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Eroi anti jihad I due intellettuali arabi che combattono Hamas e la guerra santa

Senza titoloIl coraggio di Kamel Daoud e Boualem Sansal, i due scrittori algerini che denunciano (da soli) la barbarie islamista

 

Kamel Daoud e Boualem Sansal sono due grandi intellettuali, due scrittori algerini. Appartengono al mondo arabo ma hanno, e non da oggi, il coraggio di andare controcorrente. Hanno denunciato il terrorismo di Hamas chiamandolo con il suo nome. Ne hanno ricevuto in cambio le solite minacce, le accuse di essersi asserviti all’Occidente, nelle shitstorm online e pure sui media foraggiati dai broker dell’escalation.

Hanno preso la parola, in Francia, rispettivamente sul settimanale Le Point e in un’intervista a Le Figaro. Sansal, in lizza nel 2014 per il Nobel della Letteratura, nel 2012 ha vinto il Prix du Roman Arabe: la cerimonia, a Parigi, era stata inizialmente annullata. L’autore aveva partecipato a un festival letterario in Israele e così gli ambasciatori dei Paesi arabi avevano ritirato il compenso, garantito poi da un mecenate anonimo svizzero. Nel 2008 “Il villaggio del tedesco” è stato censurato in Algeria per un parallelismo tra nazismo e islamismo.

Daoud, premio Goncourt (“colpa” imperdonabile agli occhi degli estremisti) nel 2015, per un intervento in tv si era attirato la fatwa di un imam, che su Facebook aveva invocato l’uccisione dell’«apostata» da parte dei veri musulmani. Cosa aveva detto di così grave? «Se nel mondo arabo non risolviamo la questione di Dio non riusciremo a riabilitare l’uomo, non avanzeremo». Tra due fuochi: gli islamisti e, anni fa, alcuni intellò l’hanno tacciato di «islamofobia» sulle colonne di Le Monde.

Recrudescenze riviste dopo l’aggressione del 7 ottobre, quando entrambi – Daoud e Sansal – hanno semplicemente detto la verità sull’orrore. Su Le Point Daoud ha scritto che «le immagini dei raid delle brigate di Hamas non regalano una vittoria, come gridato in tutto il mondo “arabo”, ma una clamorosa sconfitta. Un brivido violento percorre gli “influencer” dell’islamismo in armi, i fedeli la cui esaltazione li salva dalla noia nei loro paesi, i caffè dove ripropongono questo bottino mediatico».

L’operazione distorsiva degli jihadisti, secondo Daoud, è spacciare una sconfitta per il suo contrario. «La causa palestinese? È una storia collettiva di eroismo arabo in cui, alla fine, vengono uccisi solo palestinesi ed ebrei». A suo avviso, la barbarie – anche mediatica – è costata a questa causa consensi a livello internazionale quando ha preferito «il rapimento di una donna alla vittoria su un esercito avversario». In una riga: «La causa palestinese è stata appena talebanizzata».

L’intellettuale prevede – anzi, sa – che il suo intervento sarà recepito in modo ostile (eufemismo) nel mondo arabo. «E questo è comprensibile. Nei Paesi cosiddetti arabi, liberare la Palestina significa spesso restare a casa e attaccare, lapidare e scomunicare chiunque si faccia da parte di fronte alle ortodossie».

Sul magazine di Linkiesta in collaborazione con il New York Times, Daoud aveva descritto la democrazia europea vista a distanza, «per difetto», dal «punto cieco» di chi è «sotto una dittatura»: «Nel cosiddetto “mondo arabo” l’Europa esiste e anche la sua democrazia: è, una volta per tutte, quello che non abbiamo. È quello che pretendiamo o che mimiamo. È anche quello che rifiutiamo in nome delle nostre identità segregate e del diritto di essere diversi dopo le decolonizzazioni. Una persona che è stata decolonizzata è sempre permalosa e la sua diffidenza è quella di un sopravvissuto».

Un frame che spiega, in parte, anche la saldatura ideologica – rivista nelle nostre piazze come in quelle mediorientali – tra le “ragioni” di chi ha sparato il primo colpo e l’anticolonialismo settario e di facciata. Intervistato da Figaro, Sansal teme che l’attacco di Hamas sia «l’inizio di un’ondata di attentati che colpirà Israele e i Paesi arabi che lo hanno riconosciuto (Egitto, Giordania), quelli che hanno firmato gli Accordi di Abramo».

Lo scrittore distingue Islam e islamisti, ma sono i secondi a impedire una riforma che i fedeli forse vorrebbero. La lettura del 7 ottobre è chiarissima: «Un’operazione che ha mobilitato così tante risorse umane, materiali e finanziarie, che ha richiesto mesi di addestramento e preparazione, ha coinvolto uno Stato estero, l’Iran, forse un secondo, il Qatar, oltre al partito-Stato libanese Hezbollah, non è un atto terroristico, il cui scopo è terrorizzare, ma un atto di guerra totale il cui obiettivo è distruggere, un episodio della guerra santa».

Riflette Sansal: «La lotta al terrorismo e la guerra sono affare dei nostri governi, ma della guerra contro la guerra santa chi se ne occupa, i politici, i religiosi, i filosofi? In realtà, nessuno. Su questo terreno l’islamismo non incontra resistenza. Al contrario, utili idioti e opportunisti corrono da tutte le parti per tradirsi e servirlo». È difficile dirlo meglio di così. Proprio per questo, invece, è importante resistere, anche al diritto di tribuna e di replica dell’appiattimento mediatico.

Linkiesta, 01 novembre 2023, cultura

Note

Shitstorm: diatriba social tra un utente e un altro, o tra un gestore di un gruppo o una pagina e un’altra persona (fonte Internet)

Broker: in economia, intermediario d’affari per lo più internazionali, che non assume posizioni in proprio ma solo per contro dei clienti (fonte Internet)

Fatwa: il termine indica genericamente un responso giuridico su questioni riguardanti il diritto islamico o pratiche di culto

Intellò: Intellettuale, usato spesso al plurale con riferimento agli intellettuali di sinistra (Fonte Internet. Enciclopedia Treccani).

Influencer: personaggio di successo, popolare nei social network e in generale molto seguito dai media, che è in grado di influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico.

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