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Peter Frankopan, Le vie della seta, una nuova storia del mondo

Le vie della setadi Raimondo Giustozzi

Dodicesimo volume della collana Geopolitica, capire gli equilibri del mondo, edizione speciale per il Corriere della Sera, pubblicato su licenza di Mondadori Libri il 27 maggio 2022. Sono 716 pagine, compresa una ricca bibliografia (oltre 200 pagine) messa in appendice, come annotazione per ogni singolo capitolo, le venticinque vie della seta. Il saggio di Peter Frankopan, le vie della seta, una nuova storia del mondo, è un libro di storia che ha venduto più di un milione di copie. La prima edizione è del 2015, la versione italiana, pubblicata da Mondadori Libri, è del 2017. Peter Frankopan, storico di Oxford, esperto riconosciuto della storia di Bisanzio, è figlio di un aristocratico croato e di una giurista svedese; per via della sorella maggiore è imparentato con la famiglia reale inglese. E’ una nota che si aggiunge al successo mondiale del libro. Leggere il libro obbliga il lettore a orientarsi lungo le grandi piste carovaniere asiatiche.

Scrive Federico Rampini nella prefazione all’edizione ultima del libro: “Ebbi il privilegio di visitare i luoghi descritti da Frankopan nel 1988, quando erano ancora parte sostanziale dei territori interni all’Unione Sovietica. Viaggiare era un’avventura, le infrastrutture di trasporto e gli alberghi nelle zone asiatiche dell’URSS erano da Terzo Mondo, però il disagio non toglieva nulla al fascino eterno di Bukhara, Samarcanda, Tashkent, Khiva, e ai loro meravigliosi tesori d’arte. Mancava un anno alla caduta del muro di Berlino, le cui ripercussioni si sarebbero risentite anche in quell’Oriente” (Peter Frankopan, le vie della seta, una nuova storia del mondo, pag. 7, Mondadori Libri, Milano, maggio 2022).

L’espressione “Vie della seta” assume nel testo un significato che va oltre quello letterale. Il libro è diviso in venticinque capitoli, tanti quante sono le venticinque vie.

  1. La creazione della Via della Seta
  2. La Via delle Fedi
  3. La Via a un Oriente cristiano
  4. La Via alla Rivoluzione
  5. La Via alla Concordia
  6. La Via delle Pellicce
  7. La Via degli Schiavi
  8. La Via del Paradiso
  9. La Via dell’Inferno
  10. La Via della Morte e della Distruzione
  11. La Via dell’Oro
  12. La Via  dell’Argento
  13. La Via al Nord Europa
  14. La Via all’Impero
  15. La Via alla Crisi
  16. La Via alla Guerra
  17. La Via dell’Oro nero
  18. La Via al Compromesso
  19. La Via del Grano
  20. La Via al Genocidio
  21. La Via della Guerra fredda
  22. La Via della Seta americana
  23. La Via della Rivalità tra Superpotenze
  24. La Via alla Catastrofe
  25. La Via alla Tragedia.

 

In principio c’era la via della seta, quella delle origini: “La seta cinese veniva indossata dai cartaginesi come dai romani. Le spezie afgane e indiane si usavano nella cucina mediterranea. I persiani ricchi avevano in casa ceramiche provenzali. Gli scambi culturali furono sempre altrettanti intensi di quelli commerciali. E’ grazie all’incursione di Alessandro Magno in India che vengono fabbricate le prime statue di Buddha, con una chiara impronta ellenistica nello stile figurativo. Prima il Buddismo, poi il Cristianesimo, infine l’Islam hanno viaggiato lungo quelle rotte nei due sensi. Le vie della seta di questo libro abbracciano un’area molto vasta. E’ lo spazio geografico che Frankopan privilegia – con il talento di un romanziere – i flussi e i riflussi di beni e idee, tecnologie e malattie, intrecciandoli con le storie degli imperi o dei califfati che si sono contesi l’egemonia su quelle regioni” (Ibidem, pag. 8).

“Oggi l’espressione vie della seta ha acquisito un peso geopolitico nuovo, da quando la Cina ha tracciato lungo quelle direttrici il proprio progetto per il futuro del mondo.. L’ambizione è di coprire le antiche rotte del commercio Est – Ovest con un reticolato di nuove strutture made in China. Lungo la stessa direzione il regime di Pechino alimenta, proprio come ai tempi antichi, un traffico di idee oltre che merci e di capitali. Il regime di Xi Jinping diffonde – aggiornando la tradizione di Mao Zedong – una visione dei Paesi emergenti come unificati dal comune destino perché ex vittime dell’imperialismo occidentale. Non importa se la Cina stessa in realtà è l’ultimo impero coloniale (Tibet, Xiniang, Mongolia sono nazioni conquistate e rappresentano un terzo del suo territorio), la narrazione fa proseliti. L’Occidente stesso ha favorito la diffusione di una cultura del risentimento post – coloniale nei propri confronti. Buona parte  delle classi dirigenti dei Paesi emergenti si sono formate nelle università americane, inglesi, francesi dove la dottrina dominante impone il processo all’Occidente, descritto come l’unico colpevole di tutte le sofferenza dell’umanità: aggressione, sfruttamento, saccheggio di risorse. La formazione anti occidentale assorbita in Europa o negli Stati Uniti costituisce anche un prezioso alibi: le élite tiranniche, corrotte e predatorie dei Paesi poveri, in nome dell’anti colonialismo respingono le critiche sui diritti umani o sul malgoverno. Di fronte a queste diffuse ostilità l’Occidente non si difende, arretra” (Pag. 9).

Fin da bambino, scrive Peter Frankopan nell’introduzione al libro, sono stato abituato a ritrovare nel grande planisfero, che mi era stato regalato, i nomi e le posizioni geografiche delle nazioni, delle capitali, degli oceani, dei mari e dei fiumi che vi sfociavano: Giunto all’adolescenza, rimanevo insofferente per la prospettiva geografica inevitabilmente ristretta delle lezioni scolastiche, che si concentravano solo sull’Europa occidentale e gli Stati Uniti, ignorando gran parte del resto del mondo. Un cambio di prospettiva fu il regalo che al compimento del quattordicesimo anno Peter Frankopan ebbe dai genitori. Era un libro dell’antropologo Eric Wolf che fu per il ragazzo una vera e propria illuminazione e rappresentò un cambio di prospettiva. La storia della civiltà comunemente accettata, scriveva Wolf, è una storia in cui “l’antica Grecia generò Roma, Roma generò l’Europa cristiana, l’Europa cristiana generò il Rinascimento, il Rinascimento l’Illuminismo, l’Illuminismo la democrazia politica e la rivoluzione industriale. L’industria, unita alla democrazia, a sua volta ha prodotto gli Stati Uniti, dando corpo ai diritti alla vita, alla libertà e al proseguimento della felicità” (Ibidem, prefazione, pag. 9).

Un’altra occasione di crescita fu per il ragazzo la conoscenza della  Mappa Mundi di Hereford, che aveva come centro e punto focale Gerusalemme, mentre l’Inghilterra e gli altri paesi occidentali erano in una posizione molto laterale, quasi fossero privi di importanza. Hereford è una cittadina dell’Inghilterra occidentale, di 54.842 abitanti, capoluogo della contea di Herefordshire. “La mappa è la più grande mappa medievale, dipinta tra il 1276 e il 1263 in Inghilterra da Richard di Halding e riproduce il mondo allora conosciuto, fondando la propria rappresentazione sulla base di nozioni storiche, bibliche, classiche e mitologiche. Misura 158 x 133 cm” (Fonte Internet). Scrive Peter Frankopan: “Rimasi sbigottito nel leggere opere di geografi arabi in cui le cartine sembravano capovolte e avevano al centro il mar Caspio, o nello scoprire l’esistenza di  un’importante carta medievale turca conservata a Istanbul il cui cuore era una città chiamata Balasaghun (situata nell’attuale Kirghizistan), una città che non avevo mai neppure sentito nominare e che non compariva su nessuna mappa” (Ibidem, pag. 16).

Il giovane Peter Frankopan voleva saperne di più sulla Russia, sull’Asia centrale, sulla Persia e sulla Mesopotamia. Lo studio del russo e della sua letteratura gli dispiegò una vasta conoscenza della cultura popolare russa. Ebbe la fortuna di avere come insegnante Dick Haddon, “un uomo brillante che aveva fatto parte dei servizi segreti della Marina”, attraverso il suo insegnamento imparò anche la lingua araba. Oggetto degli studi fu allora tutta la regione che si estende approssimativamente dalle coste orientali del Mediterraneo e del Mar Nero fino all’Himalaya. “Oggi quest’area ospita alcuni Stati che evocano un’idea di esotico e di periferico, come il Kazakistan, l’Uzbekistan, il Kirghizistan, il Turkmenistan, il Tagikistan e i paesi del Caucaso. Tutta l’area è associata a regimi instabili e violenti che rappresentano una minaccia per la sicurezza internazionale, come l’Afghanistan, l’Iran, l’Iraq e la Siria, o sembrano poco inclini alle migliori pratiche della democrazia come la Russia e l’Azerbaigian. Nel complesso, appare come una regione occupata da una serie di Stati falliti o in via di fallimento, retti da dittatori che ottengono maggioranze inverosimilmente ampie nelle elezioni nazionali e i cui familiari e sodali controllano giri d’affari che si estendono a macchia d’olio, possiedono immense risorse ed esercitano il potere politico. Sono paesi con precedenti che lasciano a desiderare in fatto di diritti umani, dove la libertà di espressione su questioni di fede, coscienza e sessualità è limitata, e dove è il controllo dei media a determinare ciò che esce o non esce sulla stampa” (Ibidem, pp. 16 – 17).

Tutti questi paesi appaiono agli occhi degli occidentali come poco civilizzati, ma non si tratta di lande remote, di ignoti deserti. In realtà rappresentano il ponte tra Oriente e Occidente, il vero crocevia della civiltà. “Fu su questo ponte tra l’Est e l’Ovest che circa 5000 anni fa vennero fondate grandi metropoli, fu qui che le città di Harappa (sito archeologico nella regione del Punjab, nel Pakistan nord – occidentale) e Mohenjodaro (antichissima città risalente all’età del bronzo), situata sulla riva destra del fiume Indo, fiorirono come meraviglie del mondo antico, con popolazioni che ammontavano a decine di migliaia di abitanti e strade che si connettevano in un sofisticato sistema fognario che non sarebbe stato uguagliato in Europa per migliaia di anni. Altri grandi centri di civiltà come Babilonia, Ninive, Uruk e Akkad (capitale dell’impero accadico), in Mesopotamia, erano celebri per la loro grandiosità e la loro architettura innovativa. Oltre duemila anni fa, un grande geografo cinese annotava che gli abitanti della Battriana, una regione storica dell’Asia centrale, compresa approssimativamente tra la catena dell’Hindu Kush a sud e il fiume Oxus a nord, oggi situata nell’Afghanistan settentrionale, erano commercianti e negoziatori leggendari”.

Questa regione è il luogo dove videro la luce le grandi religioni del mondo, dove il giudaismo, il cristianesimo, l’Islam, il buddismo e l’induismo vissero gomito a gomito: E’ il crogiolo dove competevano vari gruppi linguistici, dove lingue europee, semitiche e sino – tibetane coabitavano con idiomi altaici, turcici e caucasici. Qui sorsero grandi imperi e le conseguenze degli scontri tra culture rivali si avvertivano a migliaia di chilometri di distanza. Gli scossoni si diffondevano lungo una rete estesa in ogni direzione, un ventaglio di strade lungo le quali hanno viaggiato pellegrini e guerrieri, nomadi e mercanti, lungo le quali merci e materie prime sono state trasportate e vendute, e le idee sono state scambiate, modificate e perfezionate. Queste strade hanno portato non solo prosperità, ma anche morte e violenza, malattie e disastri. Fu proprio Ferdinand von Richthofen, zio del barone rosso (Manfred von Richthofen) a chiamare questo universo di connessioni con il termine Seidenstrafen, Vie della Seta, entrato stabilmente nell’uso comune.

Queste direttrici rappresentano il sistema nervoso del mondo. Collegano popoli e luoghi ma rimanendo sotto traccia, invisibili a occhio nudo. Eppure, nonostante la sua importanza, questa parte del pianeta è stato dimenticata dalla storia. E’ prevalsa l’idea di un Oriente come sottosviluppato e inferiore all’Occidente, quindi non meritevole di uno studio serio. La narrazione del passato è diventata così dominante e consolidata da non lasciare spazio a una regione che è stata vista a lungo come periferica rispetto alle vicende dell’ascesa dell’Europa e della società occidentale. Oggi Jalalabad e Herat in Afghanistan, Falluja e Mosul in Iraq, oppure Homs e Aleppo in Siria, suonano come sinonimo di fondamentalismo religioso e violenza settaria.

“Più che dalle risorse del luogo, Aleppo è nata dalla necessità di un magazzino di deposito tra il Mediterraneo e il Golfo Persico, nel punto d’incontro, come dice Jacques Gassot, dalle merci delle Indie e dei panni provenienti da Ponente. Le carovane di Bagdad vi si fermano, di fronte al rilievo del Libano e cedono il passo ad altre carovane di muli, di cavalli e di asinelli: quelli stessi che sul vicino cammino da Gerusalemme a Giaffa portano e riportano i pellegrini” (Fernand Braudel, Il Mediterraneo, Civiltà e imperi nell’età di Filippo II). Aleppo, a seguito dell’interminabile guerra civile in Siria, è diventata un cumulo di macerie. La città è stata riconosciuta dall’Unesco patrimonio dell’Umanità. Ci si chiede se l’organizzazione delle Nazioni Unite, (ONU) e gli altri organismi di cooperazione internazionale (UNESCO), (UNICEF), (FAO) hanno più un ruolo nelle guerre tra fazioni rivali, sostenute e appoggiate dalle grandi potenze. Sono statui voluti per scongiurare altre immani catastrofi dopo la seconda guerra mondiale. La percezione che si ha è che non servono più a niente. Ai belligeranti, di ogni colore e schieramento, non importa nulla che Aleppo sia stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità, che la Federazione Russa abbia abbattuto più di 131 chiese ucraine. La distruzione di Aleppo, delle chiese in Ucraina è un crimine contro l’umanità e in quanto tale va perseguito, al pari di migliaia di altri crimini: bombardamenti sugli edifici civili, stragi di persone inermi, stupri, sottrazione di minori, furto di grano. La lista è lunga. Questa che stiamo vivendo è un’altra via dell’orrore, della vergogna, dei ricatti e delle menzogne (N.D.R.).

“Tutta questa vasta regione è in subbuglio. In Turchia infuria la battaglia per conquistare l’anima del paese, con i provider di Internet e i social media che vengono chiusi per capriccio da un governo diviso sull’idea di futuro. Un dilemma replicato in Ucraina, dove differenti visioni nazionali hanno lacerato il paese. L’invasione del paese ad opera della Federazione Russa, giustificata con il pretesto di difendere la popolazione russofona, vittima di un genocidio, falsità acclarata, sta riducendo città e aree industriali a cumoli di macerie. Anche la Siria sta attraversando un’esperienza traumatica di profondo cambiamento, mentre le forze del conservatorismo e del liberalismo si combattono a vicenda con costi enormi. Il Caucaso ha attraversato anch’esso un periodo di transizione, con il ribollire di numerose controversie legate all’identità e al nazionalismo, in particolare in Cecenia e in Georgia. Poi, c’è la regione più a est, con il Kirghizistan, dove la rivoluzione dei Tulipani del 2005 è stata il preludio a un lungo periodo di instabilità politica (la lunga mano della Federazione Russa ha fatto il resto). Nella regione dello Xinjiang, Cina occidentale, la popolazione uigura è diventata sempre più irrequieta e ostile, e gli attacchi terroristici rappresentano una minaccia tale da indurre le autorità cinesi a decretare che una semplice barba lunga è indizio di intenzioni sospette” (Peter Frankopan, Conclusione: la nuova via della seta, in La Via della Seta, pag. 545, Milano, 2022).

Ci sono ragioni sufficienti, per guardare con preoccupazioni sempre maggiori a ciò che sta avvenendo in tutta questa area. “Le riserve combinate di greggio sotto il mar Caspio ammontano, esse sole, quasi al doppio di quelle di tutti gli Stati Uniti. Dal Kurdistan dove sono stati recentemente scoperti nuovi giacimenti di petrolio per un valore di centinaia di milioni di dollari al mese, all’enorme giacimento di Karachaganak, al confine tra Kazakistan e Russia, che contiene presumibilmente circa 1200 miliardi di metri cubi di gas naturale, oltre a gas liquido e petrolio grezzo, i paesi di questa regione stanno scricchiolando sotto il peso delle loro risorse naturali.

Poi c’è il bacino del Donbass, a cavallo della frontiera tra l’Ucraina orientale e la Russia, da tempo famoso per i giacimenti di carbone contenenti riserve estraibili stimate in circa 10 miliardi di tonnellate. Anche questa è un’area di crescente importanza, in virtù della scoperta di ulteriori ricchezze naturali”( ibidem, pag. 546). Il vero obiettivo dell’operazione militare speciale iniziata da Putin in Ucraina non è la denazificazione del Paese o la protezione dei russofoni vittime di genocidio, è la conquista delle ricchezze del territorio ucraino. Le menzogne sono proprie di ogni dittatura. Dove non esiste nessuna opposizione, né stampa libera, la menzogna viene presentata sempre come la verità. Accadeva la stessa cosa durante il Fascismo in Italia e il Nazismo in Germania.(N.D.R.).

“Altri giganteschi giacimenti di petrolio e gas naturale sono stati trovati in Turkmenistan  In Kazakistan si trovano invece berillio, disprosio e altre terre rare, vitali per la produzione di telefoni cellulari, computer portatili e batterie ricaricabili, oltre all’uranio e al plutonio, essenziali per l’energia e le testate nucleari. Oggi, gran parte delle steppe, tenute a pascolo, sono state trasformate, nella Russia meridionale e in Ucraina, in campi di grano incredibilmente produttivi: in effetti, la terra con il marchio Chernozen, letteralmente terra scura, è molto fertile e ricercata; una ONG ha scoperto che nella sola Ucraina vengono annualmente scavate e vendute quantità di terreno per un valore di quasi un miliardo di dollari… Anche la rete dei trasporti, proprio come quella dei gasdotti, si è spaventosamente estesa negli ultimi tre decenni. Importanti investimenti nelle ferrovie transcontinentali hanno già aperto linee per il traffico merci lungo gli 11.000 chilometri della ferrovia internazionale Yuxinou, che collega la Cina con un grande centro di distribuzione nei pressi di Duisburg, in Germania, visitato nel 2014 dal presidente cinese Xi Jinping in persona. Sono in programma linee ferroviarie che passeranno attraverso  l’Iran, la Turchia, i Balcani e la Siberia per arrivare fino a Mosca, Berlino e Parigi, e nuove tratte che collegheranno Pechino al Pakistan e il Kazakistan all’India. Si parla anche di un tunnel lungo 300 chilometri da costruire sotto lo stretto di Bering, che permetterà ai treni di partire dalla Cina e, attraverso l’Alaska e il Canada, arrivare fino agli Stati Uniti continentali”.

L’organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) e la collaborazione politica, economica e militare tra Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Cina sta diventando sempre più influente e si sta trasformando a poco a poco in una valida alternativa all’Unione Europea. Alcuni deplorano l’organizzazione come un veicolo per la violazione dei diritti umani, sottolineando le lacune degli Stati membri nel rispettare la convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura, oltre alla palese mancanza di tutele per le minoranze; altre la considerano invece il futuro, e paesi come la Bielorussia e Sri Lanka hanno ottenuto il formale permesso di partecipare alle riunioni come osservatori. Alla Turchia questo non basta, e ha chiesto con insistenza di aderire come membro a pieno titolo, in modo da prendere le distanze dall’Europa. Il leader turco Erdogan in un’intervista televisiva del 2013 aveva affermato che la SCO è migliore e più potente, e poi abbiamo valori comuni. Questi commenti non vanno presi in senso letterale, perché i paesi e le popolazioni di questa parte del mondo sono da tempo abituati a giocare su più tavoli contemporaneamente e a manipolare gli interessi concorrenti a proprio vantaggio”.

Nelle ultime pagine del saggio, tirando quasi delle conclusioni, Peter Frankopan scrive: “Il mondo intorno a noi sta cambiando. Stiamo entrando in un’era in cui il dominio politico, militare ed economico dell’Occidente comincia a essere messo in discussione, provocando un senso di incertezza inquietante. La falsa alba di una Primavera araba ha promesso un’ondata di liberalismo e un impeto di democrazia che ha invece lasciato il posto all’intolleranza, alla sofferenza e alla paura in tutta la regione, mentre il cosiddetto Stato Islamico in Siria e Iraq e i suoi adepti hanno cercato di prendere il controllo del territorio, del petrolio e delle menti delle proprie vittime” (Ibidem pp.557- 559). A queste annotazioni vanno aggiunte le immagini e le informazione sulla guerra devastante in Ucraina, scatenata della Federazione Russa con una serie di pretesti, alcuni del tutto inventati.

 

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