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“Sono pronto a morire per la Russia, ma non per i criminali e i ladri”: Tre militari russi raccontano perché hanno disertato dopo l’invasione dell’Ucraina

Senza titoloda Raimondo Giustozzi

25 Agosto 2023, di Meduza  

Il sito indipendente russo iStories ha parlato con tre ex ufficiali russi che per motivi di coscienza hanno deciso di non combattere in Ucraina. Hanno descritto i motivi per cui si sono arruolati e cosa hanno dovuto fare per abbandonare le forze armate russe, una volta coinvolti nell’invasione su larga scala dell’Ucraina e nella mobilitazione che ne è seguita. I tre ex ufficiali hanno parlato dietro anonimato, anche se la loro identità è nota alla redazione iStories. Meduza ha riassunto le loro storie (in lingua inglese), d’accordo con iStories.

Alexander

Dopo la scuola superiore mi sono iscritto all’accademia militare. Non è stata una decisione davvero mia, l’ho fatto perché i miei hanno insistito. Quando vivi in provincia non ci sono molti modi per guadagnare. Così ho deciso che era un’opzione valida, visto che non vengo da una famiglia ricca.

Mi sono arruolato nell’esercito nel 2016. Ho iniziato subito ad avere dei dubbi, perché le persone lì, spiace dirlo, sono perlopiù stupide.

Il secondo giorno ho scritto una lettera di dimissioni e l’ho portata al comandante. Per la mia famiglia è stato come un tradimento. Hanno iniziato a farmi il lavaggio del cervello: “l’esercito è la strada della vita. Devi farlo, non hai altra scelta”. Anche il mio diretto superiore si è fatto prendere la mano: “Nell’esercito è tutto fantastico, abbiamo l’assistenza medica, ti daremo una buona istruzione, indosserai un’uniforme, avrai uno stipendio, stabilità” diceva. Ho scritto altre lettere di dimissioni, ma sono rimasto perché mia madre ha insistito. Così poi ho finito l’accademia.

Nel 2021 ho provato a mollare a sei mesi dall’inizio della guerra. Non sono andato in servizio, ho lasciato la guarnigione. Ho commesso ogni sorta di infrazione. Poi ho comprato un biglietto aereo e sono tornato a casa per una settimana. Per giorni ho scritto lettere di dimissioni, le consegnavo al comandante e lui le strappava davanti a me. In un lavoro normale scrivi una lettera ed entro due settimane te ne vai. Nell’esercito non funziona così.

Dopo le vacanze di Capodanno, all’inizio del 2022, ci hanno detto che saremmo partiti per un viaggio di addestramento nell’annessa Repubblica di Crimea. Nessuno avrebbe combattuto, secondo le rassicurazioni del nostro comandante. Nel 90% dei casi, queste esercitazioni sono false. Il discorso del comandante dell’unità ha influenzato la maggior parte dei militari. Alcuni pensavano davvero a un’esercitazione, altri sospettavano degli scontri, ma nessuno pensava che sarebbe scoppiata una guerra. Nessuno ci credeva. Io però diffidavo dei comandanti, secondo il vecchio precetto russo “Non fidarti dello Stato”. Avevo un brutto presentimento.

Dietro consiglio degli avvocati, ho messo per iscritto il mio rifiuto ad andare, spiegando i motivi. Sapevamo perfettamente che non avrebbe avuto alcun effetto, ma ci ho provato lo stesso. Per tutta risposta, il comandante ha disegnato sul foglio un grosso pene.

All’inizio di febbraio siamo andati in Crimea. Ha avuto la certezze che non si trattava di un’esercitazione intorno al 15-16 febbraio, quando sono cominciati gli ordini di combattimento che permettevano ai veicoli cingolati di muoversi sulla strada asfaltata. A quel punto ho capito che c’era in ballo qualcosa di grosso.

Il 23 febbraio, a un certo punto, siamo stati abbandonati vicino al confine. Una volta arrivati in una zona boscosa, ci è stato dato l’ordine di rifornire tutti i veicoli, oltre a munizioni armi e due caricatori a testa. Così il 24 febbraio abbiamo attraversato il confine. Alla prima sosta mi sono avvicinato al mio comandante e gli ho chiesto: “Abbiamo attaccato l’Ucraina? Perché siamo usciti dalla Federazione Russa? Cosa sta succedendo?”. Il comandante mi ha risposto così: “Aspetta 10 giorni, staremo qui per un po’ e torneremo a casa. Riceverete tutti i certificati di veterano e sarete pagati”.

C’erano persone insoddisfatte per la situazione, anche se nessuno lo diceva apertamente. L’atmosfera era del tipo “seduti e zitti”. Perché non potevamo ribellarci se c’erano molti dissidenti? Semplice, l’esercito non è fatto per le persone ideologizzate. È gente pagata per uccidere ed eseguire gli ordini.

Sono rimasto sul territorio ucraino da febbraio alla fine dell’estate del 2022. Non ho preso parte ai combattimenti, mi occupavo dei rifornimenti. Molto spesso ci siamo trovati sotto tiro, nascosti in cantine e trincee. Avevo una pistola, ma non sparavo. Non ho assistito a nessun combattimento, ma ero in prima linea. Non c’è niente di buono in prima linea, solo bombardamenti continui e paura. E morti da entrambe le parti.

Una volta, mentre ci muovevamo in colonna verso uno degli insediamenti, abbiamo incontrato un’auto con tre uomini a bordo. Stavamo per passarli quando le nostre forze speciali hanno spogliato questi tre ucraini, in abiti civili, fino alla vita. Il comandante ha ordinato alle forze speciali di controllare i tatuaggi, di prendere i documenti e poi ha ordinato di uccidere tutti e tre. L’ho sentito alla radio, ero già passato oltre quando ho udito gli spari. Non poteva trattarsi di altro. Non so per quale motivo li abbiano uccisi, ma sono sicuro che nessuno li ha interrogati per scoprire qualcosa, perché tutto si è svolto nell’arco di due minuti.

È successo nei primi giorni di guerra. Verso la fine di aprile sono andato su Internet, ho visto cos’è successo a Bucha, ho letto dei tweed…

Io stesso ho parlato con i civili. Ora posso guardare alla situazione in modo equilibrato, ma all’epoca dopo aver parlato con alcune persone ti sentivi un invasore, mentre dopo aver parlato con altre ti sentivi un eroe. Così si creava una dissonanza.

A metà dell’estate siamo tornati in Russia in congedo. Io sono tornato col secondo gruppo, dopodiché mi sono rifiutato di svolgere qualunque mansione e ho scritto una nuova lettera di dimissioni. Sembrava tutto in ordine. All’inizio di settembre la commissione che si è riunita ha deciso di licenziarmi all’unanimità. Poi è iniziata la mobilitazione: “Fai le valigie” mi hanno detto, “torni in Ucraina”. In quel momento ho capito che la mia coscienza non mi permetteva di partire.

Avevo solo un passaporto interno russo, quindi dovevo scegliere tra fuggire in Armenia o in Kazakistan. Ho scelto il secondo perché più vicino ed economico. La mia famiglia non mi ha sostenuto. Mi consideravano un traditore, se necessario erano disposti loro stessi a prendere le armi e a partire per il fronte. Attualmente non ci sentiamo più.

Come funziona il passaporto interno russo?

In Russia un passaporto normale (il cosiddetto “passaporto interno”) e un passaporto di viaggio sono documenti diversi. Nel 2023 si può usare un passaporto interno russo per visitare Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, oltre all’Abcasia e l’Ossezia del Sud che sono occupate e riconosciute internazionalmente come parti della Georgia.

A chi intende firmare un contratto con l’esercito russo, vorrei dire soltanto questo: non fatelo, per nessun motivo. Metterebbe in pericolo la vostra vita, la vostra salute e la vostra libertà. Non è la vostra guerra. Se avete un passaporto, potete provare a ottenere un visto per un altro paese. È stressante, non è chiaro cosa succederà dopo. Ma è molto meglio che andare in guerra. Ora sono considerato un traditore del mio paese, ma mi va bene. Che lo pensino pure. Il tempo sistemerà le cose.

‘Siamo noi i fascisti’: i soldati russi tornati dal fronte ucraino parlano della mobilitazione voluta da Putin

Dmitri

Vengo da un piccolo paesino lontano da Mosca, ma ho deciso di entrare in un’università moscovita per studiare ingegneria per il design industriale. Non avevo progetti per il futuro, ho fatto solo quello che dovevo fare. Non volevo chiedere aiuto ai miei genitori, anche perché non era possibile. Gli stipendi dalle parti nostre sono bassi.

L’università mi ha consigliato l’iscrizione a un centro di formazione militare – qualcosa di simile a un dipartimento militare in un’università civile. Ma chi studia al centro militare firma un contratto e dopo la laurea presta servizio per almeno tre anni, pagando il debito contratto per un dormitorio e una piccola borsa di studio. Un patto col diavolo.

All’epoca avevo 20 anni, per cui non ci ho pensato più di tanto, ho firmato quel pezzo di carta senza guardarlo. “Niente di che, sono solo tre anni di servizio”. Ma poi, al momento di finire gli studi, avevo maturato nel frattempo un’idea della vita, e ho capito che l’esercito non era certo un posto dove passare tre anni.

Nel contratto c’era una clausola in base alla quale, in caso di interruzione degli studi, bisognava versare al ministero della Difesa una somma pari al triplo del prestito ricevuto. Di fatto significa essere ostaggio dal Ministero. Nel mio caso la somma ammontava a 2 milioni di rubli, circa 20 mila euro.

Il 24 febbraio 2022 ho vissuto un’esperienza terribile. A quel tempo stavo terminando il mio diploma ed ero sul punto di diventare un ufficiale militare nel giro di pochi mesi. Stavo andando al lavoro e ho saputo che era scoppiata la guerra. Mi è preso il panico. Che fare? Il mio debito con il ministero della Difesa era enorme. “Servi per un po’, poi ci penserai” dicevano i miei genitori.

Il mio contratto iniziava nel luglio 2022. L’avvocato militare mi ha spiegato brevemente cosa fare per licenziarmi. Così, il giorno dopo il mio arrivo, sono andata a parlare con il comandante dell’unità. Gli ho detto che non ero un militare, che non sapevo fare nulla e che non volevo prestare servizio, chiedendogli di congedarmi.

Quel gesto non è piaciuto a nessuno, mi hanno trattato come un traditore. Non ero né una brava persona, né un uomo: “Hai dato la tua parola, hai firmato un contratto. Devi tirare fuori le palle come un vero uomo e prestare servizio!”.

Così ho iniziato a sabotare il servizio. Mi sono assentato per qualche giorno, ho portato il mio cellulare all’unità. Hanno preso a minacciarmi, dicendo che rischiavo un procedimento penale, che mi avrebbero messo in galera, ma con me non attaccava. Il mio immediato diretto comandante lo ha capito subito: “Faccio prima a portarti nella foresta e spararti”.

Molti degli ufficiali con cui ho parlato non vedono di buon occhio l’esercito. Ovviamente sostengono il governo, ma per il resto se potessero lasciare l’esercito senza conseguenze lo farebbero. Però se inizi la procedura di congedo e non ce la fai sei fregato. Ti trovi tutti contro e la tua vita diventa un inferno. La maggior parte delle persone non se la sente di correre rischi del genere, è più facile tenere fede al contratto di servizio.

Da febbraio non facevo che pensare alla possibilità di finire in guerra. Fino a settembre sono riuscito a evitarla, ma poi il mio comandante ha suggerito di mandarmi in Karabakh, dove ci sono stati scontri al confine tra Armenia e Azerbaigian. Ho rifiutato: “Qualsiasi azione militare è inaccettabile per me”. E lui mi ha detto: “Non provare a dirmi una cosa del genere quando ci sarà la legge marziale in Russia, altrimenti ti porterò fuori dalla caserma e ti sparerò”.

Poi si sono arresi e mi hanno proposto un compromesso: “Ti congederemo tra circa sei mesi, ma non dovrai interferire con nessuno”. Era una buona opzione per me. Ero solo un impiegato, seduto davanti al computer, che si occupava di documenti. Il piano prevedeva che mi licenziassi entro la fine del 2022, ma è andata diversamente. A settembre è arrivato il decreto di Putin sulla mobilitazione, e questo è quanto. Non è più stato possibile andarsene.

Ho capito che sarei stato rispedito dal comandante che aveva minacciato di giustiziarmi. Allora ho iniziato a dire che avevo tendenze suicide, chiedendo di farmi mandare in un reparto psichiatrico. Ho preso accordi con le persone giuste, ma secondo loro stavo solo perdendo tempo, perché nessuno mi avrebbe licenziato per motivi di salute. Mi sono fatto ricoverare comunque.

Appena uscito dall’ospedale ho fatto richiesta di trasferimento al comandante dell’unità. Gli ho dato una bottiglia di alcolici, come da tradizione. Era indignato, ma ha preso lo stesso la bottiglia e mi ha trasferito in un’altra zona, dove ho prestato servizio per quattro mesi.

Sono andato avanti fino a febbraio 2023, quando hanno iniziato a reclutare ufficiali da spedire al fronte. Ho parlato con quelli che erano tornati dall’Ucraina, mi hanno detto di essere stati usati come carne da cannone. Per mia fortuna stavano cercando prima sottufficiali o contractor, così ho avuto il tempo per preparare la fuga.

Sapevo che, una volta in guerra, sarei stato costretto a uccidere delle persone, e probabilmente non sarei tornato a casa. Con l’inizio della mobilitazione, hanno consegnato a tutti i militari dei fogli da firmare. Quando ho ricevuto il mio sono andato a casa. Ho parlato con un avvocato e l’unica scappatoia che abbiamo trovato è stata per l’appunto la fuga.

Come puoi fare progetti quando lo Stato cambia di continuo le leggi a suo piacimento? Puoi solo perdere, oppure devi scegliere tra andare in prigione o fuggire dal paese. Per me è stata dura, mi sono subito reso conto di essere diventato un criminale. Impossibile tornare indietro, la diserzione e l’assenza ingiustificata sono crimini che all’atto pratico non cadono in prescrizione.

Una volta deciso di fuggire, ho trovato l’organizzazione Get Lost. Abbiamo trascorso un paio di settimane a sviluppare il piano, pensando a ogni dettaglio: come rispondere alle domande al confine, cosa portarmi dietro, come acquistare i biglietti, come tenere i contatti.

Da circa due mesi vivo in Georgia. Passo tutto il tempo al computer, studiando da programmatore, e ho iniziato lentamente a guadagnare. Ho bisogno di una grossa somma di denaro per andarmene da qui, perché nemmeno la Georgia è sicura per me.

 

Yevgeny

Ho studiato in un collegio militare, il che ha influenzato la mia scelta di iscrivermi all’accademia militare. Avevo 17 anni, temevo che non sarei mai riuscito a entrare all’università, o a trovare un buon lavoro. Non avevo conoscenze, i miei genitori non erano ricchi, e il servizio nell’esercito mi sembrò una strada sicura per ottenere qualcosa nella vita. All’accademia sono andato abbastanza bene, e mi aspettavano in totale 10 anni nell’esercito.

Ricordo che c’era tensione tra Russia e Ucraina, ma nessuno pensava che sarebbe successo qualcosa di grave. Quando sono iniziate le esercitazioni siamo tutti andati al confine con l’Ucraina. Il 10 febbraio, il nostro comandante ci ha detto che non bisognava preoccuparsi: non ci sarebbe stata nessuna guerra, solo giochi di potere e manovre lungo il confine.

Ci siamo tranquillizzati. Un generale che comanda un esercito non mentirebbe, pensavo. Per me Putin era un ladro, ma non un fanatico. Una guerra era roba da Napoleone o Hitler, ma non faceva per lui. Poteva starsene seduto tranquillo, rubare per il resto della sua vita, e tutti sarebbero stati felici – questo è il contratto sociale che abbiamo con il governo. Ma tutto si è ribaltato nel giro di pochi giorni.

Abbiamo capito che sarebbe stata una cosa seria quando hanno riunito tutte le brigate prima di marciare verso Kyiv. Ricordo le frasi che poi abbiamo usato per scherzare tra noi: “Non dovete preoccuparvi, tutto sarà finito in tre giorni. Alcuni di voi non si renderanno nemmeno conto di quello che è successo”.

Ci siamo resi conto di aver attraversato il confine una volta incontrati i primi cartelli in ucraino. Tutti gli insediamenti di confine erano intatti. Ma più ci avvicinavamo a Kyiv, più la distruzione aumentava.

Passati i tre giorni in cui “tutto sarà finito”, il comando non ha detto nulla. Da quel momento in poi contava solo sopravvivere giorno per giorno. A un soldato non viene dato l’ordine: “Il tuo plotone deve conquistare Kyiv”. Gli viene detto: “Siediti dietro questo albero e guardare”. A un ufficiale viene detto: “La tua linea è laggiù, devi raggiungerla”. Siamo persone piccole, ci vengono affidati compiti piccoli.

Nelle vicinanze di Kyiv mancava una linea di contatto certa tra le parti. Non c’era un fronte, ci siamo semplicemente precipitati in colonne verso la capitale, e queste colonne venivano bombardate senza tregua.

Poi sono arrivati i partigiani dalla popolazione locale. Ogni giorno avevano armi sempre più moderne, acquisivano via via esperienza. Abbiamo visto come venivano catturati. So che ci sono stati casi in cui i partigiani sono stati fucilati senza processo. C’erano persone disposte a fare i boia, che nessuno avrebbe mai punito.

Questa non è la mia prima guerra. Sono stato in Siria per cinque mesi, ma rispetto all’Ucraina, lì era un campeggio per bambini. Una cosa è combattere alcuni gruppi armati illegali con un carro armato mezzo rotto e una mitragliatrice. Un’altra cosa è combattere un esercito con aviazione, artiglieria e comunicazioni. Inoltre all’Ucraina stanno dando armi occidentali, e quelle russe sono nettamente inferiori.

Non posso dire di aver visto direttamente i militari ucraini, ma ci hanno sparato e noi abbiamo risposto al fuoco. Altri soldati hanno avuto esperienze diverse: stavano camminando da qualche parte di notte, si sono trovati faccia a faccia con gli ucraini, hanno parlato, si sono allontanati e hanno iniziato a sparare. Storie da film, ma reali.

Quando stavamo lasciando Kyiv, abbiamo subito gravi perdite e due ragazzi sono rimasti indietro. Sono andati da uno del posto per consegnarsi come prigionieri: lui li ha lavati e nutriti. Sono arrivate le Forze Armate dell’Ucraina, che hanno sparato alla gamba di uno di loro. Poi hanno filmato le operazioni di primo soccorso per mostrare come hanno aiutato un russo ferito e fatto prigioniero. Nel video dice: “Grazie, ragazzi, per non avermi ucciso”. Molto dipende dalla persona. In guerra le leggi passano in secondo piano e alla fine conta solo il fattore umano.

Sono rimasto “dietro la linea del fronte” fino a maggio 2022, da ferito. E parlando di ferite, beh, lasciare l’Ucraina è stata un’intera “operazione speciale”.

A settembre, dopo l’annuncio della mobilitazione, le regole del gioco sono cambiate. Abbiamo capito che bisognava andarsene a ogni costo. Si poteva lasciare l’Ucraina da morti o da feriti. Quando erano rimaste solo poche persone, ci hanno mandato in un’altra missione suicida. Ci siamo feriti apposta per renderci invalidi.

Non è un’impresa facile. Ma eravamo nei paraggi delle postazioni ucraine, perciò siamo riusciti a farlo in modo che risultasse credibile e non ci fossero troppe domande. Ci siamo sparati addosso.

Poi c’è stata l’evacuazione, il ricovero in ospedale e la riabilitazione. Durante la riabilitazione ho cercato in vari modi di non tornare in Ucraina. Non ha funzionato. Ero disperato, sono andato a fare un check-up completo in una clinica privata, spendendo una cifra significativa per sottopormi a uno screening completo. Purtroppo sono risultato completamente sano.

Ho cominciato a pensare che da morto sarebbe stato tutto più facile. Ma non sognavo di morire in una trincea per assecondare le ambizioni di un pazzo. Sono pronto a morire per la Russia, per difenderla dai nemici che vogliono attaccarla. Ma non voglio morire per banditi, criminali e ladri.

La situazione si faceva sempre più opprimente e non c’era via d’uscita. Ho pensato di andare in prigione, ma nemmeno quella strada era percorribile, perché in Russia ormai ti mandano dalla prigione al fronte.

Poi ho capito che dovevo fuggire. All’inizio ho pianificato tutto da solo. Ero in Russia, nascosto, dopodiché ho incontrato l’organizzazione Get Lost che mi ha aiutato a partire.

Sì, ho ucciso delle persone. Non sono andato a sparare a bruciapelo, ma ho risposto al fuoco. Questa è la guerra. Anch’io voglio vivere. Se non avessi fatto fuoco, se avessi alzato le mani, mi avrebbero sparato. Ma non ho fatto razzie, non ho torturato o giustiziato nessuno.

Cosa direi a chi sta pensando di firmare un contratto con l’esercito russo? Abbi il coraggio delle tue opinioni. Non pensare di poter stare in disparte. Te ne stai lì, tutto sembra calmo e tranquillo, e poi sei morto.

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