Una pena. Non so se sia possibile definire diversamente la domenica 29 novembre, giorno di svolgimento delle elezioni per il rinnovo dei consigli di quartiere. Sette ne abbiamo di quartieri: tre non hanno accolto l’appello elettorale, in un altro non si è riusciti a formare una lista, in un altro ancora, infine, non si è raggiunta la percentuale di votanti necessaria, che è niente meno il 10%. Si legge sulla stampa che in uno dei due quartieri in regola con lo Statuto, circa la percentuale in parola, ha votato il 15% degli aventi diritto e nell’altro il 13% .
Ricordo che nei primi anni ’70, quando si votò la prima volta per eleggere i comitati di quartiere, la partecipazione fu altissima. Poi, piano piano (ma manco tanto) l’interesse venne meno insieme alla partecipazione e il tutto si squagliò velocemente. Non si sentì più parlare di quartieri per diversi anni.
Lo stesso accadde quando vennero varati i decreti delegati sulla scuola, nel 1974. Grande entusiasmo, specie da parte dei genitori che pensavano di poter finalmente avere voce nella scuola dei loro figli. C’erano quelli che avrebbero voluto mettere il becco sulla scelta dei libri; quelli che pensavano di poter dettare norme di comportamento ai docenti etc,… etc… Nel mio liceo, una madre chiese al collega di lettere di eliminare Monti e Manzoni dal programma di letteratura: roba stantia, disse.
Però, la voglia di fare c’era, eccome. Tuttavia, furono in molti, anzi fummo in molti a non accorgerci subito quanto fosse poco reale quell’apertura della politica alla cooperazione tra le componenti della scuola. Subito vennero le prime disillusioni, quando, presto, si prese coscienza che la composizione dei consigli di Istituto non dava scampo agli “estranei”: tu potevi argomentare fino a notte inoltrata, ma tutto finiva regolarmente secondo il volere di noi insegnanti, che disponevamo sempre la maggioranza dei chiamati a decidere, rinforzati dalla presenza del preside e di un rappresentante del personale non docente. Lo stabiliva la legge istitutiva degli organismi di partecipazione nella scuola.
Quando gli italiani capirono che si trattava di una fregatura e che loro, i genitori, un potere reale dentro la scuola non l’avrebbero mai avuto, la faccenda finì come per i quartieri di Porto Recanati: finì a schifìo con al comando chi c’era sempre stato e gli altri a scaldare le sedie. Esprimo un giudizio eccessivamente negativo? Può essere, ma ho sentito pochi genitori che mi abbiano dato torto in proposito. E chi lo ha fatto ha pur dovuto ammettere che la grande attesa era stata in buona parte delusa. Tutto ciò al di là della buona volontà e dell’impegno profuso dalle persone che impegnandosi nei consigli di istituto o nel lavoro di quartiere speravano di avere la possibilità di dare un contributo alla crescita della Comunità.
Ora, il problema non sarà certamente semplice, ma ho l’impressione che o a questi organismi la legge affida un potere reale, delle competenze in materie specifiche dove chi dirige scuole o chi amministra comuni sia obbligato a sentire il parere dei cittadini genitori degli alunni o dei cittadini del quartiere su determinate materie o è meglio darsi alla rassegnazione.
lino palanca
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