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Krzysztof Pomian: storia e geografia dei musei come fenomeno globale

museo-natura-uomo-palme-unipddi Valerio Calzolaio

Ci voleva un grande anziano studioso per comporre una narrazione curiosa ed efficace, dotta e musicale, della storia e della geografia del fenomeno museale nel mondo umano moderno e contemporaneo. Quale sia l’orizzonte disciplinare di Krzysztof Pomian (Varsavia, 25 gennaio 1934) è difficile dire. Nato e cresciuto nella Polonia travolta dall’espansionismo tedesco e nazista, dall’età di sei anni, dopo l’evacuazione della città, fu trasferito sotto scorta in Kazakistan con la sua famiglia, poi scelsero il Belgio fino all’inizio dei Cinquanta, prima di tornare in Polonia dove continuò a studiare. Si laureò in filosofia (tesi nel 1965 su “La nascita della scienza storica moderna. La scuola francese di erudizione, secoli XVI-XVIII”), proseguendo a Varsavia dottorato e precoce carriera universitaria. Si schierò contro il regime comunista e fu privato dell’insegnamento nel 1968. Nel 1973 si sottopose alla svolta dell’emigrazione in Francia a Parigi (migrazione libera o forzata? più forzata che libera), pur continuando a pensare e scrivere a lungo in polacco. La sua passione scientifica per le collezioni museali e per il collezionismo risale ad allora, a circa cinquant’anni fa.

Pomian trascorse poi l’intera vita professionale interdisciplinare presso il prestigioso CNRS (Centre national de la recherche scientifique), insegnando all’EHESS (École des hautes études en sciences sociales) e in varie università francesi e straniere, partecipando alla vita scientifica e culturale con saggi, pubblicazioni, contributi a progetti e riviste, quasi ovunque tradotto e invitato. Dal gennaio 2001 è direttore scientifico del Museo d’Europa a Bruxelles. L’opera che nel 1984 lo impose all’attenzione internazionale e a un diffuso apprezzamento fu probabilmente L’ordre du temps(GallimardParis), tradotta in italiano qualche anno dopo, L’ordine del tempo (Einaudi, Torino, 1992), un’acuta riflessione sul determinismo a partire dalla disanima della struttura del tempo e dei quattro modi per visualizzarne e tradurne i segni (cronometria; cronografia; cronologia; infine la cronosofia, che, dalle viscere degli uccelli ai dati più sofisticati della scienza, si propone di cogliere i segni del futuro in una visione d’insieme delle epoche). I musei hanno molto a che vedere col tempo, passato presente futuro, si sa.

Come abbiamo in parte già visto, per le statistiche un museo vale l’altro, e ognuno vale uno. Pomian suggerisce comunque di suddividere la varietà apparentemente illimitata in un numero meditato di tipologie, secondo il loro contenuto, ovvero rispetto agli oggetti che prima ciascuna collezione e poi ciascun museo ha raccolto ed esposto, tali da determinare lo stesso profilo del pubblico interessato o interessabile. Concentrandoci sui musei di storia naturale, abbiamo già segnalato le principali tipologie prodotte dalla storia cronologica secondo l’autore polacco-francese (Il Museo. Una storia mondiale, traduzione di Luca Bianco, Chiara Bongiovanni e Raffaela Valiani, Einaudi Torino, 2021-2023, originale francese 2020-2022, pag. 484+391+650): raccolte sull’antichità (dal 1470); su arte, storia naturale, curiosità, rarità, meraviglie (dal 1550); su storia, medicina, tecnica, esercito (dal 1790); sulle arti decorative (dal 1850); su etnografia, esposizioni all’aperto, industria, scienza (dal 1870); su vita quotidiana, lavoro, tempo libero (dal 1960), comprese le migrazioni.

La recente opera di Pomian è poderosa, sono tre i volumi di grande formato e con moltissime illustrazioni, caratterizzati dagli intervalli cronologici: I. Dal tesoro al museo (gli esordi); II. L’affermazione europea, 1789-1850; III. Alla conquista del mondo, 1850-2020. Certo, il museo è un luogo ben strano, inutile e indispensabile insieme; tuttavia, noi la sua stranezza non la percepiamo più. Per noi, infatti, nati nella società moderna, la presenza dei musei risulta un dato acquisito. Dimentichiamo però che una frazione importante della popolazione mondiale ne ignora perfino l’esistenza, e che anche qui il museo è relativamente recente: lo dimentichiamo al punto da non renderci conto, fatta eccezione per gli storici, della difficolta di accettare i principî che stanno alle fondamenta stesse del museo, e della portata dei rivolgimenti delle categorie mentali, delle strutture sociali, delle istituzioni politiche e dei mezzi tecnologici che dovettero verificarsi affinché il museo potesse imporsi.

L’istituzione museale esiste da poco più di cinque secoli. Se per le statistiche un museo vale l’altro e ognuno vale uno, per la storia dei musei ognuno è diverso dall’altro, risultato di un concorso di circostanze singolari e dell’apporto di persone non intercambiabili. Nel primo volume città ed esperienze del nostro territorio (“italiano” di allora) tornano ovviamente di continuo nella narrazione di Pomian. Padova, per esempio, è citata trentaquattro volte, all’inizio solo incidentalmente (testamento di Petrarca, residenza di Donatello, reliquia di Tito Livio, formazione del cardinale Grimani), poi come luogo cruciale della storia: già nel 1545 il Senato decise di creare un giardino dei semplici a Padova, al quale viene dedicato quasi per intero il sesto capitolo, che si apre proprio con Gli orti botanici, musei di piante vive.

Nell’autunno del 1543 Francesco Bonafede, professore di medicina all’Università, ottenne finalmente la nomina per l’insegnamento di materia medica e si rese subito conto delle difficolta di commentare Dioscoride a uso dei futuri medici senza poter loro mostrare le piante. Richiese quindi che venisse creato un giardino botanico («orto pubblico»), nella forma di «una spetiaria in Padua dove si tenesse tutte le cose necessarie alla salute di corpi humani». Tutta la vicenda dell’orto botanico viene ricostruita meticolosamente, dall’idea di gabinetto di oggetti naturali alla crescente centralità degli orti botanici e dello status della storia naturale in tutto il Veneto nei secoli successivi (qui ulteriori spunti).

Conclude Pomian: “Padova conservò più a lungo la sua importanza, non tanto grazie all’Orto botanico quanto all’insegnamento della medicina e della filosofia, ma prima della fine del Seicento non ebbe alcun gabinetto di storia naturale che promuovesse delle ricerche”. Più rare le citazioni di Padova nel secondo volume, assenti nel terzo. La ricerca prende come data finale il 2020 e probabilmente le recente evoluzione dell’orto botanico in culla della biodiversità e le nuove grandi originali aperture consentirebbe ulteriori aggiornamenti. Tuttavia, i volumi trattano davvero quasi tutti i paesi del mondo in un’ottica unitaria e l’obiettivo della bella ricostruzione storica e geografica è segnalare l’acquisito carattere “mondiale” delle esperienze museali.

Krzysztof Pomian compie un’ennesima straordinaria impresa scientifica e racconta splendidamente teoria e pratiche delle raccolte museali. L’autore considera il museo come un caso particolare del fenomeno chiamato “collezione”, un insieme di oggetti naturali o artificiali sottratti al circuito delle attività utilitarie, sottoposti a speciali misure di protezione e messi in mostra in un luogo chiuso destinato proprio a quello scopo. Il museo colleziona ed è universale, coestensivo alla cultura stessa, presente in tutte le società umane dei sapiens, perché tutte queste società instaurano un rapporto di scambio tra il visibile e l’invisibile di cui il museo “collezione” risulta insieme il rivelatore, lo strumento e il prodotto. In un’intervista, affrontando anche la delicata questione delle restituzioni (su cui presto tornare), Pomian ha sintetizzato: “Un museo si occupa di credenze terrene. Alcuni sono luoghi in cui si celebra la creatività umana, artistica, tecnica, scientifica, o si conserva la memoria della creatività criminale perché non si ripeta: è il caso dei musei dedicati all’Olocausto. L’obiettivo non è rendere grazie a una divinità, ma conservare gli oggetti affidati per un futuro indefinitamente lontano”.

Con il secondo volume si arriva alla storia contemporanea: nella seconda metà del Settecento vede la nascita di parecchi musei, soprattutto dedicati alla storia naturale e alle opere d’arte, da cui il luogo comune, secondo il quale l’istituzione-museo sarebbe un’invenzione dell’Illuminismo, un’idea in larga parte inesatta: durante il periodo chiamato “Età dei Lumi”, anche se gli avversari dell’Illuminismo continuavano a essere molto potenti, i musei videro certo un forte incremento numerico, si diffusero in tutte le nazioni dell’Europa occidentale e anche altrove vennero sperimentati alcuni avamposti (nell’Europa centrale, in Russia, nelle Americhe, in India). Inoltre, i musei conobbero un profondo rinnovamento interno ed entrarono a far parte del ventaglio delle preoccupazioni dell’opinione pubblica, pur derivando tutti (eccettuati forse quelli britannici) da antiche collezioni principesche formatesi tra il XVI e il XVIII secolo, per mezzo di committenze agli artisti, acquisizioni, donazioni e lasciti, espropriazioni e saccheggi. Perlopiù all’inizio trovarono posto all’interno di palazzi principeschi oppure di gallerie ad essi collegate.

Comparso in un contesto istituzionale e sociale che aveva familiarità con le collezioni “private”, e inconcepibile senza quel precedente, il museo si definisce proprio in contrasto ad esse: il museo è una collezione pubblica (non appartiene a un singolo individuo o gruppo, è posto sotto la responsabilità di una persona giuridica riconosciuta, risulta accessibile ai visitatori in maniera regolare) e profana (dipende dalle credenze collettive di quella società, ma non partecipa di alcun culto religioso), orientata verso un futuro indefinitamente lontano. La congiunzione tra l’orientamento verso il futuro e l’apertura sul presente costituisce la specificità del museo, l’unica istituzione che permette di stabilire un contatto visivo con ciò che, per diversi aspetti, è lontano, attraverso la mediazione degli oggetti che di là provengono. Cinque accurate dettagliate parti per i primi due volumi, con un grande ruolo per il contributo dato da coloro che vivevano nell’attuale Italia.

Il terzo volume di Pomian è dedicato al lungo secolo d’oro dei musei, iniziato con la prima Esposizione universale a Londra nel 1851, interrotto due volte dalle guerre mondiali, e che ha raggiunto il suo apogeo nella seconda metà del XX secolo. Oggi i musei si contano in centinaia di migliaia in tutto il mondo e hanno trovato la loro terra d’elezione negli Stati Uniti. Nel colonizzare, in misura molto disuguale, tutti i continenti abitati, si sono aperti alle più diverse manifestazioni della creatività e della ricerca umana, dalla scienza alla tecnica, dall’etnografia alla storia. Le collezioni s’ingrandiscono e le superfici si espandono, mentre la loro architettura ha abbandonato gli antichi modelli del palazzo e del tempio assumendo forme inedite. Rimarranno a lungo al centro dei nostri paesaggi urbani, luoghi per eccellenza della cultura, della socialità e del rinnovamento delle identità. Ricchissimi apparati in tutti e tre i volumi. Il costo dell’acquistoappare certo molto alto per una libreria privata individuale, ma chi può permetterselo si dota di un bene prezioso e chi non può solleciti i musei e le biblioteche della propria città e della propria università, affinché lo mettano nelle loro “collezioni”.

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