In Ucraina ogni famiglia ha perso qualcuno o conosce
qualcuno che ha perso qualcuno in guerra. In guerra non
significa solo al fronte. In guerra significa anche un corpo
steso per strada coperto dal telo argentato
Lascio la campagna ucraina, dove ho passato otto giorni, negli ultimi tre anni è stato il periodo più
lungo che mi sono potuta concedere con i miei genitori. La campagna ucraina di fine agosto è
ancora verde, profumante, con quei campi di grano che essiccano sotto il sole emanando l’elisir
vitale con le centauree blu tra le spighe di grano, così belle da sistemare tra i capelli.
Il mondo è bello in generale, peccato che il vicino di casa ti voglia uccidere e ogni sirena che scatta
sul cellulare te lo ricorda. La mia cara amica Victoria Amelina, scrittrice ucraina uccisa da un
missile russo , in una sua poesia scriveva:
Suona la sirena in tutto il paese
Come se ogni volta volessero uccidere
Tutti
Però centrano uno solo
Di solito quello di lato
Oggi non sei tu, finita la sirena.
Le sirene suonano e avvisano che sono venute a prendere qualcuno, un soldato nella trincea, un
soldato in borghese che sul terrazzo di qualche bar pranza con la sua fidanzata, godendo quelle
poche ore in licenza, oppure un civile, un signore che sta in fila per il pane o una bambina di sei
anni con il viso angelico, la figlia unica e unica gioia dei suoi genitori, o la signora che con la sua
cesta tornava a casa dalla chiesa dopo la messa di benedizione delle mele per la festa di
Trasfigurazione di Cristo detta anche Spas, che in ucraino vuol dire salvezza. La salvezza per lei
non c’è stata. La signora e la bambina sono due vittime dell’attacco feroce e spietato dei russi al
centro di Chernihiv, la città che ha già sofferto una distruzione devastante tra il febbraio e il marzo
del 2022.
Qualche minuto dopo l’attacco, in rete è girata la foto del marito seduto accanto al corpo della
moglie, coperto dal telo argentato. Sotto il telo c’è anche la cesta, le mele benedette si saranno
sparse per strada. Posto la foto sui social e mi arriva un messaggio privato di una amica che avevo
ospitato assieme al figlio nel febbraio del 2022 in fuga da Kyjiv. L’amica mi scrive che la signora
uccisa della foto è una compagna di corso di suo fratello, suo padre invece stava in un negozio a
cinquecento metri dal posto dove è caduto il missile portando via la vita di sette persone e
ferendone centocinquantotto. Un sabato di festa che si è trasformato in un sabato di sangue. La
trasfigurazione è avvenuta, quella di un mostro in un mostro che per l’ennesima volta fa vedere la
sua faccia spietata.
La compagna di corso del fratello della mia amica, il padre del vicino di casa, la figlia, la madre, il
padre. In Ucraina ogni famiglia ha perso qualcuno o conosce qualcuno che ha perso qualcuno in
guerra. In guerra non significa al fronte. In guerra significa anche per strada perché i civili sono
soldati, intanto perché i razzi russi li prendono di mira ma anche perché sono soldati simili a quelli
della trincea perché anche loro resistono da diciassette mesi. Vivere nonostante i missili è già una
resistenza, essere ucraini ed essere vivi è già una resistenza.
Esco dalla visita medica post operatoria insieme con mia madre, la porto a pranzo in un ristorante
georgiano, mangiamo i khinkali, il gelato fatto artigianale, ordino un espresso, un caffè che non
bevo da ottobre dell’anno scorso perché non è compatibile con i sonniferi e ansiolitici. La
accompagno alla metro e la saluto forse per un anno, forse viviamo, resistiamo.
Linkiesta – Diario ucraino, 21 agosto 2023, di Yaryna Grusha
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