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Romanzo di Eraldo Affinati: Il Vangelo degli angeli

Copertina librodi Raimondo Giustozzi

Eraldo Affinati nei suoi libri si è sempre messo sulle orme dei personaggi, oggetto della propria scrittura. Si ripete nel romanzo “Il Vangelo degli Angeli (2021). Si mette sulle tracce di Gesù, il nazareno, di cui ripercorre tutta l’esistenza terrena, dalla nascita, all’adolescenza, alla giovinezza, alla predicazione, alla scelta degli Apostoli, alla morte sul legno della croce. La fonte di ispirazione è quella dei vangeli, Luca e Giovanni soprattutto, ma con qualche riferimento anche agli Atti degli Apostoli. Di queste fonti documentarie non snatura nulla, le usa anzi con grande precisione e rispetto. La narrazione si sviluppa per quattrocento novantasette pagine. Detto così, sembrano tante ma non è affatto vero. Tutto il libro si legge con piacere perché nulla è noioso. Il racconto si distribuisce in cento ventitré capitoli brevi. La scrittura è lineare, priva di fronzoli, con frasi brevi. Lo stile si avvicina molto a quello del giornalista reporter che osserva, ascolta, narra e descrive paesaggi, episodi, volti, luoghi. Tutto viene contestualizzato. Il quadro finale è una rappresentazione della Palestina al tempo di Gesù di Nazareth, quale è raro ritrovare in altri libri.

Il viaggio di Maria verso Ain Karim, il villaggio di Zaccaria, in visita alla cugina Elisabetta: “Maria si era messa in viaggio per andare a trovare Elisabetta: doveva attraversare un territorio molto vasto. Alcuni mercanti amici del padre la fecero salire sul loro carretto. Furono giorni lunghissimi sugli sterrati della Samaria fino in Giudea, fra ciottoli, sabbia e polvere, nella fatica profusa dentro la promessa di un nuovo orizzonte. Tante formiche vennero schiacciate sotto le ruote della carovana mentre procedevano in fila indiana alla ricerca di un pezzetto di pane segnalato dalle esploratrici e nessuno le avrebbe ricordate mai, almeno in questo mondo, mentre nell’atro anch’esse furono registrate entrando di diritto nelle preziose liste dell’Impossibile Dimenticanza” (Eraldo Affinati, Il Vangelo degli Angeli, pag. 27, HarperCollins editore, Milano, 2021).

L’unico espediente che può mettere in difficoltà il lettore è la scelta, fatta dall’autore fin dalle prime pagine del romanzo, di affidare agli Angeli l’incarico di portare nel mondo la buona novella, il Vangelo. Qualcuno può trovare troppe atmosfere fantasy nella descrizione di questi angeli, ma tutto rimane nel solco del Vangelo, senza cedimenti a favole incantate. Abitano in un mondo lontano. Intervengono ogni qualvolta nel mondo si ha bisogno del loro aiuto: “Entrati a far parte della Guardia Reale – la compagnia di gran lunga più ambita, veterani di bivacchi sopramondani, si addestravano con dedizione per mostrarsi preparati alla chiamata. Che poteva avvenire in qualsiasi momento. Senza preavviso. Bastava che l’incredibile squillo dei trombettieri marzialmente schierati sui contrafforti si diffondesse da una parte all’altra del castello per eccitare gli animi degli eletti e scandirne il battito nascosto del cuore” (Ibidem, pag. 8 ).

Sono gli angeli che legano la terra al cielo e viceversa. Gabriele, Michele e Raffaele occupano di norma lo spazio speciale destinato agli arcangeli: un baldacchino leggermente obliquo nel versante nordico, dotato di pulsantiere fosforescenti per rispondere subito, anche di notte, alle eventuali richieste di intervento operativo. Sono tutti nomi cari alla tradizione cattolica. Accanto a loro ci sono altri angeli che affiancano Gesù durante la predicazione. Tra questi c’è Silvano: “Un tempo era stato nel mondo. Aveva combattuto da prode nelle piazze sterminate della Siberia profonda quando gli uomini, riuniti in bande di facinorosi alla ricerca di cibo garantito dalla selvaggina, si scannavano tra loro. Uno stregone della tribù, bisbigliano formule magiche, gli aveva fatto cadere sulla fronte del montone sacrificato nella speranza di poterlo salvare dalla carneficina imminente, che invece non lo risparmiò… Morì giovanissimo, falciato come grano di giugno, sotto gli sguardi ebeti della cornacchia e del topo che per giorni e giorni se ne contesero i poveri resti. Appena la sua anima raggiunse, accompagnata dal corteo dei fenicotteri rosa, le sere celesti, venne subito intercettata dai frontalieri che, riconoscendo in lui l’agilità insieme all’intraprendenza, fecero di Silvano un inviato speciale”… Consegna a Gesù “una busta sigillata che conteneva spunti preziosi da trasmettere agli uomini ciechi, come venivano talvolta soprannominati i nostri simili dagli arcangeli più avvertiti: individui pronti a perdere la vita per un nonnulla, incapaci di vedere le ombre vane in cui erano avvolti” (Ibidem, pp. 112- 113).

Gesù non tarda a dare le consegne agli apostoli e a quanti lo seguivano: “Quando fra poco vi metterete in viaggio non prendete nulla con voi, né bastone, né borsa, né pane, né monete, e non portate nemmeno un vestito di ricambio”. “Questo ideale di leggerezza percosse l’immaginazione di un angelo, che si ricordò il giorno in cui lo avevano accolto nella ridotta superiore. Era entrato dal boccaporto dei vecchi giocolieri, in una soffitta di stelle sfinite quasi senza più luce… il primo segretario, un ometto dai baffetti sottili e la giacca con i bottoni di legno, gli disse di lasciare in magazzino tutto ciò che aveva: borsellino, mantello, pugnale e collane. Sauro, così si chiamava, ripose sul tavolo i propri averi che vennero gettati nel mucchio da alcuni atletici inservienti… Adesso nel vedere gli apostoli ansiosi e concentrati attorno al maestro, avrebbe voluto confortarli, ma gli era stato detto di non intervenire poiché la ruota doveva compiere il suo giro senza interventi esterni. Ma infine. Chi riuscirebbe a vivere come un angelo in terra? Abbiamo sempre bisogno di scorte e bagagli, programmi e risparmi, non ci abbandoniamo mai come foglie al vento. Per questo siamo umani: sempre feriti e ferini. Perdiamo sangue dopo aver subito i colpi e a nostra volta non tardiamo a restituirli. Le istruzioni appena ricevute andavano in senso contrario: bisognava impararle. Non sarebbe stato facile” (Ibidem, pp. 160- 161).

La narrazione degli eventi terreni, riguardanti la predicazione di Gesù di Nazareth, si intreccia in tutto il romanzo con riflessioni a tutto tondo sulla fragilità umana, nostra e quella degli apostoli. Gli angeli irrompono nelle vicende, mischiandosi agli uomini e alle donne di quel tempo per sostenere e incoraggiare con tutta l’umanità di cui sono capaci. La predicazione del maestro imponeva a tutti una serie di domande alle quali era difficile se non impossibile dare della risposte: “Cosa significa avere fede? Che senso attribuire al male umano? Quale uso possiamo fare della nostra libertà? Perché la giustizia terrena non ci basta? Come dobbiamo esercitare la responsabilità che sentiamo nei confronti degli altri? Queste antiche domande, che hanno sempre alimentato l’ispirazione etica e civile di Eraldo Affinati, stavolta si misurano con l’amore di Cristo verso di noi, rilanciando, per credenti e non credenti, la forza imperitura del suo messaggio” (Nota Editore, Fonte Internet).

 

Arcarius, un ex legionario, viene da Roma. Ascolta e segue il maestro. Tutti si chiedevano cosa avrebbero trovato nell’aldilà Sembra che abbia capito più degli altri, apostoli compresi, il messaggio del nazareno: “Ciò che troveremo nell’aldilà non sarà una questione di castighi e ricompense. Mettetevelo bene in testa, sapientoni. Ciò che si sta dando Gesù non è un catalogo di buone azioni da compiere: quelle sono già scritte nei testi sui quali vi siete formati. Almeno voi dovreste conoscerle da sempre. Piuttosto sono io che devo impararle” (Ibidem, pag. 325). Arcarius si stacca dal gruppo dei seguaci del nazareno, dopo la profezia del maestro sulla tragica fine di Gerusalemme: “Verrà il tempo in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee. Ti assedieranno e premeranno su di te da ogni parte. Distruggeranno te e i tuoi abitanti e sarai rasa al suolo perché non hai saputo riconoscere il tempo nel quale Dio è venuto a salvarti” (Ibidem, pag. 332). L’ex legionario romano parte per altre regioni. Supera fiumi e confini avanzando a testa bassa nelle piane sterminate lungo la Via della seta, finché giunge in un agglomerato di povere case alle spalle di un fitto bosco dove resterà fino al termine dei suoi giorni, sognando sempre il nazareno (pag. 333). Arcarius, missionario della buona novella tra gente sconosciuta, fa conoscere il messaggio di Cristo prima della morte e resurrezione del maestro. Può anche essere stato così. Lungo le grandi vie carovaniere e strade consolari romane, assieme ai mercanti, soldati, funzionari e gente comune, girava la cultura, l’arte, la religione. Arcarius primo apostolo delle terre asiatiche prima di Cirillo e Metodio? Non è uno scandalo immaginarlo.

La gente correva entusiasta ad ascoltare il maestro, percorrendo le strade polverose della Palestina di allora, portandosi dietro bambini, masserizie, e le preoccupazioni della vita quotidiana. Accanto alla descrizione di ambienti geografici ricchi di fascino, nel testo trovano spazio anche molte riflessioni di chi segue il nazareno: “Gli entusiasti della prima ora, giovani e uomini adulti alla ricerca di una sapienza di cui parevano non poter fare a meno, camminavano dietro a Gesù. Non perdevano il passo. Volevano stargli vicino per assorbire come spugne tutto ciò che diceva. Nei loro sguardi sbilenchi si celavano le antiche domande sulla vita e sulla morte. I movimenti sospesi dell’infanzia. La rabbia dell’adolescenza. L’ansia della gioventù. I timori dell’età matura. Chi non si accontentava di lavorare tutto il giorno. Chi sperava ci fosse qualcos’altro. Chi avrebbe voluto una ragione per uccidersi. Chi sentiva l’atrofia degli amori consumati. Chi giocava a rimpiattino con se stesso. Chi piangeva di nascosto per non farsi vedere. Una potenza ineguagliabile emanava dal vecchio ragazzo di Nazareth”(Eraldo Affinati, Il Vangelo degli Angeli, pag. 99, HarperCollins, Milano, 2021). Le loro domande sono anche le nostre.

 

Sul numero dei discepoli i Vangeli della tradizione cristiana parlano che erano diverse migliaia ma non sappiamo nulla su come si chiamassero. Moché, un bambino, riesce a superare gli sbarramenti creati dagli Angeli e si avvicina al maestro. “Ha occhioni grandissimi, neri. Carnagione scura. Guance paffute. I ricci erano duri come setole: se gli passavi la mano sulla testa, avevi l’impressione di una spazzola. Era davvero piccolo e già molto curioso: la madre ogni tanto se lo perdeva; dopo averlo ritrovato, gli dava qualche buffetto di rimprovero. Lui, invece di piangere, rideva e questo lo rendeva simpatico a tutti. Se ne andava in giro a bighellonare e in quei giorni gli capitò di incrociare il rabbi diretto verso il monte. Per gli uomini del suo tempo era normale cercare un po’ di raccoglimento. Il cielo azzurro mediorientale aveva trionfato sempre sulle rovine delle numerose guerre combattute fino ad allora. Il sole continuava ad asciugare il sangue delle spade. La pace andava e tornava come un sogno” (pp. 103- 104).

Il maestro è in compagnia dei dodici apostoli: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Simone, Giuda, figlio di Giacomo e Giuda Iscariota. Gesù sta salendo su un monte sul quale proclamerà le Beatitudini. Gli Angeli hanno un gran da fare. Tengono lontana la folla, temendo che possa succedere qualcosa al rabbi. Tutti vogliono avvicinarlo e toccarlo. Moché incontra la sguardo di Gesù che gli sorride. Il Regno è dei piccoli e degli ultimi, ma anche il peccatore incallito, pentendosi, è amato; anche per lui c’è posto in questo nuovo Regno. Moché, dopo aver fissato Gesù, scappa a gambe levate. “Corse a perdifiato riattraversando il pianoro da cui era venuto. La gente stava ancora lì in fervida attesa. Arrivò a casa poco prima dell’imbrunire ma incredibilmente la madre non disse niente, di solito lo sgridava per molto meno, anzi gli diede da mangiare un dolce di riso e miele che in genere preparava soltanto per le occasioni speciali e sapeva quanto Moché ne fosse ghiotto” (pag.105).

Tutto il romanzo è ricco di figure che non appaiono nei Vangeli. Sono uomini, donne, bambini, mercanti, contadini che partono di buonora per il lavoro nei campi e ritornano a sera tarda nelle proprie case dove sono ad attenderli la moglie e i figlioli. L’ultimo giorno, quello della condanna di Gesù, comminata da Ponzio Pilato e voluta dal Sinedrio, apparentemente è un giorno come tanti altri: “Quel giorno il sole sbucò dai tetti d Gerusalemme come un arancio spremuto. Nell’antica città molti dormivano. Non sapevano niente di ciò che stava accadendo a breve distanza. Al risveglio bevvero il latte e mangiarono il pane con il miele. I più piccoli si stropicciarono gli occhi. Quelli nati da poco piagnucolavano, le madri li prendevano in braccio per farli smettere. Altre donne, che si erano levate all’alba, andavano in giro coi cestelli di paglia a recuperare gli indumenti lavati. I panni appesi sui trespoli la sera prima avevano fatto presto a diventare asciutti. Era venerdì”.

“Nelle segrete celesti i messaggeri alati si stavano preparando alla missione più importante della loro esistenza, pronti a raggiungere i posti ai quali erano assegnati. Una vecchietta sdentata, seduta in un angolo ancora buio di casa, in attesa che l’intera famiglia piano piano si svegliasse, ripensò in pochi attimi alla propria vita: le frenesie della gioventù avevano trovato modo di placarsi nel matrimonio, nell’educazione dei ragazzi, nel governo dei nipoti. Adesso aiutava l’ultima figlia ancora non sposata a preparare da mangiare per tutti: proprio lei la mise al corrente su quanto stava accadendo. Circa ogni giorno venivano organizzati processi contro malfattori e falsi profeti. Il fiume del tempo scorreva inarrestabile trascinando via tutto. Gli uomini sono come le formiche?, si chiese uno dei figli maschi, prima di recarsi al lavoro nei campi… Mentre si dirigeva verso gli archi di uscita, incrociò il gruppetto dei soldati che scortava il prigioniero al tribunale: il suo sguardo gli sembrò trasfigurato, fuori e dentro il nostro mondo, ma non ebbe modo di analizzare questa impressione perché la gente al seguito schiamazzando lo distrasse. Quando uscì dalla cinta muraria respirò forte e dimenticò tutto” (pp. 439- 440).

Vita quotidiana, persone, angeli, lavoro consueto, tutto vive l’attesa di un giorno che stravolgerà la storia umana. Il valore aggiunto del romanzo, perché di questo si tratta, è in questa capacità dell’autore di legare il divino con l’umano. Il tempo è quello attraverso il quale si dipana la fitta trama di episodi, avvenimenti, personaggi narrati dagli evangelisti Luca e Giovanni, ma accanto a questa narrazione che conosciamo, tutto il romanzo è ricco di riflessioni, quasi aforismi che toccano profondamente il lettore. Dietro ogni personaggio si nasconde l’umanità di ogni tempo nella sua grandezza ma anche nella sua fragilità compresa quella di Gesù: “Padre, allontana da me questo calice, ma non la mia ma la tua volontà sia fatta”.

Come ricordato all’inizio, Eraldo Affinati nei suoi libri si è messo sempre sulle tracce di qualcuno. Il suo romanzo di esordio “Veglia d’armi. L’uomo di Tolstoj”(1992) ha fatto del grande romanziere russo il leitmotiv del proprio impegno nella professione di docente e di educatore. Istruire ed educare sono due aspetti di un unico problema: fare dell’alunno l’uomo di domani, vivo e ribelle, avrebbe detto don Lorenzo Milani, capace di partecipare alla vita politica e sociale del paese con onestà, dedizione e competenza, al servizio dell’altro, il più indifeso.

Altre pubblicazioni: Soldati del 1956 (1993), Bandiera bianca (1995), Patto giurato. La poesie di Milo De Angelis (1996), Campo del sangue (1997, finalista Premi Strega e Campiello), Uomini pericolosi (1998), Il nemico negli occhi (2001), Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer (2002), Secoli di gioventù (2004), Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittori (2006), La Città dei Ragazzi (2008), Berlin (2009), Peregrin d’amore. Sotto il cielo degli scrittori d’Italia (2010), L’11 settembre di Eddy il ribelle (2011), Elogio del ripetente (2013), Vita di vita (2014), L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani (2016, finalista Premio Strega), Tutti i nomi del mondo (2018), Il sogno di un’altra scuola. Don Lorenzo Milani raccontato ai ragazzi (2018), Via dalla pazza classe. Educare per vivere (2019). Con Anna Luce Lenzi ed Emma Lenzi, Italiani anche noi. Corso di Italiano per stranieri. Il libro della scuola Penny Wirton (2011, 2019) e Italiani anche noi. Il libro degli esercizi (2019). Con Marco Gatto: I meccanismi dell’odio. Un dialogo sul razzismo e i modi di combatterlo (2020) (risvolto quarta pagina di copertina del romanzo).

Raimondo Giustozzi

 

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