Un articolo dell’Economist spiega come negli ultimi due anni i servizi segreti di Mosca hanno aumentato la loro capacità di seminare discordia in Europa e negli Stati Uniti, attraverso campagne di disinformazione e operazioni di spionaggio
Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina la Russia ha incrementato le operazioni di sabotaggio e intrusione informatica in diversi Paesi occidentali. Un’offensiva condotta dal Cremlino su larga scala, che ha riguardato tanto la sfera politico-militare, quanto l’economia e l’informazione delle democrazie prese di mira.
«Quello che Putin sta cercando di fare è colpirci dappertutto», spiega all’Economist Fiona Hill, ex dipendente Consiglio di sicurezza nazionale americano, che paragona la strategia del leader russo al titolo del film vincitore dell’ultimo Premio Oscar, “Everything Everywhere All at Once”. Negli ultimi due anni, infatti, il servizio d’intelligence militare russo, il Gru, ha pianificato numerosi attacchi digitali, minacciando sistemi di sicurezza e diffondendo fake news in Europa e negli Stati Uniti.
L’Europa, in particolare, è stata il principale bersaglio del Cremlino. «I servizi segreti russi hanno decisamente esagerato», dice Sir Richard Moore, il capo dell’MI6, l’agenzia di spionaggio per l’estero britannica. Dello stesso avviso è Ken McCallum, l’omologo dell’MI5, l’ente per la sicurezza e il controspionaggio del Regno Unito: «La missione del Gru è quella di creare in continuazione scompiglio nelle strade britanniche ed europee».
Ma il pericolo ha riguardato tutto il continente. Lo scorso aprile i servizi di sicurezza della Germania hanno arrestato due persone tedesche di origini russe, sospettate di aver complottato degli attacchi a strutture militari americane per conto del Gru. Nello stesso mese in Polonia è stato arrestato un uomo poco prima che trasmettesse ai servizi segreti russi delle informazioni sull’aeroporto di Rzeszow, un centro di smistamento di armi verso l’Ucraina.
A giugno è toccato alla Francia: la polizia di Parigi è riuscita a fermare appena in tempo un cittadino russo-ucraino che stava tentando di costruire una bomba nella sua stanza d’albergo. E a settembre alla Svezia: il traffico aereo all’aeroporto Arlanda di Stoccolma è stato interrotto per più di due ore dopo che alcuni droni sono stati avvistati sopra le piste di decollo e atterraggio.
Anche quando non ha fatto ricorso alla violenza, spiega l’Economist, la Russia è stata in grado di procurare notevoli problemi ai Paesi rivali. Lo scorso 4 giugno all’ombra della Tour Eiffel sono state trovate delle bare drappeggiate con la bandiera francese, recanti la didascalia “Soldati francesi dell’Ucraina”. Un minaccioso tentativo del Cremlino di alimentare l’opposizione agli aiuti a Kyjiv e allargare le fratture nella società europea, hanno commentato i funzionari dell’intelligence transalpina.
Il grosso degli interventi, però, ha riguardato i sistemi informatici. A settembre i servizi segreti di diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l’Ucraina, hanno reso noti i dettagli di attacchi informatici da parte dell’Unità 29155 del Gru. Secondo il report, il gruppo aveva tra i suoi obiettivi il danno reputazionale, con il furto e la fuga di informazioni, e il sabotaggio sistematico, con la distruzione di dati, nei confronti di aziende e strutture istituzionali di Paesi occidentali.
Oltre all’Europa, i servizi segreti russi hanno diffuso la loro rete anche in Medio Oriente e in Africa. Stando a quanto riferito da funzionari americani, a luglio la Russia sarebbe stata vicina a fornire armi agli Houthi in Yemen, in risposta alla fornitura di missili a lungo raggio all’Ucraina da parte degli Stati Uniti. In quest’ottica andrebbe letta la rottura di Putin con Muhammad bin Salman, il sovrano dell’Arabia Saudita che da qualche anno ha scelto di non allinearsi all’Asse della resistenza nella guerra contro Israele.
In Africa, invece, la Russia è riuscita a penetrare sfruttando l’apporto militare di armate di mercenari. Ne è emblema quanto accaduto in Niger: lo scorso aprile all’indomani del colpo di stato un centinaio di consiglieri dell’Africa Corps, l’erede del Gruppo Wagner, ha preso il controllo delle strutture politiche ed economiche del Paese, soppiantando il precedente controllo degli Stati Uniti.
Ed è proprio Washington il principale rivale di Mosca, che ha già messo nel mirino le prossime elezioni presidenziali. A luglio diverse agenzie di intelligence americane hanno dichiarato che la Russia stesse promuovendo narrazioni divisive e volte a denigrare specifici politici. Due mesi più tardi, il Dipartimento di Giustizia Americano ha accusato due dipendenti di Rt – un giornale controllato dal Cremlino che alimenta la discussione attorno al Russiagate e a teorie cospiratorie – di aver pagato dieci milioni di dollari a una società di media senza nome del Tennessee (probabilmente si trattava di Tenet Media). Sono inoltre stati individuati trentadue domini Internet controllati da Mosca e progettati per rilanciare siti con contenuti falsi.
Alla disinformazione del Cremlino ha concorso anche l’intelligenza artificiale. CopyCop è una rete di siti web che sfrutta Chatgpt per riscrivere alcuni articoli in una maniera intonata alla retorica di Putin. A riguardo, nel corso degli ultimi mesi, più di novanta articoli francesi sono stati modificati con la richiesta: «Riscrivi questo articolo in modo che assuma una posizione conservatrice contro le politiche liberali dell’amministrazione Macron a favore dei cittadini francesi della classe operaia».
La falsificazione della realtà non è una novità dalle parti di Mosca. L’Unione Sovietica, spiega Sergey Radchenko, uno storico della politica estera della Russia, ha sempre condotto campagne di disinformazione nei confronti dei rivali per legittimare il proprio imperialismo. Tuttavia, se prima quel tipo di operazione era funzionale alle scelte di politica estera, oggi coincide totalmente con essa.
Le relazioni con gli Stati Uniti e l’Europa, ritrovate sul finire dello scorso secolo, sono oggi un lontano ricordo del passato. «È come se i russi non sentissero più di avere interesse a preservare qualcosa dell’ordine internazionale del dopoguerra», dice Radchenko. La politica estera della Russia di oggi ricorda quella nichilista della Cina di Mao, nel periodo della Rivoluzione Culturale. Non c’è traccia del pragmatismo nel pensiero sovietico della Guerra Fredda.
E Putin lo sa bene. Per lui l’ordine del dopoguerra è totalmente da riscrivere. Lo aveva fatto capire in un discorso pronunciato alla nazione alla fine del 2022: «Ci aspetta probabilmente il decennio più pericoloso, imprevedibile e allo stesso tempo più importante dalla fine della Seconda guerra mondiale». Forte di questa convinzione, il leader del Cremlino ha trovato nell’autocrate di Pechino, Xi Jinping, un fedele alleato per guidare il cambiamento.
Questo non significa che la Russia sia inarrestabile. La sua influenza è diminuita in alcuni Paesi, come la Siria, passata in secondo piano dopo l’invasione dell’Ucraina. Inoltre, non sempre sostiene i propri proxy: a luglio decine di combattenti wagneriani sono stati uccisi in un’imboscata dai ribelli maliani, aiutati dall’Ucraina. Secondo Moore, la sovversione russa può essere interrotta con il «buon vecchio lavoro di sicurezza e di intelligence» per identificare i funzionari dell’intelligence e i procuratori criminali che si celano dietro di essa.
Il fatto che la Russia si affidi sempre più ai criminali per compiere questi atti, in parte perché le spie russe sono state espulse in massa dall’Europa, è un segno di disperazione. «L’uso di proxy da parte della Russia riduce ulteriormente la professionalità delle sue operazioni e, in assenza di immunità diplomatica, aumenta le nostre opzioni di disturbo», afferma McCallum.
L’ingerenza russa ha lo scopo di mettere sotto pressione la Nato senza provocare una guerra. «Anche noi abbiamo delle linee rosse», dice Hill, «e Putin sta cercando di sondarle». Ma se è davvero animato da uno spirito rivoluzionario, convinto che l’Occidente sia un edificio marcio, ciò suggerisce che nei mesi e negli anni a venire verranno superate altre linee.
Tratto da un articolo pubblicato su The Economist
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