L’Alleanza deve trovare un modo per affrontare la crescente aggressività di Mosca contro le esportazioni ucraine
La Nato ha un problema sempre più complicato nella parte occidentale del Mar Nero: come affrontare il dilagare dell’aggressività della Russia contro le esportazioni ucraine senza innescare un’ulteriore escalation.
Il tentativo dei Kyjiv di andare avanti da sola dopo che Mosca è uscita unilateralmente dall’iniziativa per i corridoi sicuri nel Mar Nero sta dando i primi, incoraggianti, risultati. Negli ultimi giorni le materie prime dell’Ucraina stanno tornando a dirigersi verso gli acquirenti tradizionali in Europa e Asia, navigando attraverso il nuovo corridoio marittimo nel golfo di Odessa.
Secondo i dati di tracciamento delle spedizioni messi insieme da Bloomberg, almeno tre navi cargo sono in rotta verso la Spagna e altre tre rispettivamente verso Paesi Bassi, Egitto e Singapore. Nel frattempo, le navi partite nei giorni scorsi sono arrivate in Romania, Bulgaria, Italia e Israele, con carichi di prodotti cerealicoli, grano e metalli. Altre otto navi si trovano all’interno o nelle vicinanze dei porti di Odessa, e dovrebbero partire nei prossimi giorni.
Per l’economia ucraina queste entrate sono una boccata d’ossigeno di cui il Paese ha un disperato bisogno, poiché le esportazioni cerealicole di quest’anno sono inferiori di almeno un quarto rispetto alla stagione precedente, quando l’accordo sul grano era ancora in vigore. Gli armatori infatti sono molto cauti, la minaccia russa è ancora presente e i rischi – e di conseguenza il costo dei premi assicurativi delle navi cargo – restano alti.
Fin dalla l’uscita dall’accordo, a luglio, la Russia ha minacciato di trattare tutte le navi in viaggio verso l’Ucraina come potenziali trasportatori di armamenti e quindi come bersagli legittimi. Ad agosto, i russi hanno aperto il fuoco su una di esse per costringerla a fermarsi per un’ispezione, dimostrando di essere pronti a dare seguito alle minacce.
Per aggirare e ridurre il rischio degli attacchi russi, Kyjiv sta cercando di mettere in sicurezza una rotta che, costeggiando la costa più occidentale del golfo di Odessa, permette alle navi di passare direttamente dalle acque di competenza dell’Ucraina a quelle della Romania. In teoria questo dovrebbe essere sufficiente a tenere lontani navi e aerei russi, che non vogliono un’escalation che coinvolga un Paese della Nato.
Tuttavia, lo scorso fine settimana i radar rumeni hanno rilevato una violazione del proprio spazio aereo da parte dei droni russi che attaccavano le infrastrutture agroalimentari ucraine nel delta del Danubio – l’ultimo di una lista ormai abbastanza lunga di incidenti simili – e anche la vicina Bulgaria rinveniva i detriti di un drone militare sulle coste del suo territorio.
Inoltre, al largo delle coste di entrambi i Paesi il pericolo posto dalle mine marine russe alla deriva, e i disturbi ai segnali Gps, rischiano di causare incidenti e collisioni tra le navi mercantili, innalzando il livello d’allarme per la navigazione civile.
Tutto ciò sta spingendo la Nato a prendere una posizione. Per ora si tende a considerare tutti questi episodi come incidenti, ma il capo di Stato maggiore delle forze armate rumene, Daniel Petrescu, ha fatto eco alla lettura degli eventi del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, quando due settimane fa ha sottolineato la necessità di essere vigili contro i possibili incidenti.
«La guerra della Russia e gli attacchi vicino ai confini della Romania sono sconsiderati e destabilizzanti», aveva detto Stoltenberg , affermando tuttavia che i detriti dei droni rinvenuti sul suolo romeno non erano il risultato di un targeting di obiettivi sul territorio della Nato.
Anche se casuali però, questi episodi cominciano a essere troppi. Finora se ne contano, in via ufficiale, almeno una dozzina. Secondo alcuni esperti questo fa parte della strategia russa per valutare fino a che punto può spingersi senza chiamare in causa la Nato, una tattica che serve a sondare i limiti e le cosiddette “linee rosse” dei Paesi occidentali. Se il Cremlino percepisce la risposta degli alleati come debole, si sentirà legittimata a innalzare ulteriormente il livello di aggressione, anche in modo non convenzionale.
Per esempio, durante l’estate la Russia ha dichiarato pericolosa per la navigazione una sezione del Mar Nero all’interno della zona economica esclusiva della Bulgaria, ostacolando il transito delle merci, l’esplorazione per la ricerca di giacimenti di gas naturale, e altre attività commerciali di Sofia.
La Nato per ora sta cercando di ottenere maggiori informazioni sugli incidenti e avverte Mosca dei rischi di un’escalation. L’alleanza però è stata lenta nell’eguagliare la Russia nel dare priorità alla difesa attorno al Mar Nero, e solo l’anno scorso ha istituito gruppi di battaglia permanenti e operativi in Romania e Bulgaria.
Mosca rappresenta una minaccia costante di guerra ibrida e operazioni di destabilizzazione, non solo nel Mar Nero. Martedì il governo finlandese ha denunciato una perdita nel gasdotto sottomarino Balticconnector e dei danneggiamenti a un cavo di telecomunicazioni che collega la Finlandia all’Estonia, aprendo un indagine per scoprire le responsabilità di quello che è stato definito con alta probabilità non la conseguenza di un incidente, ma di un sabotaggio dall’esterno.
Per procedere con le riparazioni il gasdotto sarà messo fuori servizio per cinque mesi, ma anche se per Helsinki non si tratta di un danno eccessivo, l’accaduto solleva grosse preoccupazioni sulla sicurezza delle infrastrutture sottomarine dei Paesi della Nato. Una capacità di difesa che qualcuno sta mettendo alla prova, per vedere fino a dove può spingersi.
Dopo gli orrori degli ultimi venti mesi in Ucraina, e degli ultimi quatto giorni in Israele, i Paesi occidentali devono prendere atto che le minacce non vanno mai sottovalutate.
Linkiesta, Esteri, 12 ottobre 2023.
Federico Bosco
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