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Il gran tour di una giovane coppia in visita a Civitanova. Alessandro Verri e la marchesa Margherita Sparapani Gentili.

Civitanova Immagini e storie copertinaSiamo nell’autunno mille settecento novantatré. Alessandro Verri, fratello del più celebre Pietro Verri, milanese, fondatore del Caffè e dell’Accademia dei Pugni, vive da molti anni con la nobildonna Margherita Sparapani Gentili. Lei è originaria di Camerino, ma trasferitasi a Roma, dopo aver sposato nel mille settecento cinquantatré il marchese Giuseppe Boccapadule, aveva aperto nella città eterna un salotto culturale assai attivo e frequentato. Sono note biografiche prese dal saggio di un giovanissimo e brillante studioso civitanovese (Matteo Gentili, il cibo prelibato, il clima anomalo e la Madonna Miracolosa degli Splendori – Alessandro Verri racconta Civitanova Alta fra il 1793 e il 1794, in Civitanova Immagini e Storie, nuova serie 4 (17), pp. 32 – 45, Recanati, febbraio 2020).

I due amanti si sono incontrati circa trent’anni prima nel salotto della nobildonna e “da allora è stato l’amore a tenerli uniti, in un ménage che dapprima si svolge nell’urbe, poi si va spostando verso l’Italia settentrionale e le capitali d’Europa che i due hanno idea di visitare nei tempi che verranno” (Ibidem, pag. 32). Dopo aver soggiornato a Camerino, la coppia proprio alla fine dell’estate del mille settecento novantatré, decide di trascorrere l’inverno e la primavera dell’anno successivo a Civitanova, ospite in uno dei palazzi di famiglia del Governatore di Camerino, Roberto Roberti. I due hanno al loro seguito camerieri, servitù e provvigioni. Sono curiosi di conoscere la cittadina, la sua storia e la vita quotidiana di una piccola città che contava allora settemila anime.

Nella prima lettera, spedita al fratello, precisa la posizione geografica di Civitanova: “Questa così detta, Terra, e che si direbbe da noi Borgo, è sopra un colle che sovrasta all’Adriatico: appartiene alla Marca. Il territorio è fertile di vini, e specialmente di olio squisito. Le carni, i polli, i maiali, gli erbaggi vi abbondano, e di ottima qualità. Il pane è mediocre, l’acqua è buona, ma non di prima classe. Vi sono diverse case comode, e anche titolate di Marchesi e Conti. Alcuni fra loro hanno anche una maniera sociale che non sperava qui, e superiore notevolmente alla Alpestre Camerino” (pag. 32). Dopo aver decantato gli ameni colli che circondano la cittadina, Alessandro ritorna, al termine della lettera, a sottolineare la vicinanza del mare di cui si sente quasi il rumore delle onde: “Il mare è distante due miglia, e ne sento il muggito” (Ibidem, pp. 32- 33).

Dopo aver conosciuto meglio il paese, il nostro scrive un’altra lettera al fratello, nella quale richiama la bontà delle carni, dei pesci, tra i più saporiti di tutto il mediterraneo, dell’olio ottimo, della frutta, tutti generi a buon mercato. Lamenta invece che legna e carbone, come pure il mantenimento dei cavalli sono molto cari. Nel breve lasso di tempo trascorso dentro la cerchia delle antiche mura ha raccolto testimonianze storiche: “Di questo paese non parlano le storie che al tempo de’ Goti dai quali si crede fondato. Il suo maggior pregio è di essere Patria di Annibal Caro, del quale ancora è cognita l’abitazione. La famiglia però è estinta”. L’antica città di Cluana, posta sulla spiaggia, fu distrutta durante la guerra Gotica e risorse sulla sommità della collina con il nome di Cluentensis Vicus, villaggio del Chienti. Alessandro Verri non poteva conoscere tutto in così breve tempo. Nella lettera scriveva che nelle giornate serene, da Civitanova “si scorgevano le montagne della Dalmazia e della Slavonia”. Si è sempre favoleggiato a Civitanova Marche Alta di scorgere le coste dalmate dalla sommità della collina, ma forse nessuno o pochi hanno visto ciò che dicevano di vedere.

Nel corso del soggiorno, Alessandro scopre una cosa del tutto buffa di cui parla al fratello in un’altra lettera: “Il distributore delle lettere è lo Speziale. Ma questo ha una qualità incomoda per tale impiego, ed è che non sa quasi affatto leggere. Dal che deriva il non saper distinguere a chi appartengano le lettere, e le vostre segnatamente ho dovuto andare io stesso a prenderle, altrimenti non le avrei avute” (Ibidem, pp. 33- 34). Il fratello, avuta la lettera, risponde: “M’avete fatto ridere col vostro speziale distributore delle lettere. (…) uno Speziale che stenta a leggere è un cittadino pericolosissimo”. Lo speziale è il farmacista che assolveva anche il compito di postino. Era molto pericoloso che il contenuto di qualche lettera andasse a finire nelle mani sbagliate.

Il soggiorno di Alessandro e Margherita a Civitanova arriva alla metà di dicembre mille settecento novantatré. In una lettera, Alessandro ritorna a parlare di come la cittadina adriatica, posta in cima alla collina, lo abbia quasi stregato. Il clima è ottimo, si mangia bene. Tutto costa poco. “In due ore vado, e vengo dal mare che forma un quadro anche da qui. Non è facile il ruinarsi nel far tavola anche lauta, perché un buon piccione vale al più mezzo palo, un cappone eccellente non trapassa mai un paolo e mezzo, il maiale, il bue, la vitella costano poco più di un terzo di paolo ogni libbra di once 12. Boccali 36 di vino ottimo, e ogni boccale empirebbe quattro tazze di Limonea, o da acqua per tavola, costano scudi due. Le beccacce, e le starne circa un paolo l’una. La frutta quasi niente”. Cade anche un po’ di neve su Civitanova. La si raccoglie per fare subito una limonea gelata come è nel costume degli abitanti, annota sempre Alessandro Verri nella lettera.

Nella sua corrispondenza con il fratello lontano, il Verri si dimostra acuto osservatore della realtà che gli è intorno. In una lettera del sedici dicembre scrive che il clima favorisce la produzione di grano. Il frumento viene imbarcato nel porto di Ancona per essere poi venduto alle flotte inglesi e spagnole. Se mangiare costa poco, si spende troppo per altri servizi: “Un articolo poi carissimo è la lavandaia. In un paese come questo, nel quale con mezza lira avete un eccellente paio di piccioni, pagate per mezza lira, ossia due terzi di pollo, per lavare, e soppressare una camicia, prezzo inaudito in qualunque capitale d’Italia”. Soppressare sta per stirare. Alessandro risale al motivo di questo costo eccessivo. Nel paese mancano legna e carbone. Le migliori case del paese fanno venire il carbone dai monti vicini, quelle meno abbienti dalla Dalmazia ma il carbone è scadente perché si consuma troppo in fretta.  Annota poi il turista: “Niuna donna soppressa (stira) fuorché per la propria casa, ciascuna casa fa il bucato, e il suo bisognevole: per conseguenza con difficoltà si trovano donne per servirsi, e queste non hanno buona scorta di legna e di carbone, onde sono obbligate a provvederne ad alto prezzo”. Nel frattempo, la casa dove Alessandro, la Marchesa e il loro seguito sono ospiti, viene raggiunta da un gradito ospite, il sig. Giuseppe Sieber di Praga, primo violinista alla cappella Musicale della Santa Casa di Loreto.

Il palazzo dove sono ospiti è di una nobile famiglia di Recanati, i Marchesi Roberti, che avevano provveduto ad apportare delle migliorie all’abitazione, per ospitarli nel migliore dei modi.  Alessandro non vuole approfittare della liberalità altrui. Chiede ed ottiene di pagare almeno gli alimenti che lui e il suo seguito consumano: ”Si è dovuto minacciare il partire, per ottenere di ricevere il pagamento di questi generi, ed era infatti una cuccagna vergognosa lo stare in casa altrui, e consumarvi i generi, oltre avere gratis l’abitazione. Ora il tutto è accomodato; abbiamo ottimo vino, ed olio eccellente, ma si paga tutto”. Sono dodici persone in tutto che da diversi mesi sono ospiti nel palazzo.

Pietro Verri, da Milano gli scrive che vuole sapere di più sulla città di Civitanova, dove si trova esattamente, se vicina a Fermo o a Loreto. Non cita affatto Macerata. Il 10 gennaio 1794, ad anno nuovo, Alessandro gli scrive che in questa parte della Penisola sono pochi quelli che leggono. Il conte Asclepi di Macerata legge gli scritti di Pietro Verri e a Civitanova, anche la contessa Gatti, “la donna più sensata del paese, giovane e di merito, li legge e li gusta. Non sono io che abbia promosso questa lettura, ho trovata già qui una tal notizia, come l’ho trovata per fino al Porto di Fermo. Sono luoghi questi, dove niuno legge, onde bisogna che un libro sia strepitoso, e di prima classe, perché ve ne giunga la fama” (Ibidem, pag. 37). Cittadini poco propensi alla lettura quelli di Civitanova.

Quattro giorni più tardi scrive un’altra lettera nella quale Alessandro racconta l’avventura della marchesa che sceglie di recarsi in spiaggia proprio in una giornata di burrasca con vento e pioggia. Mentre sta guardando il mare, seduta su una barca, un’onda la bagna fino a mezza gamba. Nella stessa missiva riporta anche il passaggio di “quattrocento soldati spediti da Roma ai confini del Bolognese per impedire i contrabbandi di grano. Hanno due cannoni e marciano in buon ordine”. Passata la burrasca, in un’altra lettera inviata al fratello, Alessandro ritorna a parlare del clima mite, del tutto anomalo in gennaio e, in mancanza di ghiacciaie, carne e frutta  rischiano di andare a male in poco tempo. Dieci giorni dopo, il caldo non finisce, tanto che lo comunica di nuovo al fratello: “Qui invece di ghiaccio, abbiamo viola mammole, garofani e giacinti. I venti però sono molto impetuosi, perché dominano in largo: le nebbie marine occupano talvolta tutta la provincia, e non ci si vede lontano un tiro di schioppo. L’umido è molto sensibile: questi sono i difetti di tal clima” (pag. 38). Nel palazzo dove sono ospiti si festeggia intanto il Carnevale con la partecipazione dei famigliari del proprio seguito e del soprano Paolo Belelli che ha cantato a Firenze, a Pisa e a Venezia. Al gruppo si unisce il notaio del luogo: “Abbiamo qui un notaro dilettante in questo genere: lascia i protocolli subito per recitare; ed è nella maggiore contentezza per aver trovato gente che lo seconda. Egli pertanto ha un vestiario teatrale sufficiente di abiti da Turco, da Arlecchino, da Florindo &. Ha  messa tutta la casa in moto, e il paese concorre alla udienza, perfino i curati”. Anche Alessandro Verri si presta al gioco e diventa il violinista numero uno dello spettacolo.

Nella lettera del ventuno febbraio, Alessandro Verri comunica al proprio fratello Pietro di aver scoperto nelle campagne attorno a Civitanova  molte pietre focaie verso le quali tutta la gente del posto dimostra la più assoluta indifferenza. Proprio in questa giornata a tarda notte ha vissuto poi un episodio che poteva trasformarsi in tragedia. La Marchesa Margherita Sparapani Gentili ha voluto rivedere il mare, partendo però troppo tardi e, sollevatasi una fitta nebbia che veniva dal mare, non riusciva a ritrovare la strada per fare ritorno a casa. Alessandro, molto preoccupato, va alla sua ricerca. Per strada incontra diverse persone alle quali chiede se avevano visto la marchesa che doveva ritornare in carrozza con il servitore e il cocchiere. Quest’ultimo aveva confuso il luogo del ritrovo e se ne era andato in tutt’altra parte ad aspettarla. Alessandro va con torcia a vento e acciarino se la fiamma si fosse spenta e in compagnia di altre persone che sguinzaglia in diverse direzioni. Sulla strada incontra una donna e le chiede se avesse visto la marchesa. Questa gli risponde forse in dialetto. Scrive infatti Alessandro: “Il dialetto di questa gente del volgo si intende con difficoltà, nominava luoghi e strade a me incognite. Pure capii che a presso poco doveva rivolgermi a tale strada”. Finalmente incontra l’amata un po’ stanca e contrariata per l’errore fatto dal servitore.

Sarebbe stato curioso, se nella lettera il Verri avesse riportato qualche espressione dialettale. Trascorrono pochi giorni e il 28 febbraio Alessandro scrive al fratello una lunga lettera nella quale racconta gli strani casi che ruotano attorno ad una chiesina, posta fuori le mura di Civitanova. Si tratta della Chiesa della Madonna degli Angeli, dove proprio nel febbraio del 1794 si verificarono strani bagliori alla sommità del tetto. La chiesa è stata restaurata negli anni (1992- 1996) in cui era parroco di Civitanova Alta mons. Angelo Fagiani, oggi vescovo emerito della diocesi di Fermo. Per raccontare l’episodio, Alessandro parte da lontano, dalla vicina Madonna di Loreto, ad una piccola cappella situata a Montesanto, l’odierna Potenza Picena e infine ad un prete di Morrovalle che chiude al culto una cappella dove un crocifisso aveva iniziato, secondo alcuni, ad operare miracoli.

“Sono in mezzo di Madonne miracolose. Lascio stare quella di Loreto, che avendo stabilito da secoli la sua celebrità, ormai non la conferma con i suoi miracoli. A Montesanto, luogo da qui distante quattro miglia, essendo rimasta una cappella in luogo dove era una chiesa, la quale fu demolita per mancanza di entrate a mantenerne il culto, si erano accorti in quei dintorni che una cappella annessa alla Cappella suonava da se. Eccoti concorrere contadini, e persone d’ogni genere da tutta la provincia, storpiati, ciechi, ratratti d’ogni specie: lasciare stampelle, sciogliersi cinte d’ernie, appenderle ai candelieri, pianti di consolazione, miracoli strepitosi, quotidiani, infiniti. Vi sta un valente prete il quale grida fede, fede e miracolo: che se il miracolo non succede, e lo storpiato cade, o si lagna  più che mai, il bravo prete urla che il penitente non ha fede e lo scaccia come un reprobo” (Ibidem, pag. 39). Le elemosine si accumulano. Si celebrano messe a cinque paoli l’una. Alcuni giovani, fatta la guardia attorno al perimetro della cappella, notano che nei giorni successivi la campanella non suona più come prima. Ma Alessandro freme per informare su quello che sta succedendo a Civitanova poco lontano dalla abitazione dove è ospite. Scrive: “Eravamo da circa un mese con la novella di questo nuovo Santuario, quand’ecco recentemente qui ne abbiamo un nuovo, distante un quarto di miglio, e che vedo continuamente dalle finestre di questa casa. Vi è una cappella la quale è un avanzo di una chiesa demolita, ed essa è dipinta con la Madonna e diversi santi, ed ha un cancello di legno davanti. Saranno dieci giorni che si disse vedersi degli splendori soprannaturali dentro la cappella in tempo di notte. I testimoni erano due marinai. Immantinente il popolo vi è concorso; si sono vedute faville, vampe,  splendori, stelle. Ora ogni sera si raduna a quel luogo molta gente a centinaia; cantano litanie, finite queste incominciano gli splendori, si intonano di nuovo le Litanie… Questa vicenda dura con molto strepito fino a mezzanotte, e poi vi è sempre qualcheduno” (pag. 40).

Qualcuno non è convinto del miracolo. Infatti, “Esaminato il caso da alcuni sensati si è scoperto che lo splendore deriva da un impostore il quale tiene sotto il ferraiolo una lanterna, sta di contro alla cappella, e destramente scopre il suo lume, lo dirige con un lampo nell’interno di essa, e specialmente il moto dell’ombra del cancello, produce della illusione. Gli uomini preparati la accettano facilmente. Un canonico poi il quale intona le litanie con maggiore fervore, e che vede molto vicino gli splendori, ha già rubata gran parte della elemosina che vi gettano i devoti”. Anche il cocchiere di Alessandro Verri, un uomo di Locarno, nel Cantone dei Grigioni, cristiano e praticante come nessun altro, in quanto  “Sente più messe ogni mattina, si è accorto che il lume proveniva da una lanterna umana: volle dire qualche parola, e subitamente si sentì qualificato dalla calda moltitudine col titolo di Giacobino, e vi furono anche minacce”.  Anche altri presenti, che dubitano di questi fatti straordinari, vengono tacciati e minacciati. Chi non crede al miracolo, sente dire Alessandro deve essere messo a morte.

La Marchesa avverte che attorno a loro monta la furia popolare. Si avvicina alla chiesa e fa di tutto per essere accettata. Crede anche lei che il fatto abbia qualcosa di miracoloso. Fa suonare trombe e tamburi in onore della Madonna e ordina che le finestre della abitazione, che guardano verso la chiesa miracolosa, siano illuminate. In questo modo viene allontanata ogni minaccia. Anzi, presso il popolino, la Dama Romana “Diventa la prima a scoprire tre stelle sopra la cappella, e godiamo della maggiore reputazione. Per confermarla vie più faremo illuminare tutta la cappella e vi andranno i domestici a farne l’illuminazione, cantando quante litanie vorrà il popolo, e vedendo quanti splendori gli piace. Il Consiglio di questa terra ha decretato l’altro ieri che si eriga una chiesa in quello stesso luogo dedicato alla miracolosa immagine”. La chiesa della Madonna degli Angeli esiste tuttora a Civitanova Alta, sulla direttrice di Porta Zoppa, lungo la strada che scende nel fondovalle. L’edificio sacro venne costruito nel XVI secolo attorno ad una edicoletta votiva. Pietro Simone Natinguerra, cittadino facoltoso di Civitanova Alta, si dichiarò disponibile alla conservazione dell’antica cappellina e la restaurò a sue spese. Era il 1784, così come si legge sul frontone: “Sacellum ex pietate Petri Simonis Natinguerra restauratum anno Domini 1784”.

Il Carnevale intanto sta volgendo al termine. Alessandro è sempre il primo violino negli spettacoli al palazzo Roberti. La Madonna degli Angeli o dei Lumi tiene ancora banco: “ La Madonna miracolosa degli Splendori ha stabilita la sua reputazione a segno che non è prudenza a discorrerne.  Noi anche ieri sera abbiamo fatto fuochi artificiali ed illuminazioni in onore della medesima. Alla Cappelletta poi oltre le solite preci perpetue, vi erano fuochi di allegrezza consistenti in mucchi di fascine, e perpetue schioppettate. La immagine scintilla, fiammeggia, ed ora dicono anche di averle veduti gli occhi ardenti”. Nella lettera di risposta che il fratello Pietro Verri indirizza ad Alessandro è duro: “A quale stato è ormai degradato l’uomo nel popolo italiano? Campanelle che suonano senza una mano che tocchi, lanterne che gettano lume divino! La massa del genere umano è ridotta all’ultima depressione. (…) Che figura meschina facciamo noi nell’Europa!”.

Alessandro Verri non si ferma. Capisce che nei fatti legati alla Madonna degli Splendori di Civitanova si nasconde lo scontro tra superstizione da un lato e la professione del libero pensiero. In un’altra lettera indirizzata al fratello, mentre scrive che il notaio ha rivestito l’immagine della Madonna con i panni di cui si serve per recitare le pantomime, non nasconde il proprio rammarico di essere ancora additato a giacobino: “E’ la prima volta in vita mia che ho potuto conoscere una smile situazione. Essa fu per me inopinata mentre infatti e nell’interno mio, e nell’esterno sono riconosciuto in Roma per sincero e franco nemico dell’anarchia francese appena cominciò”.  In Francia la rivoluzione sta trionfando.  Il 16 ottobre 1793 Maria Antonietta viene ghigliottinata. La marchesa Margherita Sparapani Gentili cade nella costernazione. Mai avrebbe pensato che si sarebbe arrivati a tanto. Il 19 marzo del 1794, a seguito di quanto il fratello gli aveva scritto, Pietro così risponde in una sua lettera: “Mi spiace che abbiate sofferto delle inquietudini… Siamo in un’epoca in cui la feroce ignoranza ha il vento in poppa e urta sfacciatamente chi ha ingegno, sentimento e soprattutto Logica”.

Per dare più forza all’accusa di Giacobinismo, Alessandro Verri racconta al fratello l’arresto avvenuto a Macerata del sig. Gerolamo Lauri, tradotto dalla polizia pontificia nelle carceri di Ancona.  Il malcapitato “uscito dal Caffè venne consegnato ai birri (…) Il detenuto sig. Gerolamo Lauri ammonito ed esortato, non di pensare, ma di tacere, ha persistito da molti anni in parlare pubblicamente da incredulo, ed ora poi declamava al Caffè, che poco più rimaneva a soffrire, mentre fra poco sarebbero venuti i Francesi a mettere i cervelli alla ragione. Stolidezza in vero mirabile tanto a pensarsi che a dirsi”.  A questa lettera Pietro Verri risponde, scrivendo: “ Il sig. Gerolamo Lauri è u imprudente sicuramente, ma le ultime espressioni sue, e le sue speranze sono lo sfogo non insolito di alcuni del popolo, il modo con quale venne arrestato non è certamente emanazione del Vangelo né degli Atti Apostolici, e fa pena l’abuso”. Conclude dicendo che la permanenza a Civitanova è giustificata solo dall’amabile compagnia della Marchesa. Fosse stato per lui, Pietro Verri, avrebbe abbandonato da tempo il paese.

In un’altra lettera scritta il 21 marzo, Alessandro Verri è ancora alla ricerca di cause razionali che spieghino tutti i prodigi che si sprigionano nella chiesetta della Madonna degli Splendori, ai quali il popolino di Civitanova continua a credere: “La nostra Madonna seguita ad avere concorso, e operare miracoli. Ora si è scoperta l’origine di tale adunanza, ed è derivata da una meretrice, delle più screditate, la quale fu la prima a vedere le scintille miracolose. Siccome poi il vicario, e l’arciprete di questo clero, sono persecutori della fragilità, e non hanno giudizio, né discrezione in questa delicata materia, così la gioventù dell’uno e dell’altro sesso, ha abbracciato calorosamente questa occasione di congregarsi di notte nella valle dove sta il nuovo santuario, e fra le devote Litanie, Belzebù gode di qualche contrabbando. I preti zelanti volevano sciogliere queste adunanze, ma i giovani servendosi del linguaggio appunto zelante dal quale sono incomodati, gridano che i preti non ci credono, che sono bricconi, e nemici della Madonna e li hanno costretti a tacere. Questo è il fatto preciso, e non vi è prete che abbia promosse queste visioni, ma il popolo, e gran parte della provincia se le è fatte da sé, anzi i preti non possono disingannare il popolo già curioso nella sua illusione”. Il ritrovo di uomini e donne, per altro una di loro di facili costumi, dà adito a considerazioni del tutto giustificate. La conclusione del Verri è d perentoria. L’illusione del popolo supera ogni tentativo di razionalità.

Il soggiorno della festosa compagnia sta volgendo al termine, non prima però che il Verri scriva un’altra lettera al fratello Pietro: “Ora ho cominciato a verificare che le luci notturne della vicina Madonna possono essere lucciole; in questa stagione qui non vi vogliono essere, ma l’inverno più mite del solito le ha fatte nascere. Qualche contadino se n’era accorto, ma non ardiva dirlo. Il concorso continua”. Alessandro Verri va alla ricerca di un qualche movente razionale che non sia quello dettato dalla religione per spiegare gli strani raggi di luce che promanano dal tetto della chiesa. Il fratello Pietro gli scrive: “La vostra Beata Vergine fosforica è un grazioso aneddoto, non è dunque più una grossolana illusione datta a de’ stupidi; è una disinvolta operazione di primavera per sottrarre dalla tirannia del vicario e dell’arciprete l’amore. Va benissimo d’accusare i preti d’essere nemici della Vergine. Mi è piaciuta assai questa storiella”.

In una lettera del 28 marzo, Alessandro scrive al fratello di una visita fatta a Montesanto dove esiste una magnifica villa, quella dei Bonaccorsi: “Vi è una villa di casa Bonaccorsi di Macerata. Il giardino è sul gusto lombardo, con molti giochi d’acqua. La casa è molto grande, comoda e signorile. E’ la più bella villa della Marca ed è a poche miglia dal mare, sopra un colle”. Il 7 arile Alessandro informa il fratello che hanno deciso di trasferirsi a “Pieve Favera, villa della Marchesa alle pendici dei Monti, per la seconda festa di Pasqua, cioè il giorno 21 corrente. Il caldo in questa spiaggia incomincia ad essere incomodo”. Quando è già nella nuova destinazione, scrive: “A Civitanova ho passati cinque mesi piacevolmente. Il clima delizioso, la società ogni sera di quattro almeno, fino a quindici nobili del Paese, aggregati alla nobiltà di Macerata, o Recanati, ma lasciando i loro buoni, o cattivi quarti di nobiltà, e lasciando anche la mediocrità delle loro cognizioni, il certo ed importante è che hanno il cuore buono, stanno bene insieme, sono sempre uguali, e ci hanno ricolmati in ogni momento di servizi, e di attenzioni. Anche il popolo, e le contadine di facevano cordialità, e si lamentavano della nostra partenza”.

Bel saggio, quello di Matteo Gentili, impreziosito anche da un notevole apparato critico. E’ il punto di partenza per ulteriori ricerche, come detto dallo stesso autore.

Raimondo Giustozzi

 

Bibliografia

  1. Sara Rosini, Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, vol. 8, tomo I e II, Roma 2008.
  2. M. Troscé, Macerata nel secolo XVIII: struttura economica, classi sociali e proprietà fondiaria, in Studi Maceratesi, VIII (1972).
  3. A. Eleuteri, Santa Maria degli Angeli, vicende storiche e devozione popolare intorno alla chiesa e alla Pia Unione della “Madonna dei Lumi” di Civitanova Marche, in Civitanova Immagini e Storie, Vol. 8, 2009, pp. 7- 48.

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