di Valerio Calzolaio
Wukro, Colonia Eritrea. Febbraio e marzo 1960. I coniugi Emma Giusti e Francesco Campani da settimane non riescono più a dormire perché Viola, la piccola figlia di un anno e mezzo, li fa stare svegli, insieme o a turno, saranno forse i dentini e i primi curiosi passi. Entrambi lavorano a Macallé, lei è ricercatrice all’Istituto Agricolo Coloniale, lui è il commissario della questura; fanno i pendolari con il treno tutti i giorni lavorativi; vivono nel villino sul retro dell’albergo Fiesole e lasciano la bimba a casa con la coetanea Rita, figlia dell’eritrea Kokeb (che soprassiede ai vari lavori domestici) e del marito Salvatore (che lavora all’albergo e tifa Napoli); a Macallé prendono la funicolare che scende verso il centro, lui è quasi arrivato, lei deve ancora prendere un taxi. Siamo quasi alla vigilia delle inedite elezioni della prima assemblea parlamentare coloniale, voteranno gli eritrei che hanno almeno la licenza elementare e la metà dei seggi sarà comunque riservata agli italiani, ci si avvierà lentamente verso una qualche indipendenza. Circa alle quattro di quel pomeriggio una donna chiede di parlare con il noto poliziotto “che trova sempre la soluzione”, così spiega vagamente a Campani di essere la governante di casa Baraldi e di aver visto dal gioielliere proprio gli orecchini (con la mezzaluna gialla e la stella blu) appartenenti a Fiorella Fiyori Baraldi, la 26enne figlia meticcia del generale, scomparsa nel maggio 1959, laureata in biologia a Palermo e da fine 1958 tornata in Eritrea. Partono le indagini, grazie agli orecchini risalgono ai vari venditori, scoprono che è stata uccisa, seppellita in uno sperduto villaggio a cinquanta chilometri da casa, poi che era incinta al quarto mese. Dovranno scavare dentro pregiudizi e privilegi di classe e di razza, come anche fra antichi rancori e segreti familiari. Per il tranquillo e gentile commissario venirne a capo richiederà intuito e furbizia.
Terzo romanzo della serie Campani per l’agronomo di formazione, informatico di deformazione e scrittore campagnolo Luca Ongaro (Firenze, 1957), il primo per la collana Enigmi della nuova casa editrice milanese. Nella prefazione spiega che la sua prima missione ad Asmara da funzionario della cooperazione internazionale avvenne nel 1994 e che successivamente è tornato molte altre volte da quelle parti. Nel prologo l’assassino colpisce da dietro la ragazza già ferita. La narrazione è poi in terza fissa sul protagonista commissario, nato e cresciuto a Wukro, il tigrino come l’italiano, tifoso della Fiorentina (quell’anno in lotta per lo scudetto con la Juventus, infine seconda per il quarto anno consecutivo), una cinquantina di capitoli, raramente intervallati da alcuni personaggi che raccontano in prima persona una parte della loro storia. La brutta strada del titolo è quella non asfaltata, bianca di pietrisco, noiosa e accidentata, tra la cittadina di Campani e le distese di campagna verso Tsigereda (vero) e Tsada Amni (inventato). La topografia è stata completamente asservita al romanzo, giallo invero. Gli orecchini erano serviti a comprare i libri di scuola. Emma è esperta di acque e suoli, le sue competenze saranno utili, la mamma sta a Vicenza e ha l’accento austriaco. Tanta birra e un po’ di vino, ma la moglie del negoziante di scarpe è di vicino Macerata e fa provare ai due questurini i Vincisgrassi (mitici), loro portano vino bianco buono. Al teatro Ariston c’è l’orchestra di Renato Carosone, in tournée, occasione impedibile e irripetibile!
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