di Raimondo Giustozzi
“Io sono sicuro che la differenza fra il mio figliolo e il vostro non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la Parola”. Così scriveva don Lorenzo Milani in una lettera indirizzata al “Giornale del Mattino” diretto da Ettore Bernabei. La lettera non venne mai pubblicata dal giornale. “Tu fai lingua tutto il giorno?”, chiede indignata la collega al maestro Mario Lodi, che arriva a Vho di Piadena nel 1954, lo stesso anno in cui don Milani sale a Barbiana, dopo i sette anni trascorsi nella parrocchia di San Donato a Calenzano. Mario Lodi insegna nella Scuola Elementare, dove applica le tecniche didattiche suggerite da Célestin Freinet, maestro e pedagogista francese, tradotte e sperimentate in Italia dal Movimento di Cooperazione Educativa, di cui Lodi è membro attivo. Scrive ancora il nostro: “Tanto nella società quanto nella scuola (che è una piccola società di scolari, obbligati a vivere assieme per diversi anni) credo che non ci possano essere che due modi di vivere: o la sottomissione a un capo non eletto, oppure un sistema in cui la libertà di ognuno sia rispettata, condizionata solo dalle necessità di tutti”. Gli alunni della Scuola di Barbiana avranno una corrispondenza epistolare con quelli di Vho di Piadena, complici i due maestri: don Milani e Mario Lodi. Don Milani non usa mai mettere in nota nei suoi scritti alcun riferimento bibliografico. Non aveva bisogno di dirlo esplicitamente. Conosceva il Movimento di Cooperazione Educativa e Célestin Freinet.
La scuola è fatta per chi sa già parlare, per chi sa già leggere, a volte. Lo racconta Tullio De Mauro (1932 – 2017) nel suo libro personale Parole di giorni lontani: “Alcuni anni dopo un maestro lodò un mio compito di casa. Da uno degli ultimi banchi – in classe eravamo quasi cinquanta – si leva una voce sarcastica: Per forza a De Mauro i compiti glieli fa Mammina. Il maestro rimproverò aspramente quel mio compagno che appena intravedevo negli ultimi banchi e mal conoscevo. Mi offesi terribilmente: i compiti li facevo da solo perbacco! E non capii allora quanta ragione profonda avesse il compagno spilungone e sciamannato degli ultimi banchi. Non capivo quanto l’apporto indiretto e d’ogni giorno dei miei mi sostenesse appunto ogni giorno, in ogni compito e problema, più forte di ogni mia naturale inettitudine. Ma quanti ancora oggi capiscono quel senso e quelle ragioni? E quindi quanti capiscono il compito terribile che ha una scuola che non sia notaia di disuguaglianze culturali, ma promotrice di eguaglianza” (Vanessa Roghi, la lettera sovversiva, da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, pp. 59- 60, Economica La Terza, aprile 2023, bari-Roma).
Il saggio di Vanessa Roghi La lettera sovversiva, da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, si segnala per la ricchissima documentazione. Si è quasi obbligati, per una lettura esaustiva, ad aprire contemporaneamente le pagine di testo, che si stanno leggendo e quelle che rinviano alle note del prologo e dei nove capitoli, messe in fondo al saggio. Non c’è capoverso nel testo che non rimandi agli scritti di don Milani o alle fonti utilizzate a sostegno delle argomentazioni addotte. Tutto viene contestualizzato in modo rigoroso, nulla viene lasciato alla chiacchiera. Il risultato è un altro gande tassello, che si aggiunge ad altri, per conoscere la personalità, l’opera, il pensiero di don Lorenzo Milani, inquadrati nella realtà del suo tempo.
Altri maestri ed educatori avevano avviato come don Milani la sperimentazione di una nuova scuola. Nel 1968, Albino Bernardini pubblicava Un anno a Pietralata, esperienza da maestro vissuta nella periferia di Roma. Don Roberto Sardelli fondava tra i baraccati dell’Acquedotto Felice la scuola 725. Incontrò don Milani a Barbiana. Bruno Ciari, pedagogista, era membro attivo del Movimento di Cooperazione Educativa, fondato a Fano il quattro novembre 1951 da Giuseppe Tamagnini, Anna Fantini, Rino Giovannetti, Aldo Pettini.
Sì, perché don Lorenzo Milani è figlio del proprio tempo. Vive in un contesto storico e geografico ben preciso. Il cattolicesimo fiorentino del dopoguerra è la punta di diamante di una Chiesa che si avvia ad essere Madre e Maestra, aperta ai problemi del mondo. Giorgio La Pira (1904- 1977) è sindaco di Firenze. Viene ricordato come “sindaco santo”, rappresentante di spicco del cristianesimo sociale e infaticabile messaggero di pace nel mondo. Padre Ernesto Balducci (1922- 1992), religioso degli Scolopi, fonda nel 1958 la rivista “Testimonianze” sulla quale vengono dibattuti i problemi sociali del tempo, particolarmente cari al cattolicesimo più impegnato nel sociale. David Maria Turoldo (1916- 1992), dei Servi di Maria, è un altro punto di riferimento del mondo cattolico fiorentino. Definirà “Esperienze Pastorali”, il libro pubblicato da don Milani, ma prontamente ritirato dal Sant’Ufizio, “una gettata di lava incandescente”. Nicola Pistelli (1929- 1964), assessore a Firenze con Giorgio la Pira, fonda e dirige la rivista “Politica”, altro grande punto di riferimento per tutti i cattolici più impegnati. Mons. Elia Dalla Costa (1872- 1961), il cardinale che aveva sbarrato porte e finestre della propria residenza, senza esporre nessun drappo, durante la visita di Hitler alla città, è ancora cardinale della chiesa fiorentina. Poi don Primo Mazzolari (1890 – 1959) conosciuto come il parroco di Bozzolo, è sempre il riferimento per tutti. Don Giulio Facibeni (1884 – 1958), annoverato giusto tra le nazioni per la sua opera a favore degli ebrei durante la Shoa, fondava a Firenze, nel 1923, l’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa, ente che raccoglieva gli orfani della prima guerra mondiale.
Sbagliano coloro che fanno di don Milani il precursore del Sessantotto e la causa di tutti i mali della scuola italiana. Chi scrive questo o è in malafede o va alla ricerca di una verginità perduta, dopo essere stato sulle barricate in nome del niente. Chi ha letto solo Lettera a una professoressa si legga anche Esperienze Pastorali, Lettere alla mamma, lettere di don Milani priore di Barbiana, L’obbedienza non è più una virtù. Esiste poi l’Opera Omnia di don Lorenzo Milani in due volumi, pubblicati, nel 20017, da Mondadori nella prestigiosa collana de “I Meridiani”. Ogni biblioteca civica dovrebbe avene una copia. La bibliografia poi sul priore di Barbiana è sconfinata, alla faccia di quel collega che negli anni ottanta del secolo scorso mi diceva che don Milani appartenesse ormai solo alla cronaca e non alla storia. Segnalo come non ultimo il saggio di Vanessa Roghi La Lettera sovversiva da don Milani a De Muro, il potere delle parole. C’è una continuità tra i due, accomunati quasi in una damnatio memoriae da quanti li disprezzano perché feriti da un lato nel proprio orgoglio, dall’altro perché sempre pronti ad alzare l’indice accusatorio verso due grandi del passato, mettendoci nell’accusa anche Gianni Rodari reo di aver esaltato la Grammatica della fantasia e aver messo da parte l’ortografia e la sintassi
Il saggio consta di 245 pagine, con un prologo, curato dalla stessa autrice, vera e propria recensione della fatica storico – letteraria, di nove capitoli, delle note e dell’indice dei nomi. Invito caldamente a legger il libro perché merita davvero. Va ad arricchire lo studio della personalità, l’opera, il pensiero di don Lorenzo Milani con una mole impressionante di riferimenti bibliografici, dai primi saggi sul priore di Barbiana, indimenticabile quello di Neera Fallaci, Dalla parte dell’ultimo, vita del prete Lorenzo Milani fino agli ultimi, quelli che stanno uscendo in occasione del centenario della nascita del priore di Barbiana (27 maggio 1923). Belle sono le pagine che Vanessa Roghi dedica all’esperienza del tempo pieno, vissuta a Grosseto, sua città natale. “L’io narrante si fa storia per misurare sulla propria pelle gli effetti dei cambiamenti e delle persistenze”. Tutto cambia ma tutto rimane com’era (Tommasi Di Lampedusa, Gattopardo).
Saggio di Vanessa Roghi, la lettera sovversiva, da don Milani a De Muro, il potere delle parole, indice:
Prologo pag. IX
- Se la storia non mi si fosse buttata contro (pp. 3- 31)
- Barbiana, Vicchio, Italia (pp.32- 52)
- Vho e dintorni (pp.53 – 72)
- Il dibattito sulla lingua Italiana (pp. 73 – 94)
- Un canto di fede nella scuola: Lettera a una professoressa (pp. 95 – 118)
- Il libretto rosso di una generazione (pp. 119 – 151)
- La scuola buona (pp. 152 – 175)
- Nel mondo (pp. 176- 189)
- Santo santino impostore, o del “donmilanismo” (pp. 190 – 212)
Note (pp. 213 – 240)
Indice dei nomi (pp. 241 – 245)
Don Lorenzo Milani, ordinato sacerdote il 13 luglio 1947, dopo un breve incarico a Montespertoli come aiuto vicario del parroco, inviato nella parrocchia San Donato di Calenzano come coadiutore del parroco don Daniele Pugi, coglie al volo l’opportunità che gli viene data dal provvedimento del 17 dicembre 1947, che istituisce le scuole popolari al fine di combattere l’analfabetismo degli adulti, ovvero dei cittadini che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età. Nell’immediato dopoguerra il 90% dei bambini fra gli undici e i quattordici anni abbandona la scola, mentre l’analfabetismo riguarda il 18% degli italiani. Calenzano non si differenzia dal resto d’Italia: povertà, disoccupazione causa licenziamenti, agricoltura, occupazione e sfruttamento nell’industria tessile presso la vicina città di Prato.
Vittorio Citterich (1930- 2011), grande giornalista, così scrive: “Un giovane sacerdote esce dal seminario per predicare la Parola di Dio. Si trova con la responsabilità, misteriosa e tremenda, di dover portare alla salvezza le anime che gli sono affidate. Non sono anime astratte ma ciascuna ha il suo volto, il suo problema, la sua realtà umana: la città terrena da portare dentro le mura eterne della Gerusalemme celeste non è un concetto filosofico, per il prete, è la comunità visibile, reale, che vive nelle case che stanno intorno al campanile della chiesa, è il popolo che gli è stato affidato, comunità visibile da portare alla salvezza. Ed è la storia di un prete che, ad un certo punto, per mantenere il suo impegno religioso deve rimuovere, con un’opera di supplenza, alcuni ostacoli di natura civile, primo fra tutti l’ostacolo della depressione culturale della sua gente. Fonda così, lui prete, una scuola popolare per i giovani, una scuola di istruzione civile – si badi bene – non di dottrina religiosa” (Vanessa Roghi, op. cit. pag. 41).
Ma veniamo alla lettera sovversiva, quella indirizzata ad una immaginaria professoressa, anche se nella realtà aveva un volto, ma questo è un dettaglio di poco conto. Sui guasti provocati da chi aveva letto in modo superficiale Lettera a una professoressa, lo stesso Adriano Sofri con grande onestà intellettuale scrive: “L’ideologia e l’addestramento ai gerghi, anche quelli mutuati da don Milani, sono stati le più penose e pesanti eredità degli anni dei movimenti, durante i quali molte persone sono letteralmente annegate nel feticismo della parola, rinunciando alla ricerca di senso, e allenandosi all’imitazione e alla riproduzione, come di un gioco che fa regola a sé” (Ibidem, pag. 150)
Don Lorenzo Milani sarebbe stato un “cattivo maestro del Sessantotto”, secondo alcuni grandi luminari del pensiero contemporaneo: “Sul libro sessantottino ho già scritto; tuttavia, oltre alla vicenda storica, rimane da ricostruire brevemente quella della rappresentazione, o della storia pubblica del libro, cioè di come negli ultimi anni la lettura di Lettera a una professoressa, della pratica pastorale di don Milani, si è andata sempre più confondendo con la lettura data al movimento del Sessantotto e alle sue (presunte) devastanti conseguenze nella scuola di massa. L’invenzione di una tradizione democratica e di sinistra “contro la grammatica”, di cui don Milani sarebbe stato l’ispiratore, Tullio De Mauro l’interprete e le maestre delle scuole elementari (il “rodarismo”) il braccio armato, è un’operazione culturale molto precisa che ha la sua genealogia e come tale va letta” (Ibidem, pag. 196).
Tullio De Mauro (1932– 2017) pubblicava, nel 1963, per l’editore Laterza il saggio Storia linguistica dell’Italia unita. Il testo poneva il problema della lingua italiana su un piano del tutto nuovo per quei tempi. La lingua letteraria, quella di Foscolo, Manzoni e di altri grandi della letteratura italiana, che veniva insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado, non era più indicata per educare masse di ragazzi che entravano nella nuova Scuola Media Unificata, grazie alla lege 1859 del 1962. Tullio De Mauro, da linguista di chiara fama, chiedeva di “Riferirsi al linguaggio parlato come mezzo di controllo del patrimonio linguistico tradizionale”. Soprattutto “metteva in rilievo il legame tra capacità di usare la lingua con la scolarità e i redditi” delle famiglie dalle quali provenivano i nuovi alunni, quelli del boom economico. Oggi, questi rilievi dovrebbero essere acquisiti, allora vennero scambiati per sovversivi. Un fatto che sottolinea, ancora una volta come la questione della lingua risulti sempre sovversiva, come la Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana.
“Nessuno studia: colpa di don Milani. Non ci sono dati per dire che oggi nessuno studia; ce ne sono però per dire che i tassi di analfabetismo sono alti e si uniscono a molte ripetenze; c ‘è un alto numero di ragazzi con bassi livelli nelle conoscenze oggi irrinunciabili ai fini dello sviluppo sociale e personale nonché per esercitare la cittadinanza, come pure una forte presenza della povertà minorile … Dopo la morte di De Mauro (2017), i laudatori del bel tempo andato hanno dato vita a un piccolo novero eterogeneo e informale che si dichiara per la scuola del merito e della responsabilità. Nasce così il Gruppo di Firenze che chiama a raccolta professori universitari, tra cui alcuni accademici della Crusca, rettori e qualche editorialista importante (Massimo Cacciari, Paola Mastrocola, Ilvo Diamanti …Il coordinatore del Gruppo invia una lettera al governo, denunciando che i ragazzi, giunti al termine del proprio percorso scolastico, non sanno scrivere, fanno errori di grammatica, sintassi, lessico. La lettera suggerisce anche i rimedi a questo disastro; peccato che tutte le soluzioni proposte dai grandi sapienti fossero già praticate da anni nella scola. Gli estensori del documento ritengono che debbano essere riviste le indicazioni nazionali, per dare grande rilievo all’acquisizione delle competenze di base, fondamentali per tuti gli ambiti disciplinari, fissare i traguardi da raggiungere e proporre tipologie di esercitazioni. In realtà le indicazioni (ministeriali) contengono tutto questo” (Ibidem, pp. 200- 201).
Scrive Antonio Brusa, storico del medioevo ed esperto di didattica: “Forse preoccupati di non mostrarsi spocchiosi, i 600 (firmatari dell’appello) non citano un dato, una ricerca … Si parla di scuola? E allora valgono le impressioni, le sensazioni personali”. Di certi intellettuali che parlano di tutto: Covid: Geopolitica, scuola e quant’altro, don Milani avrebbe detto che sprizzano fosforo da tutti i pori della loro pelle e che sono più vicini a Dio che agli uomini, circondati come sono dalle loro biblioteche tirate a lucido e colme di libri. Ne abbiamo viste, nei giorni e mesi assai tristi, causa l’isolamento imposto dal Covid. Un bagno di umiltà farebbe bene a tutti (N.d.R.). Continua nella stessa pagina l’argomentazione sulla presa di posizione di questi grandi luminari: “Senza andare ulteriormente a fondo in una questione già ampiamente dibattuta, è chiaro che ancora una volta sotto attacco è quel principio democratico di allargamento della base sociale e condivisione del sapere, lo stesso che dal 1962 (data dell’istituzione della Scuola Media Unica) in poi non ha mai smesso di essere considerato l’avvento dell’asinocrazia e che ha trovato in don Lorenzo Milani il guru indiscusso” (Ibidem, pag. 201).
“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso” (art. 34 della Costituzione Italiana). Questo articolo va unito ad un altro articolo: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 della Costituzione Italiana). Sul merito non si ha nulla da eccepire se non è accompagnato da nessuna altra cosa, tranne quello che viene detto all’articolo tre della Costituzione. La vecchia accomendatio, leggi raccomandazione sotto le forme più diverse, esiste ancora. Una cosa poi è il merito, tutt’altra cosa è la meritocrazia. Il primo è un principio sano, la meritocrazia è contro una democrazia, sana e compiuta (NDR).
Molti sostengono che un tempo la scuola era migliore: “Non ci sono dati, per dire che la scuola prima del 1968 fosse migliore di quella di oggi ma ce ne sono per dire che fosse peggiore”. Don Milani odiava i ricchi, dicono molti suoi denigratori. Aveva fatto una precisa scelta di campo. L’analfabetismo dei suoi giovani parrocchiani, prima a Calenzano, poi a Barbiana, era un grosso impedimento per trasmettere loro conoscenze e fare apprezzare il bello, il buono, il vero, che fanno di una donna e di un uomo persone libere. Chi già sapeva non aveva bisogno di andare alla sua scuola. A chi lo accusava di essere classista, rispondeva: “Si accettano forse i ricchi alle nostre distribuzioni gratuite di minestra? Il classismo in questo senso non è dunque una novità per la chiesa”.
“Oggi il classismo di don Milani è datato, ma non per questo non pone dei problemi e non può certo essere tacciato di ideologismo chi guarda il mondo rendendosi conto che le differenze sociali esistono … Il primo difetto grave della scuola come era, e come purtroppo molti insegnanti la concepiscono, era che si trattava di un sistema per selezionare, per scegliere, per fare in modo che pochi studiassero e molti lavorassero, pochi comandassero e molti obbedissero, questo era volutamente il sistema della scuola, un sistema di selezione feroce, far passare pochi, bocciare molti, e scoraggiare molti e lo scoraggiamento era una cosa massiccia, si scoraggiavano tanti” (Ibidem, pag. 204).
“Certo lo sguardo milaniano non basta più, ma serve ancora: “Se dobbiamo uscire insieme dal classismo della scuola istituzionale, non ci è possibile seguire il suo esempio, occorre prendere di petto le istituzioni e cambiarle, liberandole dalla loro soggezione agli interessi di parte. Chi in nome di don Milani alimenta lo spirito antiistituzionale in realtà fa il gioco della reazione” (pag. 204). Don Milani aveva fatto le sue scelte, dopo i “venti anni trascorsi nelle tenebre dell’errore”. Scrive Giovanni Miccoli: “La vita, le scelte, le opere di don Milani vollero essere e sono un messaggio; le sue proposte ed i suoi atti non sono circoscrivibili esclusivamente all’esperienza e alle vicende puntualmente limitate da cui nacquero. Parlando o scrivendo di lui non si può eludere il fatto che i problemi con cui egli si misurò sono ancora per tanta parte i nostri problemi, modificati e forse logorati negli anni trascorsi dalla sua morte, ma non mutati ancora nella loro reale sostanza. La sua vita e la sua esperienza vollero offrire una risposta ad alcuni almeno di questi problemi. Tali risposte possono essere in tutto o in parte accettate o rifiutate, ma non permettono, mi pare, per le loro stesse caratteristiche di venire accantonate come individuali, irripetibili, specifiche” (Ibidem, pag. 211).
Raimondo Giustozzi.
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