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Libri. Daniel A. Bell, il modello Cina Meritocrazia politica e limiti della democrazia

Modello Cinadi Raimondo Giustozzi

Il saggio il modello Cina, meritocrazia politica e limiti della democrazia è il volume N° 19 della collana Geopolitica capire gli equilibri del mondo, curata da Federico Rampini. E’ stato pubblicato due volte negli Stati Uniti d’America nel 2015 e nel 2018, rispettivamente dalla Università di Princeton e dalla Luiss University Press- Luis X s.r.l. Viene pubblicato dal Corriere della Sera su licenza della Luiss University Press – Luis X s.r.l. nel luglio del 2022. Alla sua prima uscita, il libro fu una bomba intellettuale. L’autore fu accusato di apologia del regime autoritario di Xi Jinping. Daniel A. Bell è rettore del dipartimento di Scienze politiche alla Shandong University e insegna anche alla Tsinghua University di Pechino; è profondo conoscitore della storia cinese e del pensiero confuciano, due caratteristiche molto rare negli studiosi occidentali che si occupano della Cina.

“Il saggio è un invito all’umiltà, per chiunque sia convinto della superiorità dei nostri sistemi politici, le liberaldemocrazie d’impronta occidentale. La pratica di scegliere i principali leader di un Paese attraverso elezioni competitive libere ed eque, scrive Bell, ha una storia relativamente breve (meno di un secolo in quasi tutti i Paesi, rispetto – per fare un esempio – ai milletrecento anni del sistema degli esami imperiali in Cina”. Sì, perché ai tempi del Celeste Impero, si accedeva alle cariche di governo attraverso una rigida selezione per mezzo di concorsi pubblici. Di questo rimase piacevolmente sorpreso Padre Matteo Ricci, il gesuita di Macerata, che fece conoscere la Cina all’occidente attraverso la pubblicazione di molte sue opere, frutto del lungo soggiorno missionario ai tempi della dinastia Ming. Nell’Europa occidentale, ancora nel 1700, le cariche pubbliche venivano comprate e passavano di padre in figlio.

“Come ogni altro sistema politico, quello occidentale ha vantaggi e svantaggi, e sembra troppo presto affermare che sia il sistema migliore di tutti i tempi. In modo più sostanziale, sembra peculiare assumere una posizione quasi dogmatica in favore di un sistema che non richiede ai propri leader esperienza e competenza. Ci sono molti modi per esercitare il potere: sul posto di lavoro: nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, e in questi ambiti la posizione naturale è che sia necessaria l’esperienza prima che i leader esercitino il potere. Nessuna azienda o università sceglierebbe un leader senza una sostanziale esperienza di leadership di qualche sorta, preferibilmente nello stesso campo. Eppure il potere politico costituisce un’eccezione; è accettabile scegliere un leader che non ha precedente esperienza politica, purché scelto con il meccanismo una testa – un voto” (Federico Rampini, Prefazione alla presente edizione, pp. 8 – 11, in “Il modello Cinese, meritocrazia politica e limiti della democrazia”, Daniel A. Bell, Milano, 2022).

Bell non disprezza le idee fondanti della democrazia liberale, ammette che l’avere uguale diritto a partecipare alla politica nazionale è stato considerato in occidente come una chiave della dignità umana. Riconosce che il voto è un rito collettivo che produce e rafforza un senso di solidarietà civica, quando votiamo ci sentiamo parte di una comunità. Tuttavia, questo valore unificante del diritto di voto si è affievolito negli Stati Uniti, in Europa, in India. Le democrazie negli ultimi anni non riescono più a creare un senso di solidarietà civica. Al contrario il voto popolare esalta le divisioni, fino a creare polarizzazioni estreme e laceranti. Mettere una scheda nell’urna spesso non viene vissuto come un rito civile che ci rende partecipi della stessa nazione, bensì come un atto di guerra contro i nostri nemici che non la pensano come noi.

 

Montesquieu e Tocqueville, padri spirituali della democrazia, non servono per vendere ai cinesi la democrazia elettorale e pluripartitica. I cittadini di società dell’Asia orientale comprendono la democrazia in termini sostanziali più che procedurali. Stimano la democrazia per le conseguenze positive e cui conduce piuttosto che stimare le procedure democratiche in se stesse. In questo senso se vediamo come ha reagito la Cina alla recessione del 2008 – 2009 rispetto a come lo hanno fatto Washington, Londra, Berlino o Parigi, non possiamo non affermare che Pechino abbia reagito meglio. La democrazia poi esportata in paesi poveri e con divisioni etniche tende ad aumentare la violenza. E’ la tesi dell’economista Paul Collier.

Il numero di democrazie nel mondo regredisce dopo la caduta del muro di Berlino. In America e in Europa gli elettori danno crescenti segnali di assenteismo oppure disprezzano i propri governi. Nei regimi autocratici c’è chi teorizza il nostro declino, come Vladimir Putin. Bell vuole solo confutare gli stereotipi dell’occidente verso il modello cinese con quattro affermazioni:

  1. Per una comunità politica è un bene essere governati da leader di elevata qualità.
  2. Il sistema politico della Cina a un solo partito non sta per crollare.
  3. L’aspetto meritocratico del sistema cinese è parzialmente buono.
  4. Può essere migliorato.

Sono delle riflessioni opportune, anche se le tre tragedie: di Hong Kong, del Covid e dell’Ucraina insinuano dei dubbi sulle capacità dei tecnocrati cinesi di prevedere e governare le crisi quando esulano dalla sfera puramente economica. La storia diventa cronaca se aggiungiamo a questi tre fattori anche il clima di tensione e di venti di guerra agitato dalla Cina contro gli Stati Uniti a seguito della visita fatta da Nancy Pelosi a Taiwan. Merito di Bell è quello di aver spiegato come funzioni la selezione delle classi dirigenti in Cina, nel bene e nel male. Non si può dire che la Repubblica popolare sia una meritocrazia pura. E’ evidente che per arrivare ai vertici bisogna esservi cooptati da chi c’è già. Il primo esame da passare è la fedeltà al Partito Comunista Cinese. Nel partito esistono correnti anche se non dichiarate, clan di potere e cordate. Tuttavia, questi sistemi, tipici di un partito unico che ha il monopolio del potere, non hanno generato una classe dirigente sclerotizzata, incapace e fallimentare come quella dell’Unione Sovietica negli anni da Brezhenev a Cernenko. Esiste anche la corruzione ma non così pervasiva e vorace tale da impedire la modernizzazione e il dinamismo economico.

“La meritocrazia funziona perché oltre ai criteri tradizionali di fedeltà ai vertici del Partito comunista, a questo o a quel clan di potere, valgono dei criteri di efficienza e di competenza per fare carriera nel Partito Comunista Cinese. Come viene misurata questa efficienza? In una democrazia occidentale ci fidiamo che sia la saggezza degli elettori a farlo. Abbiamo il diritto di cacciare via dopo quattro o cinque anni un partito o un presidente che ci hanno delusi, di conseguenza questa sanzione dovrebbe servirci a selezionare dei dirigenti capaci. Purtroppo non è così. Ultimamente alcune delle più antiche democrazie occidentali non riescono a selezionare dei leader capaci” (Ibidem, pag. 9).

Il caso italiano poi è emblematico. Le legislature continuano ma cambiano i governi. L’Italia è una repubblica parlamentare per cui le maggioranze si trovano nel parlamento. Questo può pure essere vero ma gli elettori non devono essere messi da parte. La bassa percentuale di votanti alle ultime elezioni comunali e alle amministrative è indice di un malessere diffuso. Non basta che nella carta costituzionale ci sia scritto che la sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso i suoi rappresentanti. Con il crollo della prima repubblica poi sono state gettate alle ortiche le scuole di partito, ognuno aveva la sua, che erano luoghi di formazione per chi voleva dedicarsi alla politica. Certo c’erano anche portaborse, raccomandati (N.D.R.).

“La Cina quali criteri ha usato? In passato, quando un leader in ascesa veniva mandato a fare il sindaco di una grande città o il governatore di una regione (i cinesi le chiamano province), i parametri di misura erano la crescita del Prodotto interno lordo, dei redditi, dei posti di lavoro. Se alla fine del mandato il leader esibiva dei buoni risultati economici della sua zona, con ogni probabilità veniva promosso ad un livello superiore. Un difetto di questo criterio sta nell’usare solo una misura quantitativa dello sviluppo economico. Si sono saccheggiate le risorse. C’è da aggiungere poi che gli amministratori locali, per fare bella figura con Pechino, inseguano una crescita a tutti i costi, finanziando cattedrali nel deserto, infrastrutture inutili, immensi complessi residenziali che rimangono disabitati, il tutto a carico del debito pubblico. Il boom cinese ha molti risvolti oscuri, prezzi nascosti, che verranno a galla con il tempo” (Ibidem, pp. 9- 10).

Questo non significa che la Cina non abbia fatto dei progressi enormi, oltre al tenore della vita materiale: la qualità dell’insegnamento, la salute, la longevità. La condizione femminile ha fatto progressi; oggi, il livello di emancipazione e di diritti della donna in Cina è mediamente superiore a quello raggiunto nella democrazia indiana. Ultimamente, la leadership cinese, per selezionare i futuri dirigenti politici, ha tenuto in considerazione anche il criterio della sostenibilità ambientale, la riduzione dell’inquinamento, perseguiti dagli amministratori periferici. Si usano sempre più dei sondaggi per misurare lo stato d’animo della popolazione. Certo che la gestione del Covid da parte di Xi Jinping ha esacerbato vasti strati della popolazione, imponendo un lockdown ferreo, isolando in alcuni casi milioni di persone.

“Amartya Sen, premio Nobel dell’Economia nonché filosofo umanista, di origine indiana e docente ad Harvard negli Stati Uniti, ha messo a confronto la democrazia elettorale del proprio Paese di origine, l’India, con la Cina comunista. Anche se povera, l’India nella sua lunga storia è riuscita ad evitare carestie di massa delle dimensioni di quella provocata da Mao Zedong con il suo scellerato Grande balzo in avanti. La politica dell’industrializzazione forzata provocò un crollo dei raccolti agricoli. Alcune stime ipotizzano che siano stati 45 milioni i cinesi morti tra il 1958 e il 1961, come conseguenza del Grande balzo. Sen osserva anche che in un sistema dove i cittadini possono cacciare i governanti attraverso libere elezioni, errori e crimini di quella gravità vengono evitati oppure corretti più rapidamente che in un sistema di partito unico con poteri assoluti. Sono gli anticorpi e le difese immunitarie di una democrazia” (Ibidem, pp. 10 – 11).

“La sua diagnosi rimane vera. Tanto più vera da quando Xi Jinping ha cancellato alcune riforme di Deng Xiaoping, eliminando la direzione collegiale e il limite alla durata dei mandati. Sono controriforme che rimandano la Cina indietro nel tempo, all’epoca di Mao con l’eccessivo accentramento del potere e il culto della personalità. Non a caso Xi Jinping, circondandosi di yesmen (persone accondiscendenti servili ai propri superiori), sembra aver commesso alcuni gravi errori: dalla gestione ultra – rigida delle misure sanitarie con lo slogan zero Covid, fino alla scelta di allinearsi con Putin nell’aggressione all’Ucraina. Bell indica con chiarezza il quali direzioni il sistema politico cinese andrebbe migliorato, ma Xi Jinping ha scelto altre strade. Inoltre  le proteste di Hong Kong per per i diritti civili, brutalmente soffocate e l’attaccamento di Taiwan per la propria democrazia, stanno a indicare che anche tra una parte dei cinesi naturalizzati americani i valoro della democrazia liberale hanno fatto breccia” (Ibidem, pag. 11).

Indubbiamente la lettura del libro di Daniel A. Bell, il modello Cina, meritocrazia politica e limiti della democrazia, è quanto di più attuale oggi, quando in ogni paese occidentale nascono e si diffondono forze sovraniste che mettono a repentaglio il sistema democratico attraverso libere elezioni. Mettere a confronto i due modelli, quello cinese basato sulla meritocrazia politica e quello democratico, basato su libere elezioni, può giovare per trovare una sintesi. I due modelli affrontano in maniera diversa problemi simili che derivano per esempio dalla globalizzazione, dalle sfide tecnologiche e commerciali e dal rischio ambientale.

La guerra in Ucraina, scatenata da Putin, la tensione ogni giorno sempre più crescente della Cina verso gli Stati Uniti riguardo all’isola di Taiwan, rivendicata dalla Cina Popolare come proprio territorio, come la Federazione Russa ha fatto con l’Ucraina non riconoscendone l’indipendenza, l’appoggio degli USA all’Ucraina e a Taiwan stanno delineando i contorni di un periodo storico gravido di conseguenze. Certo, il semplice cittadino può far poco, quando ci sono di mezzo visioni geopolitiche onnivore da una parte e dall’altra, ma deve sempre e comunque far sentire la propria voce anche attraverso uno scritto, invitando i responsabili dei governi nel trovare le vie della diplomazia. La guerra non risolve i problemi tra gli stati, ne crea di ulteriori. Una pace negoziata e giusta, che recepisca soprattutto chi sta soffrendo per una invasione in atto (Ucraina) e per una annunciata (Taiwan) è quello che occorre mettere in atto. Ma se anche questa pace negoziata verrà, non dovrà essere imposta alle condizioni di Mosca, come afferma in modo provocatorio e ripetutamente Peskov, il portavoce del Cremlino. Chi è stato invaso non può essere messo sullo stesso piano di chi è stato invaso. Fino a prova contraria, Mosca ha invaso l’Ucraina. Certe espressioni linguistiche poi, come “operazione militare speciale”, dovrebbero far riflettere. Costituiscono materiale utile per i linguisti. Anche i nazisti parlavano di operazione speciale, sonderkommando. In tedesco questo termine significa squadra speciale. Erano squadre di lavoro, composte da prigionieri, addetti al funzionamento dei crematori e delle camere a gas. La guerra è il crimine più alto verso l’umanità (N.D.R.).

Se il primo aspetto della tesi di Bell riguarda la meritocrazia, il secondo concerne la liberal – democrazia occidentale e la sua crisi. Bell dedica un ampio spazio alla critica della democrazia soprattutto nel primo capitolo: La democrazia è il meno peggiore dei sistemi politici? (Ibidem, pp. 56 – 103). Gli argomenti di Bell in materie sono piuttosto standard, come quando discute la tesi della tirannia della maggioranza (Ibidem, pp. 62- 77), tesi secondo cui le minoranze possono veder sacrificati i loro diritti e prerogative in nome del numero. Esiste anche una simmetrica tirannia delle minoranze (Ibidem, pp. 77 – 87), secondo cui minoranze ricche e potenti possono influenzare la politica in modo abnorme. Esiste poi – e ne siamo tutti consapevoli – una tirannide della comunità degli elettori (Ibidem, pp. 87 –  95) e una tirannide di individualisti competitivi (Ibidem, pp. 95 – 103). La prima condanna al silenzio i non – votanti con conseguenze spesso estremamente rischiose per le generazioni future. La seconda rischia in alcuni casi di esacerbare i conflitti piuttosto che eliminarli o almeno addomesticarli. Le conclusioni a cui arriva l’autore si colorano di scetticismo circa la possibilità di correggere il sistema democratico.

“Un altro aspetto dell’opera di Daniel A. Bell verte sul confucianesimo di cui fa propria la complessa concezione del bene, ricca come è di premesse non solo etico – politiche ma anche antropologiche, ontologiche ed estetiche. Tutto ciò implica creare una connessione forte non solo tra etica e ritualità, ma anche tra la nozione classica di armonia e il regime cinese attuale. In altre parole, si suppone in questo modo che il bene comune debba prevalere sulla dialettica democratica, e che il Partito comunista cinese sia in grado di interpretarlo in maniera accettabile per tutti. Come è ovvio, questa tesi è quanto meno discutibile. Il modello Cina di Bell non sarebbe universalistico. E’ una cosa cinese per cinesi. In sintesi, la tesi di Bell ci dice: Guardate che in Cina la politica funziona meglio che in Occidente alla luce dei risultati ottenuti negli ultimi decenni in campo economico – sociale. Per cui conviene quanto meno integrare il modello classico di democrazia occidentale per includere quello cinese meritocratico” (Sebastiano Maffettone, prefazione, pp. 13 – 19, in “Il modello Cina, meritocrazia politica e limiti della democrazia”, op. cit.).

Lo scopo del libro è anche ampiamente presentato dall’autore nel capitolo “Problemi con il modello Cina?” (Ibidem, pp. 21 – 41). “Il libro in questione ha sollevato un dibattito pubblico. La teoria politica e le istituzioni cinesi devono essere prese sul serio; per giudicare il progresso e il regresso politico in Cina si deve partire principalmente dalla cultura politica e dalla storia cinese. Il libro ha trovato molte resistenze. Una ragione è sicuramente l’attaccamento all’opinione che la democrazia – liberale sia la sola forma difendibile di governo; la logica, una persona, un voto è il solo modo legittimo di scegliere i governanti ed è moralmente perverso suggerire altre strade. “Il mio libro” – scrive Daniel A. Bell – è stato accolto come un attacco alla democrazia. Il mio scopo non è quello di denigrare la democrazia in quanto tale. Sono un forte sostenitore della democrazia elettorale in paesi che hanno messo in atto tale sistema. Certo, spero che la democrazia possa essere migliorata dalle migliori pratiche meritocratiche, ma qualsiasi miglioramento deve partire dalle fondamenta della democrazia elettorale, anche soltanto perché le alternative pratiche tendono ad essere dittature militari o populismi autoritari. Il mio scopo è semplicemente quello di desacralizzare l’ideale del suffragio elettorale, mostrando che le democrazie elettorali non si comportano necessariamente meglio delle meritocrazie politiche se analizziamo gli standard diffusamente condivisi di un buon governo. Non vi è nulla di incomparabile tra la ricerca di miglioramento della meritocrazia politica e altre caratteristiche delle società democratiche, fatta eccezione per il suffragio universale: la libertà di parola, la libertà di associazione a esclusione del diritto di formare partiti politici per competere per il potere ai vertici, lo Stato di diritto e varie innovazioni democratiche come l’uso del referendum e di sondaggi” (Ibidem, pp. 22 – 24).

Sembra eccessivamente azzardata l’idea di fare a meno del suffragio universale, ritenendo la maggioranza dei cittadini – elettori ignoranti e disinteressati al bene pubblico (Teoria sostenuta da Jason Brennan, Contro la democrazia, Luiss University Press, 2018). Da qui la posizione ultima sembra essere quella che devono governare i migliori, quindi la propensione per la meritocrazia politica. “Chi sarebbero poi i migliori? Quelli che riescono ad influenzare l’opinione pubblica perché hanno i mezzi per farlo? Occorre sempre trovare la strada giusta per non buttare l’acqua sporca assieme al bambino. Fuori di metafora, questo vuol dire che il bambino rappresenta la Costituzione dello Stato italiano in questo caso, l’acqua sporca invece rimanda alle distorsioni della democrazia, che sono da correggere. Governare vuol dire reggere il timone; in latino, il gubernator era il nocchiero della nave. Ora, tutti siamo sulla stessa barca. Se questa va alla deriva, affondiamo tutti” (N.D.R.).

“La democrazia non è solo un sistema di selezione del personale politico e un controllo della sua performatività nel tempo, è anche un modo significativo per rendere la società un reale strumento di emancipazione morale e di cooperazione civica. Per ottenere questo fondamentale risultato, è difficile credere che basti delegare le funzioni politiche principali a un comitato di esperti preparati e burocrati efficienti. Confuciani o meno che siano…” (Sebastiano Maffettone, prefazione, pag. 19, in “Il modello Cina, di Daniel A. Bell, op. cit.).

Il piano dell’opera, del libro in questione, è presentato in modo dettagliato dall’autore stesso nell’introduzione (Introduzione, pp. 43 – 55). “Nel primo capitolo si analizzano quattro difetti fondamentali della democrazia intesa nel senso minimo di elezioni libere ed eque per i maggiori leader di un paese, e ciascuno di questi difetti è seguito da una descrizione delle alternative meritocratiche teoriche e reali. Il secondo capitolo prende avvio dalle seguenti affermazioni: 1. Per una comunità politica è un bene essere governati da leader di elevata qualità, 2. Il sistema politico della Cina a un solo partito non sta per crollare. 3. L’aspetto meritocratico del sistema cinese è parzialmente buono. 4. Può essere migliorato. Il terzo capitolo analizza tre problemi cruciali legati a qualsiasi tentativo di mettere in atto la meritocrazia politica: (1). I governanti scelti sulla base delle loro abilità superiori è probabile che abusino del loro potere. (2). Le gerarchie politiche possono cristallizzarsi e compromettere la mobilità sociale. (3). E’ difficile legittimare il sistema a chi è esterno alla struttura del potere. Il quarto capitolo descrive i pro e i contro di diversi modelli di meritocrazia democratica, più nello specifico, modelli che tendano a conciliare un meccanismo meritocratico creato per scegliere i principali leader con uno democratico che lascia alla popolazione la scelta dei loro leader. Il primo modello combina democrazia e meritocrazia al livello dell’elettore (ad esempio, assegnando più voti a elettori istruiti), ma tali proposte, a prescindere dal merito filosofico, non sono politicamente realistiche. Il secondo modello (orizzontale) intende conciliare democrazia e meritocrazia al livello delle istituzioni politiche centrali, ma sarebbe quasi impossibile metterlo in atto e sostenerlo persino in una cultura (come quella della Cina) che valorizza molto la meritocrazia politica. Il terzo modello (verticale) intende combinare la meritocrazia politica al livello del governo centrale con la democrazia a quello locale. Quest’ultimo non è un cambiamento radicale rispetto alla realtà cinese ed è difendibile anche su basi filosofiche.

Le riforme politiche nell’era post maoista, in Cina, sono state guidate dai principi della democrazia in basso, sperimentazione nel mezzo, e meritocrazia in cima. Rimane d’altronde un grande divario tra l’ideale e la realtà e procedo suggerendo modi per riuscire a colmarlo. La minaccia più seria al sistema meritocratico è forse il problema della legittimità” (Ibidem, pag. 51).

Riporto qui di seguito l’indice del volume.

Indice

Prefazione alla presente edizione (pp. 7 – 11)

Prefazione (pag. 13 – 19)

Prefazione all’edizione tascabile: Problemi con il modello Cina? (pp. 21- 41)

Introduzione (pag. 43 – 55)

  1. La democrazia è il meno peggio dei sistemi politici? (pp. 56 – 103)
  2. La selezione di buoni leader in una meritocrazia politica (pp. 104 – 147)
  3. Che cosa non funziona nella meritocrazia politica (pp. 148 – 187)
  4. Tre modelli di meritocrazia democratica (pp. 188 – 213)

Riflessioni conclusive. Mettere in atto il modello Cina (pp. 215 – 233)

Bibliografia (pp. 235 – 253)

Note (pp.255 – 364)

 

Raimondo Giustozzi

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