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Libri. Il delitto della montagna e Vita di un reporter

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Recensione Il delitto della montagna

 

Il delitto della montagna. Una nuova indagine di Gaetano Ravidà

Chicca Maralfa

Noir

Newton Compton Roma

2024

Pag. 281 euro 12,90

Valerio Calzolaio

Asiago, provincia di Vicenza, mille metri slm (altipiano di sette comuni), stazione dei carabinieri, via Verdi 41. Fine gennaio 2020. Il 53enne comandante e luogotenente (promosso da poco più di un anno) Gaetano Ninni Ravidà, spalle larghe e possenti, indisciplinati ricci sulla testa striati di bianco, è arrivato lì da un biennio, trasferito dalla sua Bari. Dopo venticinque anni di matrimonio, importantissime indagini di polizia giudiziaria e notevoli successi da maresciallo capo (come l’aver raccolto in carcere il pentimento del più importante boss pugliese), era stato lasciato dalla moglie Simona (innamoratasi del suo miglior amico) e si era separato pure dalle due amate figlie (Monica e Agnese), rifugiandosi in montagna. Mesi prima ha risolto il delicato cold case (archiviato dopo sette anni di inutili indagini) dell’omicidio delle sorelle Pina e Carla Bedin, di settantadue e settantaquattro anni. Negli ultimi tempi si sta occupando molto di questioni ambientali: l’operazione Terra di Nessuno per le cave riusate come deposito di rifiuti pericolosi (e conseguenti infiltrazioni inquinanti), dubbi sul possibile ruolo nei traffici della mafia del Brenta, conflitto ambientalisti-imprenditori nel rischio di estinzione di una rara salamandra che condiziona il taglio dei boschi, persistenti effetti della tempesta Vaia. Poi in un cunicolo viene trovato il cadavere mummificato di un uomo e l’attenzione viene in parte assorbita dalla necessità di individuare la sua identità, oltre che le cause della morte. Ben presto scoprono che potrebbe essere stato ucciso circa tre anni prima, soprattutto grazie alle analisi svolte nel capoluogo provinciale dal medico legale Maria Antonietta Malerba, con la quale Ravidà ha avviato una relazione clandestina di reciproca soddisfazione, pur vivendo lui in caserma ed essendo lei ancora stabilmente legata a Ludwig, allenatore dell’Asiago Hockey. La vittima potrebbe essere Ernesto Costa, scomparso da tempo, marito traditore della ricca proprietaria della distilleria.

L’ottima giornalista pugliese (girovaga) Angela Chicca Maralfa (Bari, 1965) mantiene alta la qualità dell’incedere giallo noir anche nel quarto maturo romanzo pubblicato (fra i molti stesi o abbozzati nei cassetti), secondo della serie. La narrazione è in terza fissa (rarissime le brevi eccezioni) al passato su Ravidà, sensibile e perspicace, via via che la matassa gialla s’infittisce con altre piste e altri delitti (i comportamenti criminali possono essere vari e diffusi). Si tratta decisamente di un’ottima conferma: linearità di scrittura, stile elegante, ricchezza di umori e registri, ingranaggi avvincenti. Ormai il protagonista non si crogiola più nell’immobilismo emotivo, è davvero rispettosamente coinvolto da Malerba, ha ripreso ad appagarsi nell’indagare sui sentimenti altrui, ripensa con affetto al disperso nonno catanese 25enne, fante della brigata Trapani sul monte Lèmerle, “seppellito” sull’altopiano fra i militi ignoti (senza processo di identificazione). Ravidà è riuscito a far propri quei luoghi montani con relativi abitudini e segreti (da cui il titolo). Ancora una volta il contesto così piccolo rinvia inevitabilmente a qualche certa omertà sulla scomparsa di un uomo adulto e ben introdotto: come mai non si era più visto a casa e in giro ma nessuno ne aveva parlato? E le nuove morti sono casuali (un incendio, la caduta da un dirupo) oppure collegate alle proteste ecologiste o addirittura alla stessa mummia ritrovata? Conflitti socio-ambientali, criminalità organizzata o altro? Tornano personaggi ai quali ci si affeziona a distanza: l’anziana Lilli Pertile, il conterraneo procuratore Pazienza, gli altri carabinieri del comando, il fratello maggiore giornalista Giovanni ormai innamorato a Bari. Vini e grappe, tre calici di ribolla gialla prima dell’amore. Talking Heads e Leonard Cohen, certo, ma soprattutto i mitici The National, con i testi che arrivano spesso al momento giusto.

 

v.c.

Recensione Vita di un reporter

Vita di un reporter, tra papi, presidenti, ribelli, reietti e terroristi

Victon Simpson

Traduzione di Claudio Cavalensi

Autobiografia e giornalismo

Fefè Editore Roma

2023

Valerio Calzolaio

2

 

New York e Roma. Oltre tre quarti di secolo. Il giornalista statunitense Victor Simpson ha trascorso più di metà della sua vita nella capitale italiana. La famiglia di origini ebraiche e borghesi risiedeva a New York fin dalla generazione dei suoi nonni, da parte paterna dall’inizio della Guerra Civile (1861-65), da parte materna dal 1890. Victor nasce nel 1942 e cresce giocando sui marciapiedi nel multireligioso Upper West Side di Manhattan, a pochi isolati da Central Park, fra Amsterdam Avenue e la 90°. Via via che cresce può assistere ragazzino ai radicali cambiamenti etnici e demografici in città e nel quartiere, ben letti anche grazie alla madre maestra elementare e soprattutto al padre avvocato progressista (in fase maccartista), che perde un occhio per un mattone durante una manifestazione e poi viene ucciso per le sue idee nel 1964. Nel frattempo, ha manifestato una precoce vocazione per la scrittura e il giornalismo, si è laureato all’Hobart College e ha svolto il dovuto servizio attivo nell’esercito. Comincia a lavorare per l’Associated Press, redazione di Newark, New Jersey, e nel 1968 realizza un primo grande “colpo” incontrando con tenacia e acume Svetlana Allilujeva Stalin, figlia del leader sovietico Josif Stalin (morto nel 1953), sfuggita ai suoi tutori durante un viaggio all’estero e residente a Princeton, intervista ripresa sui giornali di mezzo mondo. Dal 1967 era tornato a New York e nel 1972 viene inviato a Roma, dove è restato come caporedattore con grande successo professionale.

Victor Simpson è un grande giornalista della vecchia scuola, amabile e gentile, da sempre appartenente alla maggiore agenzia del mondo. Ormai attempato, consegna ai lettori un bel libro di ricordi, non un’autobiografia organica, piuttosto degli scorci di vita personale (l’amata moglie cattolica Daniela Petroff, la figlia undicenne uccisa nell’attentato di Fiumicino di dicembre 1985) e alcuni dei più clamorosi servizi pubblici, soprattutto da vaticanista coi papi succedutisi, in particolare Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II (considerato anche lui una personalità di frontiera nell’interessante prefazione di Leo Osslan). L’autore inizia con due aneddoti di proprie indecisioni: un’occasione mancata (attentato di un gruppo estremista nel marzo 1979 vicino a dove viveva) e un’intervista mancata (a De Chirico nella casa di Piazza di Spagna nel 1973). I successivi capitoli narrano appunto della Polonia di Wojtyla, delle bizzarrie del mestiere (a Belgrado nel 1977 rispetto a Tito, durante il quasi riuscito attentato romano al re dell’Afghanistan in esilio nel 1991), del rapporto terreno e storicamente determinato dei papi cattolici con gli ebrei, della tragedia della figlia Natasha nell’attentato dove viene ferito anche il secondo figlio Michael; delle peculiarità e curiosità dei voli ufficiali papali (Simpson ne ha compiuti in tutto 92, l’ultimo il 16 settembre 2012). Un interessante flusso di memorie con acuti spunti di riflessione e significative foto, senza rielaborazioni scientifiche o apparati critici.

 

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