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Noi Marche: Borghi aperti. Fascino di un borgo affacciato sul mare: Civitanova Alta

Corso A. Caro Civitanova Alta foto R. Giustozzidi Raimondo Giustozzi

Grande partecipazione di pubblico, locale e turistico, all’iniziativa “Borghi Aperti”, sabato 19 agosto 2023. Tutto ha avuto inizio alle ore 19,00, all’esterno del caffè Cerolini, che ha offerto gratuitamente a tutti i partecipanti, circa ottanta, un cocktail analcolico, per smorzare l’arsura della serata, appena mitigata da un leggero venticello.  Prima del percorso è stato distribuito, gratuitamente, un depliant, con la cartina completa della città alta, dove sono riportati i trentuno siti, angoli, monumenti, che fanno di Civitanova Marche Alta un gioiello, simile ad altri nel territorio. “Passeggiando fra storie ed arte a Civitanova Alta” è il titolo dell’opera, curata da Anna Maria Vecchiarelli ed Alvise Manni, la prima, presidentessa dell’Archeoclub d’Italia, sede locale di Civitanova Marche, il secondo, presidente del Centro Studi Civitanovesi di Civitanova Marche. Alla pubblicazione hanno contribuito generosi Sponsor e l’attivissima Pro Loco di Civitanova Alta.

La citazione del romanzo di Cesare Pavese, la luna e i falò, riportata nell’ultima pagina di copertina, è stata dedicata da Michela Pepa  a suo papà Giorgio Pepa, nato a Civitanova Alta il 25.01.1947 e volato in  cielo il 13.12.2021: “Così questo paese, dove sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l’ho visto davvero e so che è fatto da tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliano poi molto”. Grande Giorgio Pepa, l’ho conosciuto quasi subito, quando sono ritornato dalla Brianza, tanto era affabile, dalla conversazione garbata, sempre disponibile verso tutti. Assieme a lui, il primo anno di insegnamento a Civitanova Alta, avevo conosciuto Pierino Pepa, suo cugino, fondatore del museo delle arti e tradizioni popolari della città alta. “Abbiamo tutti un albero che non c’è più”. E’ un verso del brano “Come passa il tempo” dei Dik Dik, Camaleonti e Maurizio Vandelli.

Il primo manufatto visitato dai partecipanti alla camminata è stata la lapide incastonata nell’androne del Palazzo della Delegazione Comunale di Civitanova Alta. L’epigrafe, incisa su una lastra di pietra calcarea, 19 cm in altezza e 155 cm in lunghezza, distribuita su due righe dice così: “… rior (…) vici Cluentensis vetustate dilapsum / Ius, Ruffinus et Iustus impendio suo recuraverunt”. La targa è mutila per almeno il 50% del suo testo, in particolare per ciò che riguarda l’inizio. Rior starà forse per superior o inferior (nella parte alta o in quella bassa). Senz’altro si fa riferimento ad un edificio che era crollato per l’usura del tempo (vetustate). Non sappiamo se Ius, all’inizio della seconda riga, rimanda ad un altro personaggio, oltre a quelli citati: Ruffinus et Iustus (Ruffino e Giusto). Il Vicus Cluentensis è il villaggio del Chienti, l’antico nome romano del fiume omonimo, dai greci chiamato flusor. Detto questo, la traduzione sarebbe: “Ruffino e Giusto restaurarono (recuraverunt) a loro spese (impendio suo) un (muro, manufatto, edificio) del villaggio del Chienti, edificio crollato per l’usura dal tempo.

Questa lastra di pietra calcarea rettangolare fu ritrovata da Sigismondo Frisciotti, che nel 1791 ottenne dalla Sacra Congregazione del Buon Governo la proprietà di una grande proprietà di pietre, circa diecimila, ritrovate in uno scavo, fuori Porta Sant’Angelo (Porta Marina). Esaminata da Teodoro Mommsen, ne accertava l’autenticità. Di epoca romana, esaminando la paleografia, la forma delle lettere, il manufatto dovrebbe risalire al III secolo d. C. Esistono tuttavia ancora dei problemi aperti attorno alla lapide. In essa si fa riferimento ad un non meglio precisato villaggio del Chienti. Questo potrebbe far pensare che il villaggio non fosse Civitanova Alta né l’antica Cluana o Novana, che Plinio il Vecchio collocava a ridosso della linea di costa: “In ora Cluana”(sulla spiaggia Cluana). Forse questo villaggio del Chienti era una frazione di Cluana o di un altro agglomerato posto vicino al fiume. La lapide fu rinvenuta presso un deposito di altre pietre, a ridosso di Porta Marina, ma non si sa però da dove provenissero.

Mommsen intraprende il suo viaggio nel Bel Paese nel 1844- 45 per verificare di persona le iscrizioni latine che trova lungo il suo cammino. E’ una ricerca a 360 gradi che tocca anche i più sperduti paesini della penisola. Riconosce sempre la cordialità e la grande disponibilità degli italiani nei suoi confronti. Negli anni ’46- ’47 si trasferisce prima nel Regno di Napoli dove incontra un po’ di resistenza nella cultura accademica partenopea del tempo, diffidente verso questo uomo venuto dal nord della Germania, esattamente dalla regione dello Schleswig-Holstein, dove era nato, allora facente parte della Danimarca. Da Napoli si reca in Sicilia e da qui a Roma, si ferma a Civitanova Marche Alta nella primavera del 1847, quando era sulla strada del ritorno, nel palazzo Donati, in piazza della Repubblica. Nel corso di una conferenza, organizzata dall’Istituto Professionale di Stato “Virginio Bonifazi”di Civitanova Marche Alta, Venerdì 20 Maggio 2011, alle ore 16,30 presso l’auditorium San Paolo, l’attuale proprietario del palazzo Donati, l’ingegnere Fabrizio Averardi Ripari ricordò come il palazzo fu sede del comando tedesco nel corso della seconda guerra mondiale, quando il fronte ristagnò appena un mese sul Chienti. L’ufficiale tedesco, insediatosi nel palazzo Donati, studioso di epigrafia latina, davanti all’iscrizione “Qui fu Mommsen” diede ordine ai suoi soldati di rispettare immediatamente ogni edificio della città, salvando la stessa da ogni possibile distruzione.

Terminata la spiegazione della lapide, esistente nel palazzo della Delegazione Comunale, da parte del prof. Alvise Manni, il gruppo si è spostato lungo il Corso Annibal Caro, fermandosi di volta in volta: al teatro Annibal Caro, alla sua casa avita, di fronte al Palazzo Ducale dei Cesarini, all’ingresso della chiesa agostiniana, alla foresteria dell’imperatrice Eugenia de Montijo, consorte dell’imperatore Napoleone III Bonaparte, alla chiesa della Madonna Bella, alla torre dell’acquedotto. Di ritorno in piazza della Libertà, cuore del centro cittadino, è stata visitata la collegiale dedicata a San Paolo, l’esterno della chiesa di San Francesco, adibita a spazio museale, e la sala Pio X contigua alla chiesa.

La visita guidata alla Pinacoteca Civica Marco Moretti, alla sala Ciarrocchi, alla mostra d’arte su Ciarrocchi incisore, esposta presso l’auditorium S. Agostino e al teatro storico Annibal Caro, è stata coordinata dalla dott.ssa Enrica Bruni, direttrice della Pinacoteca civica, dalle 20.00 alle 24.00; dalle 21,30 le visite in lingua inglese.

Agostiniani e Francescani a Civitanova Alta

Civitanova Alta ha avuto nel corso della sua storia due ordini mendicanti:Francescani ed Agostiniani. La regola  domenicana viene approvata dalla Chiesa nel 1217, quella francescana  dal papa Onorio III nel 1223,  pochi anni dopo la scomparsa dei loro fondatori. Gli Agostiniani ricevono l’approvazione della propria regola nel 1256, parecchi secoli dopo la scomparsa di S. Agostino, il filosofo, lo scrittore al quale i suoi nuovi discepoli fanno riferimento. Un primo gruppo di Agostiniani si forma nel 1244. La regola Agostiniana nasce dopo una attenta lettura delle opere e degli scritti del vescovo di Ippona.

Agostiniani e Francescani si insediano all’interno delle mura cittadine. La loro nascita è coeva alla ripresa della vita cittadina. “L’aria di città rende liberi”; affrancati dal dominio feudale presente nel contado, i cittadini si danno nuove regole. Nascono gli statuti comunali, tutta la regione Marche partecipa a questo moto di rinnovamento presente soprattutto nell’Italia Centro Settentrionale. Gli Agostiniani ed i Francescani di Civitanova Alta si inseriscono in questo contesto storico. Le vecchie chiese romaniche sono inadatte ad ospitare un crescente numero di fedeli. Le nuove chiese dette “a fienile”  hanno il tetto a capriate lignee. La tipologia dell’architettura è tedesca, come nordici sono i termini con i quali viene chiamata la nuova arte gotica. Gli Agostiniani, venuti diversi secoli dopo il loro maestro al quale si ispirano, avvertono tutta l’urgenza di dare una giustificazione al loro ordine. Sentono la necessità di rappresentare anche visivamente la continuità con S. Agostino. Uno dei primi dipinti che viene commissionato dal nuovo ordine per affrescare il  Cappellone di S. Nicola a Tolentino è un quadro nel quale S. Agostino consegna le sue regole agli Agostiniani.

Se i Francescani idealizzano la “paupertas”, la povertà come la massima virtù teologale, gli Agostiniani con il loro teologo Agostino Trionfi, di Ancona, teorizzano come più importante la humilitas, l’ umiltà che ama nascondersi senza apparire. Prende il via allora una prima teoria di iconografie legate alla Madonna dell’umiltà. La Vergine viene dipinta nell’atto dell’allattamento del Bambino, mentre è seduta in terra. Simone Martini è il primo pittore che inizia questo ciclo di rappresentazioni. Questa serie si irradia in tutta Italia. Ascoli, Fermo, Monte San Giusto, Corridonia hanno tanti quadri propri di questo motivo iconografico. C’è chi ha voluto vedere in questa teoria di sacre rappresentazioni un richiamo alla maternità. Si affermava la consuetudine nelle classi sociali alte, di affidare alla balia, l’allattamento del proprio bambino. Con il richiamo della Madonna che allatta il Bambino si vuole riaffermare il valore dell’allattamento materno.

Dal 1400 al 1550 circa, prende il via un altro ciclo pittorico, proprio questa volta solo delle Marche e della vicina Umbria. E’ l’inizio della rappresentazione della Madonna del soccorso. La Vergine Maria viene rappresentata mentre brandisce un lungo bastone all’indirizzo del diavolo che vuole sottrarre il Bambino. Il contesto storico nel quale germina questo nuovo ciclo è quello delle sacre rappresentazioni che vengono  date sui sagrati delle chiese. E’ d’origine francese la nascita di questo nuovo gusto artistico. Anche in questo nuovo ciclo pittorico, c’è chi ha voluto vedere il soccorso chiesto alla Madonna anche per debellare uno dei flagelli che allora mieteva vittime per tutte le contrade d’Europa, quello della peste.

A Civitanova Alta, Baldo De Serofino esegue per la chiesa di S. Agostino una tela nella quale la Madonna si impone con tutta la sua irruenza verso il Diavolo, minacciandolo con un lungo bastone. Attualmente la tela è collocata su una parete nella pinacoteca civica “Marco Moretti”, presso la casa avita di A. Caro in Civitanova Alta. Indubbiamente, il dipinto doveva essere più grande di quanto sia ora. Quello esistente ne è solo una piccola porzione.

Con il passare del tempo, l’ordine si afferma ed escono i primi santi Agostiniani. Siamo ai primi del ‘600. Il processo di canonizzazione era molto lungo, occorreva anche qualche secolo. All’interno dell’ associazione religiosa si accende una disputa che non viene sanata nemmeno con l’intervento dell’autorità pontificia. Alcuni Agostiniani, gli Scalzi ritengono che tutti gli appartenenti all’ordine debbano andare a piedi nudi, altri che devono calzare i sandali. I primi rimproverano ai secondi una debolezza verso le lusinghe del mondo ed un allontanamento dalla regola delle origini. I pittori che ottengono dall’ordine, commissioni di dipinti, si guardano bene dall’essere troppo zelanti. Coprono i piedi con lunghi drappeggi delle vesti fino a nascondere i piedi stessi. Una libera interpretazione avrebbe solo causato loro dei guai. Non avrebbero ottenuto più lavoro. Allora  è meglio non esporsi. Nella chiesa di S. Agostino è presente il dipinto che ritrae S. Tommaso di Villanova, un santo agostiniano che amava aiutare i poveri.

Attorno al 1730 tutti gli ordini mendicanti, ma soprattutto gli Agostiniani di Civitanova Alta possono disporre di una ingente quantità di denaro che impiegano nel restauro della chiesa. Gli Agostiniani sono proprietari di grandi terreni. Si mettono a cultura vaste distese di colline e pianure, fino ad allora  ricoperte da boschi e da querce  secolari. Si pone mano ad un disboscamento selvaggio. Su iniziativa del Papa, ad Ancona era stato creato il porto franco. La vendita dei cereali verso i paesi dell’est rende molto. Gli Agostiniani al pari di altri proprietari terrieri si ritrovano ricchi in breve tempo. L’opera di modernizzazione inizia con il restauro della chiesa. Vengono cancellati i cicli pittorici precedenti e si cancellano metri quadrati di intonaci. Si afferma una nuova arte, quella tardo barocca. Siamo nell’arco di tempo che va dal al 1730 al 1780. Luigi Vanvitelli che opera anche in Ancona detta le regole di questa nuova arte. Andrea Vici, un suo discepolo ne segue le idee: sovrabbondanza negli stucchi, ma sobrietà della volta e della navata. Teatralità ed aspetti neoclassici si fondono in un tutt’uno nella nuova chiesa di S. Agostino. Le maestranze: falegnami, stuccatori, intagliatori non si conoscono. Sono conosciuti solo i maestri ed i loro allievi, sia nel campo della scultura che in quella della pittura: Andrea Vici, Pietro Tedeschi che segue le tecniche pittoriche di Gioacchino Varlé. Quest’ultimo opera in Ancona ma influenza Pietro Tedeschi che dimora a Roma ma lavora per diverse chiese agostiniane disseminate nelle Marche: Treia, Pergola e Civitanova Alta. Di notevole valore artistico è la via Crucis recentemente restaurata, opera di un artista del ‘700, Nicola Bertuzzi, detto l’Anconetano anche se lavorava a Bologna. La via Crucis del Bertuzzi richiama le tecniche di pittura di G. Battista Tiepolo che aveva a Bologna un suo alunno, Giuseppe Maria Crespi che influenzava a sua volta Nicola Bertuzzi. Le idee, i gusti, le teorie pittoriche, di architettura e di scultura giravano l’Italia di allora più di quanto lo permettano oggi tutti gli strumenti di comunicazione di massa di cui disponiamo.

Il Ducato dei Cesarini a Civitanova

Passa come una raffica di tragedia il sacco di Roma del 1527. Bande di Lanzichenecchi mettono a ferro e a fuoco la città eterna. Quello che avviene lontano dai confini locali ha dei contraccolpi improvvisi ed imprevisti anche per Civitanova Marche. Finita la tempesta, i Papi si trovano davanti ad un bivio: mettere mano alla costruzione di grandi opere pubbliche, quali quelle di innalzare i parapetti del Tevere per scongiurare la tracimazione del fiume che avviene sistematicamente ogni anno, o dare vita alla costruzione di edifici pubblici che possano far ridiventare Roma il centro della Cristianità. Si sceglie la seconda soluzione. La sede di Pietro si indebita fino all’osso con le più nobili famiglie romane: i Colonna, gli Orsini e tra questi, anche i nobili Cesarini che prestano soldi. La somma pattuita è di 14.000 scudi. La Delegazione Pontificia, il ministero del Tesoro di allora, calcola che Civitanova Marche potrebbe dare, con tasse e contributi vari, un gettito pari a 500 scudi all’anno.

Stipula allora un contratto con i Cesarini per 30 anni. Giulio Cesarini prende possesso del feudo di Civitanova Marche nel 1551 e si mette all’opera, tassando tutto quello che può finanche il diritto di approdo lungo la costa. Ben presto però si accorge che la cittadina marchigiana con tutto il suo territorio non può dare più di 300 scudi all’anno. Si riapre allora la vertenza con la curia romana che aggiunge a Civitanova Marche il feudo di Montecosaro, che da stime fatte dovrebbe rendere 200 scudi. Gli abitanti del vicino paese si rivoltano quasi subito uccidendo l’Uditore generale dei Cesarini, Dario Attendolo da Bagnocavallo ed il figlio Francesco, trascinandone i cadaveri per le strade; tredici rivoltosi pagheranno con torture ed impiccagioni.

Molti anni fa, nella data dell’impiccagione, a Montecosaro, la campana dell’orologio pubblico, al vespro di ogni giorno, batteva tredici lunghi lugubri rintocchi per ricordare l’evento. Civitanova Marche non ha il coraggio di ribellarsi e continua a pagare. Ormai sicuro del feudo, il Cesarini ritiene opportuno costruire un palazzo residenziale per sé e per accogliere ospiti illustri. Per realizzarlo utilizza una parte dell’area della piazza principale e l’antichissimo palazzo priorale. Anche a Montecosaro si fa costruire il palazzo di città. Ambedue le costruzioni resteranno della famiglia Cesarini – Sforza fino al 1903 quello di Montecosaro, l’altro di Civitanova Marche Alta, fino al 1906, quando entrambi verranno venduti ai privati. Destino diverso avrà invece la residenza estiva che Lorenzo Sforza Cesarini e sua moglie faranno costruire a Porto Civitanova, in meno di un anno. L’enorme palazzo verrà donato al Comune della cittadina rivierasca, nonostante non corresse buon sangue tra i cittadini di Civitanova Marche, memori degli antichi soprusi patiti nei secoli passati, e la nobile casata dei Cesarini Sforza.  Il Ducato di Civitanova Marche e di Montecosaro era già finito nel 1817 quando il pontefice rientrava in possesso di tutti su suoi territori e la dinastia dei Cesarini era già cessata del tutto quando l’ultima erede, Giulia sposava nel 1672 Federico Sforza.

Nel Palazzo Ducale di Civitanova Alta, chiuso da più di vent’anni dalle impalcature per il restauro di tutto l’edificio, operò il pittore Pellegrino Tibaldi. Vita da artista giramondo, come altri del suo tempo, la stagione irripetibile del ‘500, Pellegrino Tibaldi lavorò anche a Civitanova Marche al palazzo ducale del nobile Giulio Cesarini. Lo sostengono il Malvasia nel 1678, 70 anni dopo la morte dell’artista ed il Lanzi nel 1789, quest’ultimo di Corridonia. Il ciclo di pitture che esaltano il feudo dei Cesarini di Civitanova è nascosto da un contro soffitto in un appartamento del palazzo ducale a Civitanova Alta. Il palazzo ducale, estinta la famiglia degli Sforza Cesarini viene venduto a privati. Tesori nascosti e sconosciuti.

Tibaldi, dopo aver lavorato a Roma dai Farnese, dove arriva attorno al 1540, nel 1553 si trasferisce a Loreto dove rimane fino al 1560; sono gli anni della permanenza nella città lauretana anche di Lorenzo Lotto. Durante il soggiorno romano viene a contatto con il ciclo di pittura “manierista” nella versione fiorentina michelangiolesca e raffaellita. Alla corte dei Farnese, nella villa di Caprarola, incontra Annibal Caro, segretario del cardinale Alessandro, che gli parla delle Marche e senz’altro della sua città natale Civitanova Marche. Giulio Cesarini prende possesso del suo feudo nel 1551.

A trent’anni, Tibaldi inizia a frequentare le Marche. A Loreto, lavora dal 1555 al 1560 alla decorazione di una cappella all’interno della Santa Casa. La pala d’altare, il martirio di San Giovanni non esiste più nella versione data dall’artista, in quanto la cappella è stata restaurata nel 1894 e nel tentativo di staccarne l’affresco, si sono persi molti particolari dell’opera originaria. Si trasferisce poi in Ancona dove lavora al “Battesimo di Gesù” nella chiesa di San Domenico ed in una cappella del duomo di San Ciriaco. Chiamato dal nobile Angelo Ferretti lavora alla costruzione della grande dimora signorile, oggi sede del Museo Archeologico Nazionale delle Marche; su committenza di un ricco commerciante di origine dalmata, lavora al ciclo di pitture alla loggia dei Mercanti, esaltando le virtù legate al commercio. A Civitanova Marche, Pellegrino Tibaldi lavora in dal 1561 al 1568, anno quest’ultimo durante il quale abbandona definitivamente le Marche, dopo aver affrescato il palazzo comunale di S. Elpidio a Mare, per seguire il Borromeo a Milano. Nella città lombarda avrà l’incarico di costruire ed affrescare le splendide Ville Borromee sul lago Maggiore. Raimondo Giustozzi

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