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La Divina Commedia è viva. L’attualità dell’esperienza di Dante.

dantedi Raimondo Giustozzi

Appassionati, docenti, esperti ma anche persone in ricerca e desiderose di senso e di bellezza, questo il pubblico, presente al cine – teatro Rossini di Civitanova Marche, mercoledì 6 ottobre  2021, dalle 18,00 alle 19,30, per partecipare all’incontro sull’attualità dell’esperienza di Dante Alighieri nel settimo centenario della sua morte. L’iniziativa è stata promossa dal Comune di Civitanova Marche, dall’Azienda Teatri della cittadina adriatica e dall’associazione Arte.  La selva oscura, che si para davanti a Dante all’inizio del suo viaggio attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, possiamo vederla anche nella pandemia da Coronavirus che ci sta affliggendo da circa due anni.

Aldo Caporaletti, promotore e organizzatore culturale dell’evento, ha delineato brevemente i profili culturali degli ospiti, il prof. Roberto Mancini e il prof. Gianni Vacchelli. Il primo, gloria locale, definizione data dal secondo docente, è studioso molto conosciuto. I due sono anche amici. Il prof. Mancini ha scritto un’introduzione di ben sei pagine al libro del prof Vacchelli, Dante e la selva oscura. Per un approfondimento della bio – bibliografia sui due docenti rimando all’articolo, la Commedia è viva, l’attualità dell’esperienza di Dante: http://www.specchiomagazine.it/2021/10/la-commedia-e-viva-lattualita-dellesperienza-di-dante/.

Due sono le chiavi di lettura, che permettono anche al grande pubblico, di attualizzare il pensiero di Dante Alighieri: il viaggio interiore, la dimensione sociale e politica della sua esperienza. I due percorsi non sono scissi ma convergenti. Dante ci eleva alla sapienza della vita e ci fa sentire la preziosità della nostra esistenza. Queste le suggestioni suggerite dal breve intervento del prof. Mancini, prologo della lunga e appassionata lectio magistralis del prof. Gianni Vacchelli, che i presenti alla conferenza hanno potuto seguire con attenzione, grazie ad alcune dispense preparate dallo stesso docente e distribuite a tutti, all’ingresso del cine – teatro Rossini.

L’attualità finisce, cambia con il tempo. Dante rimane, non subisce l’usura del tempo. Vede il mondo da un’ottica diversa dalla nostra. Possiamo definirlo, ha precisato il prof. Vacchelli, un radicale anticapitalista. Vive nella Firenze del proprio tempo, rovinata da un proto capitalismo che trova la propria forza nelle Banche e nel Fiorino. E’ il regno della lupa. Vede nascere  una civiltà che farà del denaro il proprio idolo. Mettere al centro il denaro è seguire l’Anti Cristo. Il capitale è una bestia che sfrutta ogni situazione per sopravvivere. Dante è politicamente scorretto. Vede la devastazione della società nella cupidigia del denaro. Di questo accusa apertamente anche la chiesa. C’è però una buona notizia. Il capitale può finire.

Il poeta fiorentino non è un passatista; pensa alle strutture interiori che devono camminare di pari passo con la politica e la società. Non sposa il nuovo per il nuovo ma non è reazionario. Presente, passato e futuro interagiscono nel suo pensiero. Spinge il lettore della Divina Commedia ma anche di altre sue opere ad abbeverarsi alla sapienza della vita. Di certo vede il mondo dal luogo privilegiato di un espulso. La selva oscura è una sventura personale ma riesce a fare di questa tragedia un luogo di trasformazione. Il percorso è nei primi dodici versi della Divina Commedia. Una delle prime parole chiave è vita: “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura…”. Dante per il nostro tempo non è attuale perché è un poeta che parla e denuncia i mali del proprio tempo. La nostra epoca non ascolta più i poeti ma i tecnici. Cosa direbbe se sapesse che siamo governati da un banchiere?

La vita è il tutto degli uomini. Quella che addita Dante è una vita nuova, rinnovata non bugiarda, una vita integra: “Oh gioia! Oh ineffabile allegrezza! / oh vita integra d’amore e di pace! / oh sanza brama sicura ricchezza!” (D. C. Paradiso, XXVII). Inferno, Purgatorio e Paradiso sono i tre modi di vivere la vita. Nella prima cantica è delineato l’uomo che smarrisce la propria somiglianza con il divino. Trovarsi nella selva oscura può essere un privilegio se l’uomo si accorgesse di essere in tale condizione. Il Conte Ugolino, Farinata degli Uberti sono immagini di anime frantumate. Non abitano dentro un corpo. Farinata lo si vede dalla cintola in su. L’uomo frantumato è delineato appieno dal poeta: “Io vidi certo, e ancor par ch’io ‘l veggia, / un busto sanza capo andar sì come / andavan li altri de la triste greggia; / e ‘l capo tronco tenea per le chiome, / peso con mano a guisa di lanterna: / e quel mirava noi e dicea: Oh me! / Di sé facea a se stesso lucerna, / ed eran due in uno e uno in due; / com’esser può, quei sa che sì governa” (D.C. Inferno, XXVIII, vv. 118- 126).

Il mondo di ghiaccio in cui giace l’uomo frantumato è nei versi: “Già era, e con paura il metto in metro, / là dove l’ombre tutte eran coperte, / e trasparien come festuca in vetro. / Altre sono a giacere; altre stanno erte, / quella col capo e quella con le piante; / altra, com’arco, il volto a’ pié rinverte” (D. C. Inferno, canto XXXIV, vv. 10- 15).

Tutta la Divina Commedia è un cammino della nostra progressiva integrazione. Nel Purgatorio il corpo di Dante fa ombra. Di questo si accorgono le anime che il poeta incontra lungo il percorso: “Sanza vostra domanda io vi confesso / che questo è corpo uman che voi vedete; / per che ‘l lume del sole in terra è fesso. / Non vi maravigliate, ma credete / che non sanza virtù che da ciel vegna / cerchi di soverchiar questa parete” (D.C. Purgatorio, terzo canto, vv. 94- 99). Corpo, intelletto e spirito, in Dante devono procedere uniti, questa è la conquista. Nel paradiso il corpo si spiritualizza e si raggiunge la perfezione, si ritrova la parola e il senso della vita.

Lucifero è un divoratore di luce. La scelta è tra i due estremi: divorare o donarsi, essere lupo o dono. Firenze ha scelto il divoratore perché sta fondando la civiltà sull’invidia. Questo produce e spande il maledetto fiore: “La tua città, che di colui è pianta / che pria volse le spalle al suo fattore / e di cui è la ‘nvidia tanto pianta, / produce e spande il maladetto fiore / c’ha disvïate le pecore e li agni, / però che fatto ha lupo del pastore. / Per questo l’Evangelio e i dottor magni / son derelitti, e solo ai Decretali / si studia, sì che pare a’ lor vivagni. / A questo intende il papa e’ cardinali; / non vanno i lor pensieri a Nazarette, / là dove Gabrïello aperse l’ali. / Ma Vaticano e l’altre parti elette / di Roma che son state cimitero / a la milizia che Pietro seguette, / tosto libere fien de l’avoltero” (D.C. Paradiso IX, vv. 127- 141). Nella Chiesa i pastori diventano lupi voraci. Si è messo al centro l’idolo che diventa Dio. Si è abbandonato il Vangelo. Maria, la Madonna è il benedetto fiore, il centro della Divina Commedia. Maria incarna l’umanità possibile. Siamo disviati. Dobbiamo ritornare a mettere ogni cosa al proprio posto.

Al termine della comunicazione del prof. Gianni Vallecchi sono state diverse le domande poste dai presenti al relatore alle quali lo stesso ha risposto con puntualità e chiarezza. L’imponderabile è la condizione della vita umana, dobbiamo sempre partire dalla nostra fragilità per innalzarci al divino. La pienezza della vita personale, della politica e della società deve procedere unita nelle sue diverse sfaccettature. Dante era laico. Il laico nel Medio Evo era colui che non era chierico. Essere laico significava appartenere ad una categoria minoritaria. Il chierico parlava in Latino, il laico in volgare. Il Latino era la lingua del potere. Il volgare era la lingua del popolo, la lingua dell’amore. Oggi, qual è la lingua che parliamo? Termini come Green Pass, Lockdown, Smart working sono terminologia proprie del potere, non del popolo. Dante ha una diversa antropologia. Al centro c’è la Signoria dell’Amore di cui Maria è il simbolo.

Dobbiamo vigilare sulla lingua che usiamo. Dante sta dalla parte del popolo che usava il volgare. Scrive sì anche in Latino ma lo fa per farsi capire dai potenti del proprio tempo: banchieri, papi, chierici che amavano solo il potere, non l’amore. Contro di loro indirizza sempre i propri strali senza infingimenti. Chiama le cose con il loro nome. Colloca all’Inferno Papi, cardinali e uomini di chiesa che hanno tradito il Vangelo. La parola di Dante percuote, non accarezza. Fa nomi e cognomi dei potenti di turno. Ci parla da un altro luogo che non è il nostro. La nostra condizione di essere divisi e frammentati può e deve essere superata, ritornando alla spiritualità che è la pienezza della vita umana. Dobbiamo vivere in un luogo dove non sia tutto merce. Siamo nativi di questa cultura. Dante ci ricorda qualcosa che abbiamo perso.

La figura della donna è stata troppo spiritualizzata. Ad una lettura attenta di tutta l’opera dantesca, dalla Vita Nova alla Divina Commedia, la donna è cuore, mente e stomaco. La donna per Dante Alighieri è una figura antisistema. Il suo pensiero va oltre quello delle pari opportunità. La categoria da curare con particolare attenzione per l’uomo e la donna è quella dell’interiorità. Qual è la ricerca di Dante da parte degli alunni liceali, ha chiesto il prof. Roberto Mancini a Gianni Vacchelli, che insegna in un Liceo di Rho nel milanese? Gli alunni, quando incontrano Dante Alighieri, fanno un’esperienza molto forte. Dante li stupisce e li provoca. Le nostre lagnanze su di loro non valgono nulla. Entrano in profondo dialogo con il sommo poeta. Altro grande autore che gli alunni amano è Leopardi. Importante comunque è anche leggere Dante Alighieri con le risonanze successive, quelle di Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Mario Luzi.

“Dante cresce con chi lo legge, per parafrasare Gregorio Magno, che diceva Scriptura crescit cum legentibus. Cresce Dante e soprattutto cresciamo noi, in visione, in consapevolezza”(Gianni Vacchelli).  E’ stata la conclusione del prof. Vacchelli.

 

Raimondo Giustozzi

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