Silvia Calvi
Alcune madri ucraine residenti in Italia hanno notato un testo per le medie del 2019 che riporta i confini del 1989. Nonostante la correzione digitale, copie della versione cartacea non aggiornata sono ancora in circolazione. Si tratta di una svista, un mancato aggiornamento o di propaganda del Cremlino?
A notarlo per prime sono state alcune mamme ucraine da anni residenti in Italia: sul libro di geografia adottato nelle secondarie di primo grado (le vecchie scuole medie) frequentate dai loro figli, la carta geografica della Russia è ferma al 1989. Cioè include gli Stati baltici – Estonia, Lituania, Lettonia –, la Bielorussia, l’Ucraina e la Moldova. E la popolazione della Repubblica federale russa (calcolata in cento quarantasei milioni e cinquecento quarantaquattromila abitanti) include la Repubblica di Crimea e di Sebastopoli. Succede nel secondo dei tre libri di geografia intitolati “Namaskar” (parola che, in alcune regioni dell’Asia, significa benvenuto, come si spiega nell’introduzione) pubblicato nel 2019 da Deascuola-Garzanti scuola (20 euro) e firmato da Alberto Fré, docente di lettere alle superiori e autorevole autore di tanti manuali scolastici. Sarebbe un po’ come trovare l’Alsazia-Lorena in Germania oppure Trento inclusa nei confini austriaci.
Il percorso di un manuale
Carlo Guaita, responsabile editoriale di Deascuola, spiega che l’errore è stato corretto già due anni fa, alle primissime segnalazioni, nella versione digitale. Ma che i libri di scuola hanno vita molto lunga: è normale che l’edizione sbagliata sia ancora in circolazione. «Sulle dotazioni scolastiche l’usato incide dal trenta al quaranta per cento. Dunque le copie di questa edizione andranno a esaurimento, è solo questione di tempo. Nel frattempo, gli insegnanti avranno la possibilità di emendare l’errore in classe, parlandone durante le lezioni. Non voglio assolutamente minimizzare il problema, ma ormai è accaduto ed è un fatto che lo stesso manuale possa continuare a circolare anche per otto/dieci anni. E poi stiamo parlando di una disciplina complessa. Nelle carte geografiche per esempio si trovano ancora denominazioni che fanno riferimento al Paese più importante: fino agli anni Novanta il Sudest asiatico era indicato come “Regione indiana” e tanti libri di geografia proseguono con questa tradizione. Come – nel caso specifico – all’Ucraina del 1989. Anche l’arcipelago britannico si chiama così per convenzione, non perché la Gran Bretagna domini l’arcipelago. E oggi, quando vogliamo parlare di Stati Uniti, spesso usiamo il termine generico e impreciso di America, e nessuno si scandalizza». Una spiegazione che però non convince.
Territori contesi
Sulle questioni di “denominazione” va detto che i geografi oggi si accapigliano parecchio. «Negli ultimi anni si fanno convegni per discutere della necessità o meno di cambiare il nome del mar del Giappone in mare dell’Est, come chiedono con forza i coreani, una questione che ha a che fare con il potere, con la politica e con i nomi, ma che non riguarda davvero la geografia», continua Carlo Guaita. Sarà vero, ma qui si parla di libri di scuola che, a dodici anni, dovrebbero essere strumenti per conoscere il mondo così com’è, non com’era o come qualcuno vorrebbe.
Certo, riuscire a raccontare il presente dominando tanti aspetti diversi (inclusi quelli in divenire, come possono esserlo i conflitti o gli effetti del surriscaldamento globale) è difficile. Ma perché si usano nelle scuole manuali che non sono sempre attendibili e rispettosi dei diversi confini e sovranità nazionali? «Il nostro impegno è di pubblicare libri sempre aggiornati e attendibili e, quando sbagliamo, ci correggiamo» continua Carlo Guaita. «Però non sempre si tratta di errori: tre mesi fa abbiamo ricevuto una lettera indignata proprio da parte dell’Ambasciata ucraina per un’altra carta geografica. Ma la carta non era sbagliata: la Crimea, come era spiegato bene in una nota, appartiene de iure all’Ucraina, non alla Russia. Eppure la nostra risposta non ha avuto seguito». Sarà, però i ragazzini le note a piè di pagina mica le guardano.
Le regole di un mondo a parte
Anche per altri motivi quello della scolastica è un mondo a parte rispetto al resto dell’editoria libraria. «Prima di tutto è fortemente vincolata ai tempi di uscita: tra dicembre e gennaio si devono chiudere le lavorazioni delle novità in modo che gli agenti possano presentarle ai fini delle adozioni per l’anno scolastico successivo. Ma scrivere un manuale di geografia per le medie vuol dire scrivere tre libri di trecento pagine ciascuno, una guida per il docente e tutti i contributi digitali. Un lavoro lungo due o tre anni. Quindi, se nel frattempo succede qualcosa, lo si può recepire fino a un certo punto, poi possiamo solo applicare dei correttivi parziali (con successive ristampe corrette, intervenendo sul digitale…)», spiega Milena Lant, redattore specializzato nel settore umanistico della scolastica della casa editrice Loescher. «Ma non basta: a cambiare sono anche gli aspetti culturali. Oggi, per esempio, l’attenzione verso gli aspetti anche linguistici di parità e di inclusione è molto più alta che in passato, alcuni titoli anche recenti possono quindi apparire superati da questo punto di vista».
Nessuna ingerenza ministeriale
Su cosa scrivere nel libro, però, c’è assoluta libertà: il ministero dà solo indicazioni legate ai programmi delle diverse materie, poi non esercita alcun controllo su cosa viene pubblicato né sulle scelte dei docenti. Ne parliamo con Cristiano Giorda, docente Didattica della Geografia all’Università di Torino e autore di diversi manuali per le scuole. «Ogni editore ha le sue linee guida. E se un manuale di geografia funziona nulla vieta di continuare a editarlo aggiornandone solo il trenta-cinquanta per cento».
Ma c’è un’altra particolarità: quello della scolastica è l’unico settore in cui a decretare il successo di un libro non sono i lettori ma i docenti. Cioè le figure più titolate a scegliere (ma di concerto con i rappresentanti di classe e i genitori, nelle assemblee del secondo quadrimestre) i libri di testo che le famiglie compreranno e sui quali i figli studieranno. E rimane il problema degli aggiornamenti. «È più facile raccontare cosa succedeva duemila anni fa che non dell’impatto del cambiamento climatico. In questo momento, per esempio, sto scrivendo un capitolo su Gaza per un manuale di geografia destinato alla secondaria superiore: come sarà la situazione quando il mio libro sarà in mano agli studenti? Per questo, oltre al controllo delle fonti e al confronto con i cartografi, consiglio agli autori un’unica importantissima precauzione: datare sempre quello che si afferma».
Linkiesta 13 febbraio 2024, Italia
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