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“Cose di casa nostra” – 6 La chiesa di Paglialunga

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di Lino Palanca

Dialetto e usanze, storie e storielle che accompagnano il nostro crescere civile. Il tutto pescato qua e là, senza pretese.                                                                       

La chiesa di Paglialunga [1]

Quando, una ventina di anni fa, ho cominciato a raccogliere qualche notizia sulla storia della chiesa di San Giovanni Battista a Porto Recanati un nome mi capitava spesso di leggere nelle carte relative ai primi anni dopo l’inaugurazione (1796), quello del fermano Luigi Paglialunga, qualificato sovente come “ingegnere” o anche “architetto”. Alla fine però ho dovuto convenire con i documenti a mia disposizione sul fatto che Paglialunga fosse solo un capomastro. E i capimastro, si sa, non firmano progetti come gli architetti e gli ingegneri,  ma li eseguono.

Tuttavia Paglialunga si presta inconsapevolmente a far cadere in trappola la gente. In un primo tempo ho pensato anch’io, come chi ha compilato il sito ufficiale della parrocchia di san Giovanni Battista, di avere a che fare con un ingegnere. E poi in diversi altri siti è chiamato pure architetto, vedi quello del comune di Servigliano a proposito del Palazzo Pubblico e della Collegiata di San Marco oppure in un altro dove gli si attribuisce il primo piano regolatore di San Benedetto del Tronto (1793).

Il comune di Fermo, città natale di Luigi, nel suo sito ufficiale lo individua come il “capomastro” che ha realizzato, tra il 1781 e il 1791, il teatro dell’Aquila progettato da Cosimo Morelli, architetto, lui sì, di Imola [2].

Vengono in soccorso alla verità anche alcuni documenti del comune di Recanati. In una Memoria sull’obbligo di riedificare la Chiesa Parrocchiale del Porto e sulla relativa controversia fra la Amministrazione dello Spedale ed il Comune, redatta probabilmente nel 1806 o 1807, si legge che: …venne commessa la fabbrica al Capo Mastro Sig. Luigi Paglialunga, il quale obbligossi a compiere l’Edificio, ed alla manutenzione di esso per il lasso di diversi anni [3].

Quindi un capomastro. Bravo quanto si voglia, ma capomastro e non ingegnere né architetto come invece era Virginio Braschi, il titolare del progetto della chiesa. Allora, come se ne è uscita fuori la storia di Paglialunga “architetto”? La risposta c’è e si trova, p.e., nell’ “Enciclopedia Italiana Treccani” all’articolo “Capomastro” affidato alla penna di Adriano Prandi:

CAPOMASTRO – Intermedia fra l’architetto e l’operaio, la figura del capomastro è quella di colui che, propriamente, riceve dall’architetto gli ordini e ne cura l’esecuzione soprintendendo alla fabbrica, avendo sotto di sé le maestranze e approntando i mezzi d’opera. Oggi questo speciale operaio riceve, a seconda dei casi, la qualifica di appaltatore” o di assistente”, e nel suo significato più generale e senza dubbio più importante per la storia dell’architettura, il capomastro è colui che, essendo per abilità e ingegno emerso dalla schiera degli operai specializzati (i “magistri” dell’epoca romana) dopo essere stato operaio egli pure, profittando più e meglio della pratica manuale, è in grado di provvedere all’esecuzione dei complessi disegni dell’architetto o dell’ingegnere, all’organizzazione di cantieri, e di ideare anche, in casi non troppo importanti, l’opera da eseguire. Così spesso, il capomastro, nella storia dell’arte costruttiva in genere, si confonde a volta a volta col capo degli operai (col “protomagister e col rector fabricae dei Romani), con l’imprenditore, con l’architetto o con l’ingegnere.

Confusione che è lunga a morire. Lo attesta l’informativa che fronteggia il portone principale della chiesa  di san Giovanni dove compare ancora l’architetto Paglialunga. Ho più volte chiesto un intervento riparatore (quanto costerà mai!), innanzitutto per il rispetto della verità e poi per eliminare una sciatteria. Fino ad ora, però, non si è mossa una paglia.

Come più volte ribadito nella Memoria recanatese, il progettista della chiesa fu il già citato architetto Virginio Bracci, di fama notevole, esperto anche in scienze idrauliche, che progettò e realizzò la ricostruzione della città di Servigliano minacciata da continue frane, la prima a pianta unica in Italia.

Giuseppe Antonio Guattani, nelle sue Memorie Enciclopediche Romane sulle belle Arti, Antichità, a p. 153 scrive del Bracci: “… Accademico di S. Luca, e fra i virtuosi della Rotonda, Architetto del buon Governo, del Capitolo di S. Pietro, e dell’ospizio di S. Michele, Conservatorio in Jesi, Chiesa a Monte Milone, altra al Porto di Recanati ec..[4].

Il guaio per la chiesa di san Giovanni Battista era nato appena due mesi dopo la sua inaugurazione (6 settembre 1796) quando apparvero crepe nel tetto e di ciò si chiese spiegazione al Paglialunga. A denunciare ufficialmente la brutta grana fu il reverendo don Pietro Ferri inviato dalla diocesi a verificare se fosse giustificato l’allarme lanciato da parroco e popolazione sulle minacciose crepe. Ferri riferì di essere stato due volte al Porto senza mai trovarci il “capomastro” Paglialunga. Nel corso delle ispezioni Ferri osservò che si erano prodotte due fessure sul lato nord del cornicione … sin sotto le finestre, non ostante che siano state risarcite pare che voglia riaprirsi di nuovo [5].

Di certo, le argomentazioni apportate dal capomastro a sua difesa non dovettero convincere la Municipalità di Recanati tanto che venne chiamato in giudizio. Anche in quei tempi la giustizia non correva veloce; soltanto nel settembre 1803 la curia ecclesiastica di Recanati fu in grado di pretendere 347 scudi dal Paglialunga per riparare i danni che nel frattempo si erano aggravati. Tira di qua e tira di là andò a finire che la chiesa venne riaperta ai fedeli solo nel 1811, il primo dicembre, restaurata e ribenedetta dal vescovo di Recanati e Loreto Stefano Bellini. A questo punto, però, non viene chiarito dalle carte chi abbia davvero pagato i danni di un lavoro evidentemente mal condotto vista l’immediatezza dei guai subito dopo la consegna dell’opera. Era nel frattempo sorta una disputa, che sarà lunga e velenosa, tra la Municipalità di Recanati e la fraternita di Santa Lucia, amministratrice dell’ospedale cittadino e patrona della chiesa del Porto. Una faccenda complicata dove s’intersecano fatti di un lontano passato, che implicano la responsabilità della fraternita, e dove affonda e scompare la questione del pagamento [6].

Ma intanto sarebbe doveroso restituire a Paglialunga il suo titolo vero. Se qualche anima sensibile al prestigio del comune di Porto Recanati non vuole proprio chiamarlo capomastro usi pure altri titoli tipo costruttore o impresario. Oppure si serva di qualche parola straniera, ché tanto, oggi, è una strana moda declassare l’italiano e far bella mostra di forestierismi. Lo chiami magari maître-maison oppure maestro de obras o in qualunque altra lingua gli piaccia di farlo. Ma, per quanto ci dicono i documenti, architetto no e ingegnere neanche [7].

 

 

[1] Quanto appare in questo contributo lo traggo dal mio articolo “La nuova chiesa” apparso in “Potentia-Archivi di Porto Recanati e dintorni” n. 13, pp. 10-22 (Recanati, Bieffe Grafiche 2003).

[2] Morelli costruì 40 chiese, 11 teatri e palazzi in tutto lo stato pontificio, tra cui palazzo Braschi a Roma. Nelle Marche vanno ricordati, oltre quello di Fermo, i teatri Lauro Rossi (Macerata) e Pergolesi (Jesi) nonché la cattedrale di Macerata.

[3] Biblioteca Comunale di Recanati, fondo Benedettucci, busta 211 (citato in Lino Palanca, La nuova Chiesa, in “Potentia-Archivi di Porto Recanati e dintorni”, n. 13, cit., pp. 10-22).

[4]  “Tomo V, Roma, ed. Carlo Mordacchini, incontro il Teatro Argentina, 1806”. La citazione è tratta dalla p. 98 della tesi di laurea “Il Conservatorio della Divina Provvidenza a Jesi. Un esempio di architettura del XVIII secolo” di Eleonora Silvestri (facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università di Camerino, anno accademico 2011-2012).

[5] Il resoconto della visita di don Ferri l’ho letto in carte sparse della parrocchia di san Giovanni Battista lì conservate (spero).

[6] Oggetto della disputa: a chi deve arrivare il conto della spesa, fermo restando che anche Paglialunga ci doveva mettere del suo? E perché adesso entra in campo la Fraternita recanatese? Ecco:“Fin dal secolo decimoquinto Moro di Antonio cittadino anconetano eresse nel Castello del Porto di Recanati, feudo spettante a quella Comunità, una piccola chiesa sotto il titolo di S. Giovanni nella quale fondò con i propri Beni una semplic Cappellania, avendo conferito il giuspatronato, ossia diritto di nominare il Cappellano a’ suoi Eredi, ed alla Ven. Compagnia sotto il titolo di Santa Lucia”

[7] Della chiesa di san Giovanni si occupò pure Andrea Vici tra il 1805 e il 1806, anni in cui veniva a Loreto per seguire i lavori del campanile della basilica progettato dal suo maestro Vanvitelli. Vici, sollecitato dal luogotenente della Camera Apostolica mons. Pelagallo, redasse due relazioni di cui si possono leggere alcuni stralci nel citato n. 13 di “Potentia-Archivi di Porto Recanati e dintorni”, pp. 14-15.

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