Di guerra in guerra. Dal 1040 all’Ucraina invasa
Edgar Morin
Traduzione di Susanna Lazzari
Prefazione di Mauro Ceruti
Storia e Politica
Raffaello Cortina Milano
2023 (orig. 2023)
Pag. 104 euro 12
Valerio Calzolaio
Pianeta, continente europeo in particolare. Oltre un secolo di guerre. Il primo bombardamento aereo in Europa per terrorizzare le popolazioni civili fu quello della Luftwaffe che annientò Rotterdam nel maggio 1940, altri seguirono. Poi ci furono i bombardamenti alleati sulle città tedesche e l’orrore del nazismo e dei suoi abomini nei paesi occupati, soprattutto nell’URSS, talora occultò ai resistenti e agli antinazisti l’orrore di bombardamenti “nostri” che distruggevano città intere, colpendo donne, bambini, anziani più che i combattenti. Il nazismo fu criminale per la sua natura razzista e dispotica, questo non vale per le democrazie alleate, pur se restava e resta vero che, durante le loro (nostre) conquiste coloniali e nelle repressioni contro i colonizzati, abbiano commesso ciò che, a posteriori, bisogna definire “crimini di guerra”. Sono forse distinguibili in base a tre criteri: occasionali violazioni del diritto internazionale umanitario (senza istruzioni dal comando); strutturali crimini e violenze (decisi da ufficiali o generali); crimini di guerra sistemici, che nel conflitto fanno parte della strategia militare del governo, il quale ne è il decisore iniziale. Nel condurre motivatamente una guerra contro l’ignobile nazismo, accadde di occultare la barbarie dei bombardamenti americani, la barbarie del Gulag e dello stalinismo. C’è stato bisogno che passassero anni e decenni perché diventasse chiaro che, per quanto giusta fosse la resistenza al nazismo, la guerra del Bene comporta in sé del Male. Ora che la Russia ha ignobilmente aggredito e invaso l’Ucraina, paese che va giustamente aiutato e sostenuto nelle proprie indipendenza e sovranità nazionale, non è comunque peccato (capitolazione) parlare di cessate il fuoco, di negoziati e di pace.
Il grande sociologo e filosofo Edgar Morin (8 luglio 1921) ha 101 anni e ha fatto la seconda guerra mondiale. Nel novembre 2022 ha scritto un breve denso bellissimo saggio di storia contemporanea sulle guerre, partendo dalla propria esperienza personale. Inizia ricordando proprio che a inizio 1945, mentre era assegnato allo Stato maggiore della prima armata francese, si recò a Pforzheim, poco prima della effettiva ufficiale capitolazione di una Germania già vinta, e trovò la cittadina totalmente distrutta da un raid di 367 bombardieri della Royal Air Force con 17.000 civili uccisi (un terzo della popolazione) e altrettanti feriti, praticamente in contemporanea con l’annientamento della città d’arte demilitarizzata di Dresda (300.000 morti). Prosegue con dodici altri rapidi capitoli dal titolo significativo: isteria di guerra (riferendosi già al 1914-1918), menzogne di guerra, la “spionite”, la criminalizzazione del popolo nemico, la radicalizzazione dei conflitti (il cuore del problema: tutti i “noi” solo e contro tutti gli altri), le sorprese dell’inatteso, l’errore e l’illusione, la contestualizzazione, la dialettica delle relazioni fra Stati Uniti e Russia, Ucraina, la guerra, per la pace. Nella prima parte acuti e precisi spunti di riflessione sono generali e riguardano un po’ tutte le guerre del Novecento; via via che il coerente ragionamento prosegue crescono i riferimenti alla guerra in corso. Senza indulgenze: se la Russia putiniana è l’autrice di questa guerra, lo è al termine di un processo di radicalizzazione reciproca. Come spesso accade nella storia, il nemico fortifica l’identità di una nazione e l’odio per il nemico è un cemento di unità nazionale. Morin scrive il testo a fine 2022, in piena escalation militare, ma prova ad accennare ai termini di un negoziato credibile, certo che solo la pace alla lunga porterebbe pacificazione. Evitiamo una guerra mondiale. Sarebbe peggio della precedente (quando ancora non esisteva il pervasivo decisivo rischio nucleare).
Fuga per la vita. La tragedia dei profughi: una strage annunciata
Emilio Drudi
Migrazioni forzate
Simple Macerata
2018
Pag. 217 euro 16
Valerio Calzolaio
Italia e resto del mondo. Fino al 2017. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, cronaca e promemoria sulle fughe verso il nostro paese, su chi e quanti sono morti in corso d’opera, senza assistenza europea e italiana, e su chi è sopravvissuto. Riflettere su da dove venivano fa capire anche perché fuggivano e su chi aveva violato il loro diritto di restare. I dati Unhcr pubblicati a metà giugno 2017 (riferiti al 2016) parlavano di 65,6 di profughi, negli anni successivi sono cresciuti, ma l’approfondimento della situazione segnala le stesse dinamiche (strutturali) del fenomeno: la maggior parte dei migranti forzati resta dentro o accanto al proprio paese d’origine (perlopiù a basso reddito), non c’è nessuna invasione in corso verso l’Europa (tanto meno “libera”), le origini delle emigrazioni forzate riguardano guerre e persecuzioni (spesso ancora in corso), tanti muoiono prima della fuga e una parte durante, la catastrofe umanitaria purtroppo si consolida, il Mediterraneo è uno dei principali punti caldi del pianeta. Si continua a parlare di corridoi umanitari di immigrazione legale ma non vi era e non vi è traccia degli elementi concreti indispensabili per avere possibilità di reinsediamento: le ambasciate aperte; condizioni di vita dignitose nei paesi di transito; un sistema unico di accoglienza in tutta l’Unione Europea, accettato, condiviso ed applicato da tutti gli Stati membri. Non esiste dubbio che la soluzione vera del problema sia l’eliminazione delle cause degli esodi forzati, ciò comporterebbe due scelte che nessuno sta compiendo: rompere ogni relazione economica con chi uccide, imprigiona, discrimina e viola diritti universali, costringendo i propri cittadini alla fuga (e accoglierli perciò tutti, subito e meglio, se riescono a fuggire); riconoscere e favorire canali legali di emigrazione un po’ più libera da ogni Stato e accettare, conseguentemente, la sfida delle immigrazioni non forzate (nel 2017 i Global Compact dell’Onu non c’erano, ora ci sono).
L’ottimo esperto giornalista Emilio Drudi da anni si occupa di migrazioni e ha riassunto dati e rotte delle fughe umane terrene degli ultimi decenni. La prefazione del volume è di Marco Omizzolo, Presidente di Tempi Moderni, la bella associazione di promozione sociale (che pubblica anche saggi e articoli, monografie e collettanee) con la quale Drudi collabora stabilmente e attivamente; la presentazione è di Arturo Salerni, Presidente del Comitato Nuovi Desaparecidos, che ha pure contribuito alla realizzazione del volume. Informazioni e contesti sono precisamente descritti attraverso cinque densi capitoli: i punti di crisi (esempi significativi della direzione che prendono i flussi dei profughi in tutti i continenti, più o meno noti o volutamente nascosti), l’Isis e i nuovi califfati (i diversi paesi interessati dalla penetrazione dello Stato Islamico, soprattutto mediorientali e africani) e le connesse vie di fuga (talora attraverso itinerari apparentemente “impensabili”), l’inadeguata risposta dell’Europa e il pianeta Italia (il numero di rifugiati nella penisola è storicamente inferiore a quello di molti paesi europei). L’appendice tratta le “barriere” costruite dalla Fortezza Europa (i processi negoziali di Rabat e Khartoum) e le conseguenti proposte finali che evidenziano l’inutile cinismo di “impedire che i richiedenti asilo possano arrivare anche solo alla costa meridionale del Mediterraneo” (surreale è, in tal senso, l’atteggiamento dei governanti italiani nel 2003). Drudi periodicamente aggiorna l’angosciante situazione descritta nel testo, ricostruendo i percorsi dei migranti che forzatamente scappano da dittature, conflitti ambientali ed etnici, guerre e disastri ambientali, e mostrando il dramma dei profughi sapiens nostri contemporanei, i percorsi, le aspettative e le storie, accanto alle contraddizioni del nostro sistema di accoglienza.
v.c.
Pietre Rosse
Carlo Miotti
Prefazione di Eleonora Massoni
Romanzo
Bookabook
2022
Valerio Calzolaio
2
Il paesino di Campo Tizzoro, Appenino toscano. Un maggio di poco tempo fa. Quella domenica, dopo una settimana di duro lavoro, i coniugi Paolo e Valeria, un talentuoso ingegnere impiegato nella locale grande fabbrica di cartucce e un’ottima ex parrucchiera, camminano amabilmente in campagna verso la montagna, al sole del primo mattino. Hanno lasciato nella piccola casetta indipendente del villaggio i due figli studenti Daniele e Francesco (più piccolo di quattro anni), che la sera prima avevano fatto tardi. Incontrano un ragazzo stimato, Riccardo, poi Ilaria, sicura che il marito pensi lui alle faccende domestiche. Decidono di passeggiare tutti e quattro insieme e vengono travolti da qualcosa di inaspettato, inquietante, agghiacciante. Scompaiono nel nulla. Sprofondano nelle tenebre. Senza lasciare indizi. Lasciando i propri cari ignari delle loro sorti e impauriti per la loro incolumità. Ben presto i carabinieri iniziano a indagare. Dopo qualche giorno il maresciallo Gianluca Onesti, un amico di famiglia, va a trovare i fratelli e li informa che ha avuto varie conversazioni col Ministero, a breve verrà inviata una squadra speciale. Solo che anche al marito di Ilaria e ad altri residenti accadono cose strane e nessuno ci capisce niente, l’incubo continua. I servizi segreti mandano a chiamare il maggiore Antonio Bini, al quale mancano pochi mesi per la desiderata pensione; in passato aveva diretto l’unità operativa Affari Esteri dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza esterna (AISE); viene considerato stimato ed esperto. Studia il fascicolo e parte con alcuni colleghi. Nelle settimane successive non ci sarà, comunque, niente di facile in quello strano borgo turisticizzato, all’apparenza tranquillo e ameno. Sembra sia in corso una missione di distruzione: sogno o son desto?
Il giovane medico veterinario Carlo Miotti, originario di Barga (Lucca) ove risiede, si cimenta con la narrativa. Il romanzo d’esordio viene definito come thriller psicologico, pur se arranca spesso nello stile e nella struttura e individuare un genere preciso è complicato. Si succedono trentotto brevi capitoli; perlopiù la narrazione è in terza persona, lasciata d’improvviso all’arrivo del “mostro”, proprio con i puntini di sospensione oppure attraverso la centralità di parole che alludono alle persone scomparse (onestà, genitorialità, tenacia, rigore e via così); non di rado si intervallano parti in corsivo, con il fratello maggiore Daniele come io narrante, spesso in compagnia dei due amici d’infanzia Filippo e Lorenzo. Il teatro dei (peggiori) avvenimenti è in una casa diroccata, ultima abitazione in fondo al paesino, già appartenuta a una famiglia di città che d’estate si rifugiava al fresco in montagna, disabitata da diversi anni. La casa editrice spiega al principio come il libro si stato scelto per essere pubblicato: prima lo hanno letto alcuni loro editor, poi l’anteprima è stata sottoposta sul sito a volenterosi lettori che, decidendo infine di preordinarlo (con uno sconto), ne sono divenuti gli editori “morali”, consentendo editing, revisione e presentazione grafica, sia per il cartaceo (nel circuito delle librerie) che per il digitale (online).
v.c.
Sono felice, dove ho sbagliato?
Diego De Silva
Romanzo
Einaudi Torino
2022
Pag. 241 euro 17,50
Valerio Calzolaio
Napoli. Un settembre senza mascherine. Quasi tutto ruota intorno all’amore, impantanato. Vi sono diverse tipologie di stallo: il pantano del figliol prodigo, quello della ritrovata maturità, quello del falso problema, quello della rivalsa. In quest’ultimo caso, chi prende coscienza del fatto che l’uomo (il maschile vale forse per ragioni puramente statistiche), a cui abbiamo sacrificato gli anni migliori, è un qualunque stronzo che voleva solo tenersi l’amante e non ha mai avuto intenzione di farsi una vita con noi (o rifarsi visto che spesso è sposato). La vittima si sente lesa in un diritto, può convincersi che anche il dolore abbia un prezzo e perciò chiedere i danni, intentare addirittura una causa epocale. Veronica, la nuova compagna dell’avvocato civilista Vincenzo Malinconico (difesa al momento del divorzio), gli parla di Maria Egizia Ega Prestinenzi, avvenente amica d’infanzia, capelli corvini, piena di lentiggini e sempre scalza, che ha bisogno di un avvocato perché sta attraversando un momento pesante a causa di gravi problemi sentimentali, impelagata in una relazione da cui non sa uscire. Così lei li va a trovare mentre mangiano al ristorante e poi vuole essere ricevuta in studio. Non da sola: un gruppo eterogeneo di impelagati in relazioni più o meno clandestine (per l’esattezza, otto “psicopatici sentimentali” che si riuniscono due volte la settimana in un teatro, per sostenersi a vicenda e reagire), è intenzionato davvero a fondare una class action per fare causa ai partner, responsabili dello stato di infelicità in cui si trovano. Il fatto è che il titolare dello studio Benny Lacalamita è attratto da Maria Lucrezia o Galizia (o come accidenti si chiama), che Alagia, figlia di Malinconico, aspetta un bambino, che l’altro figlio Alfredo è molto sfiduciato rispetto al suo primo cortometraggio e che un apparente avanzo di galera diventa invadente fuori e dentro il tribunale. Scansarsi dalle legali tendenze all’infelicità e alla mediocrità non sarà semplice (da cui il titolo).
L’ex avvocato, ottimo scrittore drammaturgo e sceneggiatore, Diego de Silva (Napoli, 1964) vive a Salerno ed è alla sesta bella avventura di Vincenzo Malinconico in quindici anni, celebrata da un’interessante serie televisiva di otto puntate nell’autunno 2022, pure ambientata a Salerno (l’avvocato ben interpretato da Massimiliano Gallo), preceduta e proseguita intervallando molte altre godibili narrazioni. Il suo divertente protagonista d’insuccesso (e di cause perdenti), stabilizzatosi dopo 25 anni di onorato povero precario coaffitto professionale in appartamenti multiufficio, narra in prima persona al presente, ancor più libero di digressioni in tutte le forme e direzioni, pensieri come inarrestabili incisi e parentesi, divagazioni tragicomiche, ramificazioni continue di sinonimi e fraintendimenti, insomma un individuale colto sguardo sul ridicolo del mondo, a partire da sé stesso. Gli stessi dialoghi sono sempre accompagnati da lunghi continui retropensieri (comprese le sliding doors), più o meno malinconici o allegri. La professione aiuta, ha spiegato l’autore: l’avvocato ha un rapporto di “mistificazione” con la parola, ovvero usa la lingua con il preciso scopo di fare le difese e gli interessi di un altro, quindi dotarsi di un punto di vista necessariamente “menzognero” rispetto alle proprie parole. Ogni volta accompagniamo Malinconico attraverso casi giudiziari (arringhe e dibattimenti), peripezie sociali (reali e metaforiche), disavventure amorose (non solo sue), interpretazioni comportamentali. La geografia della città fisica resta sullo sfondo (nella pagina scritta Napoli merita un forse, irriconoscibile, mai citata; in televisione Salerno si riconosce, inevitabilmente). Lo stile risulta ben curato e sempre ironico, forse a tratti un po’ ripetitivo. I romanzi della serie, anche questo (Vincenzo ormai quasi 50enne), sono esilaranti gialli umoristico-sociali, con crimini e vittime (difese d’ufficio o sequestri in vario modo legati alla camorra, peculiari risarcimenti e separazioni, incontri illustri e class action) senza omicidi o morti in primo piano, commedie esistenziali. E qui Benny cerca pure l’eventuale rilevanza di rivalsa penalistica dei pantani amorosi, mentre si susseguono vari colpi di scena, argute riflessioni sui rapporti umani, i consueti spassosi riferimenti a film e canzoni. Falanghina a cena.
v.c.
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