“Al porto d Ponza c’era la folla delle grandi occasioni. Tutti i confinati, militi ed agenti, carabinieri, molti ponzesi, volevano vedere arrivare la parigina. Allora nella fantasia popolare sopravviveva il mito della parigina libera ed elegante, che per cinque franchi ti fa veder le gambe. Germaine aveva sofferto il mal di mare ed era scesa a terra bianca e tremante … Finalmente la vedemmo iniziare la salita, dalla banchina al paese. Fu una grande delusione, niente parigina truccata e vistosa, una fanciulla fragile, che non dimostrava di avere ventiquattro anni. Ci abbracciammo sotto gli occhi di tutti. Germaine reprimeva le lacrime. Ci fu un tentativo di applauso, poi la portai nella casa che avevo preparato” (Giorgio Amendola, un’isola, pag. 136, Rizzoli Editore, Milano 1980).
Germaine è la ragazza parigina, che Giorgio Amendola conosce nel corso del suo primo espatrio clandestino a Parigi, il 14 luglio 1931, festa nazionale in Francia, a ricordo della presa della Bastiglia. Giorgio Amendola ha un appuntamento con un’altra donna, Dominique. Il metrò lo porta a Place Beaugrenelle. Dominique, forse stanca di aspettare, aveva trovato migliore compagnia. Tra la gente, che sta uscendo da un cinema, Amendola, osserva subito due donne, una anziana, dritta e severa, l’altra giovane, elegante e slanciata, quasi smarrita. La signora anziana è la mamma di Germaine, madame Lecocq, vedova di guerra. La ragazza che le sta a fianco è Germaine, la figlia. Madame Lecocq è stanca. Vorrebbe andare a casa. La figlia vuole restare. Giorgio Amendola si precipita di slancio e chiede alla signora se acconsente che sua figlia accetti il suo invito a ballare. In realtà è la figlia che vorrebbe tornare a casa, ma davanti alla richiesta del giovane italiano cambia idea. Accetta di slancio di ballare con il giovane sconosciuto. Nasce così l’amore tra i due, nel bel mezzo di un valzer veloce e trascinante.
L’amore tra Germaine e Giorgio, il matrimonio civile celebrato nell’isola di Ponza il 10 luglio 1934, il ménage familiare nella casa isolana, affacciata suk mare, la nascita della piccola Ada, occupano uno spazio di rilievo nel libro, tanto che il titolo più esatto sarebbe stato forse “Germaine”. Ponza è l’isola dove Giorgio Amendola trascorre, come confinato politico, perché antifascista comunista, ben quattro anni della propria vita. “L’autore ha voluto porre questo titolo, perché nell’isola di confino – Ponza – dopo il periodo del carcere fascista, ha concentrato il significato della sofferenza che colpisce un uomo quando gli tolgono la libertà. Nell’isola ritrova i compagni di lotta, il pane misurato, l’affetto della moglie, la nascita della figlia e le tribolazioni, durante la malattia che la minacciava, appena nata”. I parenti di lui non vedono di buon occhio un’altra straniera nella vita degli Amendola, prima la mamma di origine russa, ora la moglie di Giorgio, di origine francese. Madame Lecocq, carattere di ferro, vigila sulla figlia Germaine e sulla piccola appena nata. Non sopporta i pettegolezzi dei parenti acquisiti.
“Come nella Scelta di vita, Giorgio Amendola narra senza la cupa tristezza di chi si lascia assediare dalla solitudine. L’uomo vince con il suo amore alla vita, la certezza di saper riconquistare la libertà per sé e per tutti. Per questo Un’isola si snoda, pagina dopo pagina, attraverso la nuda realtà dei fatti, con l’appassionato fascino di un romanzo vissuto con l’intensità che ha soltanto chi narra sentimenti e valori eterni” (Davide Lajolo, risvolto prima pagine di copertina). “Omnia vincit amor”. L’amore conquista tutti, i protagonisti del romanzo autobiografico ma anche il lettore. Fanno tenerezza le pagine dedicate alla frugalità dei pasti; il caffè preparato da Giorgio per Germaine. “La cena preparata dai compagni era diventata fredda: Germaine si accontentò della frutta, la bella frutta saporita di Ponza, pesche e fichi” (Ibidem, pag. 137).
Il romanzo autobiografico copre un ampio arco temporale. Va dal 1931, l’anno del primo espatrio in Francia, dove Giorgio Amendola arriva per allacciare i rapporti clandestini con la Concentrazione Antifascista all’estero e dove conosce Germaine, l’amore di una vita, fino alla vigilia della seconda guerra mondiale: “Così nell’inverno 1938- 39, il centro del partito era stato sgretolato dalla stretta staliniana. I collegamenti con il paese venivano ridotti, specialmente con i gruppi che si riveleranno più forti nella ripresa del partito nel paese, e che daranno il più ricco contributo alla direzione del partito nuovo (Alicata, Bufalini, Ingrao). Il lavoro di preparazione di una conferenza di riorganizzazione si protrasse fino all’agosto 1939, alla vigila del patto di non aggressione tedesco – sovietico e dello scoppio della guerra. Nel febbraio del ’39 sarei stato inviato a Tunisi, per decisione presa da Togliatti in Spagna, per assumere la direzione di un giornale antifascista” (Ibidem, pp. 249 – 250).
Ritornato in Francia, dopo una breve vacanza trascorsa a Chambéry ai primi di settembre, Amendola vive assieme a Germaine gli ultimi giorni prima che Hitler invada i Sudeti, rivendicati come parte integrante del territorio tedesco. Alla stazione di Lione, temendo una mobilitazione generale, le donne piangevano abbracciando i mariti e i figli: “C’era sorpresa e costernazione. Che cosa c’entriamo noi con questi Sudeti? Ma chi sono, dove stanno? Veniva anticipata così la parola d’ordine disfattista di non morire per Danzica. Danzica ed i Sudeti erano per la stragrande maggioranza dei francesi realtà lontane e sconosciute. Io non partivo per la guerra, ma per una breve e non pericolosa missione. Ma Germaine mi abbracciava e piangeva, contagiata dolore generale. E Germaine sapeva chi erano i Sudeti, che cosa rappresentava quella questione, sapeva che non si trattava di una terra lontana ma di Parigi, della Francia, dell’Italia, del nostro avvenire. Ed il suo pianto derivava da questa coscienza, dalla certezza che la guerra, prima o poi, avrebbe distrutto ogni cosa, non solo la tranquillità della famiglia, questo bene prezioso di cui non si valuterà mai abbastanza il valore, ma la vita di milioni di uomini, lasciando distruzioni, lacerazioni profonde. E vedevo giusto. La guerra non ci sarebbe stata per il momento. Daladier sarebbe tornato a Parigi offrendo alle moltitudini acclamanti un pezzo di carta, una capitolazione che avrebbe aperto entro un anno la va alla guerra devastante. Non ea la pace, ma na breve tregua. Corta era stata per noi a pausa parigina. Presto sarebbe stata la volta nostra. Per noi la guerra cominciò quella sera, in quella stazione, tra quegli ignari richiamati e le famiglie piangenti. E sarebbe stata lunga e dura. Avrebbe preso sei anni della nostra vita” (Ibidem. Pp. 251- 252).
È la conclusione del romanzo autobiografico di Giorgio Amendola, dove si intrecciano viaggi clandestini in Francia, in Italia, l’arresto, il confino all’isola di Ponza, il carcere a Poggio Reale, l’amicizia con i propri compagni di lotta contro il fascismo, l’amore per Germaine e la piccola Ada. Sono 152 pagine che si leggono tutte d’un fiato, tanto sono belle per la descrizione dei luoghi e per la narrazione sempre avvincente. L’autobiografia è divisa in quattro parti legate tra loro. Nella prima (Parigi 1931), Giorgio Amendola racconta il passaggio all’illegalità, il 14 luglio 1931, quando conosce Germaine, l’amore di una vita, i viaggi clandestini, la primavera parigina e l’arresto. Al centro della seconda parte (Ponza) c’è la vita confinaria nell’isola di Ponza, l’arrivo di Germaine nell’isola e la maturità dell’autore. Nella terza parte (Roma 1937), ambientata a Roma nel 1937, dà conto dell’estate romana e del partito comunista nella città eterna. La quarta ed ultima parte (Verso la guerra), Giorgio Amendola narra il ritorno a Parigi, lo stato d’animo della gente, suo e della moglie, alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Raimondo Giustozzi
Invia un commento