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“Chi sa volare non deve butta via le ali per solidarietà con i pedoni, ma deve insegnare a tutti il volo” (don Lorenzo Milani)

“Don Lorenzo Milani cattivo maestro: così ha fallito la scuola italiana”, di Giuseppe Vatinno, in www.affaritaliani.it, cronache, martedì, 30 maggio 2023). E’ un articolo scritto con astio e in malafede. “Milani fu un sessantottino ante litteram”, scrive lo stesso nell’articolo citato. La biografia di don Milani è ridotta a poche righe, del tutto banali: “La sua era una ricca famiglia borghese, la madre ebrea boema, confermando Idealtipo radical – chic della sinistra (…) Il ragazzo si diploma al liceo ginnasio Berchet di Milano ma è un asino ed ha scarso profitto. Il ragazzo è bizzarro e finite le scuole vuole fare il pittore ed inizia nel 1941 pure a frequentare lo studio di un artista tedesco durante la guerra. È la disperazione della sua famiglia”. Sono centinaia le scuole intitolate a don Milani, che lei definisce un asino. Il profitto scolastico, è vero, non era ottimo. Lorenzo Milani studiava solo quello che lo interessava.

 

Chi fosse la disperazione della sua famiglia lo dice lei. Legga l’intervista di padre Nazareno Fabretti alla mamma di don Milani, Alice Weiss, in Il Resto del Carlino, 08 luglio 1978, e riportata da Neera Fallaci nella sua biografia sul priore di Barbiana. I genitori erano contrari sulla scelta del figlio: “Abbiamo sofferto per quella scelta. Io come agnostica e ebrea, e anche mio marito benché cattolico d’anagrafe. Ma non abbiamo detto e fatto nulla per distogliere Lorenzo dal suo proposito. Lo conoscevamo bene, sapevamo che se aveva deciso per quella strada nessuno lo avrebbe potuto dissuadere. Davanti alla sua decisione, e a tutto ciò che è scaturito dopo, non mi sento neanche in diritto di capire, di sapere e di dire più degli altri solo perché sono sua madre. Sono una testimone che ha potuto vedere certe cose da vicino, ecco tutto” (Neera Fallaci, Dalla parte dell’ultimo, vita del prete Lorenzo Milani, pag. 77, Milano Libri Edizioni, 1974).

 

Prima di diventare prete, Lorenzo Milani fa il pittore. “Si infatua di una bella ragazza dai capelli rossi, Tiziana Fantini, già impegnata sentimentalmente”. La lascia e “Si fidanza quasi” con Carla Sborgi, che la molla per entrare “in seminario dove c’è tanto latinorum e relative conseguenze carnali e nel 1947 viene ordinato sacerdote”. Il latinorum sta per lo studio del Latino. Lorenzo Milani aveva studiato Latino al Liceo Berchet. Nella stessa scuola aveva studiato anche il greco antico. Scriveva e parlava in francese, tedesco e inglese. In seminario studia anche l’ebraico. Quali sono poi queste relative conseguenze carnali? L’autore dell’articolo non lo dice. Quali fonti ha consultato  prima di scrivere certe cose?.

Don Milani viene ordinato sacerdote, continua l’autore dell’articolo di cui sopra, “Ma si tratta di un prete matto che comincia subito a litigare furiosamente con la Curia che lo caccia. Allora se ne va ingrugnato nel paesino del Mugello di Barbiana dove fonda la celebre scuola”. Del Mugello di Barbiana? Se l’autore avesse scritto: “Allora viene mandato a Barbiana, un paesino del Mugello”, forse chi legge, può capire. Come è scritto nel testo, il lettore non lo capisce. Continua Giuseppe Vatinno: “La sua scuola doveva essere democratica e cioè ostile ai figli dei ricchi, il che equivaleva per lui tutte le persone normali. Gli arriva addosso una gragnuola di giuste critiche”. Le critiche gli arrivano addosso perché chi le fa è in malafede e non capisce la provocazione di don Lorenzo Milani. Chi sono per lui (don Milani) le persone normali?

Continua il nostro: “Per rispondere ad esse (alle critiche) scrisse un libello dal titolo simil erotico, “Lettera ad una professoressa”. Non ho mai trovato in nessun libro, ne ho letti molti, che “Lettera a una professoressa” sia un libello dal titolo “simil erotico”. Chi ha scritto ciò, vaneggia e fa disinformazione anche volgare. “La sua scuola doveva essere democratica e cioè ostile ai figli dei ricchi”. Anche su questo, lei Giuseppe Vatinno non conosce il pensiero di don Milani. Nel marzo 1962, accadeva che il professore Marcello Inghilesi, direttore del doposcuola di Vicchio del Mugello, avesse organizzato per gli studenti delle medie la proiezione del film Roma città aperta di Rossellini. In quella occasione, il direttore aveva invitato anche gli alunni di Barbiana. Don Milani accompagnò volentieri i propri alunni, considerato il valore della pellicola. Li aveva preparati a fondo perché afferrassero meglio il significato e lo sfondo storico del film. La proiezione cominciò e proseguì nella gazzarra consueta in simili occasioni. Don Milani e i suoi alunni ci rimasero male. Ritornato a Barbiana, presa carta e penna, il priore scrisse: “Caro Marcello, ieri ho trattato male quei poveri ragazzi, ma cinque minuti dopo m’ero già accorto d’aver sbagliato destinatari. I ragazzi sono dei poveri ingannati. La colpa è vostra. I ragazzi di qui sono stati unanimi in questo giudizio. Quella non è una scuola, è una pubblica piazza. Ognuno tira per la sua strada disinteressandosi del prossimo. Vi siete forse illusi di fare una scuola democratica? E’ un errore. La scuola deve essere monarchica assolutista e è democratica solo nel fine cioè solo in quanto il monarca che la guida costruisce nei ragazzi i mezzi della democrazia. Li avete sentiti parlare liberamente, durante tutto il film. Ridere quando c’era da piangere. Scambiare le fucilate di via Rasella con quelle del western. Dare cioè segno evidente che s’erano disinteressati totalmente no solo del film e del suo valore artistico, ma anche e questo è ben più grave, del periodo storico che descrive e dei suoi problemi politici e sociali. E voi avete lasciato fare” (Neera Fallaci, op. cit. pag. 341).

Don Milani aveva eliminato nella sua scuola “Le nozioni serie per introdurre un pacato lessico familiare per non mettere in difficoltà l’alunno. Insomma la proposta didattica di don Milani era quella di togliere tutte le cose difficili e impegnative per non turbare i poveri che in questo modo venivano penalizzati due volte: dalla povertà e dall’ignoranza con cui uscivano dalla sua finta scuola”, scrive ancora l’autore dell’articolo di cui sopra. Quella di Barbiana non è stata una finta scuola ma quella vera. Peccato che gli operatori scolastici: presidi, dirigenti, docenti non abbiano fatto propria la spinta motivazionale di don Milani. Tocca all’insegnante rimuovere gli ostacoli che impediscono, all’inizio di un percorso didattico, chi non ha nessuno strumento culturale per essere uguale rispetto agli altri. Lo dice la Costituzione.

L’insegnamento di don Milani era tutto centrato nel dare agli alunni lo strumento della parola. Scriveva in una bellissima lettera ad Ettore Bernabei, direttore del “Giornale del Mattino”: “La parola è la chiave fatata che apre ogni porta. Parole come personaggi, si chiama una tua rubrica. Ecco, questo appunto è il mio ideale sociale. Quando il povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata. Un’utopia? No. E te la spiego con un esempio. Un medico oggi, quando parla con un ingegnere o con un avvocato, discute da pari a pari. Ma questo non perché ne sappia quanto loro di ingegneria o di diritto. Parla da pari a pari perché ha in comune con loro il dominio della parola. Ebbene a questa parità si può portare l’operaio e il contadino senza che la società vada a rotoli. Ci sarà sempre l’operaio e l’ingegnere, non c’è rimedio. Ma questo non importa affatto chi si perpetui l’ingiustizia di oggi per cui l’ingegnere debba essere più uomo dell’operaio (chiamo uomo chi è padrone della sua lingua). Questa non fa parte delle necessità professionali, ma delle necessità di vita di ogni uomo, dal primo all’ultimo che si vuol dire uomo” (don Milani, lettere, pag. 58- 59).

Dalla “finta scuola di Barbiana”, sono usciti sindacalisti, operai, artigiani. Michele Gesualdi è stato presidente della provincia di Firenze per ben due legislature. Don Milani non turbava i poveri ma tutti i ben pensanti di ieri, di oggi e di domani, di sempre. Continua l’autore dell’articolo: “Famosa la polemica che scoppiò nel 1992 ad opera dello scrittore Sebastiano Vassalli “Don Milani, che mascalzone”, ospitata stranamente su Repubblica, in cui il maestro di Barbiana finì sonoramente sbertucciato da un autore oltretutto di sinistra”.

Lo scrittore Sebastiano Vassalli (25 ottobre 1941, Genova – 26 luglio 2015, Casale Monferrato), in un articolo “Don Milani, che mascalzone”, pubblicato su “La Repubblica” il 30 Giugno del 1992, a venticinque anni dalla morte del Priore di Barbiana, scriveva: “Don Milani, un prete di buona volontà che aiutava come poteva i figli dei contadini a conseguire un titolo di studio, e se non ci riusciva, incolpava i ricchi”. Ed ancora: “Un autocrate che non credeva nella pedagogia, all’infuori della propria – e che trattava con sufficienza e sarcasmo chi si azzardava a parlargli di libero sviluppo della personalità degli alunni e di altrettante “sciocchezze borghesi”. La Repubblica del 2 luglio 1992 pubblicava un articolo di risposta di Tullio De Mauro. Il linguista smontava la sufficienza con la quale Sebastiano Vassalli scriveva su don Milani.

Il maestro di Barbiana finì sonoramente sbertucciato da un autore oltretutto di sinistra”. Il fatto che Sebastiano Vassalli fosse di sinistra è un dettaglio del tutto insignificante. Scrive ancora Giuseppe Vatinno: “Invece lo scrittore Walter Siti ha espresso dubbi su una possibile pedofilia di don Milani a causa di una lettera del 10 novembre 1959 spedita da don Milani a Giorgio Pecorini, un suo amico giornalista de l’Europeo: “… che se un rischio corre per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)” (…). “Sor Warter hai fatto la pipì fuori dal vaso”, scrive Eraldo Affinati nel suo libro: Sulle tracce di don Lorenzo Milani, l’uomo del futuro. Quando un prete è inviso alla sinistra, al mondo cattolico e alla destra vuol dire che è sulla buona strada.

“Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce”. E ancora: “Il male e il bene non sono tutti da una parte. Non bisogna mai credere né ai comunisti né ai preti. Bisogna andare sempre controcorrente e leticare con tutti, e poi il culto dell’onestà, della lealtà, della serenità, della generosità politica e del disinteresse politico. Insomma bravi figlioli” (don Lorenzo Milani).

Sull’insinuazione di Walter Siti che “ha espresso dubbi su una possibile pedofilia di don Milani” voglio ricordare quanto scrive Paolo Landi, uno degli alunni di Barbiana: “Un intellettuale sa bene che le parole possono ferire più delle pietre: Farsi propaganda con una insinuazione tra le più infamanti (don Milani pedofilo) è segno di una letteratura spazzatura e di uno scrittore pennivendolo. Purtroppo nei media più la spari grossa, più hai risalto, poco importa se dici una cosa vera o una falsa.. Una insinuazione falsa e gratuita solo per fare scandalo e così assicurarsi la vendita di qualche copia in più del suo libro. Che pena! Confondere l’amore di un padre con l’amore pedofilo! Io che cinquant’anni fa ero un ragazzo di Barbiana, ho conosciuto non solo un maestro e un prete, ma anche un padre, attento, comprensivo e rigoroso, mi sento offeso dalle sue insinuazioni e come me lo sono gli altri ragazzi della scuola e tutti coloro che hanno conosciuto don Lorenzo. Una persona solare, socievole con tutti, ma duro e spietato con certi intellettuali presuntuosi e superficiali come lei, signor Siti. Don Lorenzo resta un maestro, un prete, e per noi ragazzi anche un padre, il cui esempio di vita e insegnamento sono un riferimento per molte persone impegnate nella scuola, nel sociale, in politica, nella Chiesa. Sono passati cinquant’anni e gli insegnamenti di don Milani non tramontano. Il suo falso scoop, signor Walter Siti, domani sarà già dimenticato. Si chiede qual è la differenza?” (Paolo Landi, La Repubblica di Barbiana. La mia esperienza alla scuola di don Lorenzo Milani, pag. 250, Libreria Editrice Fiorentina, seconda edizione, Firenze 2020).

Eredità di don Milani

Poi insegnando imparavo tante cose. Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia” (Lettera ad una professoressa). Non l’avessi mai detto in quel Consiglio di Classe, quando insegnavo ancora in una scuola del milanese. Eppure pensavo di avere attorno a me, se non tutti, almeno qualche collega che dimostrava qualche sensibilità. Mai fidarsi delle apparenze. Un professore di Matematica mi rideva quasi in faccia. Anni prima, lo stesso era stato sulle barricate in nome del niente. Il suo problema di insegnante non era uguale a quello degli altri, mi disse molto freddamente ed in modo sarcastico. Non partecipava quasi mai ai lavori dei Consigli di Materia dove si progettava l’organizzazione didattica della disciplina d’insegnamento. Era superiore a tutti. Non aveva bisogno di confrontarsi con nessuno.

Un giorno mi precisò meglio il suo pensiero. Mi disse che aveva messo vent’anni per capire come andava il mondo. Stava nella scuola, ma ci teneva ad avere i piedi in più staffe, così mi diceva: editoria e consulenze varie. Ad ognuno il suo. Don Milani ci aveva messo vent’anni per uscire dalle tenebre dell’errore. Quel collega, dopo aver praticato la ricreazione nella scuola per molti anni, dove il dire prevaleva sempre sul fare, vent’anni dopo sosteneva che la ricreazione fosse finita e che i ragazzi fossero tutti dei debosciati. Don Milani, sentenziava, apparteneva al mondo della cronaca non a quello della storia, che andava in un’altra direzione.

Un’altra collega, preparata e colta, ma spocchiosa, mi diceva invece che lei aveva da leggere i propri libri e che aveva da incontrare i propri amici. Aveva ben altro da pensare che a don Milani. Nel mio insegnamento ho sempre cercato di coniugare la lettura di libri su don Lorenzo Milani e del suo pensiero attraverso la lettura dei suoi scritti, oggi riuniti tutti nell’Opera Omnia, curata da Alberto Melloni per la collana Meridiana (Mondadori) per con l’aggiornamento continuo alla Fondazione Feltrinelli, al Cisem di Milano, presso l’Istituto di Storia della Resistenza di Sesto San Giovanni, e in altri istituti di ricerca per organizzare al meglio la didattica della Storia (formatori: Maurizio Gusso, Antonio Brusa, Alberto De Bernardi, Scipione Guarracino, Ivo Mattozzi, ecc.), dell’Educazione Linguistica e dell’insegnamento in genere, con corsi al Palazzo delle Stelline, dove ho avuto la fortuna di conoscere tutto il gruppo di Memoria e Transfert all’inizio della loro attività (Meazzini, Groppo, Cornoldi). Seguivo anche corsi organizzati dal CIDI. Leggevo autori della storiografia francese de “Les Annales”: Fernand Braudel, Jorge Duby, Jacques Le Goff, Philip Ariès, Jorge Lefebvre, Marc Bloch  e autori italiani: Carlo Maria Cipolla, Piero Camporesi.

Leggo tuttora quello che posso. Faccio il nonno a tempo pieno. Leggo e scrivo a tempo perso.  Propongo recensioni dei libri che leggo, anche se sono in pensione da più di dieci anni. Mi interesso di storia locale, come facevo quando abitavo a Giussano (Mb). Un proverbio brianzolo, che ho fatto mio dopo i tanti anni trascorsi lassù, recita così: “Ai vècc ghe rincrescen murì perché ne ‘mpara vüna tücc i dì”. Ai vecchi rincresce morire perché ne imparano una ogni giorno. Cerco invece di tener lontano da me un altro detto brianzolo, tanto efficace e vero per qualcuno: “Tücc i càn menen la cua, tücc i asen disen la sua”. Tutti i cani muovono la coda, tutti gli asini dicono la loro.

Mi vanto ancora di citare e di applicare nella vita il motto “I Care”. Mi sta a cuore, mi importa, mi preme, di milaniana memoria. Mi è servito per tenere lontano da me ogni volgarità: “Non me ne po’ fregà de meno”, intercalare usato da gente di sinistra, di centro, di periferia. Non sono affatto un radical scic, diversamente sarei corso dietro a ben altro che ad occuparmi sempre degli altri e poco di me stesso. Che il motto sia stato fatto proprio anche da Veltroni e da Obama, come scrive Giuseppe Vatinno, non mi tocca minimamente.

La scuola italiana oggi va male proprio perché nessuno o pochi: docenti, dirigenti, genitori hanno seguito gli insegnamenti di don Milani. La scuola per lui rappresentava l’ottavo Sacramento, tanto credeva nell’efficacia dell’istruzione. La scuola oggi va male perché impantanata nel burocratese più invasivo. Ogni ministro della pubblica istruzione e della ricerca, oggi del merito, propone cose diverse che non toccano minimamente chi nella scuola lavora. No, sig. Giuseppe Vatinno, quando scrive, che “Don Milani è stato un cattivo maestro e suoi danni li scontiamo ancora oggi nella scuola italiana”, dichiara il falso. I maestri cattivi sono quelli che non avevano capito le trasformazioni in atto della società italiana e quelli che sono venuti dopo di lui. E’ facile addossare le colpe a don Milani.

Concludendo, mi piace segnalare la lettura di un articolo equilibrato, pubblicato su laRegione, il 10 giugno 2023, da Lorenzo Erroi. Tra le altre cose, l’autore del testo scrive: “Gli effetti di un libro (Lettera a una professoressa) non sono governabili da chi lo scrive. Tanto più che subito dopo la pubblicazione, don Milani, che all’epoca aveva 44 anni, morì a causa di un linfoma. Non poté dunque rintuzzare eventuali appropriazioni indebite della sua figura, né rispondere alle critiche mosse ancora oggi al donmilanismo” ( Cfr. Ibidem). Per leggere l’articolo per intero, basta cliccare il link qui sotto riportato.

https://www.laregione.ch/culture/culture/1674555/barbiana

 

Raimondo Giustozzi

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