di Raimondo Giustozzi
“Il mio primo incontro col poeta Ciarrocchi risale all’adolescenza, allorché curiosando nella soffitta di mio nonno, Aurelio Paolini, rinvenni, tra polverosi libri, una copia di Nzalata mestecanza, la prima delle sue pubblicazioni ufficiali. Fu il mio primo incontro col dialetto, inteso non più come parole senza pretese, buttate là nel parlare quotidiano, per semplificare il discorso, ma come qualcosa di più consistente, in grado d’assumere valore letterario”(Aurelio Ciarrocchi, Le Commedie … e checcosardro, a cura dell’avvocato Roberto Gaetani, pag. 211, Tipografia S. Giuseppe s.r.l. Pollenza, 14 febbraio 2015).
L’amore di Roberto Gaetani per Civitanova Marche e per Aurelio Ciarrocchi (Civitanova Marche 13 giugno 1884 – Roma 5 maggio 1954) si è materializzato con la pubblicazione, nel 2015, di questo altro libro, stampato in 200 esemplari numerati, con la riproduzione di tre incisioni di Arnoldo Ciarrocchi ed alcuni disegni dello stesso Gaetani. Il volume, di duecento quarantatré pagine, è diviso in due parti. Nella prima parte sono riprodotte le tre commedie di Arnaldo Ciarrocchi, finora inedite: L’amore che végne, O lo prete o la vanga, Capassi. Nella seconda parte, Checcosardro (Qualche cosa d’altro) sono riportate poesie sciolte, epitalami e strambotti. Questi ultimi “Pur non eccezionali sul piano stilistico, sono squarci fulminanti, ispirati a noti personaggi di Civitanova Alta tra le due guerre” (Ibidem, pag. 11).
La prima Commedia “L’amore che végne” è la più riuscita. Fu scritta negli anni trenta del 900, è chiara l’influenza del maceratese Mario Affede. Fu sul punto di essere portata in scena. Non se ne fece nulla perché Ermanno Mori, che si era impegnato nel progetto, finì per operare al Nord, con il grado di capitano, fino agli anni sessanta. La seconda commedia “O lo prete o la vanga, scritta durante la seconda guerra mondiale, risente gli umori dell’epoca. Gigio, seminarista, parte per la guerra. Finisce prigioniero in Germania. Conosce campi di concentramento ma anche una buona famiglia tedesca che lo accoglie quasi come un figlio. Ritorna al paese con moglie e una bambina. Nella figura di Sor Mimmo, l’avvocato Gaetani vi ravvisa il prof. Luigi Lombardi, insegnante presso l’Avviamento professionale nella città alta. La terza commedia “Capassi” è scritta in lingua italiana. Il titolo potrebbe essere un omaggio a Nicolò Capassi, poeta del settecento napoletano.
Dopo la morte di Arnoldo Ciarrocchi (Civitanova Marche, 9 dicembre 1916 – Civitanova Marche ottobre 2004), geloso custode delle carte paterne, sempre prodigo a pubblicare, centellinandole, alcune poesie del padre, costantemente arricchiate da proprie incisioni, l’avvocato Roberto Gaetani, come scrive nel libro, ebbe modo di porre mano allo scatolone degli inediti. Tra questi vide con sorpresa, alcuni sonetti ispirati a suo nonno paterno, Aurelio Paolini, esattore comunale a Civitanova Alta, ex segretario del fascio locale, negli anni in cui Pier Alberto Conti ricopriva la carica di podestà nella città alta (Ibidem, pag. 8). La sorella di Arnaldo, Maria Ciarrocchi sottrasse “quel gruppo di sonetti, anche per evitare risentimenti alla memoria paterna” (Ibidem, pag. 9).
Continua Roberto Gaetani su questa questione: “Ritengo ormai fuori luogo prevenzioni del genere, essendo logico collocare una delle figure più significative della città nel suo naturale contesto. A sessant’anni dalla morte, scomparsi i personaggi che ne accompagnarono l’esistenza, credo sia il momento di svelare gli aspetti reconditi di quest’umile cantore d’una vita paesana legata al mondo della radiofonia, non ancora suggestionata dall’aggressiva comunicazione televisiva, sopraggiunta dopo la morte di Aurelio” (Ibidem, pag. 9). L’avvocato Gaetani, con la pubblicazione di questo ultimo libro su Aurelio Ciarrocchi, dà continuità a quanto aveva fatto in passato.
Sul n° 6 (1997) del periodico Civitanova Immagini e Storie, prima serie, ripubblicò 35 sonetti apparsi sul giornale di Jesi “Il Birichino” tra il 1907 e il 1911. “Il Birichino” era un periodico sviluppato su quattro grandi facciate. Uscì a Jesi, dal 1906 al 1911, avendo quale redattore responsabile Ferdinando Perchi. Dal 1911 al 1914 i giornale si traferirà in Ancona, con la denominazione “Il Marchigiano – Birichino”. Dichiarava d’essere l’unico giornale umoristico – dialettale della regione marchigiana” (Ibidem, pag. 215). Sempre nel 1997, l’avvocato Roberto Gaetani pubblicava sul numero 31 di Studi Maceratesi il saggio: Aurelio Ciarrocchi… ancora sconosciuto, saggio riportato nel libro, le Commedie … e checcosardro (pp. 211 – 243).
Nel 1991 diede alle stampe un’antologia di poesie, Citanoaccia mia. Il titolo è preso dai primi versi di una delle poesie più note di Aurelio Ciarrocchi: “Citanoaccia mia, quanto sci vella / ‘ccuscì a quest’ora de prima matina / quanno su- n-cele angora c’è che stella / e ferma d’è la vita cittadina. // Chiusa ‘gni casa ‘gni cantina / senza vedesse ‘n – ànema gemella, / con quest’arietta fina fina fina / che te la séndi ji tra core e pella! // Che carma, che vellezza, che puisia / in questa solitudine, a quest’ora / tra fiuri e piante de la terra mia! // Ma ecco… lo cielo se schiarisce e allora / mentre spònta lo sole, fugghio via, / troppe facce sospette scappa fòra! (Citanoaccia mia, poesie in dialetto di Civitanova Marche e dintorni, pag. 21, Cooperativa 2020 Edizioni – Civitanova Marche 1991). La silloge raccoglie una o più poesie di sedici poeti dialettali civitanovesi e di cinque poeti maceratesi più quattro poesie della classe prima F Scuola Media Pirandello – Fontespina. Per ogni autore vengono presentati una breve biografia e il proprio mondo poetico. Il libro di cento sedici pagine è impreziosito anche da quattro bei disegni del pittore Pietro Capozucca.
Chi saranno queste “facce sospette” citate nell’ultimo verso? Prepotenti, arroganti, saccenti, presuntuosi, boriosi, pettegoli, il campionario della grande commedia umana? Ci saranno stati allora come ce ne sono oggi. Basta non frequentarli: “Non ti curar di lor ma guarda e passa” (Dante Alighieri). Una persona mi diceva a proposito di un signore, particolarmente saccente: lassalo perde. Un invito che ricalca quello del sommo poeta (noterella di chi scrive).
Scrive ancora Roberto Gaetani nel libro Le Commedie … e che checcosardro nel pieghevole di copertina: “negli anni sessanta del 900, Civitanova non aveva punti di riferimento culturale. C’era una biblioteca comunale in embrione, tirata su alla buona da Silvio Zavatti, a margine del Museo Polare. Per fornire agli appassionati i testi basilari delle ricerche locali mi feci promotore, negli anni ottanta, della ristampa, da parte del comune, delle opere di Giuseppe Gaetani, Istoria di Civitanova nel Piceno (1981), di Alessandro Frisciotti, Memorie per l’elevazione di Civitanova Marche a città (1983) e di Giovanni Marangoni, Memorie sacre e civili di Civitanova (1984)”.
Nasceva intanto nel 1986 il periodico Civitanova Immagini e storie, “prima serie” animato da un buon numero di studiosi locali: i fratelli Mariano e Angelo Guarnieri, Ricciotti Fucchi, Pierluigi Cavalieri, Antonio Eleuteri, don Vincenzo Galliè e lo stesso Roberto Gaetani. Sono suoi alcuni articoli pubblicati sul periodico in numeri diversi: Una dinastia dell’800 – Il ramo civitanovese dei Marchesi Ricci (1° numero), Paolo Ricci e la tranvia civitanovese (N° 2). I Bonaparte a Civitanova (N° 3), Un socialista vero e per questo dimenticato: Michele Alfredo Capriotti (N° 4), Un Ciarrocchi Birichino, ricordato sopra, (N° 6), Un poeta naif: Rinaldo Ciribè (N° 7), Il medico di Sibilla Aleramo: Francesco Pellegrini (N° 8).
Questi studi ed altri raccolti nei volumi di Immagini e Storie, prima serie, di Cavalieri, Eleuteri, Fucchi, Gaetani, Guarnieri, ecc. inquadrano tutto il periodo storico vissuto da Aurelio Ciarrocchi. Dalla nascita alla morte, Ciarrocchi vide grandi trasformazioni. Fino al 1913 esisteva un unico comune pur con due realtà distinte, la città alta, Civitanova e quella bassa, Porto Civitanova, frazione di Civitanova. Il comune con gli uffici amministrativi era nella città alta. Nel 1913, la frazione di Porto Civitanova, che stava attraversando un boom demografico senza precedenti, con la diffusione capillare di industrie, cantieri e attività commerciali, chiede ed ottiene la separazione per costituirsi in comune autonomo. Invano il marchese Paolo Ricci faceva costruire la tranvia che legava la città alta al Porto, alla ferrovia adriatica e quella per Macerata – Albacina – Fabriano, per scongiurare l’emarginazione della città posta in collina. La tranvia, di cui rimane solo la stazione in stile Liberty a Civitanova Alta, viene costruita ugualmente. La separazione in due comuni dura fino al 1938, in piena epoca fascista. I due pezzi di città vengono riunite in un unico comune. Dopo la seconda guerra mondiale si patrocinò la costituzione di due comuni (1947) separati ma l’esperienza durò poco. Nel 1951 si ritornò al comune unico, a Civitanova Alta rimase solo il palazzo della Delegazione Comunale.
Ritornando agli studi di Roberto Gaetano è da precisare che Michele Alfredo Capriotti, avvocato, era il marito di Corinna Faccio, sorella di Rina Faccio, Sibilla Aleramo, autrice del romanzo Una donna. Nella finzione letteraria, anche per fugare eventuali ritorsioni da parte dei Faccio e dell’ambiente, nel romanzo, l’avvocato diventa ingegnere. In realtà Michele Alfredo Capriotti, laureato in Giurisprudenza, fu sindacalista. “Assieme a Roberto Marmoni caratterizzò l’ultimo decennio civitanovese del diciannovesimo secolo, intessendo vivaci polemiche col marchese Paolo Ricci, fondando leghe e guidando scioperi nella fabbrica delle bottiglie del marchese Ciccolini. E’ probabile che Aurelio Ciarrocchi non abbia mai avuto modo di frequentare Capriotti, perché, quando questi partì da Civitanova per dedicarsi al sindacato in Emilia aveva ventotto anni, mentre Aurelio ne aveva diciotto”(pag. 218).Roberto Marmoni sarà il fondatore del PCI locale.
Aurelio frequentò invece il poeta morrovallese Eldo Marchetti con il quale “condivideva l’antifascismo, il gusto dell’ironia, l’aspirazione ad evadere da una realtà paesana poco sensibile ai voli pindarici dei poeti di provincia, mal rassegnati a subire i ritmi della quotidianità” (pag. 224). Si servì della sua ricca biblioteca per leggere di tutto: Belli, Trilussa, Annibal Caro. L’amore di Ciarrocchi per la lettura si manifesta fin da piccolo quando era solito leggere fino a tarda notte, tanto da farsi dire dalla nonna: “Stuta ‘ssa luma, ché costa caro a la fojetta” (pag. 214). L’amore per la parola scritta lo spinse ad apprendere il lavoro di operaio tipografo. Lavorò per vent’anni, dal 1896 al 1916, presso la tipografia Paci, una delle più importanti di Civitanova Alta. Viene esonerato dal servizio militare per un difetto all’udito. Fu richiamato per motivi straordinari nel corso della prima guerra mondiale e utilizzato, a Vicenza, in fureria. Dopo la guerra non ebbe un lavoro fisso, ma per circa sette anni fece di tutto: il fotografo e gestore del cinema Iris, all’epoca del muto, davanti alla collegiata di S. Paolo. Le cose cambiarono quando rilevò la piccola tipografia artigiana di Piconi, ubicata nel chiostro di San Francesco e si mise in proprio. Traslocò più volte da un posto all’altro, sempre nella città alta, fino alla sede definitiva in via Roma posta quasi sotto la propria abitazione.
L’interesse per il nostro verso la poesia popolare si accrebbe dopo l’iniziativa operata da Giovanni Crocioni con l’Esposizione Marchigiana del 1905, tenuta a Macerata. Ciarrocchi infatti iniziò la collaborazione con Il Birichino nel 1907 ma si ritenne sempre un umile artigiano della parola. Non partecipò infatti ai diversi convegni dialettali promossi da “Il Birichino” nel 1907, 1908, 1911 e 1912. “Il suo approccio verso la poesia dialettale fu in questi anni rispettoso e a distanza, quasi dubitasse di poter un giorno essere annoverato tra i massimi esponenti di quella forma espressiva” (Pag. 219). Continuava intanto il proprio lavoro di tipografo pur in mezzo a difficoltà di ogni genere. Doveva sostenere la concorrenza con le numerose e più agguerrite tipografie di Porto Civitanova, diventato nel frattempo comune autonomo. Il 5 marzo sposava Carmela Torricelli di Montecosaro e dal matrimonio nascevano: Arnoldo il 9 dicembre del 1916, Ruggero il 10 maggio 1919 e Maria il 19 maggio 1924. Arnoldo si iscriveva alla prestigiosa Scuola del libro di Urbino e iniziava la propria fulgida carriera di incisore e pittore. Ruggero, dopo aver frequentato a Civitanova la scuola di Avviamento, aiutò il padre nella tipografia di famiglia. Maria si sposò con Umberto Nicoletti il 31 luglio 1952 e in questa occasione Aurelio scrisse un libretto di poesie I Jèci commanamenti de Ddio. L’autore ne aggiunge ironicamente, un undicesimo: Non fare la spia.
Dall’antro della propria bottega artigiana, “Lo ragnaccio”, così si soprannominava Aurelio, “Osservava la gente del suo paese, dialogando con se stesso sui problemi dell’esistenza ed intessendo, come il ragno, una tela di ricordi e considerazioni su cui attrarre, a poco a poco, l’ammaliato lettore” (pag. 225). “Il tema di fondo della sua opera è il senso di frustrazione dell’onesto lavoratore, la cui fatica non viene adeguatamente compensata da una società nella quale solo i nuovi venuti e i furbi riescono a fare la parte del leone” (pag. 217). Niente di nuovo sotto il sole. Anche oggi è la stessa cosa. Non è cambiato nulla, anzi è peggio.
Comunque, all’età di quarantatré anni, nel 1928, stampa da solo il primo volumetto di poesie Nzalata mestecanza, contenente cinquantasei poesie in dialetto civitanovese, alcune delle quali articolate in più sonetti. L’amico Eldo Marchetti scriveva nella prefazione al volume: “Ciarrocchi è un operaio che per vivere svolge un’attività poliedrica, con calma e senza curarsi della febbrile agitazione che pervade i suoi contemporanei” (pag. 225). Nel 1930, stampa un’altra raccolta di poesie, Foglia cambagnole, “dedicata ai miei concittadini extra muros (extra moenia), quasi ad evidenziare il disappunto verso la gente del paese che aveva raccolto criticamente il proprio lavoro. Prevale un atteggiamento più intimista e malinconico e il tono si fa più gioviale.
La poesia La vita umana, scritta in lingua italiana, rispecchia questo stato d’animo del poeta. E’ senza data: “Nel periglioso mare della vita, / cadéa d’affanno e colma di lamento, / la navicella mia, mezzo sdrucita, / naviga e sempre, sempre contro vento. // Mi sforzo di remar sull’infinita / distesa d’acqua, ove m’avanzo a stento, / sperando di trovar presto un’uscita / su cui posare lieto un sol momento! // Ma ovunque il guardo volgo, a destra a manca, / non scorgo che miseria, che sconforto / e veggo che il mio crine già s’imbianca! // E forse, anzi di certo, sarò morto / me lo predice la mia fibra stanca / pria d’aver visto il sospirato porto” (pag. 209).
La terza raccolta di poesie, stampata nell’estate del 1933 a carattere monografico, è L’acquidotto de Citanò; sono quattordici sonetti ispirati all’inaugurazione dell’acquedotto, realizzato da Pieralberto Conti, podestà di Civitanova. Nel 1935 pubblicava Fritto misto, un gruppo eterogeneo di circa sessanta componimenti nel quale si ritrovano particolarità assenti nei precedenti lavori (pag. 232). Nel 1936 stampa nella sua tipografia, a fogli scioli, la poesia Mare, mare. Dal 1936 fino alla fine della seconda guerra mondiale, per un decennio, sembra che Aurelio Ciarrocchi non abbia stampato più nulla. Non è così. Ci saranno molte poesie inedite. “Sappiamo – scrive Roberto Gaetani – dalla figlia Maria che, dopo la morte del padre, vennero distrutti dalla madre e dal fratello, molti sonetti ispirati a persone viventi, per amore del quieto vivere” (pag. 235).
Il libro curato da Roberto Gaetani è ricco anche di alcune cartoline del tempo, che riproducono il “mondo piccolo” sublimato da Ciarrocchi, assieme alla biografia scritta da Arnoldo Ciarrocchi, figlio di Aurelio Ciarrocchi: Aurelio Ciarrocchi, mio padre.
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