Nella storia della spiritualità cristiana non c’è persona più amata, come quella di San Filippo Neri. La fama della sua santità era già celebrata dai suoi contemporanei e il processo di canonizzazione iniziò nello stesso anno della sua morte. Tre secoli dopo la sua morte, il cardinale John Henry Newman (Londra, 21 febbraio 1801 – Edgbaston, 11 agosto 1890) rimase talmente affascinato dalla spiritualità di San Filippo Neri che fondò nel Regno Unito l’ordine dei Filippini, la Congregazione di San Filippo Neri. Don Mario Colabianchi, parroco dell’Unità Pastorale Cristo Re – San Pietro di Civitanova Marche, ha letto la preghiera composta da John Henry Newman, all’inizio della conferenza dedicata al tema Filippo Neri e il suo tempo, tenuta presso la sala don Lino Ramini, in via del Timone N° 14, venerdì 22 novembre 2019, dalle 21,15 alle 23,30.
Preghiera a San Filippo Neri
“O mio caro e santo patrono Filippo / io mi butto fra le tue braccia e per amore di Gesù, / per amore di quell’amore che fece di te un eletto ed un santo, / io ti supplico di pregare per me, / affinché come Egli ha condotto te al cielo, / così a suo tempo conduca al cielo pure me. / Tu hai provato le tribolazioni ed i periodi di questa vita; / tu conoscesti bene quale conto si debba fare agli assalti del maligno, / degli scherni del mondo e delle tentazioni della carne e del sangue. / Tu apprendesti quanto sia debole l’umana natura, / e quanto sia traditore il cuore umano / e questo ti ha colmato di una simpatia e di una compassione / così tenera che anche ora godi della gioia di una gloria ineffabile / e di una ineffabile beatitudine, / puoi, io lo so, dedicare a me un pensiero. / Ricordati dunque di me, o mio caro san Filippo, / ricordatene nonostante che io talvolta sembri dimenticarmi di te. / Ottienimi tutte quelle cose che mi sono necessarie a perseverare / nella grazia di Dio ed operare la mia salute eterna. / Ottienimi mediante la tua potente intercessione, / la forza necessaria a combattere una buona battaglia, / a rendere testimonianza del mio Dio e della mia religione, / in mezzo ai peccatori, la forza di reggere allorché Satana / vorrebbe schernirmi o forzarmi a fare qualche cosa di male, / la forza di superare me stesso, di fare tutto il mio dovere / e così poter andare esente da colpa nel giorno del giudizio. / Vaso dello Spirito Santo, apostolo di Roma, / santo dei tempi primitivi, / prega per me” (Card. John Henry Newman C.O.).
Il parroco ha ricordato brevemente l’attualità di San Filippo Neri, testimone eterno delle virtù cristiane. Ebbe una singolare tenerezza verso il prossimo, fuggì da ogni vanità, fece dell’allegria e del buon umore gli strumenti necessari per potenziare le energie psichiche e spirituali, fece della semplicità evangelica la costante della propria vita. La giornata mondiale dei poveri, voluta da Papa Francesco, trova in Filippo Neri un riferimento obbligatorio. Alla sua vita e ai suoi detti si sono ispirati diversi film: State buoni se potete (1983), di Luigi Magni, con Johnny Dorelli nei panni di Filippo Neri, con la colonna sonora, Vanità di vanità, curata da Angelo Branduardi. Il grande pubblico dei nostri giorni ha avvicinato la vita, il pensiero di San Filippo Neri con lo sceneggiato televisivo del 2011, Preferisco il Paradiso, di Giacomo Campiotti, con Gigi Proietti, romano de Roma che interpreta Filippo Neri.
Filippo Neri: le fonti documentarie.
Il tema è stato ampiamente illustrato dal prof. Gennaro Cassiani, docente associato di Storia Moderna all’Università Cattolica di Milano. Il professore è anche lui Romano de Roma, come ha tenuto a sottolineare in un breve saluto confidenziale, scambiato fuori dalla sala don Lino Ramini, in strada, prima della conferenza, dal momento che il pubblico tardava ad arrivare. Insegna a Milano ma non è milanese. Ha al suo attivo una miriade di pubblicazioni anche in lingua inglese, su riviste specializzate. E’ il più profondo conoscitore di San Filippo Neri. Abituato a parlare in ambienti accademici, ha fatto del suo meglio per calarsi nella realtà della serata, presenti una cinquantina di persone che del “giullare di Dio” sapevano ben poco, tranne forse quello passato dallo sceneggiato televisivo ricordato sopra.
Quello su San Filippo Neri è un dossier ancora aperto. Con una cadenza affatto meneghina ma romana, il prof. Gennaro Cassiani si è districato in modo brillante sulla mancanza delle fonti che impediscono di avere una storiografia variegata su San Filippo Neri. Ha fatto riferimento alla storiografia de Les Annales, a Marc Bloch, a Lucien Febvre, conosciuti dagli addetti ai lavori. “La storia si fa, senza dubbio con documenti scritti, quando ce ne sono. Ma si può fare senza documenti scritti, se non esistono. Per mezzo di tutto quello che l’ingegnosità dello storico gli consente di utilizzare per fabbricare il suo miele, in mancanza dei fiori normalmente usati” (L. Febvre, Combats pour l’histoire). Anche degli strumenti di lavoro, una piccola tenaglia, dei cacciaviti, uno strano oggetto concavo, fatto a mo’ di grande sfera, riscaldato all’interno con pezzi di carbone acceso, avvolto all’esterno con un panno, che Filippo Neri utilizzava soprattutto di notte per leggere e scrivere, quando non c’era nessuno da ascoltare, sono fonti da non disprezzare per ricostruire la figura poliedrica del santo, chiamato dai contemporanei Pippo il buono. Sul suo tavolo di lavoro c’erano centinaia di orologi che sapeva aggiustare con grande precisione.
Di Filippo Neri è andato perso tutto l’archivio privato. Poco prima di morire, ordinò ai propri confratelli di distruggerlo. Lo aveva fatto perché era contrario ad ogni vanità. In quello che aveva scritto nelle lettere, nei sonetti, non trovava nulla di eccezionale che dovesse essere tramandato ai posteri. Di Filippo Neri non abbiamo più gli autografi. Abbiamo solo poche cose, qualche lettera, qualche altro documento, ma non abbiamo più i sonetti né le venti lettere, scritte di suo pugno. Una di queste, salvata dal rogo, dà l’idea di quanto sarebbe stato prezioso tutto l’altro materiale andato a fuoco. La lettera è indirizzata al papa Clemente VIII, il cardinale Ippolito Aldobrandini che, prima di salire al soglio pontificio, aveva frequentato spesso Filippo Neri. Il Papa avrebbe voluto ancora Filippo per confessore, ma non potendo il Santo, per la sua età, scelse un suo figlio prediletto Cesare Baronio. Anche Clemente, quando riceveva Filippo, non solo lo faceva subito sedere e lo obbligava a stare coperto, ma veniva ad abbracci e baci. Il Papa aveva una fiducia assoluta delle preghiere di Filippo e quando le cose non gli andavano bene o non andavano come avrebbe desiderato, con dolce rimprovero, diceva: Il P. Filippo non prega per noi (Internet).
Al processo di canonizzazione di Filippo Neri, l’otto giugno 1610, Germanico Fedeli, canonico dal di San Pietro dal 1604, consegna al notaio una curiosa dichiarazione: “Trovandosi ammalato il b. p. Filippo, mi ordinò che io scrivessi di mia mano un memoriale a Nostro Signore, che lo voleva dettare lui, e così feci e lo diedi a copiare a un padre di casa, quale (memoriale) m’ordinò che lo portassi al signor Silvio Antoniani allora maestro di camera della felice memoria di papa Clemente VIII, acciò egli lo leggesse a Nostro Signore. Et tornando il giorno seguente per la risposta l’Antoniani) mi rese il memoriale e mi disse che sotto vi era la risposta, fatta di mano dell’istesso papa, quale lo riportai al b. Padre e mi restò in mano”.
Il contenuto della lettera è questo: una figliola di Claudio Neri, non parente però del Santo, Innocenza, doveva entrare tra le oblate di Tor de’ Specchi, ma v’erano difficoltà. Si vede che Claudio aveva interessato Filippo, perché intervenisse presso il Pontefice che, solo, poteva eliminare ogni difficoltà in quelle circostanze. Filippo scrisse il memoriale, che è riportato nella trascrizione moderna, con qualche parola dichiarativa, tra parentesi, e la risposta del Papa, che si conserva ancora. In questa lettera, fra le tante apparenti audacie, Filippo dice al Papa che il bene che ha detto di lui un cardinale, è inferiore alla realtà che, insomma, il Papa non è così buono come si dice. Poi rimprovera il pontefice di non essere passato a visitarlo, invece è andato a trovarlo uno maggiore di lui nella santa Comunione, Gesù. Sarebbero, queste, delle offese atroci così riassunte per sommi capi, perché il lettore veda meglio come, sotto l’apparenza di simili proposizioni, Filippo trova il modo di confessare al Pontefice un amore sconfinato e una devozione totale. Traspare in filigrana la sottile ironia di Filippo Neri, unita ad una familiarità con il pontefice a tutto tondo.
Questo è il testo: “Beatissimo Padre, e che persona son io che cardinali abbiano da venire a visitarmi? Specialmente ieri sera il cardinal di Firenze (Alessandro dei Medici) e Cusano; e perché avevo bisogno di un poco di manna di foglie, (un leggero purgante) detto signor Cardinale di Firenze, me ne fece avere due once da Santo Spirito (l’ospedale) perché esso Signor Cardinale ne aveva mandato gran quantità a quel luogo l’istesso giorno. Si fermò sino a due ore di notte e disse tanto bene di Vostra Santità, più di quello che mi pareva, atteso che, essendo ella Papa, dovrebbe essere l’istessa umiltà, Cristo, a sette ore di notte, si venne ad incorporare con me (nella S. Comunione); e Vostra Santità guarda che la venisse pur una volta nella nostra chiesa. Cristo è uomo ed è Dio e mi viene, ogni volta che io voglio a visitare; e Vostra Santità è uomo puro, nato da un uomo santo e da bene; esso (Cristo) nato da Dio Padre. Vostra Santità nato dalla signora Agnesina, santissima donna; ma Esso nato dalla Vergine delle Vergini. Avrei da dire se volessi secondare la collera che ho. Comando a Vostra Santità che faccia la mia volontà, circa una Zitella, quale io desidero mettere in Tor de’ Specchi, figliola di Claudio Nerio al quale Vostra Santità ha promesso di avere protezione dei suoi figlioli, ricordandogli esser cosa da Papa l’osservare le promesse: però, detto negozio la Santità Vostra lo rimetta a me, acciocché bisognando mi possa servire della Sua parola; tanto più sapendo io la volontà della zitella, quale so certo muoversi meramente per divina ispirazione; e con maggiore umiltà che devo li bacio i santissimi piedi”.
Clemente VIII che comprese bene tutta l’ondata di devozione religiosa e di amore filiale nascosto in quelle parole materialmente aggressive, rispose nella finzione di una terza persona, che esegue la commissione del Pontefice. “Dice il Papa che la polizza (foglio) nella prima parte, contiene un poco di spirito di ambizione, volendo che egli sappia che i cardinali la visitano tanto frequentemente se già non fosse per insinuargli che quei tali signori sono spirituali, il che si sa molto, bene. Del non esser venuto a vederla, dice che vostra reverenza, non lo merita, perché non ha voluto accettare il cardinalato tante volte offertole. Quanto al comandamento, si contenta che Ella con il suo solito imperio, faccia un rabbuffo a quelle buone Madri, se non fanno a suo modo. E torna a comandare a Lei che si riguardi, né torni al confessionale, senza sua licenza. E quando Nostro Signore la viene a vedere, lo preghi per lui e per i bisogni urgenti della cristianità“.
Il 27 luglio 1610 il memoriale fu consegnato al processo e rimase fra gli atti fino al 1713, quando il padre Francesco Ignazio Gentile, alla presenza del notaio e di testimoni, lo levò per collocarlo in un reliquiario e presentarlo alla pietà dei fedeli. Il documento ora è in un’altra cornice, diversa dall’originale, perduta, ed è collocato nella Sala rossa alla Vallicella. La chiesa di Santa Maria in Vallicella custodisce le spoglie mortali di San Filippo Neri. Fu la sede dove nacque l’ordine dei Filippini. Le altre sedi itineranti erano state: San Girolamo della Carità e San Giovanni dei Fiorentini, altre due chiese di Roma.
Profilo storico di Filippo Neri
Filippo Neri nasce a Firenze da Francesco Neri e Lucrezia Soldi da Mosciano, il 21 luglio 1515; nel 1520 perde la madre. Il padre si risposa con Alessandra di Michele Lensi molto vicina a Filippo, Elisabetta e Antonio, i tre figli che Francesco Neri aveva avuto nel precedente matrimonio. Filippo riceva la prima istruzione in famiglia, in seguito viene mandato a studiare presso il maestro Clemente, e comincia a frequentare il convento di San Marco a Firenze, dove era già passato il frate domenicano Girolamo Savonarola (Ferrara, 21 settembre 1452 – Firenze, 23 maggio 1498). Durante gli anni trascorsi nel convento di San Marco, Filippo si appassiona alla lettura delle Laudi di Jacopone da Todi e de le facezie del pievano Ariotto, un libro umoristico scritto da un sacerdote fiorentino.
Nel 1532- 33 lascia la casa paterna e va ad abitare presso uno zio, Romolo Neri, a Cassino, per essere avviato alla professione di commerciante. Proprio in questi anni inizia a sentire la propria vocazione religiosa, tanto da costruirsi una piccola cappella, su una roccia a picco sul mare denominata “Montagna Spaccata”, nei pressi di Gaeta. Lo zio, non avendo eredi, lascia in eredità al nipote al quale era molto affezionato, tutti i propri averi, ben 20.000 scudi, che Filippo rifiuta per dedicarsi ad una vita più umile. Nel 1534 si reca a Roma come pellegrino ma vi rimane in qualità di precettore di Michele e Ippolito Caccia, figli del capo della dogana pontificia, il fiorentino Galeotto Caccia. Questi gli offre vitto e alloggio. Il compenso per l’attività svolta consiste in un semplice sacco di grano che diventa poi, grazie ad un accordo con il fornaio, una pagnotta che Filippo Neri condisce con un po’ d’olio e tanto digiuno. Nel frattempo segue i corsi di Filosofia all’Università della Sapienza e comincia a prestare la sua opera di carità presso l’ospedale di San Giacomo, dove molti anni dopo conobbe Camillo de Lellis. Probabilmente nell’inverno del 1538 viene anche a contatto con Ignazio di Loyola e con i primi membri della Compagnia di Gesù.
Per una decina di anni (1535- 1545) vive una sorta di romitaggio urbano. Gira per le strade di Roma, vestito con una tunica, cappuccio in testa, cuscino sulle spalle che gli serve per appoggiarsi dove gli capita, per leggere di giorno e riposare di notte. Camminando per Campo de’ Fiori e nei vicoli di Trastevere, incontra giovani che lo deridono. Senza scomporsi troppo, Filippo si unisce a loro, conquista la loro simpatia con ogni sorta di facezie e di barzellette, poi s’improvvisa predicatore, dicendo: “Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete, ma non fate peccato”. In questo continuo vagabondare incontra un mondo variegato di uomini, omaccioni, ragazzi di strada, donne, donnine, donnacce. Filippo ascolta tutti con grande attenzione, intanto continua le visite degli ammalati negli ospedali di San Giovanni e di Santo Spirito. Incontra i poveri nella confraternita della Carità, fondata da papa Clemente VII e nell’oratorio del Divino Amore. Si fa strada in lui la convinzione che, per portare in certi ambienti la predicazione del vangelo, occorre riportare la Chiesa all’origine delle prime comunità cristiane. Su consiglio di Persiano Rosa, suo padre spirituale, fonda nel 1548 la Confraternita della Trinità dei pellegrini e dei convalescenti, composta inizialmente da quindici uomini, attratti dai discorsi che Filippo Neri tiene nella chiesa di San Salvatore in Campo.
Il 23 maggio 1551 è ordinato sacerdote. Inizia così un nuovo capitolo nella vita di Filippo Neri. Si trasferisce a San Girolamo della Carità e diviene famoso come confessore. Si rivolgono a lui uomini e donne di ogni ceto sociale. Colto, è una menzogna sostenere che non conoscesse il Latino, ama accompagnare i propri discorsi con un pizzico di buon umore. “Confessa con la stessa discrezione e la stessa bonarietà sia poveri sia ricchi, sia principi sia cardinali, dando a volte penitenze alquanto bizzarre, sicuro che, dopo aver fatto una simile figuraccia, il penitente non avrebbe più provato a compiere quel peccato. Vi è ad esempio un simpatico aneddoto che narra come a una donna, che aveva il vizio di sparlare degli altri, fu comandato dal santo di spennare per strada una gallina morta e poi di raccoglierne tutte le penne volate via. Alla richiesta del perché da parte della donna, rispose che questo era come il suo sparlare, le sue parole si spargevano ovunque ma non si potevano raccogliere più tutte” (Internet).
L’apostolato di Filippo Neri è ostacolato da quanti denigrano il suo comportamento, tanto che lo stesso decide di partire come missionario per l’Estremo Oriente. Viene dissuaso da alcuni amici che lo convincono a restare. La sua missione è a Roma, città corrotta come non poche. Filippo Neri si convince e resta. Fonda nel 1554 il primo Oratorio vero e proprio. La sede è un granaio sopra la navata della chiesa di San Girolamo della Carità. Il santo si attira le critiche e le invidie di alti prelati, tra tutti il cardinale Virgilio Rosari che giunge a proibirgli di esercitare il sacramento della confessione a lui tanto caro. Filippo Neri continua la sua esperienza. Ha l’appoggio di ben quattro papi che, pur tollerando a fatica le sue bizzarrie, vedono in lui un profondo apostolo di Cristo.
Gli incontri nell’Oratorio iniziano con la lettura di qualche brano della Bibbia o di qualche altro scritto spirituale. Filippo Neri pronuncia le proprie riflessioni, invita i presenti a farne anche loro e al termine invita tutti a seguirlo per andare a visitare gli ammalati negli ospedali. Il clima di familiarità tre i presenti è ravvivato con canti presi dal repertorio popolare. Gli incontri di domenica terminano con una visita nel giardino di qualche villa suburbana o negli orti di un monastero. Nel 1564, su pressione della comunità fiorentina presente a Roma, papa Pio IV affida a Filippo Neri il controllo della chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini. Filippo Neri rimane a San Girolamo della Carità e affida la chiesa de’ Fiorentini ai giovani dell’Oratorio, diventati sacerdoti, Cesare Baronio e Alessandro Fedeli, che diventeranno con Antonio Gallonio i futuri biografi del santo.
Nel 1575 papa Gregorio XIII riconosce la Congregazione dell’Oratorio che si trasferisce nella chiesa di Santa Maria in Vallicella. Don Filippo Neri promuove innumerevoli attività. Coinvolge nella lettura della Bibbia uomini comuni, artisti, musicisti, uomini di scienza e fonda una scuola per l’educazione dei ragazzi. Filippo Neri, in tempi nei quali la pedagogia era autoritaria e spesso manesca, ha un rapporto amichevole e cordiale con i propri allievi. Si rivolge a loro in termini romaneschi: State bboni, se potete. Durante il suo pontificato, Clemente VIII propone a Filippo Neri la porpora cardinalizia. Il sacerdote parla di questa proposta con Bernardino Corona, laico della Congregazione, chiedendogli se doveva accettarla. Questi gli risponde che avrebbe dovuto accettarla. La Congregazione ne avrebbe tratto vantaggio. Filippo non lo lascia quasi terminare. Si toglie il cappello dalla testa, lo lancia in alto come un monello e pronuncia con un impeto di esaltazione mistica: Paradiso, Paradiso. Altro che cardinale! La vanità venne sempre vista da Filippo Neri come la più immediata delle tentazioni. Quanto abbiamo ancora tanto da imparare dal “giullare di Dio”, in un tempo in cui tutti muoiono dalla fregola di apparire e la vanità è diventata quasi la quinta essenza della vita. E’ una riflessione che mi è venuta spontanea fare, ma parlare di questo occorrerebbe una trattazione a parte.
Nell’aprile del 1594 Filippo Neri è colpito da una grave malattia, tanto da non poter più mortificare il proprio testamento. Federico Borromeo, che lo aveva conosciuto personalmente nei suoi nove anni di permanenza a Roma (1586 – 1595) fino a diventarne un suo figlio spirituale, si reca al suo capezzale per amministragli personalmente l’eucaristia. Il sacerdote, come dichiarerà più tardi lo stesso Borromeo, benché moribondo, dimostra ancora una forza d’animo eccezionale. Il 23 maggio si riprende in modo miracoloso tanto da officiare, due giorni dopo, la messa del Corpus Domini. Dopo la celebrazione scherza e parla con chi gli è intorno, come era solito fare da sempre. Verso le tre del mattino di questa stessa notte, tra il 25 e il 26 maggio 1995 è colpito da una grave emorragia. Filippo Neri, dopo aver benedetto la propria comunità, muore quasi sorridendo.
Un ritratto di Filippo Neri nel Philagios di Federico Borromeo.
Mancando i testi autografi di Filippo Neri, andati distrutti per il rogo appiccato al suo archivio su sua espressa volontà, la conoscenza sulla spiritualità, l’opera e il pensiero del santo, è data dai documenti prodotti dai suoi confratelli, da amici, gente comune chiamata a testimoniare al processo di canonizzazione. Questo si apre il 2 agosto 1595 e si chiude il 12 marzo 1622 quando Filippo Neri viene dichiarato santo della Chiesa Cattolica da papa Gregorio XV. La storiografia sul fondatore dell’Oratorio è marcatamente di famiglia. Don Antonio Gallonio, Pietro Giacomo Bacci, i primi sacerdoti usciti dalla Congregazione dei Filippini, furono loro a scrivere su San Filippo Neri.
Federico Borromeo, apertosi il processo di canonizzazione, fu invitata da don Antonio Gallonio a fornire la propria testimonianza sulle virtù del compianto fondatore della loro comunità. Federico, da Milano, il 14 settembre 1596 invia un testo stringato che don Gallonio trova insufficiente; lo prega pertanto di inviargli altre precisazioni, mandandogli una lettera, nel dicembre 1596. Federico replica con una lettera datata 17 gennaio 1597, giustificandosi che aveva molte occupazioni. La prima opera di Gallonio, Vita di Filippo Neri è pubblicata in latino nel 1600. Nel 1610 Federico Borromeo dà la propria deposizione ma senza aggiungere nulla a quanto aveva già detto precedentemente. Altri illustri prelati, il cardinale e vescovo di Verona Agostino Valadier, mons. Silvio Antoniano, figli spirituali del Neri, furono anche loro molto restii a rendere la loro testimonianza al processo. “La stentata loquacità o addirittura la consegna al silenzio di questi alti prelati – tutti con larga e ravvicinata esperienza del Neri – traspira non già disimpegno, ma devozione al grado di umiltà intellettuale e di riserbo rispetto al proprio mondo interiore, che avevano contraddistinto lo stile di Filippo Neri. L’uomo si era sempre negato alla pubblica esposizione di sé e in punto di morte aveva destinato alle fiamme l’intero suo archivio privato” (Gennaro Cassiani).
Federico Borromeo aspettò che uscisse nel 1622 anche la stampa della Vita di Filippo Neri a cura dell’oratoriano Pietro Giacomo Bacci. Solo nel 1623, decise di pubblicare, in appendice al suo Philagios sive de amore virtutis libri duodocim, i Dicta et facta sancti Philippi Neri alla redazione dei quali attendeva da tempo, dal giorno stesso della proclamazione della santità del Neri. Il contributo di Federico Borromeo è ripubblicato da Agostino Saba nel 1933 in appendice al suo libro Federico Borromeo e i mistici del suo tempo. I detti e i fatti di San Filippo Neri sono trascurati del tutto da Antonio Cistellini nella sua monumentale biografia del fondatore dell’Oratorio, che pubblicò nel 1989.
Durante la serata, Andrea Soffiantini (Compagnia Teatro Franco Parenti di Milano) ha tenuto desto il pubblico presente in sala con la lettura di alcuni brani estrapolati dal Philagios (pp. 554 – 557). Il testo è scritto in un Italiano del Cinquecento ma facilmente comprensibile. Riporto solo alcuni passaggi.
Borromeo chiama Filippo Neri il Socrate cristiano: “Il Santo fu un grande dissimulatore… laonde si poteva dire ch’egli fosse un Socrate cristiano, non quale egli era in effetto ma piuttosto quale esso non era. E ciò egli fece con diverse maniere tutte sante però et sì come è da credere, inspirate da Dio, perché hora con certe facetie gravi e modeste, et con alcun detto e scherzo pieno di suavità, allegrava quelli con cui conversava… “.
Filippo Neri non ebbe mai l’intenzione di dare vita a una nuova Congregazione religiosa: “Filippo Neri non ebbe mai animo, sì come egli mi disse, né in quei principi, né dopo, di fare alcuna religione… voleva che si intendesse, che quelli che si vivevano nell’istessa casa con lui, dovevano essere perfetti preti, et esemplerissimi, et humilissimi, ma non religiosi claustrali, et osservatori di quelle regole, che nei chiostri si osservano”. Questo era un tratto caratteristico della spiritualità di Filippo Neri. Le regole della Congregazione (Filippini) stenteranno a vedere la luce. Per anni, la regola di quanti erano cresciuti all’ombra del santo era che la comunità da lui fondata non doveva avere nessuna regola. Se mai ci fosse stato bisogno di dirlo, l’unica regola era quella di ispirarsi al vangelo e di obbedire all’autorità della chiesa. Le norme che regolavano la vita della Congregazione furono fissate negli Instituta e approvate da Papa Paolo V il 24 febbraio 1612.
Studioso e desideroso di rudimenti di mnemotecnica: “ Dimorando quasi tutto il giorno occupato nella cura degli altri, nella notte poi, cioè quando niuno andava da lui faceva lunghissime contemplazioni. Et sepure fra ‘l giorno alcuna piccola parte di tempo fosse restata vacua, et disobligata, egli era così amico dei libri, e del sapere, che etiandio nella decrepita vita, volle intender da me, e meco ne tenne più volte ragionamento, di una certa cognitione molto difficile da apprendersi; e come ho detto, volle intendere, come apprendere si potesse, e come io imparata l’havessi, et almeno di essa volle havere alcun saggio”.
Filippo Neri conservò, anche anziano, ottima salute, vista, udito e forza fisica: “Filippo Neri agli anni decrepiti pervenne sano, cioè senza notabile difetto, né tremanti avea le membra, né curvato il dorso, et l’udito era perfettissimo, e leggeva e poteva scrivere, e camminare e salire per aspri sentieri”. Altro che illetterato e affatto conoscitore del Latino! Filippo Neri era di una cultura molto fine. Sapeva di non sapere, per questo era il nuovo Socrate dei tempi moderni.
Filippo Neri aveva senso pratico, esperienza, diligente capacità di disamina degli avvenimenti del suo tempo, lume divino e ottima cultura patristica: “… avea letto molte e molte cose delle vite dei Padri Santi, et esso imitava quei solitari, et attentamente considerava i detti loro, et i fatti, et speculava intorno ad esso. Il che se a me piaccia io non ho necessità di manifestarlo, havendolo più volte in altri luoghi detto…”.
Insidia della colpa veniale: “Filippo Neri diceva, che era bene a tacere i propositi buoni, che si fanno, et i santi pensieri non manifestare con le parole, ma quelli dissimulare quanto sia possibile, acciocché non vengano manifestati ai demoni, e contro di loro vadano macchinando nuove insidie per distruggerli…”. Era la semplicità del Vangelo a suggerire tutto, altro che strombazzare ai quattro venti il bene che uno riesce a fare!
Riconoscere il proprio dono divino: “Mi disse ancora che a tutte le persone che si vivevano spiritualmente, et in gratia di Dio, esso Dio faceva dono d’alcuna gratia speciale e diceva che conveniva havere in ciò grandissimo avvertimento in saperla conoscere quale essa fosse; e conosciuta che ella si era, ciascuno doveva seguire il suo dono, senza traviare, e senza guastare la sua mente et indebolirla in altri affari. Se questo consiglio celeste sapessero le persone eseguire a tutte l’hore, sicuramente uomini di maggiore fama, e di virtù maggiore si vedrebbero essere nel mondo, poiché molti si perdono, et escono dagli offici del proprio stato, ai quali da Dio erano chiamati…”. Il brano si commenta da solo.
L’invidia: “Specialmente per i suoi figliuoli speciali ammoniva con efficaci, et affettuose parole, che si guadassero dall’invidia, che talvolta sopraviene nelle persone spirituali; conciosiacosachè non si sana per opera che si faccia quello che è invidiato, anzi cresce. E la ragione di questo detto veramente squisito, è questa. L‘invidia si appoggia, e quasi fa il suo nido, e si genera dentro alle buone opere, o qualità d’alcuna persona, in quella guisa, che il tarlo nasce, non nella corteccia del legno, ma nella miglior parte, e più perfetta di lui. Dal che ne segue, che quanto più crescono le buone opere nell’invidiato, et i segni di perfetione, humiliandosi, amando caritativamente, e giovando, tanto maggiormente l’invidiante cresce in invidia, poiché cresce quel bene, e quella laude, e quel merito, che in lui produce, per la sua propria malignità, si fatto livore…”. L’umiltà è sempre più una merce rara. Non abita quasi più in nessun luogo e persona
L’ira: “Diceva parimenti il santo ai suoi figliuoli, che sommamente si guardassero dall’ira, poiché oltre allo scandalo diceva di aver osservato, che simili sdegni, e malagevolezze, talvolta lungo tempo durano, né perfettamente si riconciliano spesso. La ragione di questo, quando così avviene, potremo dire che sia, perché a loro pare di avere giusto titolo, et occasione di far così, e sotto il manto dell’onesto ricoprono il vitio; et assai volte credendo di non odiare, odiano…”.
Non desiderare la morte, ma perseguire il distacco dalle passioni: “… Egli (Filippo Neri) diceva, parlando in persona propria, e, sì come credo, volendo che i suoi discepoli imparassero da lui, che egli non era giunto a tanta perfetione di desiderar di morire, sì come già lo desiderava S. Paolo; ma che più tosto, esso non desiderava di morire da amore disordinato della vita presente, ma perché, innanzi di passare dalla vita presente, desiderava di fare qualche bene, non avendo egli infino a quell’ora fatto nulla… Aggiungasi ancora, che l’amore della morte, a fine di conseguire il riposo eterno, talvolta non ha in sé quella perfetione che uno crede, poiché si vorrebbe uscire dalla presente vita, per uscire dagli affanni, et allora noi non amiamo Dio ma piuttosto amiamo noi stessi…” (Il ritratto di Filippo Neri nel “Philagios” di Federico Borromeo, in Tornare alle fonti. San Filippo Neri e la nascita del cattolicesimo moderno, a cura di D. Zardin e G. Cassiani, in Linea-Tempo. Itinerari della ricerca di storia, letteratura, filosofia e arte, 8 (2015).
Filippo Neri in una lettera inedita di Annibal Caro.
Aldo Caporaletti, promotore e organizzatore culturale della conferenza, ha letto una parte della lettera scritta dal commendatore Annibal Caro (6 giugno 1507, Civitanova Marche – 17 novembre 1566, Roma). L’illustre cittadino di Civitanova Marche fu quasi contemporaneo di Filippo Neri. Il documento epistolare fu scoperto, privo di data e destinatario, dal principale studioso del Caro, Aulo Greco, pubblicato nel 1955 sulla Rivista di storia della Chiesa e riportato nel terzo volume delle Lettere familiari (Le Monnier, 1957). Molto probabilmente, come scrive Aulo Greco nelle note, è diretta ad un seguace di Filippo Neri. Per quanto riguarda la data, essa è stata scritta non prima del gennaio 1562, epoca approssimativa della morte di Alessandro Corvini, il personaggio principale della lettera, sulla cui morte si trovano frequenti accenni nella lettera stessa. E’ anche probabile che sia stata composta dopo la morte del cardinal Ranuccio Farnese, avvenuta nel novembre 1563, il quale, se fosse stato ancora in vita, sarebbe certamente intervenuto nella controversia fra l’autore e Filippo Neri, essendo ben al corrente dei fatti.
Annibal Caro, nella lettera, risponde ad una missiva inviatagli da un seguace di Filippo Neri. “Alessandro Corvini fu maestro di Casa del Cardinale Guido Ascanio di Santa Fiora (Roma, 26 novembre 1518 – Villa Canedo, 6 ottobre 1564), raccoglitore di oggetti antichi; negli ultimi anni della vita entrò nella “setta” di San Filippo Neri (Aulo Greco). Nella lettera si parla in sostanza di un atto di compravendita. Ranuccio Farnese aveva incaricato Annibal Caro di vendere interamente tutte le anticaglie del suo studio. Il compratore, probabilmente Alessandro Corvini, ritiene che il cardinale intendesse vendere tutto il proprio studio non solo le anticaglie ma anche le opere di maggior pregio. Questo non era vero, ribatte il Caro, tanto da aggiungere alquanto risentito: “La bugia si disconviene agli uomini ordinari, nonché ai santi”.
Annibal Caro insiste nel sostenere che il cardinale gli avesse detto di vendere solo quelle cose che gli aveva consegnate. “La qual clausola – continua Annibal Caro – è purtroppo chiaramente messa in fraude da la convenzione fatta, e diversa dalla prima intenzione che dette di venderle tutte, come si truova da coloro che hanno negoziato il partito”. Nella stessa lettera, il Caro chiama in causa un altro raccoglitore di antichità, Achille Maffei, romano, canonico di San Pietro. Filippo Neri rimane sullo sfondo della polemica ma non poteva essere all’oscuro della vicenda. Aggiunge, infatti, A. Caro: “Di messer Filippo Neri, poiché me ‘l nominate in particolare, io mi rimetto a quel che n’è detto e creduto da altri, e in questo caso, dicendo voi che egli non s’è mai intricato in questo affare, vi rispondo che si sa benissimo essere stato lui autore e testimone al suo testamento, e che si dimenò molto per far che disponesse a modo di voi altri, e perché altri non gli parlasse”.
Il Caro crede alla povertà e alla testimonianza di Filippo Neri. “Crederei ancora che messer Filippo avesse dato volentieri tutto il suo per l’amor di Dio, se non che egli avesse altro che una lira, la qual penso che gli mettesse conto a cambiarla con gli organi di S. Ieronimo”. “Filippo Neri aveva costruito sopra una delle navate minori della chiesa di San Gerolamo della Carità presso Piazza Farnese, il suo primo oratorio, focolare del suo apostolato, germe della futura Congregazione dell’Oratorio. In quella chiesetta e anche altrove egli e i suoi discepoli, tuttora laici, predicavano, come in terra di missione, sopra le virtù cristiane, le vite dei santi e la storia della Chiesa, mentre con le prime poesie e i primi canti già fiorivano ivi le primizie dell’Oratorio musicale” (Aulo Greco, lettere familiari di Annibal Caro, nota pag. 262).
Dopo l’intervento di Aldo Caporaletti è stato proiettato il video del brano: Vanità di vanità di Angelo Branduardi. E’ la colonna sonora del film State buoni se potete (1983), per la regia di Luigi Magni.
https://www.youtube.com/watch?v=VCqPVDKoMD8
Curiosità
Le Marche hanno avuto sempre contatti con la vicina Roma. Filippo Neri fonda nel 1579 la comunità dell’Oratorio a San Severino Marche. “La chiesa, – conosciuta come – Il Santuario di S. Maria dei Lumi, fondata dai primi Padri Filippini, stabilitisi nella città settempedana, venne costruita nel 1586 su disegno dell’architetto Giovanni Battista Guerra. Nell’impianto a croce latina centralizzata, singolare dal punto di vista compositivo è la costruzione dell’Oratorio ipogeo… a causa del sisma del 2016 la chiesa risulta inagibile” (internet).
Nel 1624, due anni dopo la canonizzazione del loro fondatore, la Congregazione dei Filippini erige a Macerata la prima chiesa al mondo dedicata a San Filippo Neri. E’ nel cuore della città, lungo il Corso della Repubblica, nel cinquecento chiamata “Strada Nuova”, all’incrocio con la strada che scende verso Santa Maria della Porta. Dopo il terremoto del 1997 è stata chiusa per diversi anni a causa dei danni inferti alla struttura. E’ stata riaperta al pubblico il 22 dicembre 2012, nuovamente danneggiata dopo i terremoti del 2016. Rappresenta il più bel Gotico delle Marche, una vera bomboniera, nel cuore di tutti i maceratesi.
La chiesa dedicata a San Filippo Neri, a Fermo, è situata lungo Corso Cavour, vicina all’ex Collegio dei Padri Filippini, oggi sede del Palazzo di Giustizia. La prima pietra del nuovo tempio fu posta con ardite fondazioni sui dirupi retrostanti la Contrada San Bartolomeo il 9 maggio 1594. L’edificio sacro venne consacrato e benedetto il 2 giugno 1607 dall’arcivescovo di Fermo, mons. Alessandro Strozzi.
Al termine della conferenza, sono venute alla luce diverse curiosità che legano Civitanova Marche a Roma, nel corso di una conversazione amichevole tra Aldo Caporaletti, il relatore prof. Gennaro Cassiani e un signore del pubblico. Il Card. Federico Borromeo aveva quale segretario il civitanovese Papirio Bartoli. Nel 2013 fu presentata una sua piantina di Civitanova Alta, ritrovata alla British Library di Londra. Papirio Bartoli è nato a Civitanova Alta prima ante 1564 circa. Fu giureconsulto. Si iscrisse allo studio perugino di Diritto il 14 novembre 1584. Nel 1593 è a Roma come Agente del cardinale Federico Borromeo, rimarrà ai suoi servizi per circa quarant’anni. La piantina di Civitanova Alta vien stampata a Roma da Simone Bartoli, un suo nipote. Prima di questa scoperta si conoscevano solo le piantine di Giacomo Lauro (1630), Pierre Mortier (1704), Thomas Salmon (1761). Il nome di Papirio Bartoli è associato anche ai lavori di ristrutturazione esterna e interna della Basilica di San Pietro fra il 1615 ed il 1623. Criticava i progetti di Carlo Maderno e proponeva un suo progetto che non venne approvato. Il Centro Studi Civitanovesi ha pubblicato nel giugno del 2013 la piantina di Papirio Bartoli nel volume Civitanova Immagine e Storie, Nuova Serie 3 (16). In un apprezzato lavoro “… Hanc suae patriae plantam… Cum picturis fideliter factam…” – Papirio Bartoli e la sua misconosciuta piantina di Civitanova del 1613, il prof. Alvise Manni tratteggia sapientemente la figura di Papirio Bartoli, il suo progetto relativo alla facciata della basilica di San Pietro e quello per il coro pontificio e l’Altare (Ibidem, pp. 13 – 25).
Raimondo Giustozzi
Non è un commento ma una correzione. E’ stato un lapsus. Nel paragrafo riguardante la chiesa di San Filippo Neri a Macerata, ho scritto che l’edificio rappresenta all’interno il più bel gotico delle Marche. Ovviamente volevo dire barocco.
Chiedo scusa al lettore.
Raimondo Giustozzi