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Libri. Luigi Bettazzi, A tu per tu con Dio

dMtCdVMTicqm_s4-mbdi Raimondo Giustozzi

L’eternità è un mondo misterioso per noi umani, strutturati per inquadrare tutto nello spazio e nel tempo: l’eternità è al di fuori del tempo, inimmaginabile … Ma, se l’eternità è fuori dal tempo,  viene da pensare che il giudizio avviene quando si entra nell’eternità, cioè per ciascuno al momento della morte, e se il giudizio è basato sull’atteggiamento in cui ciascuno si trova, ciascuno si costruisce la propria eternità vivendo convenientemente nella sua vita terrena: il paradiso o l’inferno ce lo costruiamo noi giorno per giorno” (Luigi Bettazzi, A tu per tu con Dio, pp. 81 – 82, Edizioni Dehoniane Bologna, 2023, Bologna).

“Con queste riflessioni il vescovo emerito di Ivrea ha anticipato il suo incontro con la Persona che da sempre lo ha cercato e accompagnato, rendendosi presente nella sua preghiera e nel suo impegno cristiano e umano. Un testamento spirituale che chiama a immaginare la bellezza di Dio; il testamento spirituale di un uomo che è sempre stato dalla parte degli ultimi, che ha sempre insegnato la pace e la non volenza, che ha sempre saputo osare e sognare con generosità e coraggio” (Luigi Bettazzi, A tu per tu con Dio, op. cit. risvolto di copertina).

Con il tono anche scherzoso, come era solito fare, mons. Bettazzi, nelle primissime pagine del libriccino scrive che davanti ad altre pubblicazioni che gli era capitato di leggere, non pensava affatto di pubblicare quanto “poteva risultare retrogrado e ampiamente sorpassato. Eppure, proprio per questo lo pubblico, e non solo per non perdere mesi di fatica, ma anche perché a qualcuno, interessato e curioso, come me, forse quella può risultare una tappa verso le stravaganze più moderne” (Ibidem, pag.16, op. cit.).

Cercare e immaginare Dio, avvicinarsi a Lui con la preghiera e con il digiuno, questo è quello che deve fare il credente, ma anche chi ha sete di assoluto, come colui che cerca la giustizia e la libertà a cui subordina il proprio comportamento e la vita. Sono i primi due piccoli capitoli del libretto. È Dio che cerca (l’uomo), a tu per tu con Dio, a tu per tu ora e sempre sono gli altre tre capitoli del libriccino. Il tutto è scritto con un linguaggio semplice, denso di riferimenti continui alle fonti del Vecchio e Nuovo Testamento. Scrive ancora nella premessa mons. Bettazzi: “Da tempo mi colpisce il discorso su Dio. E non solo quello tradizionale, trasmessomi dal catechismo e dalla teologia, ma quello in uso oggi, iniziato con “la morte di Dio”, “oltre Dio”, “al di là del teismo, e simili” (Luigi Bettazzi, premessa, op. cit.).

Cercare Dio

“Quando nasciamo ci troviamo in un mondo più gande di noi, che ha un suo scorrere complesso, in cui veniamo inseriti marginalmente e del quale vivremo. Quando poi moriamo, lasciamo che questo mondo continui la sua vita complessa, e lo farà tranquillamente (più o meno) anche senza di noi. Per poco che ci riflettiamo, concluderemo che il singolo è transitorio, incide in qualche modo sulla vita dell’insieme ma non rimane se non nella memoria degli altri e nei risultati (talora pur rilevanti) della sua attività. Questo ci dà la segnalazione del relativo e di ciò che lo supera, e ci avvia a concludere che, al di là dell’insieme dei relativi, ci sia un assoluto che li sovrasta” (pag. 17).

Questo desiderio di assoluto, nell’antica Grecia, viene tradotto in miti, fatti o storie che corrispondono alla vita o alla storia degli esseri umani, creando il mondo delle religioni. I pensatori greci avevano prospettato che il tempo (Kronos, in greco traslitterato) divorasse tutte le cose, salvo un suo figlio (Zeus) che ha ingoiato il tempo, cioè lo ha annullato, continuando quindi ad essere. Questo principio di assoluto (ab – solutus, ab (preposizione) = da; solvo, solvis, solui, solutum, solvere (verbo) = sciogliere. L’assoluto è un qualcosa che è sciolto dalla finitezza. In una parola è la divinità, il principio di tutti i valori, come il sapere, la bellezza, la virtù, l’amore, impersonati da divinità minori (Apollo, Venere, Diana, Marte). Zeus, che vive sul monte Olimpo, scende di notte sulla terra, si unisce a donne che generano uomini eccezionali, semidei, come Teseo, Ercole. Le divinità dell’antica Grecia rimangono le stesse presso Roma anche se chiamate con nomi diversi e si diffondono in tutti i territori conquistati dai romani. In altre parti, in Asia, in Africa, in America, ogni popolo crede in divinità che governano il mondo e indicano agli esseri umani come comportarsi perché la convivenza sia pacifica.

Nel Medio Oriente, presso il mondo ebraico, si afferma invece il Monoteismo (monos = uno solo, Theos = Dio, ambedue termini greci traslitterati), l’esistenza di un solo Dio (Elohim, che è un plurale). Gli ebrei, liberati dalla schiavitù dell’Egitto, apprendono da Mosè sul monte Sinai che questa divinità è un Dio misterioso. Si preoccupa di loro. Stringe con loro un’alleanza, che non dimentica mai, anche quando gli ebrei la trascurano per rivolgersi agli dei (i “Baal”) degli altri popoli. Verso questo Dio si costruisce un tempio e si costituisce un culto, al cui servizio si dedicano i discepoli della tribù di Levi. Con la perdita della propria indipendenza ad opera degli Assiri, dei Babilonesi, dei Diadochi ed infine dei Romani, i sacerdoti del tempio diventano capi del popolo, con un sinedrio (sun = con, insieme + edra = seggio, termini greci traslitterati) centrale, un’assemblea, consesso, di cui tutti gli occupanti devono tener conto. Il futuro Messia (in ebraico significa “Unto”) dovrà riportare il popolo ebraico alla libertà e alla riconquista della propria passata grandezza.

“È a questo punto che un uomo di Nazaret, di nome Gesù presenta una nuova Alleanza, di carattere interiore e universale, proclamandosi Figlio di Dio e si presenta come il nuovo Messia. Percorre tutta la Palestina, che allora era così costituita: al Nord la Galilea con Nazaret, al Sud la Giudea con Gerusalemme e Betlemme, in mezzo la Samaria, la cui popolazione era considerata semipagana. Gesù giunge a Gerusalemme con dodici discepoli, galilei, che lui aveva scelto e con tanta gente, colpita dai suoi miracoli e dai suoi discorsi, che privilegiano gli esseri più poveri e i più emarginati” (ibidem, pag.20). I “Vangeli” e le allusioni fatte dai discepoli successivi, in particolare da san Paolo nelle lettere indirizzate alle nuove chiese, ci raccontano tutta la predicazione di Gesù.

“Tutto il mondo di Gesù viene a sconvolgere il sistema costituitosi, minando la supremazia delle alte posizioni sacerdotali e di quanti interpretano le leggi mosaiche, farisei e sadducei … Essi catturano Gesù con la complicità di uno dei discepoli e, dopo un processo alterato, lo affidano al potere romano, da cui sollecitano la morte per crocefissione. Al terzo giorno dopo la sepoltura il sepolcro è vuoto e Gesù appare alla donna più devota, la Maddalena, poi agli undici discepoli, e ad altri. Gli undici, che al momento della morte s’erano dileguati, si rinsalderanno; dopo cinquanta giorni (in Greco “Pentecoste”), ravvivati da una forza che viene dall’alto, cominceranno a predicare quanto Gesù aveva annunciato e a formare piccoli gruppi di credenti” (ibidem, pag. 21). Nasce così la Chiesa e l’ebreo zelante di nome Saulo, proveniente da Tarso, nell’odierna Turchia, convertitosi mentre andava a Damasco per catturare i credenti in Cristo, mutando il suo nome in Paolo, diventerà il diffusore della buona novella (in greco “evangelo” eu (avverbio) = buon, anghello, verbo = annunciare, termini traslitterati) tra i non ebrei, risiedendo per qualche tempo in Antiochia di Siria, dove i credenti in Gesù verranno chiamati “cristiani”. Paolo e Pietro verranno uccisi a Roma, al tempo di Nerone (pp. 22-23).

“Nel VII secolo in Arabia un certo Mohamed (Maometto), dopo aver conosciuto ebrei e cristiani meno virtuosi e sinceri, ha la visione dell’arcangelo Gabriele, che gli detta un libro di verità, il Corano: questo diviene la norma per quanti gli obbediscono (da islam, obbedienza, donde islamisti, poi mussulmani), che costituiranno una nuova religione, la quale, di fronte al Dio dei cristiani che è trino (Padre- Figlio- Spirito Santo) proclama un Dio (Allah) assolutamente unico e inconoscibile (anche se invocato con novantanove appellativi). Il Cristianesimo conosce una prima divisione con la separazione nell’XI secolo degli Ortodossi (seguaci della vera fede) che non accettavano la supremazia di Roma e nel XVI secolo avviene il distacco di alcune porzioni dell’Europa con la nascita della chiesa Protestante ad opera di Lutero, della chiesa Calvinista ad opera di Calvino e della chiesa Anglicana voluta dal re dell’Inghilterra. Anche il mondo islamico è diviso tra “Sunniti” e “Sciiti”. Le divergenze religiose sono in realtà di carattere politico.

L’essere umano può solo pensare a Dio, assolutamente immateriale, attraverso l’immaginazione. Gli antichi pensavano che risiedesse nei templi. La donna samaritana chiede a Gesù se Dio vada adorato nel loro tempio sul monte Garizim (monte Moria, vicino a Sichem, in Samaria) o in quello di Gerusalemme. Gesù le risponde: “Viene l’ora ed è questa in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità … Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità” (Gv 4, 19-24). Sul Sinai Dio prescrive a Mosè e a tutto il popolo ebraico: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo” (Es 20,4). Se per immaginare Dio non possiamo usare la ragione perché questa lavora con “idee chiare e distinte”, possiamo usare l’intelligenza (intus, avverbio = dentro; lego, legis, legi, legere = leggere), capacità di vedere in profondità, anche se sarà sempre un’intuizione approssimativa. Spinoza giunge ad identificare Dio con la natura (natura naturante), da cui deriva, come suoi modi, tutta la natura (natura naturata) ed ovviamente fu scomunicato dalla sua sinagoga ed esiliato dalle autorità cristiane protestanti di Amsterdam (ibidem, pp. 23- 24).

“Nella mia conoscenza approssimativa trovo nella distinzione ragione-intelletto un’analogia con la distinzione che fa Immanuel Kant (1724-1804) tra fenomeno, rivolto a ciò che si coglie con i sensi, ed il noumeno, la realtà profonda che non si può mai raggiungere pienamente … Questo vale anche per il mondo di Dio, dove l’intuizione parte da immagini allusive, che ognuno fa secondo le proprie abitudini mentali” (pag. 25)

Avvicinarsi a Dio

Tutte le religioni incontrano la loro divinità nella preghiera. Lo fanno coralmente quando si riuniscono e invitano i loro membri a farlo personalmente, sia con formule già definite che con formule personali o anche solo con il pensiero… Pregare è mettere tutta la propria fiducia in Dio … Pregare è rendersi conto che è Dio che ci sta venendo incontro … Alla preghiera si accompagna il digiuno, comune a molte religioni … I mussulmani osservano il Ramadan, un mese in cui, dal sorgere fino al tramonto del sole, non si mangia e non si beve” (Ibidem, pp.29- 38).

È Dio che cerca

L’umanità, da sempre, consapevole dei propri limiti, ha aspirato a qualcosa di assoluto, incontrando il quale l’essere umano si sente quasi aspirato, assorbito in questo mondo. In realtà, a pensarci bene l’iniziativa parte da Dio. È Lui che ci cerca. Nell’Antico Testamento Dio chiama Abramo e lo sollecita ad uscire dalla sua terra: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che ti indicherò e farò di te una grande nazione ti benedirò …” (Gen. 12,1-2). Dio chiama Mosè dal roveto ardente, di fronte al faraone, sul Sinai. Quando il popolo d’Israele si stabilirà nella terra promessa, Dio parlerà ai giudici, poi ai profeti.

Nel Nuovo Testamento, attraverso gli angeli, Dio interpella Zaccaria per annunciargli la nascita imprevista di Giovanni Battista, interpella Maria per annunciarle la nascita del figlio di Dio, suggerisce a Giuseppe la fuga in Egitto con la famiglia. Come l’umanità prega e digiuna, anche Gesù la stessa cosa e ce ne dà l’esempio. Alla richiesta degli apostoli e dei discepoli, offre loro come modello di preghiera il Padre Nostro, dà anche dei suggerimenti per pregare bene, di farlo “nel segreto della propria camera”. Il Vangelo di Luca cita spesso che Gesù pregava “tutta la notte”, “in un luogo solitario”, “sul monte”, “senza stancarsi mai”. Pregare è chiedere gazie: “Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete”. Nelle sue lunghe preghiere Gesù ringrazia il Padre per l’amore che è e che dona all’umanità, quindi chiede che l’umanità vinca il male e ottenga il bene, poiché per questo è venuto sulla terra, perché questa è la finalità del Padre. “Se la volontà di Gesù coincide con l’amore, che è il Padre, la su non poteva essere che una volontà di pace … Tutta la vita di Gesù è un messaggio di pace. Da buon ebreo salutava augurando la pace, ma sollecitava i dodici apostoli e i settantadue discepoli a fare altrettanto quando si disperderanno per diffondere la “buona notizia”. Alla pace, frutto della non violenza, corrisponde la mitezza: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt. 11,21).

A tu per tu con Dio

L’espressione va tradotta anche con “Faccia a faccia”.  Se Dio è amore, noi dobbiamo annunciarlo al mondo, realizzare pienamente la nostra umanità, esercitando anche la nostra libertà con tutti i rischi che questo comporta: “Dio rispetta in genere la nostra libertà, influendo a orientarci verso il bene, come persone umane bene indirizzate e generose. Questo è il mondo come Dio lo vuole, con un’umanità accogliente verso di lui e solidale verso gli altri; è quello che possiamo chiamare “Regno di Dio”. La chiesa con il Concilio Vaticano II si riconosce non come il monopolio della salvezza, ma come lievito all’interno di tutta l’umanità: “Le ansie e gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non vi trovi eco nel loro cure” (Gaudium et spes).

Scrive di mons. Bettazzi, il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI: “La rivoluzione Copernicana nella Gaudium et spes (non l’umanità per la chiesa, ma la chiesa per l’umanità) e quella della Lumen Gentium (non i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli) stentano ad affermarsi”, ripeteva. Lui non ha smesso di sognare. Il mio sogno è che ogni cristiano si renda conto della sua vocazione missionaria. La gioia più grande? Essere prete, aggiungeva. Ebbe il premio UNESCO per l’educazione alla pace, perché non si devono subire i violenti e perché la tendenza alla violenza è comune e porta a imbracciare l’arma mentre la non violenza interpone la diplomazia” (Messaggio del card. Matteo Zuppi, pp. 9- 11, op. cit.).

Scrive nella prefazione al libriccino don Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, rivolgendosi al Fratello vescovo Luigi: “Non posso non ricordare un tuo record, che nessuno potrà mai eguagliare, nella partecipazione a tutte le marce per la pace del 31 dicembre, dal 1968, nella notte di capodanno, all’ultima, ad Altamura (nella diocesi di cui sono vescovo), il 31 dicembre, per difendere gli obiettori di coscienza al servizio militare e le varie forme di obiezione … Tu ci hai indicato la passione per la pace e per la non violenza. Una passione che ti ha messo spesso in situazioni di isolamento, dai grandi e dai potenti, ma di gande amore e vicinanza con gli umili e i piccoli” (don Giovanni Ricchiuti, a mo’ di prefazione, pp.5-8, op. cit.).

“Il profeta è morto, viva il profeta. Accattivante il ricordo del vescovo Luigi Bettazzi e il suo appello per osare la pace, tracciato al suo funerale e sulle pagine della stampa che conta. Ma i profeti non sono fatti per piacere, né per restare nella bara. Neppure se ornata dalla bandiera arcobaleno della pace. È sulla loro eredità, pungolo continuo delle coscienze, che si misura ipocrisia e sincerità nel dolore per la perdita. A Bettazzi è capitato quanto già visto per don Tonino Bello, l’altro vescovo presidente di Pax Christi, che lo seguì e ne condivise l’amore sincero e scomodissimo per la pace e come modo migliore e veritiero di stare dalla parte degli ultimi secondo l’esempio di Gesù di Nazaret” (Carlo di Cicco, postfazione, pag.85, op. cit.).

A tu per tu ora e sempre

È l’ultimo breve capitolo del prezioso testamento spirituale di mons. Bettazzi, che così scrive: “Chi non crede nell’aldilà vede la morte come il male assoluto, l’annientamento di sé, così come vede nella morte dei famigliari o amici una perdita di relazioni con l’unico conforto della memoria. Alcune filosofie ci aiutano a vederla con pacatezza, come si guardano le realtà inevitabili. Per chi crede che la vita presente è preparazione della vita eterna già iniziata in noi, la morte potrebbe essere desiderata come qualunque viaggiatore desidera giungere alla conclusione del suo viaggio; dobbiamo riconoscere che questo è l’atteggiamento di chi è pieno dell’amore di Dio e desidera davvero incontrarlo a tu per tu senza le inevitabili distrazioni della vita terrena” (Luigi Bettazzi, A tu per tu con Dio, op.cit. pag. 80).

 

Raimondo Giustozzi

 

 

 

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