di Raimondo Giustozzi
Rovigno, cittadina di quattordici mila abitanti circa, nell’Istria sud occidentale, in Croazia, sorge su una costa frastagliata da scogli ed isolotti, a sud del Canale di Leme, tra Parenzo e Pola. “Meste ne l’ombra de le nubi a’ golfi / stanno guardando le città turrite, / Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo / gemme del mare” (G. Carducci, Odi Barbare, Miramar). Pola negli anni trenta del novecento giocava nello stesso campionato di calcio dove militava la Civitanovese. Il mitico trabaccolo Prudente, di proprietà Martellini, faceva da spola tra Civitanova Marche, Pola e le altre città della Croazia. All’andata scaricava nei porti croati ortaggi, frutta, granaglie che confluivano a Civitanova Marche dall’entroterra. Ritornava a Civitanova Marche carico di legname, fatto affluire sui porti croati dalle foreste delle Alpi Dinariche. Il legname alimentava la costruzione delle imbarcazioni nei diversi cantieri della città marchigiana, dove si distinguevano i famosi maestri d’ascia, tra tutti Peppinello Santini. Ho voluto ricordare queste piccole pagine di storia locale per ribadire i legami tra le due sponde dell’Adriatico.
“Nel corso dei secoli, gli abitanti di Rovigno si sono sempre adattati a vivere, più o meno pacificamente, sotto i Reggitori di ogni epoca (Impero Romano d’Occidente, d’Oriente, Patriarcato di Aquileia, Repubblica di Venezia, Francia repubblicana e napoleonica, impero Austro Ungarico, Regno d’Italia), lavorando nei campi e nelle cave di pietra, sul mare a pescare o a trasportare merci, nelle industrie e nei commerci, pagando le tasse e contribuendo alla difesa dello Stato di ogni epoca, con le cernide o con l’obbedienza al richiamo delle armi”(L’Esodo da Rovigno, storie, testimonianze, racconti, a cura di Francesco M. Zuliani, pag. 5, Famia Ruvignisa – Trieste novembre 2008). Le cernide erano una milizia territoriale della Repubblica Veneta, costituita da contadini che svolgevano annualmente degli addestramenti militari. Nella sua vita secolare la città di Rovigno ha vissuto solo due momenti di particolare significato: il primo quando il Consiglio Comunale deliberò di donare la città alla Serenissima Repubblica di Venezia, il secondo quando tutta la Venezia Giulia divenne parte integrante del Regno d’Italia, alla fine della prima guerra mondiale.
Con la seconda guerra mondiale e la sua tragica conclusione per l’Italia, Rovigno e l’Istria passano alla Jugoslavia con il trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947. I cittadini di Rovigno e dell’Istria acquistano automaticamente la cittadinanza jugoslava. Viene concessa loro la possibilità di riottenere la cittadinanza italiana con l’opzione. L’atto di opzione impone loro di abbandonare il luogo di residenza e di rimpatriare in Italia, dopo aver espletato tutte le formalità del caso, con un iter zeppo di ostacoli burocratici, che l’Amministrazione Jugoslava aveva costruito ad arte. Il dittatore Tito ordina a Kardelj e Gilas, suoi inviati nelle terre conquistate, di mettere in atto nei confronti degli italiani forme di pressione o di intimidazioni per convincerli ad andarsene. “La verità è un’altra, perché alle direttive fecero seguito licenziamenti, sfratti, persecuzioni sul posto di lavoro, minacce quotidiane, bastonature, arresti con interrogatori notturni, pestaggi nelle celle della Polizia, misure restrittive per i rifornimenti alimentari, obbligo del lavoro volontario, condanne a severe pene detentive per infrazioni di poco conto o addirittura del tutto inventate” (pag. 8).
Dopo l’8 settembre 1943, con l’abbandono dell’esercito, dei carabinieri, della guardia di finanza, di tutto l’apparato dello Stato Italiano, Rovigno diventa teatro di rappresaglia. I partigiani di Tito, al grido “Morte al Fascismo, libertà ai popoli” irrompono in tutta l’Istria, uccidendo in pochi giorni ben seicento italiani. Le violenze vengono ripetute su larga scala dopo il 1945 con migliaia di arresti; di molte persone non si seppe più nulla. I condannati, legati a due a due venivano gettati nelle Foibe. In questa macabra caccia agli italiani, i partigiani comunisti locali si distinguono in modo particolare. Sono loro infatti che indirizzano i partigiani croati nelle case degli italiani. Molti di questi zelanti cacciatori di teste finiranno a loro volta nelle foibe. Non si rendevano conto che il Fascismo, che pure aveva le sue colpe, era solo un pretesto per farla finita una volta per sempre con gli Italiani. Davanti a questo scenario, “Tanti rovignesi, operai, agricoltori, pescatori, artigiani, pensionati, impiegati, infermieri, medici e altri professionisti decidono di affrontare l’esodo”.
Il libro “L’Esodo da Rovigno”, duecento settantuno pagine, attraverso storie, testimonianze e racconti ripercorre l’esilio di quanti salutarono per sempre dal 1945 al 1955 l’amata cittadina di Rovigno dove erano nati e dove lasciavano affetti, ricordi e proprietà. Attraverso interviste a parenti, figli, nipoti degli esuli, Francesco M. Zuliani, traccia una mappa di storie dolorose. Il testo, fortemente voluto dalla associazione Famìa Ruvignisa – Trieste, è un libro di memorie, alcune proprie di chi, in tarda età, ha avuto la possibilità di raccontare direttamente la propria storia, è diviso in cinque capitoli con un’appendice, ricca di documenti e fotografie. Non è un saggio storico, per quello ci sono altri libri che parlano dell’Esodo Istriano Giuliano Dalmata da un punto di vista generale. Intrecciare memorie vissute con la ricostruzione fatta attraverso documenti, come fa lo storico, arricchisce la conoscenza di questa tragedia tutta italiana.
La fuga da Rovigno avviene con ogni mezzo, barche di fortuna, pescherecci. La destinazione Trieste. Dal capoluogo giuliano, gli esuli vengono inviati nei diversi campi profughi della penisola italiana. Dopo aver lasciato a Rovigno memorie e ricordi, trovano in Italia un ambiente ostile. Vengono visti come fascisti scappati dall’Istria. La famiglia Poldelmengo, il 23 maggio 1946, da Trieste si trasferisce a Firenze. Ricorda nell’intervista Mirella Poldelmengo. “Trovammo in città un clima che non era molto favorevole ai profughi istriani; basti dire che sul muro delle scale della casa nella quale abitavamo, qualcuno trovò il coraggio di scrivere profughi istriani – fascisti o capitalisti?” (pag. 86). C’è chi non si ferma in Italia ma emigra in Canada o negli Stati Uniti, come è il caso di Nicolò Zivas, che fuggito da Rovigno, dopo essere passato per il campo profughi di Roma, Trani, Latina, trova inaspettatamente a Napoli, nel console degli Stati Uniti d’America la persona che gli dà il passaporto per gli USA: “Dopo tante umiliazioni, dopo tanti patimenti, dopo aver subito tanti insulti dalle autorità jugoslave, italiane e internazionali, finalmente una persona che non avevo mai conosciuto mi veniva incontro e mi dava un così grande aiuto, tanto da ridarmi la gioia di vivere. Mi sentii rinascere” (pag. 73).
La storia dell’Esodo da Rovigno, vissuta dai suoi abitanti dal 1945 al 1955 lascia un groppo alla gola. Sono ricordi che vanno ad arricchire quella casa della memoria che dovrebbe costituire un antidoto contro tutti i genocidi e memoricidi. Mussolini in un discorso pronunciato il 10 giugno 1941 alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, due mesi dopo l’inizio dell’occupazione italiana della Jugoslavia, aveva detto: “Quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi”. La Jugoslavia, vincitrice nella seconda guerra mondiale, fece sua questa massima, in nome di un’ideologia aberrante. I morti delle foibe non sono un’invenzione, né devono essere accostati a quelli della Shoa, né l’una deve essere presa a pretesto per giustificare l’altra. Sono due tragedie del novecento e rappresentano dei crimini contro l’umanità. Purtroppo genocidi e memoricidi sono ricomparsi tristemente nelle recenti guerre balcaniche con misfatti inenarrabili. Sembra che il passato, nemmeno quello recente, non abbia insegnato nulla.
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