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gliannisessanta. La Chiesa tra dissenso e profezia.

helder-camara Fonte Internet

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Nel ’68 esplode il “dissenso” anche all’interno della Chiesa. Le quasi duemila comunità di base che agiscono in tutta Italia rivendicano un modo nuovo, meno esteriore di concepire la fede e un diverso rapporto tra questa e la politica. Fu il caso della comunità dell’Isolotto a Firenze. Sorta nel cuore di un quartiere popolare, guidata da don Enzo Mazzi, la comunità fiorentina si poneva come punto di riferimento per tutti quei fedeli che desideravano testimoniare in modo evangelico la propria fede e chiedevano una maggiore autonomia in campo politico. Firenze rappresentava sul finire degli anni cinquanta e per il decennio successivo la continuità ideale con quel “cattolicesimo sociale” che ha caratterizzato molte pagine nella storia della chiesa, da Romolo Murri in poi, passando per il modernismo di fine 1800 e gli inizi del 1900. Nel capoluogo toscano, proprio negli anni cinquanta – sessanta, agivano personalità forti come, Giorgio La Pira, il sindaco “santo” della città, padre Ernesto Balducci, Giorgio Pistelli, don Lorenzo Milani, padre Davide Maria Turoldo.

Dopo la conclusione del Concilio, la Chiesa fu attraversata da trasformazioni senza precedenti. Le Comunità di Base, sorte soprattutto in America Latina per le condizioni di profonda ingiustizia sociale, portarono molti cristiani ad abbracciare la Teologia della Liberazione e a vedere nel marxismo lo strumento laico per portare a compimento l’utopia cristiana. In Italia furono soprattutto le figure di don Giulio Girardi, don Giovanni Franzoni, don Gerard Lutte ad indicare ai Cristiani nuove strade e a trovare nel Socialismo l’interlocutore privilegiato. Indubbiamente, in America Latina, Camilo Torres Restrepo anticipò con la sua scelta la teologia della liberazione.

In Italia il primo atto di ribellione all’interno della Chiesa fu quello di don Enzo Mazzi. Fu lui il 31 ottobre 1968 a rendersi protagonista del primo atto di “ribellione ecclesiale” in Italia aprendo, di fatto, la stagione del dissenso. Parroco del popolare quartiere dell’Isolotto dal 1954, Mazzi si schierò a fianco di un gruppo di giovani che a Parma aveva occupato la cattedrale contro la costruzione di una chiesa finanziata dalla locale Cassa di Risparmio. Il cardinale Ermenegildo Florit chiese al sacerdote di “ritrattare la lettera o di dimettersi” da parroco. Mazzi convocò i suoi parrocchiani in assemblea in piazza e, davanti a loro, rispose “no” al vescovo. Per lui scattò la rimozione da parroco. Nella chiesa fiorentina ci fu chi cercò una soluzione più morbida, che in qualche modo facesse tornare indietro il cardinale Ermenegildo Florit e lo stesso Mazzi. Tra i due, però, non ci fu dialogo, nonostante gli inviti rivolti a entrambi da una parte dei preti fiorentini, tra cui il futuro arcivescovo Silvano Piovanelli. Quest’ultimo fu tra i firmatari di una lettera che non ebbe risposta. L’arcivescovo Florit, dopo aver fatto sgomberare la canonica, nominò un nuovo parroco all’Isolotto e don Mazzi creò la Comunità di base che da allora, e fino ad oggi, ha continuato a riunirsi ogni domenica per una celebrazione nei prefabbricati costruiti vicino alla chiesa.

Qualche anno più tardi, nel 1974, per Enzo Mazzi arrivò la sospensione a divinis. Fu proprio l’arcivescovo mons. Silvano Piovanelli, compagno di studi di don Lorenzo Milani, a cercare un riavvicinamento, in particolare durante il Sinodo della Chiesa fiorentina nel 1992, ma senza riuscire a ricondurre l’ex sacerdote all’interno della Chiesa. Mazzi è stato un punto di riferimento di tanti preti del dissenso, e nel corso degli anni la sua Comunità ha preso posizione su tutte le battaglie ‘civili’ che hanno spesso diviso gli stessi cattolici, dal divorzio all’aborto, dalla guerra al caso di Eluana Englaro. Mazzi, come don Alessandro Santoro, il parroco fiorentino delle Piagge, accolse Beppino Englaro quando nel marzo 2009 venne a Firenze per ricevere la cittadinanza onoraria. Don Enzo Mazzi è morto a Firenze il 22 ottobre 2011.

 

Teologia della liberazione

“Quando do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, tutti mi chiamano comunista” (Hélder Camara). La Teologia della Liberazione è una riflessione teologica che tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica, presenti nel messaggio cristiano. Ebbe inizio nel 1968 (subito dopo il Concilio Vaticano II) con il Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) di Medellìn. Tra i protagonisti che iniziarono questa corrente di pensiero, vi furono: don Gustavo Gutiérrez (peruviano), il vescovo Hélder Câmara (Fortaleza, 7 febbraio 1909- Recife, 27 agosto 1999) e Leonardo Boff (brasiliani). Il termine fu coniato dallo stesso Gutiérrez nel 1973 con la pubblicazione del libro “Historia, Política y Salvación de una Teología de Liberación“. Il contesto storico in cui nacque e si affermò la Teologia della Liberazione è quello dell’emergere e del consolidarsi  delle dittature militari  e dei regimi repressivi, che determinarono lo sviluppo dell’impegno di alcuni teologi nell’elaborare proposte sempre più radicali per far fronte all’aggravarsi della crisi politica e sociale latinoamericana. Nel Consiglio di Medellin del 1968 i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica sudamericana presero posizione in favore delle popolazioni più diseredate e delle loro lotte, pronunciandosi per una chiesa popolare e socialmente attiva. In vari Paesi si diffusero numerose comunità ecclesiali di base; solo in Brasile (grazie anche al cardinale di San Paolo Paulo Evaristo Arns e al vescovo Camara) ne nacquero circa 100.000; in Nicaragua numerosi cattolici, sia sacerdoti che laici, presero   parte alla lotta armata contro la dittatura di Somoza e in seguito diversi sacerdoti, come Ernesto Cardenal e Miguel D’Escoto entrarono a far parte del governo sandinista. Durante la terza riunione della CELAM del 1979 a Puebla (Messico), furono riaffermati e sviluppati i princìpi di Medellín, ma venne emergendo anche una forte opposizione da parte dei settori reazionari della gerarchia ecclesiastica. Questa posizione conservatrice andò rafforzandosi negli anni ottanta con il papato di Giovanni Paolo II in cui gli ideologi e i protagonisti della Teologia della  Liberazione furono progressivamente allontanati dai vertici ecclesiastici, come avvenne, ad esempio, con Leonardo Boff che subì diversi processi fino a essere costretto alla fine ad abbandonare, nel 1992, l’ordine francescano.

Le tappe principali

Gli antecedenti della teologia della liberazione sono molteplici. Li troviamo in Brasile con le Comunità Ecclesiali di Base (CEB) o con la nuova alfabetizzazione di Paulo Freire. Oppure in Europa con i preti operai in Francia e in Italia. Ma anche  nella lotta per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti, condotta da Martin Luther King, che in seguito darà origine alla teologia della liberazione nera, la cosiddetta Black Theology o in Sudafrica per la battaglia contro l’apartheid, in cui  protagonista sarà, negli anni più recenti, il vescovo anglicano Desmond Tutu. Infine, in Asia, la teologia minjung, in coreano, popolare e la teologia contadina, esposta dal filippino Charles Avila, sono state messe in relazione con la Teologia della Liberazione latinoamericana. Le radici teoriche si trovano nel Concilio Vaticano II, da molti riconosciuto come inizio della riscoperta di una Chiesa popolare, dove il dibattito si concentrò sulla povertà della Chiesa e sulla sua solidarietà con le situazioni di oppressione. Traccia di questo dibattito si trova nel libro “I poveri, Gesù e la Chiesa” che il prete Paul Gauthier pubblica nel 1963; in America Latina, il testo ha un grande impatto, e lo stesso Gustavo Gutièrrez ne trova ispirazione per il suo “Teologia  della  Liberazione“. Nel 1976, dopo il congresso teologico del Messico, il francescano brasiliano Leonardo Boff pubblica il libro “Teologia della cattività e della liberazione“. La reazione da parte della Santa Sede fu subito drastica. In uno dei suoi primi viaggi apostolici in Messico, nel gennaio del 1979, papa Giovanni Paolo II dichiarò che la “concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret, non si compagina con la catechesi della Chiesa” e lo stesso papa sollecitò dalla Congregazione per la dottrina della fede, a quel tempo presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, due studi sulla Teologia della Liberazione: Libertatis  Nuntius (1984) e Libertatis Conscientia (1986). In entrambi si considerava che, nonostante la vicinanza della Chiesa cattolica ai poveri, la tendenza della Teologia della Liberazione ad accettare postulati marxisti e di altre ideologie politiche non era compatibile con la dottrina sociale della Chiesa cattolica. Tali giudizi fortemente critici vennero in seguito in parte sfumati in una lettera rivolta alla Conferenza Episcopale Brasiliana, dove si riconobbe che la Teologia della Liberazione aveva avuto un ruolo “buono, utile e necessario” per la difesa dei poveri. E, nella Centesimus Annus, il tema della liberazione fu assunto nel magistero sociale come compito della Chiesa del nostro tempo. Oggi, grazie soprattutto al contributo di Leonardo Boff e dei suoi numerosi libri, come: “Ecologia, mondialità, mistica” o “Spiritualità per un altro mondo possibile” la Teologia della Liberazione ha sviluppato un filone nuovo, scoprendo lo stretto  legame cosmico e mistico di necessaria interdipendenza tra solidarietà che gli esseri umani sono chiamati ad avere tra loro e quella che devono avere con la natura, nell’aut aut tra homo sapiens e homo demens. Vi è quindi la riscoperta dell’ambiente e di una rinnovata cura ecologica, sono sposate le tesi e l’azione del movimento altermondialista, detto anche “no-global”, in cui alla contestazione del neoliberismo si aggiunge la promozione della pace fondata sulla giustizia e la richiesta di  una partecipazione democratica ed efficace da parte dei movimenti di base. Il 13 ottobre 2006 Benedetto XVI ha promulgato una Notificazione (pubblicata il 14 marzo 2007), che condanna come “erronee e pericolose” alcune tesi espresse dal teologo della liberazione Jon Sobrino, che hanno avuto grande diffusione in America Latina e non solo. Una delle accuse principali è di aver eletto i poveri a “luogo teologico fondamentale” – cioè a principale fonte di conoscenza –, al posto della “fede apostolica trasmessa attraverso la Chiesa a tutte le generazioni”.

Elementi centrali della Teologia della Liberazione.  

Gli elementi principali della Teologia della Liberazione sono, ovviamente, socialmente rilevanti perché mettono al centro della riflessione un progetto di liberazione in senso ampio che parta dall’analisi della realtà latinoamericana. La maggioranza dei latinoamericani denuncia la povertà come un peccato sociale, che contraddice il disegno divino; arriva a definire la salvezza cristiana come liberazione integrale dell’uomo, definendola specificatamente come liberazione economica, politica, sociale e ideologica. La dignità umana è rimessa in primo piano rilevando, da un lato, il carattere peccaminoso e anti cristiano di persecutori e oppressori e, dall’altro, la richiesta di giustizia delle vittime di questo peccato.

Il dissenso cattolico trovò modo di svilupparsi verso la fine degli anni sessanta e per tutto il decennio successivo nel movimento “Cristiani per il Socialismo”, nato in Cile con l’esperienza del governo di S. Allende. In Italia trovò nella rivista “Com Nuovi Tempi” lo strumento per farsi conoscere al grande pubblico. Il primo convegno si tenne a Bologna nel settembre del 1973. Il suo limite può essere trovato in un’adesione per pochi. Fu apertamente osteggiato dalla Chiesa. Trovò in Giulio Girardi l’interprete più illustre. Il prete salesiano, sospeso a divinis dalla Chiesa, è stato l’autore che più si è impegnato nel dialogo tra Marxisti e Cristiani. E’ morto a Roma il 26 febbraio del 2012

Raimondo Giustozzi

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