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Pietruccio Cerquetti, il cantastorie del passato civitanovese.

Copertina Citanoaccia mia - CopiaSono pochi i civitanovesi di antica data  che non conoscono Pietro Cerquetti, detto Pietruccio. Nato a Civitanova il 27 agosto 1903, nella popolare via del Timone, da sposato va a vivere nel quartiere San Marone, nelle case popolari di via Napoleone. Muore il 12 arile 1975, all’età di 72 anni. Sono notizie ricavate dalla lettura di un grazioso libretto, “Citanoaccia mia”, curato dall’avvocato Roberto Gaetani e dalla cooperativa 2020 s. r. l. di Civitanova, stampato nell’agosto 1991 dalla CM Arti Grafiche di Civitanova, con una tiratura di 100 numeri su carta speciale, corredata da una incisione sciolta di Pietro Capozucca, raffigurante Civitanova Alta.

Il volumetto, di 117 pagine compreso l’indice, raccoglie poesie e prose di 17 autori civitanovesi e 5 autori maceratesi. Il titolo “Citanoaccia mia” è preso da una poesie di Aurelio Ciarrocchi, di Civitanova Alta: “Citanoaccia mia, quanto scì vella / ‘ccuscì a quest’ora de prima matina / quanno su-n-cele angora c’è ‘che stella / e ferma d’è la vita cittadina” (Citanoaccia mia, poesie in dialetto di Civitanova Marche e dintorni, pag.20, Cooperativa 2020 Edizioni, Civitanova Marche, 1991). L’antologia riporta tre testi scritti da Pietro Cerquetti: La canzone de li sfollati, Li Frustapaesi e Natà più bbello e più forte. Le sue opere sono per la maggior parte inedite. In vita è stato pubblicato, nel 1950, soltanto un piccolo opuscolo: “Le canzonette de Pietruccio”, a cura del PCI di Civitanova, contenente per lo più canzoni politiche.

“Operaio sin dall’età di sedici anni presso la ditta Cecchetti, la più importante industria metalmeccanica della zona, ha fatto parte della commissione interna della ditta, lavorando nella stessa fino al dopoguerra. Componeva per lo più canzoni, che cantava con gli amici nelle più svariate occasioni ed ispirate sull’aria di altre canzoni famose” (Ibidem, pag. 41). La più famosa di queste è “La canzone degli sfollati”, ispirata alla sorte dei civitanovesi, costretti ad abbandonare la città a seguito dei bombardamenti e rifugiarsi a nelle campagne di Civitanova Alta e oltre.

La cittadina della costa, in provincia di Macerata era sede di un’importante industria metalmeccanica e siderurgica, la SACMC, Società Costruzioni Meccaniche Adriano Cecchetti che produceva materiale bellico: spolette per le bombe, proiettili, mitragliatrici. Era poi un nodo ferroviario importante tra il Nord e il Sud Italia, per questo venne investita massicciamente dai bombardamenti anglo americani. Pietruccio, sfollato assieme ad altri, presa carta e penna, scrisse di getto, in dialetto civitanovese,  La Canzone degli sfollati. E’ possibile ascoltarla anche su YouTube (Lucanero Meo), cliccando il link riportato di seguito:

https://www.youtube.com/watch?v=IaaNDDarKLE&t=18s

“Llajò lo porto co’ lo primo mitrajaméndo

tutti se dà a la fuga prondi a lo sfollamento.

Chj se vùtta in cambagna, chj drendo Citanò,

chj su -ppe ‘le mondagne, o verso Montecò.

 

Nuàddre ce ‘ttroémo vicino a Tallei:

Su ‘n – letto de dù posti  dormémo in cingue o in sei.

Ce sémo rrifugiàti a la mejo che se po’,

l’urdemi che ‘rvà a casa, ha da durmì de fò.

 

‘Na casa de dù vani: vendi ne sémo troppi,

N’pochi ‘gna che vàca, a durmì sopre li coppi,

Perché tutti ‘llà drendo non ce se pò boccà,

Arméno chj va sopre li dendi pò ‘ngiocca.

 

Chj dorme su le vrande, e chi sopre le réte,

L’acqua ce sta londano, tocc’a suffrì la sete,

Se anghe li vicinati te la fa caccià.

O ‘gna che béi poco, o non pò cucinà

 

Più bbuffa adè la sera, quann’è l’ora de la cena,

A ‘pposto de la luce ci sta la citilena,

Tegne tutte le fròsce se ‘ngomincia a fumà,

Ce mmascherémo tutti come che Carnuà.

 

Ma se ‘sta vita dura angor quarghe semestre,

Ce torna mèjo a mette su ‘n- circolo equestre,

La spesa più grossa sarria de fa ‘n tennò,

Arméno stemo drendo, no’ stémo più de fò.

 

Statémo tra Tallej e la Villa Pjjapochi.

Pare che sémo quelli che jémo a ffà li jòchi,

E sse non ge ‘bberghèsse ‘llo pòro de Quatrì,

Saressimo ridutti come li vorattì.

 

‘Na spèce de nuà adè la famija Sacchi,

Se ‘rrizza a la matina, ‘dè tutti rutti e stracchi,

Dorme tutti – ‘nzème, drendo un cammerò,

Chi ritti e chi sta ciumi ‘dè vendisei perzò!

 

Quisti adè li regali che ci- à fatto lo Duce

Sinz’acqua, sinza casa e angora sinza luce

Propio ‘mmenzo la strada ci-à vuùto vedé,

Pjiésse ‘n gorbo a isso e ‘llo latro de lo Rré.

 

Pietruccio Cerquetti, sfollatissimo

 

Note al testo

Nel testo della canzone ci sono alcuni riferimenti a luoghi di fortuna trovati casualmente dagli sfollati e messi a disposizione da alcune famiglie del posto: Tallei, la villa Pigliapochi, Quattrini. Le case di queste famiglie erano tutte fuori l’abitato di Porto Civitanova, in collina, tra la città alta e Montecosaro. Pietruccio Cerquetti per l’ultima strofa fu condannato a venti giorni di carcere che scontò nella caserma di Morrovalle e fu anche bastonato dai fascisti. Montecò sta per Montecosaro, un paesino poco lontano da Civitanova Alta. Li dendi pò ‘ngiocca, vuol dire battere i denti per il gran freddo. Boccà, sta per entrare. Caccià l’acqua vuol dire attingere l’acqua dal pozzo. La Citilena era il lume a petrolio. Fa ‘n tennò, costruire una tenda da circo. Star ciumi, stare raggomitolati. Saressimo ridutti come li vorattì, saremmo ridotti a burattini, ‘bberghèsse, se non ci ospitasse il povero Quattrini. Un cammerò è una stanza grande, dove si ammassano 26 sfollati.

 

Il dattiloscritto con le Canzonette de Pietruccio, stampato dalla Tipografia Corsi di Civitanova Marche, voluto dalla sezione locale del PCI di Portocivitanova, edito nel 1950, contiene undici testi, alcuni decisamente politici, altri apparentemente più scanzonati ma legati con un filo diretto ai primi. Sono fogli in A4 doppi, fotocopiati. Nell’ultima pagina di copertina è indicato il costo dell’opuscolo, £ 50. Ogni Canzonetta è preceduta da alcune note esplicative circa il contenuto. Una breve prefazione, di una paginetta, spiega i motivi che hanno portato alla pubblicazione. Quanti storcevano il naso sulla qualità delle Canzonette, si ricordava che “Pietro Cerquetti ha frequentato la sola terza elementare, è stato sempre un operaio, non ha mai cambiato casacca, ha sempre contribuito a tenere alta la bandiera della libertà e tra una goccia di sudore e l’atra versate nell’officina si esprime con l’Italiano che gli è stato possibile imparare e servendosi delle espressioni fresche e colorite del suo dialetto” (Prefazione del documento).

 

In occasione della guerra d’Africa 1935 – 1936.

E’ il titolo di una bella poesia in dialetto, sull’aria di Faccetta Nera. Il 3 Ottobre 1935 l’esercito italiano varcava il confine etiopico. La guerra contro il negus era iniziata. A Civitanova Marche invece: ”Miseria, umiliazioni, buste vuote ogni quindicina, barbaro sfruttamento. Questa la vita degli operai nel 1935. E il fascismo parte per civilizzare gli abissini” (Nota esplicativa al testo).

 

“Più su de lo Molì c’è l’officina  / Che d’è la compagnia di disciplina / Solo pe ghi su e jò sera e matina, / Manco la strada te vene a pagà. // La caccia nera / de st’assassini / Che cià la faccia a civilizzà  l’abissini! / Quanno che proprio te vo ji bè, / Piji la vusta e dentro non ce trovi gnè! // Vo fa proprio la caccia a li puritti, / Perché per forza jé tocca a sta zitti, / Una metà non se tene più dritti, / A forza de gnottì le pasciò. // Disgraziati / Dell’officina, / Aspetta e spera pe pijà la quindicina, / Quanno la vusta cià su le mà, / Li quattro sordi no te riva né qua né là. //  Co ste paghe non se po’ ghji più avanti! / Quanno è brutto a commatte co li birbanti! / Ce fa morì arrabbiati tutti quanti; / E poi bisogna dije che va bè. / O sfruttatori! / O usurai! / Sughete bene lo sangue degli operai. / Ma chi lo sa come va a finì; / Statete attenti che non va sempre cuscì! // Siamo in democrazia, / Lottiamo nell’economia; / Stateve zitti, / Che reclamiamo per i nostri diritti! // Certo che ste parole un po’ ve coce, / Pensate solo per la vostra panza / Povero Cristo! Invece è morto in croce! / Perché la predicava l’uguaglianza! // Dovreste da sentì rimorso / A nominallo a ogni discorso! / Coi Cristi e Santi / Voi ci state facendo i negozianti!”.

 

Note al Testo. “Più su de lo Molì c’è l’officina”. Il molino al quale si fa riferimento era il “molino americano”. Si chiamava così perché era dotato di macchinari elettrici per la macinazione, tanto diversi da quelli a “palmenti”, in uso nell’epoca. L’officina Cecchetti presso la quale lavorava Pietruccio Cerquetti era quasi contigua al molino. “Gnottì le pasciò” sta per inghiottire soprusi e umiliazioni. La vusta era la busta paga dell’operaio. Sughete bene lo sangue, sta per succhiare bene il sangue. La stoccata finale è indirizzata verso quanti mischiano il chiaro messaggio del Vangelo con gli opportunismi e le falsità di ogni risma. Quando si dà a Cesare quello che è di Dio, allora nascono i problemi, e anche gravi. Questo vale sempre. Soprattutto oggi, oserei dire,  con la guerra in corso in Ucraina, quando si vuole giustificare l’invasione con il supporto della religione.

L’Unità era la forza del Movimento Operaio. L’ultima canzonetta della raccolta si intitola infatti, “Evviva l’Unità Portocivitanova, settembre 1949”. L’aria della Canzonetta è quella dello “Sfollamento”. “Le grandiose feste dell’Unità non possono passare inosservate. Pietruccio, in maniera semplice ed evidente spiega la funzione del giornale del popolo” (Nota esplicativa al testo).

 

“Novecendoquarandanove, lo mese de settembre, / S’tanno d’è sicuro umbò mejo de sembre / A fforza de ghj llucchenne ciaemo da sfiatà / In tutte le gabbette a vvenne l’Unità! // Quilli che non lo sa ce trattarà da matti. / Jé farremo sapé chi d’era Gramsci e Togliatti! / Lora se l’ha mmendato per dì la verità / E vole lo lavoro, la pace e libertà. // Tutti l’addri giornali chiamati indipendenti / Avoja a fa li sverdi e fa li prepotenti. / Se sse mette cu nuaddre non cià gnende da fa / E quello che sta a galla d’è sempre l’Unità! // Dici che l’Unità certo sta sempre a galla / Di tutti li mardicenti de la stampa jalla, / Ma tutte le vuscie jemo da smascarà / Finché c’emo ‘na riga scritta sull’Unità. // Ce tratta da uziosi, immece nuà non semo. / Lo popolo sta svejo; che je vo’ raccontà? / Ma co le cose juste li aemo da smondà. // Non parlemo de la radio e de quello che cummunica / E da qualunque parte ciaemo la scummunica! / Nuaddre combattemo per la libertà! / Viva Togliatti e Gramsci! Evviva l’Unità” (Pietruccio Cerquetti, Evviva l’Unità Portocivitanova, settembre 1949).

 

Note al testo:

llucchenne sta per urlare; a forza di andare urlando, dobbiamo rimanere senza voce (ciaemo da sfiatà). Le gabbette sono le strade;  mmendato vuol dire inventato. Il termine avoja va tradotto con altro che fare gli svelti, furbi, astuti e i prepotenti. La stampa jalla è tutta quella che non è rossa. Smascarà vuol dire smascherare. Nel testo si fa riferimento anche alla scomunica che era comminata a tutti quei fedeli che votavano per il Partito Comunista o comunque per tutti quei partiti che secondo la Chiesa andavano contro la religione. Il decreto di scomunica veniva promulgato dalla Santa Sede il 13 luglio 1949.

 

Gli ultimi mesi del 1949 furono problematici per gli operai della Cecchetti per la minaccia di licenziamenti. Pietruccio, presa carta e penna scriveva un’altra Canzonetta: 7 novembre 1949, sull’ara di “Sortivo dal quartiere allegramente: “Sette novembre, alle sette della mattina, / Come di solito, andiamo a lavorare, / Lungo le strade e attorno all’officina / Celere e Polizia vediamo scorrazzare. // Ci domandiamo: Oggi che ci sarà? / Qui da un momento all’altro c’è qualche novità. / I carabinieri ci domandano: Dove andate? / E noi a loro rispondiamo: A lavorare! // Subito indietro bisogna che ritornate, / ed alla svelta bisogna circolare! / Allora vedendo che c’era da lottare / Insistiamo ad andare avanti e a non indietreggiare. // Ma nell’acutizzarsi della lotta / Tutti forziamo per aprire i cancelli / Ci arriva sulla testa qualche botta / Ferito è il compagno Mancinelli. // Ed in quell’istante non si ragiona più, / La lotta si fa più dura e si viene a tu per tu. // Appena arrivati in portineria / Che per l’entrata era rimasto poco, / Carabinieri, Celere e Polizia / Danno il contrattacco aprendo il fuoco. // D’un tratto i cancelli si vedono spalancare / La fabbrica agli operai, avanti ad occupare! // Si mettano bene in testa ormai costoro / Che questo è stato un giorno di prova! / Il segretario della Camera del Lavoro / e il popolo tutto di Civitanova. // Se ci si mettono, le cose le sanno fa / Nessuno ferma il progresso. Vogliamo la libertà” (Pietruccio Cerquetti, 7 novembre 1949).

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