“Decimo Dan” è una silloge che raccoglie le liriche composte in un arco temporale di oltre 2 decenni (1999-2021).
Il titolo scelto fa riferimento alle arti marziali, una metafora che si addice all’ idea di poesia dell’autore, espressione per lui al massimo grado della consapevolezza che si raggiunge con l’ispirazione e la scrittura.
L’idea di fondo è stata disporre, nel tempo, i componimenti in una sorta di concept, un po’ come gli LP musicali che dipanano un tema in sezioni e lo risolvono con l’ultimo brano.
Le metriche che Marco Plebani ha usato sono varie: dal sonetto, al verso libero, al madrigale, fino alla còbbola provenzale; il tutto all’insegna di un prepotente andamento allitterante che non disdegna, però, anche l’uso delle figure semantiche più ad effetto, arrivando persino al calembour.
I versi sono per lo più endecasillabi e/o versi sillabicamente dispari.
DALLA PREFAZIONE E DALLA POSTFAZIONE
“Mentre scrivevo la lettura ha trasformato l’ansia per la prefazione in un cammino senza ostacoli. Questa silloge di versi dispari (per la maggior parte settenari ed endecasillabi da decifrare, talvolta, secondo forme e figure dei miti) scorre leggera, a tratti pacata, a tratti oscura, ma senza la necessità di ricorrere a manuali. Come tutte le sorprese l’interpretazione stava proprio lì, dietro un angolo.
La brezza mossa dallo sfogliare delle pagine odora di fresco aliseo che spinge l’equilibrata velatura di questo libro verso porti di piacevole soggiorno. Bastano quattro o cinque versi per entrare dapprima intimoriti per uscirne poi soddisfatti, col gradito mistero di un racconto. Piccole ebbrezze d’incursioni corsare nel mito, grazie alle quali non si staziona nel genere, ma si gode della “commedia umana”. (CITAZIONE PREFAZIONE di Piermarino Simonetti)
“Si potrebbe parlare di una mistica amorfa, l’autore quale giovane Orfeo che semina sogni agrodolci, con la sua estasiata lirica, mentre spunta dalle zolle il suo accattivante fraseggio, un dolore di morbida tessitura, uno sguardo di placido amante. Il mio grazie per questo invito e questa sfida, ascoltare poeti che aiutano a trattenere le immagini più fervide dell’umano apre, senz’altro, alla grazia dell’incontro.” (CITAZIONE POSTFAZIONE di Ricardo Perèz Marquez)
STRALCIO LIRICHE
ADRIATICA
Sulle nostre rive
il boato e lo schiaffo delle onde.
Pensaci, adriatica ninfa,
miliardi di anni
sono intercorsi
dalla prima cellula
alla tua bocca che parla del tuo sogno di ieri,
il nostro di domani.
Il sogno è concentrico al sogno
che s’avvinghia sanguineo nei corpi.
CHERNOBYL
Non ho pianto quando Chernobyl
sotto forma di nube al cancro
rubò i miei giochi esposti
in terrazzo.
Né quando mia madre
la serenità perse e non fece finta di nulla.
Né quando mio padre si è sigillato,
chiuso per sempre nel suo dolore
e nel trafitto silenzio: “Addio fratelli dispersi”.
Né quando,
per giorni,
mia sorella si è sentita
completamente sola
sotto un sole ripieno di sorrisi.
Né soprattutto
sopr’ogni cosa,
quando nel’87 gli infermieri mi hanno chiesto
di “gonfiare un palloncino”
in una sala operatoria.
Anestesia totale.
Mi svegliai burattino nei legni dolente.
Ho pianto ogni volta che qualcuno è morto
ed una parte di me ha camminato
per sempre nei cortei funebri.
Troppo preziose e troppo rare
le lacrime di un uomo.
PASSEGGIATA A SENIGALLIA
Fredda sera quella di metà Marzo;
d’ameni sorrisi risuona
il sentiero stradale di Senigallia
che brulica alcolico in tribù
ancor poco popolose, col mare
ancora avvenire, lontano, ad un passo.
Non sentirò quell’inizio d’estate
ancora avvenire, lontano, ad un passo
da casa.
Eravamo ragazzini
consimili alle more dei rovi,
sincarpi sugosi del gelso bianco.
SALARIA
Ascoli, ostile sembri e travertina,
ma lesta mi apri a un abbraccio.
Da te diparte la Salaria carraia,
calle percorso assieme ai precari
come me.
Un’arteria stradale nella nebbia,
una mattinata di luglio pesto.
A Roma, mistero dei ministeri[1],
si respira afa indifferente
e indolente arraffataggine,
mentre polizia e carabinieri
proteggono burocrati abbigliati
da gangster con in bocca un sigaro.
VALE DI PIÙ
Essere innamorato di te fa male
e vale di più della
crisi nervosa che attanagliante
ricopre mio corpo nudo tremolante,
di plumbee giornate in cui sfortuna
accanisce incisiva,
della vigna che prepara il vino
per la tua bocca,
di chi è passato e ha lasciato
strisce di sangue pubico,
del sanguine di Cristo
e dell’ideal marxista-leninista,
del tuo volto che s’asconde ancora
alla mia sessualità erettile,
inopportuna ed ansiogena.
Essere innamorato di te è un
Mistero conficcato nel palpito.
HANNO DETTO DEL LIBRO (recensioni)
“Lo scenario che si apre per chi legge è un mondo fatto di magiche suggestioni, ma anche riflessioni profonde e talvolta taglienti. Plebani non parla di cose distanti da lui ma di esperienze vissute, fatti personali che si consacrano di eterno una volta sulla carta.” (MELANIA MENDITTO sulla rivista on line ‘900 LETTERARIO)
“Sarebbe, se non più facile, forse più corretto concentrarsi sui versi e sulla metrica quando ci si trova di fronte a un libro di poesia, ma le pagine di Marco Plebani, una volta terminata la lettura, ci obbligano a soffermarci sulla profondità e sul significato delle sue composizioni.
Scrivere di un libro di poesia è impresa ardua perché la grandezza della poesia sta nella possibilità offerta al lettore di scrutare in parte nell’animo di chi ha scritto e, in parte, nel proprio.
Colpisce, leggendo i versi di Plebani, la sua capacità di dare alle parole, non solo il giusto peso ma una profondità in grado di aprire orizzonti interiori in cui scrutare, in cui perdersi e in cui ritrovarsi, una peregrinazione di pensiero agevolata dagli spunti quotidiani da cui i versi traggono origine.
Ed è proprio il rapporto con il quotidiano che apre un ciclo di scansione temporale diviso in tre sezioni che paiono quasi rappresentare i passaggi obbligati di un percorso laico di crescita e riflessione personale, un percorso che i versi sembrano quasi offrire la possibilità al lettore di compierlo parallelamente all’autore.
Poche cose come la poesia sono in grado, con brevità, di toccare le nostre corde più profonde, una sensazione che in “Decimo Dan” è amplificata dalla scelta dell’autore di concentrarsi su dettagli dai quali i versi sembrano quasi fiorire con uno stile non ingessato e convenzionale.
Quando un autore è in grado di trasformare l’anima dei fatti di vita in versi, genera poesie di rara potenza; una potenza che in “Decimo Dan” emerge dalla prima all’ultima pagina.” (CHIARA BONIARDI sul blog “LIBRIAMOCI”)
“Plebani ci informa che è solo grazie all’acquisizione silente di rime, ritmo e musicalità che possiamo osservare il volto dietro il volto, la verità dietro la menzogna e l’essenza dietro il quotidiano.” (ALESSANDRA MICHELI sul blog “LE FLEURS DU MAL”).
[1] Composta dopo una protesta di docenti dinanzi alla sede trasteverina del MIUR.
Vi ringrazio caldamente della pubblicazione di questo articolo.
un abbraccio.
Marco