Il secondo principio
Marco Malvaldi
Scienza (fisica, chimica)
Il Mulino Bologna
2021
Pag. 135euro 12
Valerio Calzolaio
Nel tempo e nello spazio. Sempre e ovunque, probabilmente. La formula è scritta nel titolo, la sua traduzione dice più o meno: “in un sistema isolato l’entropia è una funzione non decrescente nel tempo”, o aumenta o resta eguale, dal che ne vien fuori che l’entropia dell’universo fisico o di un qualsiasi sistema isolato è destinata ad aumentare nel tempo. Questo dice in sostanza il secondo principio della termodinamica, una delle poche formule veramente figlia del pensiero collettivo, che ha attraversato quasi due secoli lungo i quali ha rivelato gradualmente la sua natura, differente dal disordine cui viene talora superficialmente assimilata. Sistema isolato? Entropia? Funzione? Aumenta? Beh, si parla di noi, di quel che abbiamo intorno, dei fenomeni fisici e chimici qui e altrove, dei connessi fattori biotici e abiotici di ogni ecosistema. Tutto nacque da un problema pratico relativo a due processi, quello legato al calore e quello legato al lavoro. Il calore è un trasferimento di energia che causa una variazione di temperatura, il lavoro è un trasferimento di energia che causa una variazione di posizione. Trasformare il lavoro in calore è facile, invece trasformare il calore in lavoro risulta molto complicato, non basta una sorgente di calore, serve un’apposita macchina e comunque non è possibile trasferire tutta l’energia e convertire completamente calore in lavoro, la qualità dell’energia è destinata a degradarsi (da cui l’entropia). Gli scienziati ci riflettono da secoli, poi scienziati e imprenditori si applicarono molto all’uopo a fine Settecento, nell’Ottocento e a inizio Novecento ragionando soprattutto prima proprio sulle macchine a vapore, poi su particelle e atomi (e probabilità) e su sistemi più o meno isolati. Così cominciò la termodinamica come scienza: James Watt, Sadi Carnot, James Prescott Joule, Rudolf Julius Emanuel Clausius, Jean Perrin, Ludwig Boltzmann, James Clerk Maxwell, Claude Elwood Shannon, Betty Moore, Josiah Willard Gibbs, lo stesso Albert Einstein.
Il chimico, grande allegro scrittore e notevole multidisciplinare scienziato, Marco Malvaldi (Pisa, 1974) prosegue la sua opera di comunicazione scientifica, parallela all’attività di autore di noir di forte impronta umoristica. Il secondo principio è stato visto da molti come la dimostrazione che tutto è destinato a finire, ma va letto invece come una sfida per il presente a prevedere il futuro con migliore approssimazione: certo, è difficile fabbricare macchine e strutture efficienti, ma questa difficoltà ci spinge a costruirle in modo intelligente e a migliorarle in continuazione. L’autore si concentra sui principi della termodinamica, sul primo agli esordi, sulla formula di svolta del secondo, sul terzo e i seguiti contemporanei. Sfruttando l’organizzazione e la diversificazione della materia a scale diverse, si può utilizzare per i propri scopi il secondo principio. Che sia un essere vivente o una fabbrica chimica, ogni ente complesso sfrutta al meglio le naturali fluttuazioni dell’ambiente in cui si trova grazie al concetto di gerarchia. Ogni dimensione, ogni ingranaggio dà in funzione di quello che può dare: ma grazie alle sue ridotte dimensioni, gli ingranaggi che stanno alla base della vita sono in grado di sfruttare le fluttuazioni per creare ordine dal disordine. Questo “teorema di fluttuazione” ha a che fare anche con l’organizzazione, strato per strato, del nostro organo più delicato: il cervello. Occorre cambiare minimizzando le sorprese legate ai cambiamenti, esterni e autoprodotti. Nel testo vi sono ovviamente molte altre formule, varie definizioni e figure, corredate dal solito stile colloquiale, da continui riferimenti alla propria chimica, da esempi accattivanti, con qualche supponenza di troppo a favore delle scienze fisiche e chimiche, talora disinteresse o fastidio per biologia ed ecologia, o per gli ambientalisti ecologisti. Come caratteristico della bella originale collana, bibliografia ridotta e nessun indice dei nomi.
v.c,.
Recensione Donne romane in esilio a Ventotene
Donne romane in esilio a Ventotene. L’opposizione politica femminile tra Augusto e Domiziano
Mariarosaria Barbera
Presentazione di Silvia Costa, prefazione di Paola Refice
Storia
Ultima Spiaggia Genova-Ventotene
2021
Pag. 76euro 18,50
Valerio Calzolaio
Ventotene. I secolo d.C. Nella storia contemporanea delle isole ponziane sono noti più uomini che donnefra confinati e deportati. Durante il regime fascista a Ventotene vissero comunque due protagoniste come Ursula Hirschmann e Ada Rossi; mentre a Santo Stefano le donne hanno intrecciato fortemente l’esistenza con condannati al terribile Ergastolo e con il personale carcerario; mogli, madri, figlie, testimoni di vicende dolorose e spesso tragiche. Nella storia antica sei importanti donne romane della famiglia giulio-claudia e flavia vennero esiliate là esiliate durante l’intero arco del I secolo d.C., per sostanziali ragioni di lotte dinastiche, non certo per formali accuse di dissolutezza dei costumi. È, infatti, durante l’avvento del nuovo “principato” augusteo (dal 30 a.C. al 14 d.C.) che vengono introdotte precise disposizioni legali relative ai due istituti giuridici del confino romano ad insulam. La svolta si ha nel 2 a.C. all’interno del pretestuoso processo per adulterio che coinvolge Giulia, la figlia maggiore di Ottaviano Augusto (63 a.C.-14 d.C.), privo di eredi maschi diretti: Giulia viene “relegata” su un’insula imposta dal padre padrone, a Pandataria (Ventotene oggi), in parte con la madre Scribonia; lo stesso destino tocca ad almeno uno dei amanti Sempronio Gracco, a Cercina (arcipelago davanti alla costa africana oggi tunisina); mentre l’unico altro uomo di cui è noto il nome, Iullo Antonio, viene indotto a suicidarsi. Successivamente, altre quattro donne romane (Agrippina Maggiore, Livilla, Claudia Ottavia, Flavia Domitilla) delle famiglie giulio-claudia e flavia furono esiliate a Ventotene: i comportamenti dissoluti femminili furono l’alibi per disfarsi di presenze ingombranti rispetto a strategie ereditarie e lotte di potere maschili.
L’archeologa Mariarosaria Barbera(San Giorgio a Cremano, 1955)compie una bella operazione di ricostruzione storica sul primo uso a carcere dell’isola di Ventotene. L’esilio era apparentemente “dorato”, con ancelle e servitori nella splendida villa imperiale a Punta Eolo (costruita per svago e ozio, godibili solo durante le stagioni calde), in realtà crudele e vendicativo, espressione della gerarchia sociale e culturale di genere. Le condannate per “adulterio” nei primi due secoli dell’impero furono centinaia. Giulia inaugurò la pena in un luogo privo di agglomerati sociali, condannata al silenzio e a perdere “ogni delicatezza di vita”, ovvero per esempio al non bere vino e al non poter ricevere uomini (solo donne e autorizzate). Le condanne si conclusero con la morte sull’isola in tre casi o con l’ulteriore esilio per Giulia, fino alla morte a Reggio. La narrazione è piana e meticolosa, intervallata da riquadri di approfondimento di episodi storico-biografici (i tre matrimoni di Giulia, Antonio e Cleopatra, la villa di Punta Eolo e l’isola di Ventotene) o delle figure maschili “di contorno”, gli imperatori in genere (Augusto, Germanico, Caligola, Nerone, Domiziano). Al centro vi è un interessante apparato iconografico, figure con immagini di sculture, planimetrie e vedute aeree; in fondo un’accurata bibliografia; all’interno del retro di copertina l’albero genealogico della famiglia giulio-claudia.
v.c.
Invia un commento