto di una mamma e di un padre, Zizì e la zia Paolina fanno del loro meglio quando l’accolgono nella loro casa a Treia e l’accompagnano per circa vent’anni,  occorre sempre fare delle ipotesi, mai dare per scontato ciò che scontato non è. Scrive Stefania Severi: “La storia della persecuzione antisemita nei confronti di Dolores è completamente inventata e non le fa onore se non che il suo animo contorto e sofferente a forza di parlarne finì quasi col credervi. Il tutto nacque dalla circostanza che il cognome Prato è anche in relazione a famiglie ebraiche. Lei non aveva nemmeno una goccia di sangue ebraico, almeno a memoria, ma l’idea di essere perseguitata le si annidò nel cuore rafforzando quell’immagine di martirio di cui ella da sempre si nutriva … Era proprio di Dolores Prato esagerare e concepire la vita in forma melodrammatica, nel bene e nel male” (1943 – 1950, Il racconto di Luciano Moretti, in “l’essenza della solitudine”, op. cit. pag. 101).

Credo che lei fosse convinta di aver subito indicibili torti, e non era in malafede, ma ciò era da ascrivere più al suo atteggiamento vittimista e al suo narcisismo che alla verifica oggettiva. Quel suo continuo accusare gli altri, quel suo continuo ributtare sugli altri torti veri o presunti … certo, questo non era un aspetto felice del suo carattere. Ma poi c’era la sua grande generosità sconfinata, del cuore e dell’intelletto, che faceva dimenticare i suoi difetti” (1951 – 1963, il racconto di Torquato Ferrari, in “l’essenza della solitudine”, op. cit. pag. 111). Dolores Prato si dava sempre un gran da fare per tutti quelli che conosceva, li spronava a scrivere per giornali e riviste, trovando gli appoggi giusti. Pensava sempre agli altri e poco a se stessa.  Basta ricordare quanto fece per Andrea Gaggero, ospitato per anni nella propria casa romana.

Il primo racconto del libro è quello della madre di Dolores Prato, Maria Prato. Quando Dolores Prato nasce il 10 aprile 1892, a Roma, in una casa al Rione Ponte, la mamma è già vedova. Ha soltanto 41 anni, con cinque figli, tre maschi, Giulio, Vittorio e Oberdan Pio, e due femmine, Adelaide e Ida, la più piccola. Maria Prato veniva da una famiglia ricca e benestante. Il padre, Carlo Emanuele Prato, era stato Governatore di Narni, Ferentino, Ronciglione e Bagnocavallo. La madre, Adelaide, era figlia dei conti Duranti, signori di san Lorenzo in Campo. Il marito di Maria Prato, Luigi Pacciarelli era stato pretore a Fano, Marino e Albano, poi insegnante all’università di Camerino. Da ragazza prima da sposata poi era sempre vissuta nell’agiatezza: bella casa, bei vestiti, divertimenti. Con la morte del marito crolla tutto. Va ad abitare in un appartamento in affitto, trovatogli da alcuni parenti. Conosce  un avvocato calabrese, funzionario della Suprema Corte di Cassazione. Pensa di aver trovato l’uomo che può dare un senso alla propria vita. Ha con lui una relazione: “La conseguenza di quell’attimo strappato alla solitudine fu terribile: una gravidanza” (pag. 11).

L’uomo non vuole sapere della nascitura. E’ sposato con figli. Non è affare suo, le dice in modo brutale. Alla nascita della piccola, Maria Prato è nella disperazione più nera. Decide di abbandonare la figlia al suo destino. La levatrice, Tommasa Valentini la registra con Olei Dolores. Intanto tocca con mano la povertà più assoluta. Non trova nessun sostegno né dai parenti né dagli amici. Rammenda divise militari, per comperare il pane e le scarpe ai figli. E’ tormentata dal rimorso e dall’angoscia. Non vuole passare per una madre snaturata. Teme il giudizio della gente ma anche di Dio. Fa trascorrere solo sei giorni dalla nascita della figlia. Si reca dal notaio Feliciano De Luca e in presenza di alcuni testimoni, la fa registrare con il nome Dolores Prato. E’ il sedici aprile 1892.

Questa data è come una seconda nascita per la piccola Dolores, che viene data a balia ad una donna di Sezze Romano, al imitare dei Monti Lepini. Si sa che le ciociare avevano allora grande considerazioni a Roma. Erano ritenute come le migliori per la qualità del loro latte. Intanto, Maria Prato prende tempo. Si rende conto che la sistemazione di Dolores presso questa donna è solo temporanea. Si ricorda di avere a Treia, in provincia di Macerata due cugini per parte di madre, Domenico Ciaramponi, prete e sua sorella, Paolina Ciaramponi, nubile, che abita con il fratello sacerdote e gli amministra la casa. I due cugini sono disposti ad accogliere la piccola Dolores Prato nella loro casa. Preparato un piccolo corredo, Maria Prato porta la figlia, sedici mesi appena, a Treia dagli zii. Correva il mese di ottobre del 1893. Qui a Treia, Maria Prato, in occasione di alcune sue visite alla figlia, conosce l’ingegnere Cesare Cervigni, libero, intelligente, benestante anche se non propriamente ricco, sempre in giro per l’Italia per conto della Società Acquedotti. Cesare si innamora di Maria Prato, lei trova in lui il sostegno economico e l’amore che cercava.

Il racconto di Paolina Ciaramponi sul periodo vissuto in casa da Dolores Prato prima, e nello Studentato delle Visitandine di Treia, poi, è uno dei più lunghi del libro. Fratello e sorella non avevano nessuna dimestichezza con i bambini ma supplirono a questa carenza con l’affetto verso la piccola Dolores che stravedeva soprattutto per lo zio Domenico, chiamato affettuosamente Zizì, una pasta d’uomo, sacerdote eccentrico, affatto bigotto, ma libero nelle proprie idee religiose, colto e versato nei più disparati campi del sapere. Si dilettava anche di pittura ed aveva realizzato un suo autoritratto per lAccademia Georgica, vanto della città di Treia. Dolores Prato, crescendo, lo adora, tanto gli vuole bene, sapendo che Zizì stravede per lei. Il sacerdote traffica con i suoi esperimenti scientifici. Riesce a produrre in proprio un unguento, fatto con erbe medicinali, che raccoglie nella campagna treiese. Va a caccia, incontra gli amici preti e non, che vengono spesso in casa per giocare a carte o perché hanno bisogno di lui per dorare qualche oggetto, ripararne altri consumati dal tempo. La gente del posto guarda la piccola Dolores Prato con distacco. I pregiudizi sono tanti. Viene vista come il frutto del peccato. La mamma è sempre additata come “svergognata”, ma che non fa mancare mai la propria attenzione presso la figlia, inviandole regali anche costosi. Solo l’ingegnere Cervigni non ha per la piccola Dolores nessun affetto, anzi la mortifica spesso, soprattutto, quando, grandicella, si rivolgeva a lei in modo sempre sgarbato.

“Dolores – scrive Paolina, la zia – “era un po’ lunatica ed aveva delle fobie. Non sopportava i rumori forti: aveva paura dei momentanei e perfino del rumore che fanno i tappi di bottiglia allo stapparli. Aveva terrore dei fuochi d’artificio; non c’era verso di farla assistere, mi trascinava via sragionando … Uno dei suoi giochi preferiti erano le coccette di Appignano, piccolissime riproduzioni in terra cotta di stoviglie vere; con queste e con una scopetta mimava a fare la grande … Sempre da sola, non partecipava ai trastulli degli altri bambini che nella strada, proprio davanti al nostro portone, ruzzavano a campana. Si fermava a guardarli per ore” (pag. 24). Tutte le altre annotazioni della zia Paolina sono riportate nel romanzo “Giù la piazza non c’è nessuno”: il trasferimento dalla casa del Beneficio a quella di San Michele, il ritorno nella prima, la scuola privata, per due anni, con il maestro Gigio Palmieri, terminata l’esperienza negativa dell’asilo della signora Palmieri, moglie di Gigio, l’insegnamento di Teresina Ceccarelli, perché Dolores fosse preparata per l’iscrizione in terza elementare: “Alla scuola pubblica, Dolores cominciò a slegarsi, ma veramente sbloccata non fu mai. Non aveva neppure movenze eleganti. Non sapeva mai dove mettere le mani che, in quanto alla forma, non erano certo mani da signora” (pag. 25).

Dolores partecipava a tutte le cerimonie della Settimana Santa. Col tempo “Si stava facendo una bella frichina (ragazzetta), con una sua aria dignitosa ed una gran massa di capelli ricci e nerissimi”. A scuola anelava sempre ad avere una parte importante nelle recite, ma era impacciata e stonata. Aveva sempre delle parti secondarie ma le accettava di buon grado. La zia Palina le regala un abbonamento della rivista “Mondo Piccino”, ma lei preferiva leggere il  “Corriere delle Signore” della zia. Zia Paolina passa dei brutti momenti quando il fratello, in rotta con il proprio vescovo, che non gli dava il permesso di emigrare in Argentina, viene allontanata assieme a don Domenico dalla Casa del Beneficio, destinazione la parrocchia San Michele, a ridosso delle mura nella zona sud della città.. La permanenza in questa nuova destinazione dura poco. Ritornano nella prima casa ma per poco tempo. Sono costretti ad accettare un’altra sistemazione nella casa del Cancro. L’abitazione si chiamava così perché vi era morta di cancro la signora Amalia, la madre di don Ruggero il nuovo inquilino della Casa del Beneficio, mandato dal vescovo, che aveva voluto punire l’impudenza di don Domenico, partito per l’Argentina. Zia Paolina vive nella povertà più estrema. La mamma di Dolores le scrive che si sarebbe ripresa la figlia se le era di peso. Dolores Prato non vuole sentir parlare di andare via dalla zia per raggiungere la mamma. Paolina allora scrive a Marietta Prato che Dolores non gli è di peso.

Zio Domenico si fa vivo scrivendo la prima lettera all’Argentina, dove seppur raggirato da imbroglioni, era riuscito a vendere il suo unguento. Manda denari su denari, anche se non erano mai abbastanza. Dolores, Lolita come veniva chiamata in casa, era fiera di tutti i regali che lo zio gli mandava dall’America. Dopo aver saputo che il Conte Tambroni lasciava la propria casa, dove gli era morto un figlio, Paolina prende in affitto l’abitazione. Era la casa di famiglia, dei Ciaramponi, chiamata la Casa Gentilizia. Zio Domenico ritorna dall’Argentina ma ripartirà per la stessa destinazione poco tempo dopo e questa volta in modo definitivo. Lolita, terminata la Scuola Elementare, viene messa nel Collegio delle Visitandine, di Treia: “Un grandioso edificio con un ampio giardino attorno. Ci andavano le giovinette delle migliori famiglie. Si occupava delle educande soprattutto Suor Margherita Maria Masi, al secolo Elvira Masi di Lugo di Romagna, universalmente lodata per le sue capacità educative” (pag. 31).

Zio Domenico non era affatto d’accordo con questa decisione, che viene presa solo dalla zia: “Mi pesava dovermi staccare da Lolita, ma era bene che lei avesse un’educazione signorile. Ad accompagnare Lolita al convento delle Visitandine va soltanto zia Paolina. Don Domenico non vuole assistere al distacco della sua Lolita alla quale aveva insegnato tante cose. Nemmeno Eugenia, la governante di casa Ciaramponi, che pure era stata invitata da Paolina, l’accompagna. Così, zia e nipote varcano il portone del grande edificio, dove, la Madrina e le educande sono ad aspettare la nuova arrivata. Per Dolores Prato iniziano gli anni formativi del collegio o Educandato.

Suor Margherita Maria Masi, Madrina delle educande, non accoglie affatto bene Lolita. Se la prende subito anche con Paolina che presenta Dolores con questo nomignolo “futile e pretenzioso”. La Madre Superiora del convento, Suor Maria Teresa dei Conti Caccialupi Olivieri di San Severino Marche, si chiedeva se fosse il caso di accogliere nell’Educandato una ragazza ripudiata dalla mamma. La maggior parte delle educande proveniva da famiglie nobili e aristocratiche. Accettare Dolores Prato nel collegio voleva dire sminuire il prestigio dello stesso. Solo lo zio prete era una garanzia, per il suo stato, poi perché poteva pagare la retta per la nipote, anche se la direzione del convento rimproverava don Domenico Ciaramponi la sua stravaganza, poi era l’unico sacerdote della zona che andasse a caccia. La zia Paolina Ciaramponi passava poi come un arrampicatrice sociale per la sua insistenza di collocare in collegio la sua Lolita.

Dolores Prato supera brillantemente, al cospetto delle nuove compagne e della Madrina, l’ingresso in collegio. Le fanno vedere un quadro, chiedendole quale fosse l’autore. Dolores lo riconosce all’istante. L’aveva visto sempre nella casa dello zio prete. E’ un quadro del Tintoretto, risponde in modo sicuro. Ciò la fa apparire colta ma anche superba della sua cultura. L’adattamento alla vita del collegio fu all’inizio molto difficile per Dolores Prato che sembrava impacciata. Non capiva la coercizione all’umiliazione cui venivano sottoposte le educande, la poca sincerità nei rapporti personali, lei che aveva imparato a fidarsi ciecamente dello zio Domenico, che era sì prete ma non bigotto o clericale. La Madrina la trovava diversa dalle sue compagne per “certe sue fobie, come quella per gli insetti … diversa nel mangiare: non tollerava i cetrioli … diversa nella ricreazione: non partecipava mai ai giochi … diversa nel vestire, se in paese, quando era con gli zii amava uscire, vestendosi in modo elegante, in collegio pensava, su suggerimento della stessa zia Paolina, che l’eleganza fosse una cosa superflua … Era poi uno strano miscuglio di cultura superiore alla media e di ingenuità esasperante … Era impacciata nei movimenti: temperava la matita in un modo così curioso che sembrava le mani impedite … Sprezzante con le compagne, si peritava di censurarne il linguaggio … Era attaccata alle sue cose fino all’inverosimile … Era chiusa e raramente faceva trasparire i suoi sentimenti della cui natura non ero mai certa … Ostentava una disinvoltura d’espressione inaudita, perfino sarcastica … “(Ibidem, pp. 33 – 37).

Col tempo comunque il comportamento della Madrina nei confronti di Dolores cambia. Si accorge che la ragazza era di una generosità impagabile. Era sempre disponibile ad avere incarichi per venire incontro ai bisogni della comunità, fosse solo il compito di aiutare una sua amica, Olga, a caricare gli orologi. Era indispensabile nelle recite teatrali, perché curava i testi, preparava le scenografie.. “Aveva sprazzi di gentilezza; si prodigava ad aiutare la vecchia Suora Angioletta, che passava il suo tempo a filare, a salire le scale con il suo pesante porta conocchia. Era generosa con le compagne. Era insomma la prima della classe anche nello studio, anche se non apprezzava la storia della Massoneria, voluta dalla Madrina, che aveva avuto tra le educande, quando era Superiora nell’Educandato di Lucca, le nipoti del Gran Maestro della Massoneria, Adriano Lemmi.  Con il tempo i rapporti tra la Madrina e Dolores cambiarono. Suor Margherita Maria Masi iniziò ad apprezzare la ragazza, che chiedeva solo di essere amata. Dolores Prato, una volta uscita dal collegio, rimase sempre in fraterna amicizia con la Madrina di una volta.

Vittorio Pacciarelli, fratellastro di Dolores, sapeva di avere una sorella lontana. Quando Dolores nacque (1892), lui aveva undici anni, Giulio, il più grande, ne aveva tredici, Oberdan otto, Lalla sei e Ida quattro anni. La mamma Marietta Dolores Pacciarelli muore nel 1907, per una brutta malattia, la leucemia, a soli cinquantacinque anni. Prima di morire, raccomandava sempre ai propri figli di voler bene a questa sorella lontana. Vittorio andò a trovarla, assieme alla moglie Elisa, nell’Educandato di Treia nella primavera del 1912, poco prima che Dolores prendesse il suo diploma. “Anche il fratello Giulio andò con la moglie e le figlie; voleva vedere com’era l’educandato per metterci le bambine quando fossero un po’ più grandicelle” (Ibidem, pp. 41 – 42).

La possibilità di vedersi spesso con Dolores si materializza quando questa va a Roma, nel novembre del 1912, assieme alla zia Paolina, per frequentare il Magistero. Una cosa era certa. Dolores non voleva stare con la zia, che tra l’altro moriva quasi subito, il 18 dicembre dello stesso anno. Tutti i fratelli si danno da fare, soprattutto Vittorio, per trovare una sistemazione alla sorella che veniva da Treia. Trova che Dolores amava stare da sola, isolandosi da tutti. Parlava dei suoi professori, tra i quali, Pirandello, che non apprezzava affatto. Non andava d’accordo con le due sorelle, Lalla e Ida che considerava troppo frivole, perché uscivano spesso, andavano al teatro e al cinematografo. Vittorio conosce anche alcune amiche di Dolores, tra le quali Gina Trincani. Dolores preferiva uscire con le compagne di Magistero e con Donna Cristina Giustiniani. Nel suo lungo racconto, il fratello Vittorio si sofferma sulla vita di Dolores nel quotidiano. Prima di partire per il fronte, scrive una lunga lettera a Dolores, raccontandogli chi fosse il suo padre naturale, cosa che Dolores aveva sempre chiesto con insistenza. Giulio, il fratello più grande, era già sul fronte francese. Vittorio, quando scriveva a Dolores, metteva nella lettera “fiori di montagna, per alleviare quel suo sentirsi incompresa e mareggiata. Ed io lì, al fronte circondato da tanta amarezza, da tanta distruzione, da tanto dolore, la sentivo vicina nella sofferenza” (Ibidem, pag. 55).

Padre Cesare Goretti dei Conti Miniati conosce Dolores Prato nel 1914. “Venne a trovarmi unitamente alla signorine Bianca Torriglia e Gina Tincani, delle quali ero già padre spirituale”. Nel suo racconto non lungo, il padre Cesare Goretti, ricorda la grande religiosità di Dolores Prato, l’angoscia che l’attanagliava, il suo bisogno di essere capita e amata, la solitudine, che sceglieva volutamente per scavare nel proprio animo, il ricordo dello zio lontano, che la invitava in Argentina, gli anni dell’Educandato, la formazione ricevuta e la figura della Madrina, Suor Margherita Maria Masi. L’aiutò non poco per la sua tesi di laurea (Ibidem, pp. 56 – 60).

Don Domenico Ciaramponi, Zizì per Dolores Prato, nella sua testimonianza racconta, che alla morte della sorella Paolina, che aveva allevato la piccola Lolita come se fosse la madre, gli rimaneva soltanto Dolores, che nel 1919 arrivava al coronamento dei suoi sogni: la laurea in Magistero. Lui se ne era andato in Argentina, seguendo le proprie inclinazioni, Dolores aveva seguito le sue. Dall’Argentina, don Domenico mandava a Lolita tutto quello che serviva alla nipote. Pagava la retta all’Educandato delle Visitandine di Treia e quando Dolores Prato si trasferisce a Roma, tutti i propri risparmi, per aiutarla negli studi universitari e per coprire tutte le esigenze della nipote. Questa in una lettera gli rimproverava che quando era una bambina, lui si rivolgeva a lei dandole del voi. Questo mio modo – precisa don Domenico – era il frutto di ciò che avevo ricevuto nella mia educazione, quando ero giovane. Non c’era la benché minima idea di usarlo per tenere le distanze tra me e Dolores.

Lolita ricevette tutta l’educazione che meritava. Prima fu presa dall’Educandato e dalla sua Madrina, poi dagli studi magistrali, disdegnando di stare con mia sorella che l’avrebbe voluta tutta per lei. “Con la conoscenza era cresciuta in lei (Dolores) una sorta di superbia intellettuale che la spingeva da un lato a non considerare coloro che non condividevano le sue aspirazioni, dall’altro ad innalzare sopra misura coloro che ella riteneva puri spiriti educativi. Disdegnava il lusso ma spendeva in cose superflue. Era prodiga con chi ne abbisognava e vergognosa d’agire in concreto per procurarsi maggiori rendite. Aveva uno strano modo di condursi, aristocratico vestito d’umiltà. Proprio per questo suo essere diversa me la rendeva ognora cara. Le mandavo tutto il denaro che potevo, e non era poco, ma sembrava che non le bastasse mai” (Ibidem, pag. 61).

Maria Paoli conosce Dolores Prato nel 1915 a Roma, si lega a lei con profonda amicizia. Anche lai veniva dalle Marche. La sua famiglia aveva una casa a Macerata e d’estate si trasferiva a Chiesanova, una frazione di Treia. Anche se più giovane di Dolores, Maria Paoli si sentiva in dovere di riprendere qualche volta la sua amica perché spendeva troppo in cose superflue: annate di riviste poderose, fiori, immaginette, tipografia. Terminato il Magistero, quando Dolores decise di trasferirsi a San Sepolcro per l’insegnamento, Maria Paoli rimase sempre in contatto con lei. Si scrivevano. Dolores si confidava su tutto: l’insegnamento procedeva nel migliore dei modi, invece, i rapporti con la direttrice della scuola, la Zampieri, non erano del tutto sereni perché “la trovava piena di se stessa, tragica, volubile negli apprezzamenti, non coerente perché da un lato vedeva dappertutto il peccato e la sensualità e dall’altro era superficiale” (Ibidem, pag. 64). La relazione con Paolo Toschi, giovane insegnante anche lui, di Borgo San Sepolcro. Tra i due nacque un rapporto del tutto strano. Avevano deciso di stare insieme in castità, come Santa cecilia e San Valentino. Il bacio comunque che si erano dati alla stazione non passò inosservato. Le chiacchiere correvano sulla bocca di tutti. La direttrice dell’istituto, dove insegnava la giovane maestrina, prende i suoi provvedimenti. Dolores Prato viene allontanata dalla scuola nell’estate del 1921.

Lascia anche Paolo Toschi, che sposerà Ebe Palazzeschi, per altro grande amica di Dolores Prato, anzi fu proprio Dolores, saputo che Ebe aveva un manifestato un forte interessamento per Paolo, a spingerla tra le braccia di quello che rimarrà per sempre il primo grande amore di Dolores Prato. Maria Paoli le cerca una supplenza nella scuola per il nuovo anno scolastico, riuscendo anche nell’intento. Dolores, confidandosi con la sua amica, così le scrive, dopo aver lasciato Paolo: “Quanta falsità nella mia anima. E quasi mi credevo un’eroina! Quando avevo dato a Paolo tutta l’anima, perché mi ritenevo per me il corpo? Per superbia. E’ crudo tutto ciò ma è terribilmente vero. Poiché non potevo soffocare del tutto il mio grande sogno, cercavo di armonizzare cose stonate di per se stesse” (Ibidem, pag. 69). Dolores era nata per soffrire, mentre quelli che lei lasciava non soffrivano affatto. A stessa cosa avverrà con altri due grandi amori nella vita di Dolores: Domenico Capocaccia e Andrea Gaggero. Sempre nell’estate del 1922, il venti giugno, un altro grande dolore attraversa la vita di Dolores, la morte della carissima Madrina, suor Margherita Maria Masi, di Treia. Persa una delle guide spirituali, Dolores approda a San Ginesio, nelle Marche, in provincia di Macerata, dove insegna nella scuola “Matte Gentili”. Qui conosce un allievo, Luciano Moretti, con il quale rimase in contatto epistolare per molti anni. Termina così il proprio racconto Maria Paoli: “Volli molto bene a Dolores Prato, quasi più che alle mie sorelle, perché era ricca dentro e tanto sensibile. Continuammo per un po’ a scriverci ma le nostre strade erano ormai diversamente segnate” (pag. 71).

Padre Paolo Silva è l’altro padre spirituale di Dolores Prato, che ebbe per un po’ di tempo due padri spirituali fino alla morte di Cesare Goretti, avvenuta nel novembre del 1923 all’età di soli 55 anni, dopo una forte polmonite. Scrive padre Paolo Silva:”Il carattere di Dolores era sì schietto ma anche troppo veemente e poco prudente. Non frenava la lingua e non controllava gli slanci … Era una sorta di strano connubio di purezza e morbosità. So per certo che ancora all’età di ventidue anni nulla sapeva della vita per delle domande che mi faceva. Fu la sua Madrina a chiarirle, ed era grande, che la verginità è un fatto fisico e non dell’anima. Prese a dimostrare ripugnanza per tutto ciò che atteneva al sesso, anche se ricondotto nella santità del matrimonio, ma nel contempo continuava con investigazioni al riguardo … Nella sua enfasi presumeva ognora d’aver ragione e si scagliava contro uomini ed istituzioni quando pensava che gli uni o le altre avessero male operato. Era orgogliosa anche se protestava quando glielo facevo notare … Ritornava al suo passato, dipingendolo come una sequela di fatti dolorosissimi, cosa non vera perché in quel suo passato ebbe sì dolori, ma ricevette anche affetti e sostegno, ma di questi non sembrava tener conto” (pag. 73).

Davanti a lui si apriva con tutta la sua anima, inviandogli una lunga lettera del 1919, nella quale gli raccontava tutte le sue paure del passato e del presente: “Non credo più. Chi sono? Una sconosciuta venuta dal fango … Ricordo a cinque anni le mie prime lacrime per il terrore di un terrore di un dolore che vedevo ma non capivo. Da quel giorno non cessarono; lampi di gioia fugace, forti come forte fu sempre il dolore mio, interruppero di tanto in tanto la fosca nube del dolore che m’opprimeva; vedevo un po’ di sereno, ma il sereno era l’eccezione rarissima, il torbido era la condizione normale. Soffrii da piccola senza riflettere, soffrii con non curanza dopo, soffrii con entusiasmo in seguito, perendomi d’essere un’eroina da mettere sugli altari …”(ibidem, pag. 74).

Era difficile dare delle risposte alle domande di Dolores, continua padre Paolo Silva, che seguì la sua protetta, quando questa decise di andare a Milano, nel febbraio del 1927, chiamata da Vincenzo Cento, pedagogista, direttore assieme alla moglie Anita dell’Accademia Libera di Cultura e di Arte (Circolo filologico femminile), uomo molto stimato e ideatore della rivista “La Nostra Scuola”. Forse fu anche la frequentazione che Dolores aveva con il fratello di Vincenzo, mons. Fernando Cento, vescovo di Macerata a metterla in contatto con Vincenzo Cento. La collaborazione con l’Accademia Libera di Cultura e di Arte durò solo un anno. Dolores non condivideva affatto l’impostazione pedagogica della scuola. Fu licenziata da Vincenzo Cento. Dolores non perdonò l’affronto subito, tanto che definì il pedagogista come presuntuoso e figura insignificante.

Durante il breve soggiorno milanese Dolores Prato conosce l’avvocato Domenico Capocaccia nell’estate del 1925, in occasione di un battesimo al quale era stata invitata anche lei da Alfredo Salvucci e da sua moglie Bice Lami, conosciuti durante la permanenza di Dolores nella scuola di San Ginesio. Tra Dolores e Capocaccia ci fu una relazione non soltanto platonica. Padre Paolo Silva non approvò il rapporto, ma conoscendo la testardaggine di Dolores, lasciò che fosse da sola a capirlo. Difatti la relazione lasciò in lei non pochi strascichi.

Scrive l’avvocato Domenico Capocaccia: “Il nostro incontro si trasformò in relazione. L’amai e fui preso da quella sua passionalità, da quel suo carattere così intransigente ed esclusivo, ma non le promisi nulla, anche perché non me la sentivo di mettere su famiglia, avendo sì di che campare ma senza sicurezza alle spalle. Lei mi si attaccò in modo morboso. Dovetti dopo breve tempo allontanarla, pur desiderando la sua compagnia perché era comunque una donna intellettualmente assai ricca … Io l’amavo a modo mio, amavo la sua brillante intelligenza, la sua ricca personalità, i suoi turbamenti interiori, ma, a parte che non volevo legami, la trovavo un po’ ossessiva. Come amica andava bene, ma come moglie sarebbe stata un disastro. Nell’amicizia era perfetta perché la generosità, unita all’acume ed alla disponibilità, la rendeva preziosa” (Ibidem, pag. 78).

Dolores incontrerà l’avvocato dopo molti anni, passata la bufera della seconda guerra mondiale, quando Domenico Capocaccia, abbandonata la professione di avvocato, si getta nella politica, sponda Partito Comunista Italiano e si trasferisce a Roma dove la scrittrice abita in modo definitivo. Dolores conoscerà un’altra stagione culturale. Lei, fervente cattolica, anche un po’ bigotta per l’educazione ricevuta nell’Educandato, si avvicina al Marxismo ma senza condividere niente dell’ideologia, solo un ideale di giustizia sociale e di libertà.

Lina Bruna Arese conosce Dolores Prato attraverso la professoressa Maria Benedetta Salvati, insegnante privata delle sorelle più piccole. La professoressa Salvati aiutò molto Dolores trovandole la collaborazione con alcune riviste e case editrici torinesi, tra le quali la famosa SEI (Società Editrice Internazionale), ma spesso Dolores declinava l’incarico. Le propose anche l’insegnamento presso una prestigiosa scuola privata di San Remo, anche questo incarico fu rifiutato da Dolores. Lina aveva quattro sorelle: Andreina, la più grande, Novetta, Elena e Itala. La sua era una famiglia felice, quando la malattia colpisce Andreina, la sorella più grande, con disturbi psichici devastanti. Il padre la porta presso i dottori più famosi di Torino ma senza avere nessun risultato degno di rilievo. Nei momenti di crisi profonda Andreina si agitava, piangeva e diventava anche aggressiva. Alla fine del 1932 il padre, dopo aver saputo che a Roma operava in quei tempi un famoso psichiatra, il prof. Luigi Papetti, porta la figlia Andreina a Roma. Dolores Prato diventa l’assistente di Andreina, dietro un regolare stipendio. Una entrata fissa la libera dalla precarietà economica. La collaborazione con i giornali e le riviste romane non bastava per condurre una vita nemmeno modesta, colpa anche dell’incapacità amministrativa di Dolores Prato, che spendeva troppo rispetto alle entrate. Non aveva più l’aiuto di Zizì morto in Argentina

Lina Bruna Arese rimarrà profondamente legata a Dolores Prato. Sarà proprio lei l’anello di congiunzione con la casa editrice Einaudi, per la pubblicazione del romanzo Giù la piazza non c’è nessuno, curato da Natalia Ginzburg con tutte le polemiche che seguiranno. Impazza intanto la seconda guerra mondiale. I bombardamenti anglo americani si abbattono su Torino. Andreina, ricoverata  in clinica, a Roma, peggiora, tanto che il papà di Lina parte per la città eterna, deciso di riportare la figlia a Torino. Andreina si oppose e rimase a Roma. La malattia perdurava in modo devastante. La paziente alternava periodi di calma apparente a crisi continue, tanto da riportarla di nuovo in clinica. Finalmente la guerra cessa ma nulla ritorna alla normalità. Dolores continua a scriversi con Capocaccia che se stava a Milano, lei a Roma con Andreina.

Luciano Moretti, ex alunno alla Scuola “Matteo Gentili” di San Ginesio, aveva trovato in Dolores Prato l’insegnante che l’aveva apprezzato per la sua voglia di conoscere e di volare alto, alla ricerca del vero e del bello della vita. La corrispondenza epistolare con la sua ex insegnante continuò per tutti gli anni di guerra. Dolores Prato li visse da sola, nella sua casa romana, dove ospitò anche Vincenzo Cento, nonostante l’avesse licenziata quando Dolores insegnava nella Libera Accademia di Arte e Cultura a Milano. Il pedagogista milanese se nella città meneghina riscuoteva un certo credito, a Roma fu subito additato come un pagliaccio. Finì i suoi giorni buttandosi dall’appartamento che era di fianco a quello di Dolores Prato. Questa fu sul punto di impazzire, salvo poi definire Vincenzo Cento “un piccolissimo uomo rovinato dall’orgoglio nascosto dietro una continua rappresentazione di bonomia, ma morendo si è distrutto. Tutti ne hanno avuto ribrezzo più che pietà … era fratelli di quel Mons. (Fernando Cento), di Macerata, che ora è nunzio in Perù, altro meschinissimo uomo che io per un certo periodo di tempo stimai troppo” (Ibidem, pag. 97). Mons. Fernando Cento aveva obbligato Dolores Prato a strappare la foto di Paolo Toschi, l’uomo amato dalla scrittrice.

Finita la guerra, Dolores Prato, scrive Luciano Moretti, quasi per sollevarsi dalle privazioni del passato, iniziò a frequentare con assiduità tutti i circoli culturali della capitale. “Dolores Prato era impagabile nei rapporti d’amicizia … Amava starsene a Roma, in casa e ricevere. A cena, da lei, con un piatto di pasta fumante, si incontravano Concetto Marchesi, Igino Giordani, Mario Vinciguerra, Libero Bigiaretti, Giuseppe Urbani, Ernesto Bonaiuti, Adriano Ossicini … era un vero e proprio salotto culturale, dove si riunivano letterati e politici di ogni partito” (Ibidem, pag. 102). Ancorata alla fede cattolica vagheggiava l’idea di mettere assieme la Democrazia Cristiana e il Comunismo: “Ci sarà domani un comunista dotato di pensiero cristiano” (Ibidem, pag. 102).

Bianca Torriglia, vedova Ossicini, conosce Dolores Prato negli anni del Magistero. La loro amicizia è continuata per cinquant’anni, “malgrado i lunghi silenzi che le diverse strade della nostra vita hanno favorito. Da quando ti ricordo nella tua caratteristica indimenticabile figura di giovinetta ardente piena di purezza e di fede entusiasta di tutto quello che sembrava bello e grande, ignara di gran parte della tristezza e delle miserie umane, ma già segnata e predestinata dal dolore, non sono riuscita a vederti mai neppure un poco differente da allora. Cercavi inconsciamente di andare incontro a quanto di più grande e bello ti appariva nella vita, ed eri venuta al mondo già circondata dalle ingiustizie, dall’incomprensione di una società egoista, cattiva, così lontana da tutto quello che già invece tu avevi nel cuore” (Ibidem, pag. 123).

L’amica è vicina a Dolores nei momenti più difficili della sua vita, soprattutto nel periodo in cui Dolores aveva ospitato in casa Andrea Gaggero. “Questi, nato da una famiglia molto umile, entrato prestissimo in seminario, una volta presi i voti si era dedicato ai diseredati ed aveva preso parte attiva alla resistenza nell’entroterra ligure. Era stato deportato a Mauthausen da dove, alla fine della guerra, era riuscito vivo ma con gravi problemi di salute. Nel 1950 aveva partecipato a Varsavia al Congresso dei Partigiani della Pace e vi aveva tenuto un acceso discorso. Questa era stata la causa del suo allontanamento da Genova e del processo da parte del Sant’Uffizio che si sarebbe concluso nel 1953 con la sospensione a divinis” (Ibidem, pag. 110). A Roma, Dolores lo prese sotto la sua protezione, ospitandolo in un’ala del suo appartamento di via Fracassini, mantenendolo in tutto. Lo accompagnò in Unione Sovietica per ritirare il premio Stalin, per la Pace. Come ringraziamento per tutte queste attenzioni, Andrea lascia Dolores e mette incinta una giovane donna, per altro anche lei ospite di Dolores Prato nella sua casa romana.

Dolores Prato era dotata di una grande generosità Amava circondarsi di tanta gente, lei che nell’infanzia aveva frequentato solo la casa di don Domenico e Paolina Ciaramponi, di Treia, e nell’adolescenza l’Educandato delle Visitandine, dove aveva ricevuto una educazione religiosa un po’ bigotta e al limite della superstizione. Nei salotti romani aveva conosciuto Sibilla Aleramo, al secolo, Rina Faccio, di cui non aveva nessuna stima: “Io l’ho sempre disprezzata, tanto che ho rifiutato di darle la mano. Si atteggiava a sinistra, ma in realtà era mantenuta dagli industriali. E’ stata per anni ospite di Pirelli; esibiva le pellicce regalatele e che poi vendeva; e di casa Savoia: sosteneva di dover scrivere un libro, il che le consentiva di passare mesi e mesi a Capri a loro spese” (Ibidem, pag. 116).

Dolores Prato tiene un piccolo diario per tutto il corso degli anni ottanta del secolo scorso. Il racconto che lei fa di se stessa viene riportato nelle ultime nove pagine del libro. Sempre più malandata, respirando anche male, aveva bisogno di tenere in casa una bombola d’ossigeno. Nel novembre del 1982, raccogliendo delle erbacce, cade e si rompe il femore. Accompagnata da Cecilia, una ragazza che l’accudiva, viene portata d’urgenza al Santo Spirito e viene operata. Dopo la degenza in ospedale viene ricoverata presso la Villa dei Pini ad Anzio, dove muore alle diciotto del 13 luglio 1983. Bello il libro saggio – biografia di Stefania Severi su Dolores Prato. Nella copertina è riprodotto un disegno a grafite di Ines Ferri Ferrari, Dolores a ventuno anni.

Raimondo Giustozzi

 

 

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