bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
marzo 2023
L M M G V S D
« Feb   Apr »
 12345
6789101112
13141516171819
20212223242526
2728293031  

Rinaldo Ciribè, Zinza un’ogna de vuscìa. Poesie in dialetto civitanovese

Rinaldo CiribèSenza un’unghia di bugia è la traduzione del titolo dato al libro che raccoglie poesie in dialetto e in lingua italiana di Rinaldo Ciribè. Non ho conosciuto personalmente Rinaldo ma sua figlia Giuliva Ciribè. Viveva nella casa paterna, a due piani sul fronte della strada, via Dante Alighieri, nel cuore del Quartiere San Marone. Sul retro dell’abitazione si apriva un grande orto ricco anche di alberi da frutta. Si deve a lei se le poesie di suo papà sono giunte fino a noi. Interprete del desiderio di quanti avevano ascoltato il padre declamarle, decise di pubblicarne una raccolta. Altre poesie erano andate distrutte a seguito dei bombardamenti su Civitanova Marche nella seconda guerra mondiale. Giuliva era conosciutissima nel quartiere. Partecipava a tante iniziative della parrocchia San Marone retta dal 1951 ad oggi dai Salesiani. Era nel Coro e nella Caritas della Parrocchia.

Rinaldo Ciribè, nato a Civitanova Marche il 24 novembre 1879, deceduto l’8 febbraio 1968, era esattore dell’UNES, l’ente nazionale che riforniva allora l’energia elettrica. Per un periodo era stato anche dipendente della ditta privata Giovanni Ribichini, il primo fornitore di energia elettrica a Civitanova Marche. Girava con la sua immancabile bicicletta. Entrava nelle case in punta di piedi. Veniva sempre accolto da tutti con grande simpatia anche perché riusciva a sdrammatizzare i momenti più difficili, creando al momento opportuno dei versi di fresco umorismo e del tutto improvvisati. Si dimostrava sempre comprensivo verso quanti non pagavano le bollette. Anche se morosi, non staccava quasi mai gli impianti che fornivano loro l’energia elettrica.

Da un appunto, trovato tra le sue carte, dopo la morte avvenuta a Civitanova Marche, come ricordato sopra, Rinaldo Ciribè traccia una sorta di autobiografia, mettendola in versi endecasillabi con rima alternata e baciata. Il risultato è una bella poesia nella quale l’autore ricorda le proprie umili origini, la passione di scrivere in versi, toccando varie forme letterarie: la satira, il sonetto, la critica e l’elogio: “Nacqui da stirpe di umile famiglia: / mia nonna, quale profetessa rara, / quando diede alla luce la sua figlia / – che poi divenne mamma mia cara  – / le disse: “Vagherai in questo pianeta / e il nono figlio avrai matto o poeta”. // Fu di novembre, in ora mattutina, / mentre sorgeva il sol dall’orizzonte, / – Vigilia di Santa Caterina – / quando perle di brina il suolo asconde; / mia madre allor, nell’attesa felice, / ebbe a che fare con la levatrice” (Rinaldo Ciribè, Zinza un’ogna de vuscìa, poesie in dialetto civitanovese, tipografia San Giuseppe, Macerata, 1979).

I genitori di Rinaldo, Vincenzo Ciribè e Felice Polidori erano contadini dell’Amministrazione Bonaparte. Abitavano sul versante che da Villa Eugenia porta alla provinciale per Macerata, una zona oggi completamente urbanizzata. Rinaldo era l’ultimo di otto figli. Non ebbe la possibilità di studiare. Non poté nemmeno frequentare la Scuola Elementare. I figli dei contadini, all’epoca, erano considerati manodopera aggiuntiva per il lavoro nei campi. Avevano il compito di portare le mucche al pascolo. Rinaldo trovò in una certa Erminia, che abitava allora alla fine di Corso Umberto, la persona che, dietro compenso, insegnava privatamente. Fu grazie a lei che acquisì le prime nozioni di lettura e scrittura. Il giovane Rinaldo aveva però una forte attitudine per lo studio e per la letteratura. Incominciò da solo a leggere di tutto. Fu un autodidatta per necessità. Non ancora maggiorenne, sui quattordici anni, trovò lavoro presso un’officina elettrica di Santa Maria Apparente, frazione di Civitanova Marche. Diventato maggiorenne, iniziò a girare il mondo. Prima si recò in Argentina, poi in Canada, dove lavorò come minatore nelle cave di torba ( Cfr. Roberto Gaetani, Un poeta naif: Rinaldo Ciribè (1879- 1968), in “Civitanova Immagini e Storie”, vol. 7, pp. 137 – 167, Civitanova Marche, 1989).

Ritornato a Civitanova Marche, all’età di trentadue anni, costruita la propria casetta in Via Dante Alighieri, N° 79, il 19 novembre 1911 sposa Maria Scataglini, figlia di un casellante ferroviario della città. Dal matrimonio, il 18 agosto 1912 nasce la prima figlia, Madera Giuliva, seguita a breve distanza, dalla secondogenita, Igea, nata il 31 agosto 1914. Dopo appena tre anni di matrimonio, a soli ventisei anni, muore la moglie Maria, vittima della terribile “Spagnola”. Le due figlie vengono affidate alle cure dei nonni materni. Rinaldo parte per la prima guerra mondiale nel corso della quale consegue il grado di sergente. Grazie all’intervento dell’amico Adriano Cecchetti, fondatore della SACMAC, viene trasferito in Ancona al servizio sanità dell’esercito. Terminata la guerra, il 30 aprile 1921, sposa in seconde nozze Maria Lelli, di Montecosaro, un paesino poco lontano da Civitanova Alta. Da questo secondo matrimonio nasce il figlio Renzo Ciribè. Rinaldo, il papà, inizia il lavoro di esattore, che lo accompagnerà fino alla pensione (1954), prima con Giovanni Ribichini, poi con l’UNES. “Il  lavoro verrà continuato dalla figlia Giuliva, che mantenne l’incarico fino alla nazionalizzazione dell’ENEL. Da quel momento, fino al 1975, data della pensione, Giuliva fu alle dipendenze dell’ENEL quale impiegata” (Cfr. Roberto Gaetani, op.cit. pp. 138 – 140). Il saggio di Roberto Gaetani è prezioso per una miriade di informazioni sulla Civitanova di quel tempo, con riferimenti a personaggi che hanno scritto pagine di storia della cittadina adriatica.

Ma è tempo di ritornare alla poesia ricordata sopra. “Quod tentabam dicere versus erat”, scriveva di sé il poeta latino Publio Ovidio Nasone. Qualunque cosa tentavo di dire prendeva la forma del verso.  Era così anche per Rinaldo Ciribè, anche se lo dice con tono scherzoso: “Ora io me lo sento per istinto / una necessità e una gran premura / a verseggiar, tal ch’io ne son convinto / che così voglia la mamma natura / al fin ch’io arrivi, col canto e la vena, / ad accozzar il pranzo colla cena. // Vedrete qui la satira, il sonetto, / la critica, l’elogio a chicchessia, / in italiano storpio ed in dialetto, / con ritmo diverso e a fantasia, / se ciò a voi piace mi fò anacoreta / per scrivere quale autentico poeta. // Checché ne dican critici biliosi, / o colli torti o gracchi incancreniti, / prosaici, sfacciati o vergognosi, / magnoni e parassiti incalliti; / creommi Iddio, in un impeto d’amore, / indegno di fortuna ma di gran cuore. // Io ti dico quel che sento / perché sento quel che dico / e ti giuro e son contento / che mi tieni per amico” (Rinaldo Ciribè, Zinza un’ogna de Vuscìa, op. cit. pp. 5- 6).

Nel testo la parola magnoni sta per mangioni in senso dispregiativo, quasi a dire mangiapane e tradimento. Il disprezzo verso questi individui è rafforzato dal termine che viene dopo, parassita. Il titolo dato alla silloge di poesie, scelte dalla figlia Giuliva, è lo stesso di un lungo testo “Zinza un’ogna de Vuscìa”, nella quale Rimonno, l’alter ego del poeta, racconta con tutta sincerità episodi accaduti nella cittadina adriatica nel primo decennio del Novecento fino ai primi anni del dopoguerra. La vita di Rinaldo Ciribè fu attraversata da gravi lutti familiari. La figlia Igea, sposata a Arturo Maroni, moriva di parto il 21 febbraio 1948, presso l’ospedale civile di Macerata, per carenze del reparto trasfusioni, nel tentativo di dare alla luce due gemelle. Il figlio Renzo moriva il 7 luglio 1951, dopo aver trascinato, per circa cinque anni, una brutta pleurite contratta in guerra (Cfr. Roberto Gaetani, op.cit. pag. 146).

La produzione poetica di Rinaldo Ciribè può essere condensata in due periodi. Il primo è quello della poesia in dialetto, cara al mondo popolare. Nel secondo periodo si sente invece attratto verso una poesia in lingua, dai versi sonanti e magniloquenti. In un testo, in dialetto, “Fiuri che fiurirà”, elogia l’on. Ezio Cingolani, deputato della provincia di Macerata agli inizi degli anni trenta, colui che dà impulso alla costruzione del porto rifugio a Civitanova Marche. Altre poesie esaltano, come è nel costume dell’epoca, il gran genio di Mussolini: “Rinaldo Ciribè fu un semplice fascista sentimentale, dall’adesione emotiva, manifestata allorché la maggior parte del ceto medio italiano, si sentiva attratta dalla figura carismatica di un leader che sembrava impersonare il desiderio di ordine interno e di un’alta missione in Italia e nel mondo”( Cfr. Roberto Gaetani, op.cit. pag.144).

L’antologia “Zinza un’ogna de Vuscìa” è divisa in due parti. Nella prima sono riportate 50 poesie scritte in dialetto. La seconda parte contiene 32 testi in lingua. Rinaldo Ciribè, da autodidatta, leggeva molto. Nella sua casa di via Dante Alighieri conservava in buon ordine le opere di Arnaldo Fusinato, Giuseppe Giusti, Lorenzo Stecchetti, Antonio Guadagnoli, Francesco Petrarca, I Fioretti di San Francesco, Dante Alighieri, Ludovico Ariosto, Giacomo Leopardi, la Bibbia, Gabriele D’Annunzio. Era consapevole dei suoi limiti ma era portato ugualmente a mettere in versi la vita quotidiana e  il proprio mondo interiore. Quest’ultimo soprattutto pervade la sua produzione poetica nell’ultimo periodo della sua vita, quando si sentiva fiaccato dai lutti che lo avevano colpito. In vita non si era mai sognato di raccogliere in un libro quello che aveva scritto. Alcune poesie in lingua vennero pubblicate su giornali d’occasione, come la pagina locale del “Messaggero”, curata dal giornalista pittore Giacomo Ciamberlani. Altre poesie, “Italia”, “Nel centenario della morte di Giacomo Leopardi” e la poesia “Al duce” vennero pubblicate sul periodico “L’amore illustrato”, diretto da Emma Gandolfi Basso, verso la quale Ciribè nutriva molta stima. Collaborò al numero unico “Mare nostrum”, stampato a Portocivitanova nel 1932, per celebrare l’inizio dei lavori del porto rifugio voluto dall’onorevole Ezio Cingolani (Roberto Gaetani, op. cit. pp. 144- 145). Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la costruzione del porto rifugio fu bloccata e rimandata al dopoguerra.

Il saggio di Roberto Gaetani: “Un poeta naif: Rinaldo Ciribè (1879- 1968) è prezioso perché l’autore analizza in modo minuzioso, con rimandi a pagine di storia locale e con note esplicative, alcune poesie di Rinaldo Ciribè, raccolte in appendice: “Zinza un’ogna de Vuscìa (Le memorie de Rimonno)”, “Fiuri che fiurirà” , “A lo sportello de le tasse” , “Al duce” , “Discorsi di pescheria”,  “Il socialismo in Italia”, “la vespa, reginetta della strada” , Cos’è un poeta” ( pp.153- 167). Il titolo dato alla poesia, Zinza un’ogna de Vuscìa, sonetti di venticinque strofe, con versi endecasillabi, a rima alternata e baciata, “lascia intendere che i fatti descritti dall’immaginario Rimonno (Raimondo) siano tutta verità. Il lettore dovrebbe scindere i minuti aneddoti di vita locale, probabilmente veri, dall’analisi di fondo deformata dalla visione unilaterale dell’autore” (Cfr. Roberto Gaetani, op. cit. pag. 147). Civitanova Marche negli anni Venti- Ventuno non era diversa dalle altre città, dove socialisti, radicali, riformisti, integralisti, repubblicani, predicavano il proprio credo politico e animavano scioperi e manifestazioni nelle piazze d’Italia. Il clima muta completamente con l’avvento del Fascismo e del suo capo: Mussolini, definito da RimonnoLo mago de lo monno”. Scorrono poi, come in una galleria, i personaggi minori e maggiori della vita politica e sociale: Marone Marsili, sindaco di Civitanova Alta, Germano Ercoli, assessore, Roberto Marmoni, fondatore del Partito Comunista Civitanovese, amico di Michele Alfredo Capriotti, fondatore delle leghe sindacali ai primi anni del Novecento, il sindacalista Alceste De Ambris, il deputato Francesco Quarantini, l’altro deputato Mario Todeschini e altri maggiorenti del Comune di Porto Civitanova, che aveva chiesto e ottenuto la propria autonomia amministrativa nel 1913, staccandosi da Civitanova Alta. Accanto a queste figure di primo piano ce ne sono altre non meno importanti per capire la vita sociale del momento: Ciriaco Parmigiani, Nebbia, una donna, Ruggero Moruzzi, alias Vatocco.

La poesia “Fiori che fioriranno” è un elogio del deputato Ezio Cingolani, che aveva promesso di portare a Porto Civitanova la Pretura e di costruire il Porto Rifugio che era avvertito come necessario per la pesca. “Allo sportello delle tasse” è una poesia dialettale, basata sul dialogo tra l’esattore comunale Aurelio Paolini ed una popolana, preoccupata per l’esosità de fisco. “Al duce” è un panegirico di Mussolini. La poesia “Discorsi alla pescheria” è una riflessione amara tra due popolane sul triste periodo della seconda guerra mondiale. La preoccupazione per il futuro fa da sfondo alla conversazione tra le due donne che si trovano in pescheria per acquistare qualche calamaretto e una piccola razza. Nella poesia “Il socialismo in Italia” traspare tutta l’amarezza per le continue scissioni del Partito Socialista, incapace di tradurre in termini concreti i principi del Vangelo: “Superbia, invidia, ambizion, cinismo, / ingeneran nell’uomo tutti i mali, / che vietano parlar di socialismo / fin quando non crediam d’esser uguali, / per legge natural, qual siamo nati, / e non come si siamo trasformati” (Cfr. Rinaldo Ciribè, Senza un’ogna de Vuscìa, pag. 166, Macerata, 1979). La poesia “la vespa, reginetta della strada” è un testo giocoso dove viene celebrata la prima motorizzazione di massa del secondo dopoguerra. Nel testo “Cos’è un poeta” traspare il motivo che ha sempre caratterizzato la vena poetica di Rinaldo Ciribè: l’amore per la bellezza attraverso la musicalità del verso. La vita non è altro che illusione. Per dare completezza al mondo poetico di Rinaldo Ciribè, ho scelto altre poesie. Una poesia è  legata alla fabbrica Cecchetti, che ha fatto di Civitanova Marche la città fabbrica, la Company Town, al pari di altre grandi città del Nord Italia  Altre poesie invece rimandano al mondo interiore del poeta, fatto di affetto, di cose semplici, di valori che attraversano il tempo.

Baruffa tra moglie e marito

Il titolo è mio. L’ho messo a modo di capitolo. La moglie di un cecchettaro litiga di brutto col marito: “Te lo so ditto, Pè, no scioperà! / Tu mi scì ditto: zitta, che te freca? / Addè, chi te li presta, Panerà, / li sordi pe pagà lla la vottéga? // Questo è lo rrisuldato, Pè, te gusta? / Quest’ad’ è pe da rretta a ‘ssa jendaccia, / non te ne ‘rgugni a presentà ‘ssa vusta: / momenti te la sbatto su la faccia”. “Te l’ho detto, Giuseppe, non scioperare! / tu mi hai detto, che ti frega? / Ora, chi te li presta, Panerà (Umberto Recchioni, soprannominato Panerà), i soldi per pagare alla bottega? // Questo è il risultato, Giuseppe, ti gusta? / Questo è per dare ascolto a codesta gentaccia, / non ti vergogni a presentare codesta busta: / tanto che tanto te la sbatto in faccia”.

La moglie continua nelle proprie recriminazioni nei confronti del marito che non è un buon padre: “So fatto le scarpette pe lo frico, / so fatto vuffollà la farmacia, / e tu che pinzi, mi li dà ll’amico / che quanno te li chedo scappi via? // Un patre de famejia ngo l’impicci, / te pijia un gorbo a dà rretta a Petè / e a Fava immenzo a un sacco de pasticci! / Ma bbada a ffadigà, penza pe te”. “Ho comprato le scarpette per il bambino, / ho fatto debito alla farmacia, / e tu cosa pensi, me li dà l’amico, i soldi / che quando te li chiedo scappi via? // Un padre di famiglia con gli impicci, / ti prendesse un accidente a dare retta a Petè (soprannome) / e a Fava (altro soprannome) in mezzo ad un sacco di pasticci! / ma bada a lavorare, pensa per te”.

La moglie si scaglia ancora sul marito scioperato e spudorato: “Ma vai a dda rretta a ‘ssi quattro virbandi; / ciài ‘ngo li vuffi de quann’i sposato / non te ne ‘rgugni vrutto spuderato / a gghi derète a ‘ssi quattro virbandi / ccuscì se mòre, no gnèmo più avanti”. “Ma ascolti quei quattro birbanti; / hai ancora i debiti da quando ti sei sposato / non ti vergogni, brutto spudorato / ad andare dietro a quei quattro birbanti / così si muore, non andiamo più avanti”.  C’è un solo modo per uscire dalla situazione incresciosa, sentenzia la moglie del Cecchettaro. Se ci fosse ancora Mussolini: “Aó! E dó sta ‘llo vèllo Musulini / che adesso, ‘ssi maccacchi, ‘ssi vrigandi / l’avria sbarzati for de li cunfini: / quest’è perché fai tutto da per te, / pijia ‘ssa vusta e pòrtela a Petè” (Cfr. Rinaldo Ciribè, Zinza un’ogna de Vuscìa, La mojie d’un Cecchettaro scioperante che rrapre la vusta de la quindicina presa dal marito, pag. 41, op. cit. ). La paga alla Cecchetti veniva data ogni quindici giorni.  “Senti un po’! Dove sta il bel Mussolini / che adesso codesti macacchi, codesti briganti / l’avrebbe cacciati fuori dai confini: / questo succede perché fai tutto per  te, / prendi codesta busta e portala a Petè”.

 

Lo testamento morale de nonno.

Rispetto di Dio e del prossimo, lavoro, generosità, sincerità sono alla base del testo: “Lo testamento morale de nonno”, trasmesso dal poeta al nipote. Tutto viene descritto in modo diretto, nel linguaggio che tanto piaceva al popolo. I valori trasmessi sono eterni. Dovrebbero valere per sempre, senza trovare gli alibi di comodo: “Von’ anema de nonno me dicìa, / novanta Carnuà so sotterrato / e mae a ‘sto monno disse ‘na vuscia; / tutti m’ha udito vè e m’ha rrespettato; / ccuscì farrai anche tu nepote mia; / rrespetta a tutti e sarai rrespettato / e tanto a chi te laoda o te minaccia / prima pènzece vè, eppò parla in faccia. // Non te fidà de chi va a testa vassa / e vvà a la ghiesce tutte le matine, / perché fa i santi e emméce ad’è ‘na massa / de jisuitacci e de gorbácce fine. / Fadiga, no rrubbà e non fa la spia / bbada le gonne e… ama la ligria” (Cfr. Rinaldo Ciribè, Lo testamento de nonno, op. cit. pp. 15- 16). Traduzione: “La buona anima di nonno mi diceva, / novanta Carnevali ho sotterrato / e mai a questo mondo ho detto una bugia; / tutti mi hanno voluto bene e mi hanno rispettato; / così farai tu nipote mio, / rispetta tutti e sarai rispettato / sia chi ti loda sia chi ti minaccia / prima pensaci bene, poi parla in faccia. // Non fidarti di quelli che camminano a testa bassa / di coloro che vanno in chiesa tutte le mattine, / Sono una massa di ipocriti e si comportano come le volpi astute. / Lavora, non rubare e non fare la spia / bada alle gonne e … ama l’allegria”.

Male non fare, paura non avere, ma non passare mai da stupido, continua il nonno nel suo testamento. La bontà non va mai scambiata per dabbenaggine e non fidarti mai di chi vuole imbrogliarti: “Rrespetta Dio, la lejie sua e li Santi / e non fa male all’addri ch’è peccato; / se ppóli, juda sembre a tutti quanti / e non pretènne d’èsse ‘rcompenzato; / perdona lo ‘gnorante e téllo su / che questo piace a ll’omini e a Ghisù. // Quann’ài da ji a combrà su la vottica / scejie piuttosto che scia forestè / perché pó stà sicuro che te fréca / dicenne: “Te lo do perché è per tè… // Quanno chidù te rrecconta che fatto / che sci sicuro ad’è ‘na farzità, / guarda per terra e gné rresponne affatto / gné di né sci, né no, pe carità; / perché se dici che cci sci criduto / fra isso se fa vrào e passi da pùpo”. Traduzione: “Rispetta Dio, la sua legge e i santi / non far del male agli altri perché è peccato, / se puoi, aiuta sempre tutti quanti / e non pretendere di essere ricompensato; / perdona l’ignorante e tienilo su / che questo piace agli uomini e a Gesù. // Quando devi andare a comprare nella bottega / scegli piuttosto che sia forestiero / perché (chi ti conosce) puoi stare sicuro che ti frega / quando dice: Te lo do perché è per te… // Quando qualcuno ti racconta qualche fatto / che sei sicuro che è una falsità, / guarda per terra e non gli rispondere affatto / non dirgli né sì né no, per carità; / perché se dici che ci hai creduto / tra sé e sé si fa il bravo e tu passi da pupo”.

Il nonno raccomanda al nipote di usare sempre la franchezza con le persone: “Se tu je dici franco: ‘n me la véo, / issu se ttròa ‘mbrojiato e sse né ‘rgogna, / se stizza, se ‘llontana perch’è rreo / daètte rreccondato ‘na menzogna; se immece guardi in terra, zitto e muto, / non pó sapé se tu ci scì creduto. // Ccuscì, ngo questa muta sfacciatura, / l’amico se corrèjie da per isso / e ‘n’addra ò ‘nce rpròa a fa ‘lla figura / e ‘rmá èllo zitto comme u’ stoccafisso; / Je dai lizziò – dicìa ‘llo ‘ècchio antico, – / Passi da svéddro e conservi l’amico” (Ibidem, pag. 16). Traduzione: “ Se tu gli dici con franchezza: Non me la bevo, / lui si trova imbrogliato e se ne vergogna, / si stizza, si allontana perché è consapevole / d’averti raccontato una menzogna, se invece guardi in terra, zitto e muto, / non può sapere se tu ci hai creduto. // In questo modo, con questo mutismo di facciata, / l’amico si corregge da se stesso / e un’altra volta non ci riprova a fare la figuraccia / e rimane zitto come uno stoccafisso, / Gli dai una lezione – diceva il vecchio antico, / Passi da svelto e conservi l’amico”.

 

 

Nostalgia.

La poesia, in italiano, è stata scritta nel 1953 su una cartolina postale indirizzata alla figlia Giuliva, in cura ad Acquasanta Terme: “Il guardo io volgo al cielo, al sole, al suolo, / e del sonante mare oltre la riva / vo’ remigando con il cuore il duolo; /vo’ mormorando: ov’ è la mia Giuliva?! / d’un eco il mormorar a quest’alma affranta / dice: Giuliva è in cura in Acquasanta. // Allor che le ombre scendon de la sera / odo i rintocchi de l’Ave Maria, / il cuor mio si dispone alla preghiera, / vinto d’un’indicibil nostalgia; / imploro da l’ancella Vergine pura / perché fia di sollievo a te la cura. // Ti giungan dé miei auguri l’espressione / di quanto il cuor tuo palpita e desia / nonché la mia cordial benedizione / che scender faccia in te Gesù e Maria; / ti rendo nel lasciarti il mio tributo / con un tenero bacio e ti saluto” (Cfr. Rinaldo Ciribè, op. cit.  pag. 149).

Il luogo più amato da Rinaldo Ciribè per scrivere poesie era un angolo del suo grande orto, sul retro della propria abitazione. Nei lunghi e assolati pomeriggi d’estate si metteva sotto l’ombra di un gran fico e, appoggiato su piccolo tavolinetto di pietra, dopo aver tirato fuori dalle tasche un mozzicone di matita, si accingeva a trascrivere in versi quanto gli passasse in testa. L’ispirazione poetica lo coglieva anche nelle ore notturne, tanto che la parete vicina alla testata del letto abbondava quasi sempre di scritte ed appunti per la stesura delle poesie (Cfr. Roberto Gaetani, op. cit. pag. 142).

A mia figlia lontana, andata in sposa ad Arturo Maroni.

L’amore di padre si manifestava anche verso la secondogenita Igea, andata sposa nel 1947 e trasferitasi a Taranto: “Ogni mattin a’ primi rai del giorno / come di consueto o abituale, / quando ancor tutto tace in ognintorno / a pié legger io scendo dalle scale; / ed alla mia passion per non far torto / passo in cortil per visitare l’orto. // Protendo il guardo alla campagna aprica, / odo la villanella e l’usignolo / cantare, e quale mia passione antica / sento infondermi al cuor, e acerbo duolo / rimembrando il passato di quaggiù / che Igea cantava pur e non l’odo più. // Fra le tante illusion di questa vita, / credei che mi saría venuto il giorno / che tu da me, te ne saresti ita / tanto lontan senza far più ritorno / ma mi consolo perché il cuor mi dice / che col tuo Arturo tu sarai felice” (Cfr. Rinaldo Ciribè, op. cit. pag. 150).

La tenerezza del marito verso la propria moglie Maria Scataglini si rivela in tutta la sua grazia nella poesia “Nel dì de morti”: “Solo, mesto e dolente al camposanto / mi reco a ritrovar la sposa mia, / quivi d’innanzi a lei col cuore affranto / sfoga il dolore quest’anima mia. // Fra le cocenti lacrime di pianto, / “Parlami, ancor” – le dico – “Perché taci? / Rispondimi, o Maria, che soffro tanto, / dal sonno io vò svegliarti co’ miei baci. // Dal dì crudele di tua dipartita / non ebbi più pace un solo istante, / sol d’illusion pasco la mia vita / e la tua imago veggo a me dinnante. // In notte spesso nel sonno profondo / m’appari innanzi a pari d’un’ancella, / parlarti vò, o Maria, ma mi confondo / ché dal disio non mi sembri quella. // Ma poiché inver sei quella ch’io ravviso / le lacrime mi bagnan il ciglio stanco… / Prega per ch’io pur giunga in Paradiso / ove per sempre poserò al tuo fianco” (Rinaldo Ciribè, Nel dì dei morti, A mia moglie Maria Scataglini, op. cit. pag. 173).

Una gita fatta sul Lago di Garda è l’occasione per scrivere una lunga poesia, dove si avverte il riferimento a certe odi carducciane, che Rinaldo Ciribè conosceva molto bene: “Specchio da l’acqua glauca e silenziosa / che sol t’increspi al soffio della brezza, / vesti di un manto qual novella sposa, / ornato di ogni fior, da ogni bellezza; / ognun si ferma, estatico ti guarda / Lago di Carda. // Quadro lucente, lago circondato / de’ più be’ fior, di gemme e di verzura, / le creste a te sorridono da ogni lato / e innalzan un inno al Re de la natura; / a te il passante, al rimirar s’attarda / Lago di Garda. // Acqua che i piedi bagni all’erta, al monte, / mentr’ egli ti sorride da lassù / onde dell’elegia sorge la fonte / ché ci ricorda il Golgota e Gesù; / io pure il guardo tendo e a te m’inchino / resto il cammino” (Ibidem, Al Lago di Garda (scritta presso la sua riva), composta durante una gita al lago di Garda, pag. 151).

Il riferimento alla poetica carducciana si attenua nelle ultime quattro strofe, tingendosi di un lirismo che vola alto: “Io trapiantar vorrei la mia casetta / presso di te, per protestarti amore, / ed un amplesso darti, e ne la stretta / dirti tutti gli aneliti del cuore; / il dolce mormorio de la tua riva / allegra il cuore e l’anima ravviva. // Silente amico de la notte bruna / ne la monotonia che ti circonda, / mentre il riflesso dell’argentea luna / ti parla d poesia da sponda a sponda; / tu sei d’Iddio creatore la carezza / fior del suo genio, fonte di dolcezza. // ne lo sfiorir de l’alba a la mattina / il sol ti bacia, poi la notte cheta, / tu sola allor distesa cristallina / mi fai venir la verve di poeta: / con questo dir ti rendo il mio tributo: / lago ti rendo un bacio e ti saluto. // Ti lascia, Iddio ti renda benedetta / acqua solinga che non torni al mare, / acqua lontana da la mia casetta / che al tuo ricordo dovrò lagrimare; / ti lascio con spasmodico disio, / se più non ti riveggo, lago: Addio”(Ibidem, pp.  151- 152).

L’ultima poesia della raccolta Zinza un’ogna de Vuscìa Addio (ultimo canto) è quasi un testamento spirituale del poeta. Sono dieci strofe pervase da una struggente nostalgia. Il poeta sembra quasi congedarsi dalla vita, ricordando tutta la bellezza vissuta: tramonti, colline, montagne, campi coperti di verde, ricordi di gioventù, poesie e tutte le chimeriche illusioni che rendono tutto bello. Non manca di dare l’addio alla casa che aveva acquistato in via Dante Alighieri e l’orto: “Addio casetta mia, nascosta accanto / due rigogliose piante del Giappon, / alla cui ombra con il cuore affranto / solingo scrivo l’ultima canzon. // Addio augellino che in fra la verzura / ascoso alloggi presso il mio balcon, / e poi il silenzio de la notte scura / mi desti all’alba con la tua canzon. // Addio pennuto ospite gradito / che sol sincero mi fosti quaggiù / canta sempre per me, di cuor t’invito / cantami ancor quando non sarò più. // Ti lascio o Sole questa Italia mia / d’amor per Essa i palpiti quaggiù / bacia con Essa ancor la tomba mia / ov’è Rinaldo che non canta più” (Cfr. Rinaldo Ciribè, Zinza un’ogna de Vuscìa, pp. 180- 181, op. cit.).

Raimondo Giustozzi

Bibliografia

  1. Rinaldo Ciribè, Zinza un’ogna de Vuscìa, poesie in dialetto civitanovese, tipografia San Giuseppe, Macerata, 1979.
  2. Roberto Gaetani, Un poeta naif: Rinaldo Ciribè (1879- 1968), in “Civitanova Immagini e Storie”, vol. 7, pp. 137 – 167, Civitanova Marche, 1989.

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>