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Così vicina, così lontana | L’invasione della Georgia da parte della Russia e la complicità muta dell’Occidente

Invasione Georgiada Raimondo Giustozzi

Sono passati quindici anni da quando Mosca ha attaccato Tbilisi. Una guerra durata cinque giorni e già passata alla storia come il momento spartiacque, in cui Putin ha capito che l’Europa non avrebbe reagito: pochi anni dopo è arrivata l’occupazione della Crimea, e una guerra civile in Donbass

Sono passati quindici anni da quando la Russia ha invaso la Georgia, una guerra che ha lasciato sul terreno argomenti che permangono tutt’ora e lanciato segnali che all’epoca furono ignorati. Dopo mesi di tensione alimentate da Mosca nell’agosto del 2008 un scontro tra le truppe di Tbilisi e le forze separatiste appoggiate dal Cremlino nel territorio georgiano nell’Ossezia del Sud diedero inizio all’invasione russa, che si estese rapidamente anche all’Abkhazia. La guerra durò cinque violentissimi giorni in cui morirono più di duecento soldati e trecento civili, costringendo migliaia di georgiani a lasciare le zone in cui vivevano.

Dopo la guerra la Russia riconobbe l’indipendenza degli Stati fittizi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, inviando truppe permanenti per rafforzare la sua impronta militare nel Caucaso meridionale. Ancora oggi il venti per cento della Georgia rimane occupato da soldati russi e forze filorusse, e nonostante il miglioramento delle relazioni russo-georgiane il Cremlino continua a usare la sua presenza militare per destabilizzare il Paese.

Qualche giorno fa Dmitry Medvedev, oggi vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo e da sempre braccio destro di Vladimir Putin, per celebrare il riconoscimento delle due regioni separatiste ha detto che Mosca potrebbe decidere di annettere l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia «se ci fossero delle buone ragioni per farlo», accusando l’Occidente di creare tensioni nel Paese discutendo della sua possibile ammissione alla Nato.

Per la Russia i georgiani sono è ancora colpevoli di desiderare l’Alleanza atlantica, anche se il governo della Georgia ha messo da parte le ambizioni atlantiste e sta concentrando i suoi sforzi per entrare nell’Unione europea, per la quale ha presentato domanda ufficiale a maggio dell’anno scorso.

Senza successo, poiché a pesare sulla richiesta della Georgia permane la fragilità delle istituzioni democratiche e la scarsa trasparenza del sistema economico, che ha portato Bruxelles a rifiutargli lo status di Paese candidato (a differenza di Ucraina e Moldavia) limitandosi al riconoscimento della “prospettiva europea” di Tbilisi. Ma nonostante i limiti del suo governo, la popolazione georgiana vede nell’Europa il suo futuro, e si sente vicina a ucraini, moldavi e bielorussi. Come quindici anni fa.

L’invasione della Georgia del 2008 è stata la prima volta dalla caduta dell’Unione Sovietica un cui l’esercito russo è stato schierato contro uno Stato nazione indipendente, dimostrando la volontà di Putin di usare la forza militare per raggiungere i suoi obiettivi politici anche all’esterno dei confini della Federazione russa.

Fu un momento spartiacque, che avrebbe dovuto segnare la fine della fiducia incondizionata dell’Occidente nelle relazioni con la Russia di cui stava beneficiando il regime di Putin, nonostante l’uomo forte del Cremlino avesse già dimostrato tutta la sua disinvoltura nell’usare la violenza per disciplinare le regioni separatiste, come la Cecenia, e per eliminare gli oppositori politici e le voci scomode, come la giornalista Anna Politkovskaya uccisa nel 2006.

La guerra russo-georgiana del 2008 oggi viene ampiamente riconosciuta come un punto di riferimento nella transizione dall’era della cooperazione tra la Russia post-sovietica e l’Occidente a un clima di relazioni sempre più tese, ma all’epoca la reazione all’aggressione russa della Georgia si rivelò estremamente debole, Mosca non subì grosse conseguenze.

Al contrario, il cessate il fuoco negoziato dall’allora presidente francese Nicolas Sarkozy per conto dei leader dell’Unione favorì gli interessi russi, mentre un anno dopo gli Stati Uniti della nuova amministrazione di Barack Obama si affrettarono a chiedere un reset delle relazioni con il Cremlino, celebrato con la stretta di mano tra Obama e Medvedev (all’epoca presidente russo) al G20 di Londra dell’aprile 2009. Successivamente la Germania continuò a sviluppare il gasdotto Nord Stream (inaugurato nel 2011) e a progettarne il raddoppio, aumentando insieme all’Italia la dipendenza dal gas russo. Neanche la partecipazione della Russia al G8 fu messa in discussione.

Comprensibilmente, a Mosca hanno considerato questo approccio così accomodante come un riconoscimento informale di quella che considerano la propria sfera di influenza russa, con licenza di aggressione.

Sei anni dopo la guerra russo-georgiana la Russia ha intrapreso una campagna militare contro l’Ucraina – anch’essa colpevole di cercare la sicurezza della Nato e le opportunità dell’Europa – occupando la Crimea e scatenando la guerra civile nel Donbass riesumando il copione del genocidio da parte del governo locale contro la popolazione russofona (già visto in Georgia), fino all’invasione su vasta scala dell’anno scorso.

Sono più di quindici anni che Putin dichiara apertamente la sua visione del mondo e dimostra le sue intenzioni imperialiste. Nel celebre discorso della Conferenza di Monaco del 2007 condannò «il dominio monopolistico degli Stati Uniti» e il suo «uso quasi illimitato della forza nelle relazioni internazionali». Il presidente russo disse apertamente di considerare l’allargamento della Nato come una minaccia per la Russia, con parole che oggi sono considerate da alcuni storici e analisti come una dichiarazione di guerra che l’Occidente non seppe interpretare, e da altri un avvertimento dei «legittimi interessi di sicurezza russi» che non si è saputo cogliere.

Tuttavia, ancora oggi le parole di Putin e dei membri della sua cerchia più stretta come Medvedev non vengono ascoltate abbastanza seriamente, e ci si stupisce che un dittatore che ha scatenato guerre, smembrato nazioni e ucciso oppositori politici elimini platealmente il suo luogotenente ribelle. Eppure era tutto evidente: nel 2006, nel 2007, nel 2008, nel 2014, il 24 febbraio del 2022, e ogni giorno da allora.

Esteri, 26 agosto 2023, Linkiesta, di Federico Bosco

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