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Quartiere San Marone: Le palazzine di via Castellara e le case dei maestri di via De Amicis

Particolare Palazzine di via Castellara (foto ing. Laura Fratesi)Le palazzine di via Castellara costituiscono forse uno degli angoli più suggestivi del popoloso quartiere di San Marone. Nascoste come sono dietro alcuni alberi che ne impediscono la piena visuale, occorre entrare nel cortile per ammirarne tutta la bellezza. L’ingresso è su due lati, l’uno all’inizio della stradina che costeggia il negozio “Concetto Casa”, l’altro poco dopo, lungo la via Castellara che si percorre a senso unico, provenendo dal lavatoio comunale. Ambedue gli accessi sono delimitati da un cancello, per non permettere l’accesso agli estranei. Importante notare come già nella concessione edilizia si prevedeva la messa in opera dei due cancelli, quello posizionato sulla via Castellara, entro cinque metri dal fronte della strada, quello che è in fondo alla stradina, quasi attaccato alla prima costruzione.

Un tempo, tutta la collinetta era campagna profonda. C’era solo una piccola casa di contadini, demolita per far posto alle nuove costruzioni. I proprietari del fondo erano i Murri. I campi erano coltivati a grano, frutta e ortaggi, tra i quali i finocchi. Il Murri aveva anche un pozzo dal quale attingeva acqua per pulire gli ortaggi prima di metterli nelle cassette che, caricate sui camion, prendevano la strada per i grandi mercati ortofrutticoli di Verona, Bologna, Milano. Molti erano anche gli alberi di pero che in primavera, quando fiorivano disegnavano un angolo del tutto diverso da quello che si può osservare oggi. Di quel tempo relativamente lontano, rimangono solo tre olivi, della casetta sono stati recuperati alcuni mattoni fatti tutti a mano e numerati, oggi usati da uno dei proprietari per costruire il camino del proprio appartamento. Un altro signore, sempre residente nel posto, ha recuperato alcuni morsetti, ferri che si mettevano alle froge delle mucche quando venivano aggiogate al carro agricolo. Sono tre palazzine con un cortile interno che ha ospitato in passato, in tempi diversi, una stazione della Peregrinatio Mariae che la Parrocchia di San Marone teneva ogni anno nel mese di maggio.

La costruzione dei tre immobili risale ai primi anni ’90. Nel ’91 erano già abitate, tredici le famiglie che vi risiedono. Nei fogli ufficiali, nei bollettini per il pagamento delle luci esterne e dei cancelli, nella concessione edilizia vengono chiamate con il nome di “Parco verde desiderio”. Solo sei famiglie vivono in condominio, il resto ha un ingresso indipendente, ciò non favorisce di certo l’aggregazione e la socializzazione, ma si sa che uno dei valori perseguiti oggi dalla maggioranza della gente è la tranquillità, la privacy, l’assenza di fastidi che non sempre invece si possono ritrovare nei grandi condomini. Solo in occasione della Peregrinatio Mariae la gente aveva l’occasione di incontrarsi e di lavorare anche se solo per una sera ad un progetto comune. Bruno, Dea e qualcun altro si davano da fare per preparare l’altarino per la messa e mettere gli addobbi, la parrocchia portava le panche e le sedie; dopo la messa, il corteo dei fedeli, di sera, con le fiaccole accese, in processione, recitando il Rosario, si dirigeva verso via don Bosco, attraversando l’area della vecchia vetreria.

Indubbiamente lo scorcio di Civitanova Alta e la visuale che si apre sulla campagna, sul retro delle due palazzine, sono cambiati negli ultimi anni, quando è stata edificata la nuova chiesa parrocchiale di San Marone, dedicata a Santa Maria Ausiliatrice. In tanti hanno sempre visto di buon occhio la costruzione della nuova chiesa anche perché tutta l’area è stata valorizzata e si spera che sarà soggetta più a tutela. In passato, certi angoli del campo sul quale è sorta la nuova costruzione, proprio perché isolati e bui di notte, sfuggivano a qualsiasi controllo. Indubbiamente ci vorranno degli anni per migliorare l’arredo urbano attorno alla chiesa. Anche il fronte della statale adriatica, all’altezza del cimitero e del distributore, è un angolo che ispira attualmente un po’ di paura, soprattutto quando lo si percorre da soli, di notte, al buio. Il distributore “Total” fino a poco tempo fa “Fina” esiste, sempre allo stesso posto, ormai da circa quarantaquattro anni. C’è fin dal 1962, secondo alcuni. Un tempo, tutto il bordo della strada era ricoperto da una fitta siepe di biancospini che si coloravano di more deliziose nella buona stagione e di lucciole, care compagne dell’adolescenza di molti, oggi adulti e anziani.

Poco oltre un piccolo orto, alla sommità della stradina che costeggia il distributore Fina, c’era fino a non molto tempo fa una gancia per il gioco delle bocce. Era nata quasi per caso, voluta da quanti desideravano crearsi uno spazio per trascorrere dei momenti di relax, al sabato ed alla domenica. Quindici, anche venti persone amavano incontrarsi e giocare a bocce. Un inverno di qualche anno fa, una nevicata un po’ più consistente del solito ha fatto crollare del tutto il soffitto della struttura ed ora di essa rimangono solo i ruderi. Sì perché, dopo un primo tempo, il fabbricato era stato anche coperto per poterci giocare anche d’inverno. “Boccia a punto”, si gridava dal giocatore. Era la dichiarazione prima di colpire la boccia avversaria che era la più vicina al pallino. Colpi secchi che laceravano la quiete del posto, tanto che qualcuno protestava perché non riusciva a dormire. La struttura, proprio perché coperta serviva anche per ritrovarsi e mangiare. Negli spazi esterni si approntava una “fornacella”, prima dell’avvento dei più moderni barbecue, si mettevano sopra salsicce, costarelle di maiale e  si mangiava, il tutto innaffiato da un buon vino.

Le case dei maestri in via De Amicis

A Civitanova Marche le conoscono tutti come “Le case dei maestri” perché una volta erano abitate in maggioranza da insegnanti. Sono due palazzine gemelle poste a destra della statale adriatica, in via de Amicis 97- 95, andando verso Fontespina, poco prima della nuova rotonda, addossate quasi alla ferrovia e circondate da un grande giardino ricco di piante e siepi. La loro costruzione risale agli anni ’55- 56, ditta appaltatrice dei lavori “Filiberto Crisoliti” di Civitanova Marche, su progetto dell’architetto Enrico Cionfrini di Porto San Giorgio.

Furono commissionate dal CAIS (Cooperativa Impiegati dello Stato) che attinse a finanziamenti statali per la costruzione di civili abitazioni. Negli gli anni cinquanta e per Civitanova Marche, era una novità che ci fosse una Cooperativa di privati cittadini intenti a costruirsi la propria abitazione. Le vicine case dei Ferrovieri, sempre sulla stessa via, poste un po’ prima, sull’altro lato della strada, vennero costruite direttamente dall’Ente Ferrovia, qualche anno prima. Le altre due case, sempre dei ferrovieri, ubicate accanto a quelle dei maestri, sono di costruzione più recente.

La prime famiglie che hanno abitato sulla prima palazzina, quella a sinistra, entrando dal passo carrabile: Fernando Ridolfi, Mastrantonio, Cervellini, Tolozzi, Calafati (direttore della dogana), Gagliardini. Cinque nuclei familiari su sei erano dediti alla nobile arte dell’insegnamento. Le famiglie che abitavano sull’altra palazzina: Gaetani, Curzi, Leonida Bartoletti (direttore delle Poste), Nucini, Polzoni, Calderisi. Anche in questo caso, cinque famiglie su sei erano legate al mondo della scuola. Come si può notare, tutti i capifamiglia erano maestri, in qualche caso anche le mogli o le figlie erano insegnanti. Virginia Orru, di origine sarda, moglie di Cervellini, era maestra; Pagliariccio, moglie di Tolozzi, era anche lei maestra, pure la consorte di Mastrantonio era maestra, così come la figlia di Bartoletti.

Le due palazzine, restaurate in tempi recenti, all’esterno non avevano all’origine l’aspetto attuale. Le due facciate d’ingresso recavano, su ogni piano, dei segni grafici a mo’ di crepa, ottenuti con l’uso della tecnica musiva, secondo i canoni dell’arte futurista. Le facciate stesse avevano parecchie tonalità di colori e la ditta “Ducora” sperimentò proprio su queste due palazzine l’effetto di questi colori. L’autostrada non era stata ancora aperta. Il traffico veicolare insisteva tutto sulla statale Adriatica. D’estate, non era raro che grosse macchine targate Germania o Austria si fermassero. Scendevano compiti signori con tanto di macchina fotografica al seguito intenti a scattare fotografie alle due palazzine.

Claudio Ridolfi e Giacomo Tolozzi, inseparabili amici, allora ragazzi, oggi ambedue architetti, stazionavano quasi sempre sul cancello e di ogni macchina straniera facevano il disegno. L’alluvione del ’59 toccò anche le due palazzine. Nei garage si accumulò fino a trenta centimetri d’acqua che, una volta prosciugata, lasciò una sorta di limo, creta pura non sporca di detriti, facilmente malleabile. Claudio e Giacomo la usavano per la costruzione delle macchine che avevano disegnato precedentemente o ne inventavano delle altre seguendo l’estro del momento.

I due edifici presentano a livello strutturale delle caratteristiche che per gli anni cinquanta erano delle novità assolute. Vengono realizzate con telaio a cemento armato. Il solaio viene alleggerito con uno strato di vermiculite, un materiale espanso, leggero e coibente. La vermiculite è un aggregato leggero, utilizzato per il confezionamento di calcestruzzi leggeri, che si ottiene per cottura di rocce micacee di struttura lamellare. Per effetto del riscaldamento, le singole lamelle, di cui è composto il materiale base, tendono ad allontanarsi una dall’altra assumendo un caratteristico aspetto a fisarmonica. Ne consegue una resistenza sotto carico estremamente modesta. Pertanto la vermiculite trova essenzialmente impiego come materiale inerte per calcestruzzi isolanti, mai per la preparazione di strutture portanti (Fonte Internet). Tutte le pareti perimetrali dei due edifici hanno al loro interno una camera d’aria costruita con questo materiale.

Quanto all’architettura degli interni, gli appartamenti, di grandi dimensioni, sono dotati di una illuminazione diffusa grazie ad alcuni accorgimenti come l’aver posto dei vetri ad incastro alla sommità delle porte che mettono in comunicazione il corridoio centrale con le stanze laterali. Questo è ancora ben visibile in quegli appartamenti che hanno mantenuto gli interni quali erano all’origine. Le serrande, che scendono a filo con la parete esterna, oltre ad assolvere ad una nota di carattere estetico, rimandano anche ad altre caratteristiche. Tra la serranda e gli infissi interni che cadono ugualmente a filo, c’è un vuoto di trenta centimetri, un intercapedine insomma con funzione di coibente tra l’esterno e l’interno degli edifici. Le due finestre angolari, che si affacciano su uno dei tre balconi di cui è composto ogni appartamento, consentono di captare dall’esterno molta luce che inonda gli interni.

Il progetto dei due edifici è opera dell’architetto Enrico Cionfrini (Porto San Giorgio 16 gennaio 1927- Roma 4 ottobre 1974), morto a soli 47 anni, di una cultura vastissima in tutti i campi, nel suo in particolare, quello dell’architettura, ma anche nel versante della musica leggera e classica di cui conosceva tutti i brani a memoria. Molti i progetti che portano la sua firma, tra tutti la realizzazione dell’albergo “Gabbiano” di Porto San Giorgio. Cionfrini era un eclettico, versatile, a soli 18 anni scriveva: “Lo studio pone l’uomo al di sopra delle cose perché conoscendole se ne serva per il cielo” e ancora: “Non affaticarti ad inseguire la Felicità, quando sarà la tua ora Ti chiamerà per nome”.

Le due palazzine sono circondate da un grande giardino ricco di molteplici essenze vegetali: Pini Marittimi, Siepi di Bosso, Edera rampicante, Oleandri, Bougainville, Camelie, Palme, Ibisco e qualche albero da frutta. Tutto il parco è un grande polmone verde a due passi dal centro della cittadina. Cultore come non pochi delle due palazzine e memoria storica di tutto il complesso residenziale è l’architetto Claudio Ridolfi.

Raimondo Giustozzi

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