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Libri: Li sprocedati, Marforio “Cronache” di vita politica civitanovese in 65 epigrammi (1993 – 1995)

copertina2di Raimondo Giustozzi

Il titolo del libro “Li sprocedati” è volutamente preso dal linguaggio popolare. Il termine ha molti significati: “Ingordo e avido nel mangiare, ma anche sboccato, sfacciato, spudorato. Viene usato comunemente nel romanesco e in altre varietà dialettali del Centro Italia, come quelle dell’area viterbese, dell’Umbria e delle Marche, fino a toccare la zona del senese a nord e del napoletano a sud; in tutte queste zone è proprio non solo del dialetto, ma anche dell’italiano regionale. La sua diffusione oltre ai confini descritti comincia già a partire dall’ottocento, ma è con l’impiego che se ne è fatto sui giornali, in particolare “La Repubblica” e su alcuni libri, che la parola spesso ha finito per non essere  avvertita come dialettale. Il prof. Francesco Sabatini, illustre linguista, lega l’etimologia del verbo al francese procéder, “agire rettamente”, entrato in Italia attraverso il linguaggio burocratico e amministrativo del Settecento. Nella nostra lingua il verbo è stato adattato, divenendo procedare, da cui il participio passato procedato. Dunque, mettendo la s privativa, il participio passato diventa sprocedato, chi non si comporta rettamente” (Accademia della Crusca, processo allo sprocedato, fonte Internet).

Marforio è una finzione letteraria. Dietro questo nome si nasconde l’avvocato Roberto Gaetani, di Civitanova Marche. La scelta di questa “statua parlante” romana, posta nel cortile del Campidoglio, è in una ideale continuità con un altro grande civitanovese, Annibal Caro (1507 Civitanova Marche – Roma 1566), vissuto a Roma nella prima metà del Cinquecento, in prossimità del Campo dei Fiori, nella segreteria dei Farnese. I cittadini romani erano soliti appendere su alcune statue della città alcuni fogli satirici contro il governo pontificio di allora. Le altre statue erano: Pasquino (presso piazza Navona), Madama Lucrezia (all’angolo esterno di Palazzo Venezia), Fontana del Babuino, Abate Luigi, Fontana del Facchino. Anche Annibal Caro si era cimentato nell’uso della satira nella polemica con il Castelvetro. Il traduttore dell’Eneide è portato sugli scudi da un altro poeta civitanovese, Aurelio Ciarrocchi (Civitanova Marche, 13 giugno 1884 – Roma, 5 maggio 1954), poco conosciuto dalle nuove generazioni.

Il valore aggiunto del prezioso volumetto è costituito da 105 disegni, realizzati dalla mano dello scrittore, “inquadrati in cornicette, ricche di disegni geometrici dalle forme più diverse, con figurette di persone di ambo i generi, di paesaggi, di composizioni oniriche o fantastiche, riprodotte con uno stile naif, ingenuo, ma con richiami, a mio parere, all’arte popolare dell’est Europa e con tratti divertenti che ricordano anche i disegnini di Vampa a corredo delle avventure di Gian Burrasca” (Siriano Evangelisti, Civitanova Marche, “li sprocedati, e le punzecchiature politiche, larucola, 14 agosto 2019, Fonte Internet). Il sottotitolo del libro, “Cronache” di vita politica civitanovese in 65 epigrammi (1993 – 1995) rimanda al contenuto delle poesie, scritte in forma di epigrammi, riguardanti figure, momenti, personaggi di storia cittadina ma anche nazionale.

L’antologia dei testi è divisa in due parti; nella prima sono raccolti 20 epigrammi che riguardano la seconda Giunta comunale Augusto Frinconi (febbraio 1992 – giugno 1993), nella seconda parte sono raccolti 45 epigrammi, relativi alla prima e seconda Giunta comunale, presieduta da Barbara Pistilli (giugno 1993 – dicembre 1995). “Gli epigrammi del libro nascevano sotto la penna di Roberto Gaetani mano a mano che la stampa locale ne offriva lo spunto, in attesa di essere pubblicati nell’auspicata ripresa del periodico “Cronache”, che, nella fase dello strapotere locale di Ivo Costamagna, aveva tentato di frapporre un baluardo critico al lassismo gestionale. Questi testi rimasero per lo più inediti, in attesa della ripresa del periodico, non più avvenuta, anche perché avversata dall’apparato ufficiale della sinistra, restio a confrontarsi con la satira” (Marforio, Li sprocedati, Cronache di vita politica civitanovese in 65 epigrammi (1993 – 1995), pag. 6, Pollenza (MC), 2019). I 65 testi del libro, come detto sopra, divisi in due parti, sono la continuazione di un altro grazioso volumetto, “Vasta e ‘vvanza” – poesie satiriche sul bicolore DC – PSI, che raccoglie 52 epigrammi sulla vita politica civitanovese, dal 1990 al 1992, pubblicato nel 1992. Il “bicolore” civitanovese, Democrazia Cristiana e Partito Socialista, fu possibile grazie all’accordo tra Ivo Costamagna (PSI) e Galliano Micucci (DC). I due esponenti di partito furono anche assessori regionali. Attorno a loro ruotò per diversi anni tutta la politica civitanovese.

Tutto cambia con i grandi rivolgimenti, che interessano l’Italia e non solo, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni del nuovo decennio, l’ultimo del XX secolo. Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino, evento che porta alla riunificazione tedesca, formalmente conclusa il 3 ottobre 1990. Il periodo compreso tra il 19 gennaio 1990 e il 31 dicembre 1991, segna la dissoluzione dell’Unione Sovietica e, a seguire, l’indipendenza delle Repubbliche Sovietiche. In Italia, il 17 febbraio 1992 ha inizio l’operazione “Mani Pulite”, condotta dai magistrati milanesi: Piercamillo Davigo, Francesco Saverio Borrelli, Gherardo Colombo, Gerardo D’Ambrosio, Antonio Di Pietro, Ida Boccassini, per citare quelli più conosciuti. L’inchiesta giudiziaria porta alla progressiva dissoluzione della DC e del PSI. Era qualcosa di simile alla “Caduta dell’impero romano”, come scriveva certa stampa di allora. Nascevano e si affermavano due nuovi grandi partiti di massa: la Lega Nord e Forza Italia.

I fatti nazionali e internazionali del tempo hanno dei contraccolpi anche in periferia. A livello locale – scrive Roberto Gaetani –  “La maggior parte dei consiglieri comunali, per restare a galla, tentò di riciclarsi in modo fantasioso. Ivo Costamagna, sul finire della sua esperienza regionale, aveva tentato di avvicinarsi a “Forza Italia”, come molti “craxiani”, dato il noto connubio tra Craxi e Berlusconi. Venne però respinto fa “Forza Italia”, che gli eccepiva le difficoltà giudiziarie che avevano intaccato la Giunta regionale, guidata da pesarese Giampaoli” (Marforio, op. cit. pag. 5). “Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”, dice don Fabrizio Corbera, principe di Salina, nel romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. L’impasse del momento storico, all’indomani della trasformazione in atto nella vita politica locale, ecco come viene raccontata nell’epigramma ‘Na scasciata. Il termine dialettale scasciata rimanda alla leggera spolverata di formaggio sulla pastasciutta da servire a tavola.

 ‘Na Scasciàta

“Se sbrilló comme la pula / ‘sso potere coccodè / ch’era spaso, da ‘na vita, / ‘na proènna de godé! // Co’ Borrèlli e co’ Di Pietro / ‘ngumingiò lo jirotónno, / chi derète smanegghiàva / s’è fugghjato pe’ lo mónno! // Costamagna – virbarèllo – / senza còsa tra le mà’, / se cercava lo puntèllo / pe’ sarvasse lo cascà’. // se llisciava pure Spini / – lo sinistro più pultito- / pe’ scanzasse lo travàjo / che llamava lo partito. // Ma Furmica e lo Farghetto, / Recchi e ll’àrdri pappoló’, / se vuttava’ co’ Martelli, che je dava più rajó’. // A parole, tutti quanti / predecava’ lo rnoâsse: / preferenze, co’ ‘santini, / tutta ròbba da vuttàsse! // Ma, ‘nfrattati – a ‘na cert’ora- / co’ du’ – tre democristià’, / rajionava, comme sembre, / dó ‘rriâcce co’ le mà’. // A vedé’ ‘ssa jendarèlla / che no’ n-sa quello che vò’ / – ce mangava ‘na mesata / pe’ jucàsse l’elezzió’ – // da Frincó partì la mossa: /  Ve lo vaco  a fa’ vedé, / se ve lèo li postarélli, / dó’ ve tocca jì a sedé! // Un  voció’ je s’è leâto, / che corgava le montagne: / Mó statémo su in cambana / pe’ scupritte le magagne! // Se ce cacci ‘na sejòla / te dacémo l’ardolà; / cascarà, me sa de quarto, / chi ce véne a fastidià!… // Je c’è jìta la risposta, / de lo Porto e Costamagna: / Tutti quanti scangellàti / comme rràpre la campagna! // E ssuscì li Socialisti / s’è rnoâti pure qua; / co’ du’ menze parolette, / senza stàjece a penà! // Lo libbrétto se l’ha perso; / co’ lo sóle ce jocò; / la fargiòla e lo martello / li pusò su lo comò. // S’è scordati le refórme, / je se ‘ndreccia lo parlà’; / quesso ‘de lo resurdato de lo troppo rajionà’!” (Ibidem, pagg. 61- 62).

Note al testo.

Se sbrilló comme la pula / ‘sso potere coccodè / ch’era spaso, da ‘na vita, / ‘na proènna de godé!”. Codesto potere politico da galline (coccodè) si disfece come la pula che il vento disperde, potere che durava da una vita, come misura di godimento. Spini è il deputato socialista Valdo Spini, figlio di Giorgio Spini, professore di storia prima all’Università di Messina, poi a Firenze. “Pe’ scanzasse lo travàjo / che llamava lo partito. L’espressione sta per: accantonare il lavoro di rifondazione del partito che stava franando (llamava). Furmica sta per Formica, uomo politico di Civitanova Marche. Il termine farghetto è riferito agli abitanti di Civitanova Marche Alta. Questi guardavano dall’alto, come falchi, gli abitanti di Civitanova Porto, chiamati “Cucà”, gabbiani, uccelli marini. Recchi era di Civitanova Marche Alta. Pappolò è chi chiacchiera a vanvera. Negli ultimi versi del testo si fa riferimento al dramma del Partito Socialista che non fu in grado di trasformarsi. Se c’è nella vita politica italiana un partito che ha visto, fin dal suo nascere, continue scissioni, questo è senz’altro il Partito Socialista Italiano. All’inizio, la fronda era tra Riformisti e Massimalisti, poi al suo interno, al Congresso di Livorno (1921), sboccia il Partito Comunista Italiano (PCI), a seguire, al congresso di Roma, nell’ottobre 1922, dal Partito Socialista Italiano nasce il Partito Socialista Unitario (PSU), segretario Giacomo Matteotti. “In Russia ci saranno miseria, terrore e mancanza di ogni libero consenso”, chiosava calmo e tranquillo ma con fermezza Filippo Turati, il padre del riformismo socialista, mai profezia è stata così veritiera.

Parlare soltanto, senza indicare mete da raggiungere, impreparazione politica, sono stati i mali che affliggevano il Partito Socialista a Civitanova Marche nella vita politica cittadina negli anni che vanno dal 1990 al 1995. “La crisi della sinistra civitanovese fu la conseguenza di un vero e proprio sfinimento culturale. Si era palesata l’incapacità della maggior parte dei consiglieri ad esprimere una politica urbanistica condivisa, nel delicato momento in cui Civitanova veniva chiamata ad elaborare il secondo PRG, in adeguamento al piano paesistico regionale (PPAR), predisposto dall’ng. Secchi, su incarico della Giunta Frinconi, all’epoca del fatidico “scapordò”, che aveva segnato il passaggio dal bicolore PSI- DC, alla ripresa della collaborazione tra PSI e il “Partito della Quercia”, prima dell’effimera esperienza della Giunta presieduta da Barbara Pistilli, durata appena due anni” (Ibidem, pag. 6). In una atmosfera da “cupio dissolvi”, le ripicche a sinistra indussero il Partito Socialista civitanovese a far cadere la Giunta, consentendo le dimissioni di 15 consiglieri su 30. Quando la politica non diventa l’arte del saper fare ma l’annuncio di una profezia o peggio solo l’occasione per occupare poltrone, i risultati sono deleteri per tutti. La storia ce lo insegna.

Altra caratteristica del libro è l’utilizzo integrale del dialetto. Quello di Civitanova Marche è la somma di tre differenti forme gergali, quella di chi proviene dall’entroterra, dall’ambiente marinaro e da quello cittadino. La pubblicazione di un glossario civitanovese ad opera di Antonio Eleuteri, per quanto riguarda la fonetica, il lessico, la morfologia e la sintassi viene a colmare una lacuna ancestrale. Il libro di Antonio, presentato alla stampa il 19 maggio 2023, è un ottimo strumento per studiare e usare il dialetto, seguendo precise regole di fonetica, morfosintattiche e ortografiche Marforio, alias l’avvocato Roberto Gaetani si è rifatto al dialetto codificato in passato da Giovanni Ginobili (2003), “Glossario dei dialetti di Macerata e Petriolo” e alla sterminata produzione di Claudio Principi e alla sua monumentale opera “Mille e uno sonetti della Marca” (2000), I due volumi sono “Gli strumenti filologici atti a rimaneggiare espressioni, presto dimenticate, se non rivissute nel quotidiano” (Ibidem, pag. 7).

Lo casì’ de lo venti aprile

La Giunta Frinconi cade per la mancanza di capire qualcosa sul Nuovo Piano Regolatore. “L’Urbanisteca chjiduna / se la vole ciangecà’; / tutti èllo a métte’ vocca / pe’ ‘mpozzacce jó le mà’. // Su sso Piano rengiaffato /  ce se jòca eppó de vrutto: / je se dà’ ‘na smuscinàta / lo ‘ncasina’ da per tutto. // Ce se ‘ncasa’ su le strade; / ‘ntèrra’ farzo, pe’ frecà; / sbuscia e bbócca sotto terra, / comme tanti magnapà’. // Pe’ veccà’ ‘na manzardèlla / rescapòrda anghe li tetti; / pe’ piazzàlla dónghe vòle / no’ gne serve li progetti. // Se la gghjusta’ a cazzeròla, / pe’ potéccese ‘nfrattà; / pure mènza spampanata, / comme addè se ‘mbara a fa! // Li pizzitti revvanzati / no’ gne rmàne più de fòra; / je ce scappa checcosétta, / a la faccia de cossóra / che se cerca’ ‘no stradèllo, / – vèllo còmmedo e larghetto- / dó’ rgjiràasse, a ‘na cert’ora, / co’ la móje e lo frichetto”. Traduzione: “ Sull’urbanistica qualcuno / vuole capirci qualcosa; / tutti lì a mettere bocca / per affondarci sopra le mani. // Su codesto piano scombiccherato / ci si gioca veramente di brutto; / gli si dà una mescolata / e lo si trasforma dappertutto. // Si fanno le case in mezzo alle strade; / si va ad abitare in falsi atterrati, per rubare; / si buca e si entra sotto terra, / come tanti scarafaggi. // Per avere una piccola mansarda / si soperchia anche il tetto, / per metterla dove uno vuole / non gli servono i progetti. // Se l’aggiusta con la cazzuola, / per poterci entrarci dentro; / anche se tirata su alla bell’è meglio, / come oggi si impara a fare! // I pezzetti avanzati / non rimangono più accantonati; / ci scappa sempre qualche cosa, / alla faccia di lor signori // che si cercano una stradina, / bella, comoda e abbastanza larga – / dove andare in giro, ad una cera ora, / con la moglie e il bambino”.

La serata del venti aprile era l’ultima per approvare il Nuovo Piano Regolatore. Continua Marforio: “… Chi lluccava pe’ lo scine, / chi sbracciava pe’ lo no, / tra lo càllo e la fumèra / se leò ‘na cunfusció’. // Comm’è rintoccata l’ora / de spartisse li fanélli, / che ce fa’ li cutumazzi / su li muri e li murelli // a le cinque de mattina / quarghedùno je lluccò: / Jate a fàvve ‘na durmita / che n’ n-serve più lo sció! // Ce sarà’ le votazzió, / bboccherà la jènde nòa; / sarrà tutta ‘na ‘nfornata / de lo mèjo che se rtróa! // Se a chjidù je vàtte fiàcca / no’ n-ge stàca a penzà’ su; / Sando Maro se scanzèsse, / ce vuttémo co’ Jisù!”. Traduzione: “Chi gridava di votare per il sì, / chi si sbracciava per votare no, / tra il caldo e il fumo (delle sigarette) / scoppiò una confusione. // Come suonò l’ora / di spartirsi gli sciocchi, / con i quali ci si fa le capriole / sui muri e i muretti // alle cinque di mattina, / qualcuno gridò al loro indirizzo: // Andate a farvi una dormita / che non serve più lo spettacolo! // Ci saranno le votazioni, / entrerà gente nuova; / sarà tutta un’infornata / del meglio che si ritrova! // Se qualcuno è stanco / non ci stia a pensar su, / San Marone si tolga di mezzo, / ci rimettiamo al buon Gesù”. I fanélli, nel gergo contadino, sono  degli uccelletti canterini. Nel testo sta ad indicare gli sciocchi, i vanitosi, coloro che parlano tanto per parlare.

Le cose non vanno meglio con la prima e la seconda Giunta guidata da Barbara Pistilli (giugno 1993 – dicembre 1995), nonostante l’impegno profuso da quest’ultima. La politica civitanovese vive pienamente la confusione che è anche a livello nazionale. Gli snodi tra la prima e la seconda Repubblica sono difficili per tutti. Manca una preparazione nuova in grado di affrontare i nuovi tempi. Barbara, arrivata, come avrebbe detto Dante Alighieri, “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, viene convinta ad accettare la guida della nuova Giunta comunale. La sua famiglia è molto conosciuta in città: “Se chiamava Varbarèlla, / je mangava lo da fa’; / dèra più che riverita / da vancari e carzolà’. // Da lo nònneso a lo patre / se passava’ li ‘ndindì; / le casette de cossóra / java’ su pure carì’! // Pe’mbarà’ le mèjo cóse / su a Milano ce zombò; // lo ciaffóso che vidìa / no’ n putìa mannàllo jó! // Pe’ rrefàccese la vócca / c’è partita su a Parìs; / tra Vastìja e Momparnàsse / quanne cose da capì’! //A ll’ucchitti sbacarati / ‘sto monnàccio se rraprìa; / li misteri de l’oriente / tra fumère se scuprìa. // Passò l’anni – comme Dante / su lo mènzo de la vita – / rajonò, de mènte sua, / che ‘ssa cérca era finita: // Citanò, porèlla mia, / no’ n-te pòzzo scordà più. / Co’ la jènde che sapémo / ‘gna parlacce a tu- per- tu” (Varbarella, ibidem, pag. 195). Traduzione: “Si chiamava Barbara, / le mancava il da fare, / era più che riverita / da bancari e calzolai. // Dal nonno al padre / si passavano e quattrini; / gli appartamenti di costoro / costavano pure cari! // Per imparare le migliori cose / andò a Milano; // la confusione che vedeva / non poteva mandarla giù! // Per imparare più cose / partì per Parigi; / tra la Bastiglia e Montparnasse / quante cose da capire! // questo mondaccio si apriva / ai suoi piccoli occhi indagatori; / i misteri dell’oriente / si scoprivano tra le volute di fumo. // Passarono gli anni – come Dante / nel mezzo del cammin della vita- / ragionò, spontaneamente / che quella ricerca era finita: // Civitanova, poverella mia, / non posso dimenticarti più. / Con la gente che conosciamo / bisogna parlarci a faccia a faccia”.

Continua il testo: “Su ‘na lista de cartèllo / s’è troàta rangimata; / senza mango penà tanto / da cossòra fu rcapata. // Jó lo Porto – de ‘sti témbi – / no’ n se sa ch’edè li guanti; / c’è ‘na spasa dappertutto / de sciapotti e vutticanti; // scarzacà’ sena patente; / marucchì’, m- bó fasciolati; / jocatori de cartello, / teste nnèrte e casinari. // Co’ le vrutte e co’ le vòne / notte e ghjorno ce penò, / pe’ tenésse de ‘na parte / ‘ssa proènna de persó; // ma la Jónda scargettava, / ‘dèra lento lo partì’, / e Tonino – l’attendente – / no’ rportava tanti scì. // Co’ Jismondi – fentarèllo- / li muròli se llongava’ / e Frascolla – vardasciòtto- / pe’ li cambi scutulava. // Rescanzava lo da fasse / Pezzonetto, lo tatà; / Perugì je relluccava: / Rembaréte a sparagnà! // Se vuttava a testa vassa, / lo burdòzere ‘Ngilini; / ‘gnava quàsci ‘mpasticcallo / pe’ stoppàje li casini. // Co’ ‘ssa jènde rcapezzata / revvanzava lo penà’ / e chjiduna – sverdarello- / je stuccava lo parlà’. // Varbarèlla, in posa yoga, / l’ha lassati divertì, / pó, a la fine, c’è sbottata: / Ssa casciàra ha da finì. // Gna ‘nzittì Refonnazziò’ ; / fàje a Brini ll’occhjoletto; / se dacèsse ‘na carmata / ‘sso Pi- pì, pure ciuchétto. // Me darrò ‘na scaiarbatèlla, / me ve ségno co’ lo déto; / scappo fòra madonnèlla, / mèjo pure de Loreto!”. Traduzione: “ Su una lista di cartello / si ritrovò la più votata; / senza nemmeno penare tanto / da costoro fu scelta. // Giù al Porto – di questi tempi- / non si sa cosa siano i guanti; / c’è ovunque una moltitudine / di sciocchi vanitosi e bottegai; // gente di poco conto senza arte né parte; / individui del tutto insignificanti; /  giocatori di cartello, / con le teste dure e pronte a far casino. // Con le brutte e con le buone / penò notte e giorno, / per tenersi da una parte / questa abbondanza di persone; // Ma la Giunta fremeva, / la partenza era lenta, / e Tonino- l’attendente- / non riportava tanti a favore. // Con Gismondi – non del tutto sincero – / i muretti si allungavano / e Frascolla – ragazzotto – / si arrotolava per i campi. // Scansava la fatica / Pezzonetto, lo ragazzino; / Perugini gli gridava: / Imparate a risparmiare! // Si buttava a testa bassa, / il bulldozer  Angelini; / bisognava quasi addormentarlo con le pasticche / per prevenire i casini. // Con codesta gente raccogliticcia / le pene erano all’ordine del giorno / e qualcuno – un po’ saccente / gli impediva di parlare. // Barbara, in posa da yoga, / li ha lasciati divertire, / poi, alla fine, ha sbottato: / codesta gazzarra deve finire. // Come mise a tacere Rifondazione (Comunista) / fece pure l’occhietto a Brini; / si desse una calmata / codesto Partito Popolare, anche piccoletto come numeri. // Mi darò una restaurata , / ma vi segno con il dito; / esco fuori come una piccola madonna, / meglio di quella che sta a Loreto” (Ibidem).

Spigolature.

Qualche epigramma contiene delle massime che valgono sempre: “… Ma la vita ‘dè na rota, / te se rghjira a più non posso; / pe’ chjiduna le vrasciòle, / a chi rmàne mango l’osso” (Li matti de Montecò, ibidem, pag. 111). Traduzione: “ Ma la vita è come una ruota, / ti prende tutto; / per qualcuno ci sono le braciole, /  c’è chi si deve accontentare dell’osso”.

Lo potere ‘dè ‘na cósa / te se squàja tra le mà! / Co’ mènz’ora de quess’arte / se putrìa pure jocà’, / ma se caschi de sejòla / chi te pòle rtità’ su? / Troppa jènde sverdaròla / sta derète a fà’ cucù!” (Li Pipinélli, ibidem, pag. 203). Traduzione: “Il potere  è una cosa / che ti si squaglia tra le mani! / con mezz’ora di codesta arte / si potrebbe anche giocare, / ma se cadi dalla seggiola / chi può tirarti su? / Troppa gente senza scrupoli / sta dietro a te pronta a canzonarti”.

Li Communi – se rresà – / po’ penacce tutte ll’ore / se li posti ‘dè puchitti / pe’ jucacce a l’Assessore. // … Varbarella s’ha pescato / n’assessore de chiaétta; / li partiti no’ li sente // – saria vòna ‘ssa ricetta” (L’assessore Ciccingómma, Ibidem, pp. 183- 185). Traduzione: “I Comuni – si risà – / puoi penarci tutte le ore / se i posti sono pochi / per giocare a fare l’assessore. // … Barbara ha scelto / un assessore in gamba; / non ascolta i partiti // – sarebbe buona codesta ricetta”. Ciccingomma sta per chewing gum, la gomma da masticare.

Tutti i 65 epigrammi sono belli da leggere. Certo, riguardano date e personaggi politici civitanovesi e italiani di tanto tempo fa. Proprio per questo, perché sono distanti nel tempo, è possibile prendere la giusta distanza e utilizzarli per ricostruire, anche con la poesia, pezzi di storia locale e nazionale. Contro chi crede che la storia sia un’oggettiva ricostruzione di un passato in sé concluso e dunque solo come passato, J. Dewey scrive: “Se il passato fosse veramente finito o morto, vi sarebbe un solo atteggiamento verso di esso, lasciate che i morti sotterrino i loro morti. Ma la conoscenza del passato è la chiave per capire il presente.  Gli avvenimenti passati non possono essere separati dal presente vivo senza perdere il loro significato. Il vero punto di partenza della storia è sempre qualche situazione attuale con i suoi problemi” (J. Dewey, Democrazia ed Educazione, pag. 275). Molte situazioni attuali, locali e nazionali, ma anche internazionali, affondano le proprie radici proprio nel passato, in scelte che non hanno risolto i problemi di geo –  politica, vedi la scellerata guerra in Ucraina. La Federazione Russa, nella sua leadership, presenta l’operazione militare speciale come necessaria per difendere il mondo russo dall’Occidente, infido e russofobo. Umiliazioni subite e represse, desiderio di rivincita, costituiscono un miscuglio difficile da capire. L’aggressore vuole passare per l’aggredito e quest’ultimo, dopo aver subito distruzioni inenarrabili in tutte le zone del paese, finanche nel Donbass filorusso, sarebbe il vero aggressore. Anche molte teste d’uovo, leggi politici e intellettuali italiani, abboccano alla narrazione strampalata. Fortunatamente c’è ancora chi usa la propria testa per ragionare.

Raimondo Giustozzi

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