di Raimondo Giustozzi
I due saggi: La seconda guerra fredda e la notte della sinistra sono raccolti in un unico volume edito per la prima volta nel 2019 e ripubblicato come edizione speciale per il Corriere della Sera su licenza di Mondadori Libri come N° 13 (03.06.2022) per la collana geopolitica, capire gli equilibri del mondo. “C’è infatti un legame geopolitico che li unisce: la fine del globalismo come ideologia. L’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina, le conseguenti sanzioni con cui l’Occidente tenta di ridurre le relazioni economiche Est- Ovest hanno accelerato il tramonto del globalismo. Nel saggio La notte della sinistra denunciavo il tradimento delle classi lavoratrici, operato da élite che avevano predicato i benefici delle frontiere aperte, spalancate al commercio con la Cina, ai movimenti di capitali, all’immigrazione, occultandone i costi… La convinzione che le classi operaie siano in via di estinzione continua a giocare dei brutti scherzi a un mondo che non vede oltre i propri quartieri, i propri giornali, le proprie università” (Federico Rampini, La seconda guerra fredda, la notte della sinistra, prefazione, pp. 7 – 13, Milano, 2022).
Nel saggio, la seconda guerra fredda, l’autore “fotografa l’inasprimento della competizione strategica fra America e Cina in un momento chiave, all’apice dell’offensiva dei dazi lanciata da Trump per ridurre il deficit commerciale USA. Tutto quello che è accaduto in seguito – elezione di Biden, pandemia, Ucraina – non ha cambiato il posizionamento delle due superpotenze… La prima guerra fredda non era veramente finita, nella visione del mondo di Xi Jinping e della nomenclatura comunista. Chi governa Pechino non ha mai creduto in un futuro di armoniosa e simbiotica integrazione con l’Occidente. L’asse Xi – Putin ha retto alla prova della guerra. L’ottica cinese è quelle di chi vuole tenere i piedi in due mondi, in una situazione di squilibrio dinamico: intende estrarre i massimi vantaggi dall’economia occidentale, e intanto costruisce un’egemonia alternativa e contrapposta” (ibidem).
“I progetti egemonici di Pechino sono noti. Vanno dalle Nuove Vie della Seta alla strategia di dominio nelle tecnologie avanzate. Sono progetti perseguiti da una classe politica che sposando il confucianesimo al leninismo è convinta di aver costruito un sistema di governo più efficiente del nostro. In fatto di pandemia, il regime non si è fatto sfuggire un’occasione unica per stringere ancor di più il controllo sociale, fino al punto di ridurre per anni la mobilità della popolazione dentro e fuori le frontiere nazionali. La gestione ultra rigorista della pandemia ha messo a nudo un punto debole dei regimi autoritari: non hanno gli anticorpi sufficienti per segnalare al leader gli errori, pertanto le politiche sbagliate vengono prolungate a distanza”.
“Negli Stati Uniti un’autocritica e un ravvedimento operoso sono in corso su alcuni temi. Biden ha rinnegato se stesso sulla Cina, sul liberismo e il globalismo economico commerciale. Oggi adotta un protezionismo di sinistra… Alle ultime presidenziali ottantuno milioni di americani hanno votato per Biden, settantaquattro milioni per Trump… Quest’ultimo ha mantenuto i voti della sua metà America razzista, fascista, sessista. Quegli operai bianchi, quegli ispanici e quegli afroamericani che lo hanno sostenuto votano contro i propri interessi. Gli intellettuali e i leader democratici, invece, sanno bene quel è il successo della classe operaia e degli immigrati… le analisi consolatorie sugli americani brutti, sporchi e cattivi che hanno votato Trump hanno avuto un’impennata formidabile il 6 gennaio 2021, il giorno dell’assalto al Congresso aizzato da un presidente indegno che non accettava la propria sconfitta” (Ibidem, pp. 8-9).
Si è parlato di un tentato golpe – con evidente esagerazione, vista la tenuta di tutte le istituzioni e la reazione impeccabile del vicepresidente Mike Pence, che hanno proceduto a ratificare il risultato elettorale come avevano fatto prima di loro tanti repubblicani nei singoli stati degli USA. Ma l’Attacco a Capitol Hill del sei gennaio è stato sovversivo, violento e criminale, per qualche ora in America e nel resto del mondo si è davvero dubitato della solidità della più antica liberaldemocrazia del mondo. Gli opinionisti liberal hanno gongolato: avevamo ragione noi, quelli erano proprio fascisti. Alcune centinaia di violenti – tra cui gli appartenenti a milizie dichiaratamente estremiste, suprematisti bianchi, nazi – staccatisi da una manifestazione di qualche decina di migliaia di fan pro Trump hanno convalidato sui media progressisti la tesi per cui l’America era stata per quattro anni in mano ad un aspirante Benito Mussolini” (Ibidem, pp. 9- 10).
Certe parole non vengono più usate, al loro posto ne sono state inventate altre: Suprematista al posto di razzista, sovranista invece di nazionalista. La pratica di creare neologismi per nascondere la verità è sempre alla portata di tutti. Il razzismo esiste ancora, eccome. Così il nazionalismo che si colora anche di imperialismo e neo imperialismo. Lo sanno bene Vladimir Putin, Xi Jinping, Erdogan. Poi ci sono i sovranisti nostrani e d’oltre alpe: Matteo Salvini, Marie Le Pen, Orban e altri fuori dall’Europa. Ricordo lo slogan di Trump durante la campagna elettorale: Meglio un giorno da leoni che cent’anni da pecora. Era la parola d’ordine di Mussolini.
L’espressione l’ho sentita molto tempo fa, per esperienza personale, in bocca ad un signore che si vantava di essere socialista. Aveva un bel posto di lavoro, figura professionale intermedio, ben retribuito, in una grande fabbrica, che negli anni di massima produzione dava lavoro a duemila operai. La popolazione del posto e dei paesi vicini viveva con il lavoro della fabbrica. Tutti, semplici operai e intermedi, anche con una sola paga, avevano acquistato la propria casa. Non importava a nessuno se altrove c’era disoccupazione, pertanto anche per loro calzava a pennello l’espressione “Meglio un giorno da leoni che cent’anni da pecora”. La fabbrica in questione è chiusa da più di dieci anni. Il linguaggio usato ha la sua importanza. Quindi che la frase l’abbia detta anche Donald Trump non mi meraviglia più di tanto.
Cinque anni fa, partecipai ad un incontro. Il candidato sindaco del Partito Democratico, parlando della necessità di disciplinare il parcheggio cittadino, aveva usato l’espressione “bastone e carota”. Voleva disincentivare l’ingresso delle auto nel centro cittadino, proponendo un ticket differenziato, per il parcheggio, più alto nel centro e sempre meno costoso nei posti che si allontanavano dal centro città e un bus navetta per la periferia. Disincentivare e incentivare erano due verbi che bastavano ed avanzavano. Gli interlocutori non erano degli sprovveduti. No, signori, anche lui andò a scomodare una frase del ventennio fascista (Note di chi scrive).
Con buona pace di tutti, Trump è stato sempre bloccato nei suoi deliri di onnipotenza dai contropoteri della Costituzione Americana: Magistratura, governi locali, amministrazione pubblica, forze armate, la stessa Corte suprema piena di giudici da lui nominati. La sinistra comunque deve riflettere sul fatto che le classi lavoratrici hanno dato a Trump il loro consenso. “I Democratici hanno abbracciato un linguaggio ambientalista, multietnico e multiculturale che sembra fatto su misura per spaventare gli operai. La strategia democratica punta a una coalizione di classi sociali molto diversa. L singolo indicatore che ormai è di gran lunga il più significativo per capire come vota un americano, è il titolo di studio. Se ha la laurea vota democratico, se non ce l’ha vota repubblicano” (Ibidem, pp. 10 – 11).
In Italia avviene la stessa cosa? E’ vero che il consenso verso il Partito Democratico è più diffuso in chi in qualche modo è garantito, vive nel centro delle grandi città, non nelle periferie dove pullulano degrado e quant’altro rendono la vita difficile. Ma non è compito della sinistra fare una politica a difesa di chi sta peggio? (N.d.R.) . Continua ancora Federico Rampini: “Una lettura economicista del fenomeno Trump sarebbe riduttiva. Le analisi più approfondite sulla base sociale di Trump dicono che l’impoverimento e il regresso economico dei lavoratori non sono determinanti. Il movente più importante è il declassamento di status. L’America con la laurea li guarda dall’alto in basso. Ignoranti, non sanno quello che fanno. E’ la definizione più benevola, ma è proprio quella che gli interessati percepiscono come la nuova forma di razzismo. Mentre è proibito nella cultura contemporanea manifestare disprezzo per chi ha un colore della pelle diverso, per chi è gay, o mussulmano, è normale disprezzare i bifolchi” (Ibidem, pag. 11).
Ricordo lo stesso disprezzo verso i contadini delle nostre campagne additati come ignoranti, cafoni, succubi del padrone, del fattore e di quant’altri. Mai nessuno che avesse fatto davvero una sana politica verso la nostra agricoltura. Ora si vorrebbe ritornare alla terra, vista come la patria perduta, crollate tutte le nostre certezze sulla manifattura e sulle fabbriche che sono state delocalizzate altrove. Con buona pace di tutti quel mondo contadino è scomparso per sempre, annientata la sua cultura assieme a quella operaia. I due mondi non esistono più se non nel ricordo. Chi ha in mano i destini di una nazione deve ripensare a un nuovo modello di sviluppo e questo non da oggi (N.d.R.).
“Sul Covid e lockdown la frontiera è stata chiarissima. I democratici hanno abbracciato la linea dura non tanto per rispetto della scienza: in realtà, i distanziamenti sono stati ignorati durante i cortei di Black Lives Matter (Movimento attivista internazionale originato all’interno della comunità afro americana, impegnato nella lotta contro il razzismo a livello socio politico verso le persone nere. Fonte Internet); due leader di sinistra molto in vista come Nancy Pelosi e il governatore della California Gavin Newson hanno platealmente trasgredito i lockdown per andare dal coiffeur, partecipare a banchetti esclusivi, volare alle Hawaii; infine Kamala Harris ha gettato dubbi irresponsabili sui vaccini Pfizer e Moderna, nella fase iniziale in cui fu Trump a investire nella ricerca. Lo slogan Rispettare la scienza è stato strumentale, tanto più che in America come in Italia la scienza all’inizio ha balbettato. Antony Fauci, in prima battuta, definì inutili le mascherine e previde che il coronavirus sarebbe stato come un’influenza stagionale “( Ibidem, pp. 11- 12- 13).
“Il tema della guerra fredda ha acquisito nuova potenza e drammaticità dal 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa in Ucraina. Due mesi dopo, il leader di un grande paese africano ha scritto su Twitter: la maggioranza dell’umanità, che non è bianca, sostiene la posizione della Russia in Ucraina. E’ una verità sgradevole ma incontestabile. Corrisponde alla mappa dei paesi che non applicano sanzioni economiche contro Mosca. Vi figurano la maggior parte dell’Asia, Medio oriente incluso, Africa e America Latina” (Ibidem, pag. 17).
Tutte queste nazioni, che non hanno applicato nessuna sanzione economica contro la Federazione Russa, l’hanno fatto perché dipendono da Mosca per gli approvvigionamenti energetici, per il grano e per le materie prime. Anche alcuni paesi occidentali, in primis l’Italia e la Germania tentennano per il gas e il petrolio russo. Putin usa gli strumenti che ha in mano, ripetendo che non si può mettere all’angolo una nazione come la Federazione Russa, legittima erede dell’Unione Sovietica, ci aggiunge anche dell’impero zarista e per di più potenza nucleare. Ha poi una narrazione tutta sua che parte dalla monarchia Russ di Kiev, riportando le lancette della storia al nono secolo dopo Cristo. Russi e Ucraini sono fratelli. Bel modo di trattarli. In realtà dietro questo modo di forzare gli avvenimenti del passato c’è tanto desiderio di rivincita dopo la dissoluzione dell’URSS definita da lui “La più grande catastrofe del ventesimo secolo”. Ripete continuamente che a scatenare la guerra contro l’Ucraina è stato l’Occidente, con in testa la Nato e gli Stati Uniti d’America. Il ricatto delle guerra atomica ritorna sempre nei sui discorsi e in quelli della propaganda di Stato e se ci sarà, la colpa è tutta dell’Occidente (N.d.R.).
“La Russia viene trattata come un partner rispettabile da quello che fu definito come il club dei paesi emergenti, l’alternativa ai G7, cioè i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa). Un membro della Nato, la Turchia, si dissocia dalla sanzioni; così come Israele e Arabia Saudita, che pure godono da decenni di aiuti militari americani essenziali” (Ibidem, pag. 17). In realtà in politica estera si sta muovendo tutto e in poco tempo. E’ di questi giorni la visita di Biden a Gerusalemme e in Arabia Saudita. Putin cerca appoggi con l’Iran e con alcune delle ex repubbliche sovietiche dell’Asia. Il ministro degli esteri russo, Lavrov, è diventato una sorta di globetrotter, alla ricerca di nuovi mercati e di appoggi in ogni dove. Mai come in questi momenti si assiste ad accelerazioni improvvise. Tutto scorre, panta rei, traslitterato dal greco antico (N.d.R.).
“Quando descriviamo un Putin isolato, continua Rampini, dovremmo aggiungere: rispetto a noi occidentali, più qualche alleato di ferro dell’America come il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia. L’insieme della coalizione, pro – Ucraina, che applica le sanzioni rappresenta pur sempre la maggioranza del Pil mondiale, ma non la maggioranza delle nazioni né tantomeno della popolazione. E se sono vere le proiezioni sul futuro del pianeta – economico, demografico – il mondo del terzo millennio sta dall’altra parte, non dalla nostra. Questa divisione può sembrare un ritorno al passato. Nella prima guerra fredda ci fu un movimento dei Paesi non allineati, detto anche Terzo mondo perché rifiutava di schierarsi con uno dei due blocchi” (Ibidem, pag. 17)
Ci piaccia o no, il futuro è già cominciato. La guerra di Putin ha solo accelerato il cambiamento. Il mondo è diventato multipolare. Non ci voleva lui a dirlo. Lo sappiamo da trent’anni. “Il tramonto del secolo americano e la possibile transizione al secolo cinese bruciano le tappe. Ci siamo distratti mentre la Cina subiva una metamorfosi sconvolgente: ci ha sorpassati nelle tecnologie più avanzate, punta alla supremazia nell’intelligenza artificiale e nelle innovazioni digitali. È all’avanguardia nella modernità ma rimane un regime autoritario, ancora più duro e nazionalista sotto Xi Jinping. Unendo Confucio e la meritocrazia, teorizza la superiorità del suo modello politico, e la crisi delle liberaldemocrazie sembra darle ragione” (Una guida e un manuale di sopravvivenza nel mondo nuovo che ci attende, fonte Internet, https://www.ibs.it/seconda-guerra-fredda-scontro-per-libro-federico-rampini/e/9788804718734).
Il libro di Federico Rampini, La seconda guerra fredda e la notte della sinistra, di trecento trenta pagine, è un ottimo strumento per studiare gli ultimi trent’anni di storia economica, politica e sociale a livello mondiale. Il passato va rivisitato con una grande attenzione verso il nostro presente fatto di guerra, epidemia, cisi economica. Il futuro, al momento, sembra solo carico di scenari apocalittici. Speranza e ottimismo della volontà contro il pessimismo della ragione devono guidare le scelte di ognuno e di tutti, soprattutto di quelli che nelle liberaldemocrazie rappresentano le richieste della Polis, della città in senso lato, della politica. Nella dittatura il problema è diverso.
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