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La poesia vince di mille secoli il silenzio. Nostalgia per il tempo passato.

La cascina

La cascina

Era la primavera del mille novecento settantotto, il secondo anno del mio lungo soggiorno in
Brianza. Abitavo a Giussano in piazza San Giacomo, al centro del paese, in un piccolo
appartamento, composto da una sala, un cucinino, bagno e camera da letto. Sul tavolo multiuso,
dove mangiavo, leggevo, studiavo e preparavo la lezione del giorno, troneggiava una grande
macchina da scrivere. Era una Olivetti da ufficio, quale non se ne trova più in commercio. La usavo
per scrivere la tesi di Laurea di un amico: La stampa spagnola e l’avvento di Miguel Primo de
Rivera al potere. Il generale spagnolo (Jerez de la Frontera, 8 gennaio 1870 – Parigi, 16 marzo
1930) governò la Spagna come dittatore dal 15 settembre 1923 al 28 gennaio 1930. Non conoscevo
una parola di spagnolo ma non mi era richiesto. Dovevo solo battere a macchina ciò che l’amico
aveva scritto, perfezionare solo qualche periodo non del tutto corretto, impaginare i diversi capitoli
e paragrafi, curare le note a piè di pagina. Era un lavoro che facevo solo nel tempo libero. Siccome
di giorno insegnavo, scrivevo a macchina quasi sempre di notte. Quanto al rumore non c’era nessun
problema. Ero il solo ad abitare sul mio piano. Nel giorno libero, quando non andavo a scuola,
lavoravo sempre alla tesi di laurea.
Quell’anno ma anche negli anni successivi mi faceva compagnia l’ascolto della radio. Due erano le
emittenti sulle quali mi sintonizzavo quasi sempre: Radio Torre Lombardia 1 e Radio Lady
International. Non ricordo più se era la prima o la seconda che trasmetteva per più volte al giorno
la ben nota canzone di Franco Simone, Cara droga. Anche oggi ripeto a me stesso, anche per
esercitare la memoria, alcuni versi: “Voglio maledirti / Raccolgo le forze per gridarti / La rabbia
che sola posso darti / Con l'anima a pezzi ormai / Voglio che ti resti il mio disprezzo / Come sola
mia eredità / Soltanto la rabbia posso darti / Con l'anima a pezzi ormai” (Franco Simone, cara
droga). https://www.youtube.com/watch?v=fqpCA8vCJUc
Sempre di Franco Simone, mi faceva compagnia la canzone Respiro, con i versi: “Io vorrei / che il
mio viaggio / di gran vagabondo / finisse con te / e per noi / diventasse respiro / quell’esserci
amati, / annullati, divisi, / rincorsi, appagati… “.

Di Radio Torre Lombardia 1, emittente di Giussano, seguivo invece due trasmissioni radiofoniche,
La Grande Brianza ed E’ nato un poeta. Era una manifestazione di allegria generale e rumorosa di
quanti si cimentavano, scrivendo testi poetici in dialetto locale e in lingua italiana. “Il successo
riportato nel corso dei diversi incontri radiofonici ed il conseguente invio da parte degli autori dei
loro scritti poetici” suggerì alla direzione dell’emittente di raccogliere le poesie in un libro
pubblicato nel dicembre 1980 dalla tipografia Boffi di Giussano. Furono stampate 501 copie, a me
toccò il numero cinquantaquattro. E’ un testo che ho tra quelli a me più cari, assieme a molti altri
che mi ricordano la permanenza in terra lombarda per ben venti anni. Alcuni autori li ho conosciuti
negli anni successivi al 1978; con i fratelli Boffi ho avuto sempre buoni rapporti di amicizia e stima.
Radio Torre prendeva il nome dall’omonima Cascina Torre, situata nella parte alta di Giussano,
immersa nel verde della campagna brianzola, salvata dalla cementificazione perché posta all’interno
dell’area protetta del Parco Lambro. Il ricordo più bello che ho del posto è il profumo emanato dai
tigli in fiore. L’ho visitata, in uno degli ultimi anni di permanenza a Giussano, assieme ad un suo
abitante, Angelo Elli, poeta dialettale, che le ha dedicato una poesia, inserita nel libro: “Turr mia,
cà de sass, / semper bella cont i tò / v’ottcenttrent’ann!… / Quanti te ne vist nass e murìi, / ma ti,
Turr mia, / te set semper lì, / lì in mezz al verd! // Turr mia, cà de sass… tegn dur, / perché ti te set
la sola / che cunta nel mé coeur. / Quella finestra lì, su al volt, / dua temp indree / me pareva de

tuccà el ciel / sol v’alzand on po la man. // Se vet el Resegon, i do Grign, / el Legnon, San Primm, /
mont Bisbin, mont Generus, / el lac d’Annon e la cava de Civà / e da la part de là / la guglia del
Domm / cont la bella Madunnina / e dopu…, dopu, tant / caminun che fuma… // Oh, Turr, cà de
sass, tegn dur! / El mund al butta foeu cement / compagna de lava… / e no’ se cava / on tocch de
verd / in mezz a stò brusaa… / tegn dur, oh Turr, tegn dur / in mezz al verd! // Ti te me vist nass / e
mi gh’hò ‘na speranza in coeur, / che, nel sarà i oecc… / sarò anmò chi…, nella mia… / nella
mia… cà de sass! (Angelo Elli (Michel) da Giussano).
Noterelle al testo:
La cascina in oggetto è una casa torre. Serviva come avvistamento degli eserciti invasori. Alla sua
sommità, lo sguardo spazia a trecento sessanta gradi. Si vedono il Resegone, sopra Lecco, di
manzoniana memoria, la Grigna e la Grignetta, altre due vette che fanno parte della Prealpi
Lombarde, il monte Legnone, una montagna alta 2.609 m s. l. m. E’ la cima più alta della provincia
di Lecco. La sua vetta si eleva ad un punto tale da essere chiaramente visibile da Milano e dalla
Brianza. Il monte Bisbino è una montagna alta 1.325 m s. l. m. appartenente alla sezione delle
Prealpi Luganesi e alla sottosezione delle Prealpi Comasche. E’ al confine tra la provincia di Como
e il Canton Ticino. Il monte San Primo è una montagna lombarda situata nelle Prealpi Comasche.
Raggiunge un’altezza di 1.682 m s. l. m. E’ la cima più alta del triangolo lariano e sovrasta le rive
del lago di Como e Bellagio. Il monte Generoso è una montagna delle Prealpi Luganesi, situato al
confine tra Svizzera e Italia. La sua vetta, conosciuta come punta Càdola è condivisa tra il comune
italiano di Centro Valle Intelvi e quello svizzero di Rovio. El lac de Annon è il lago di Annone si
trova nella parte settentrionale della Brianza. Sul lago di Annone si affacciano i comuni di Annone
di Brianza, Suello, Civate, Galbiate e Oggiono. La cava de Civà è il grosso scavo praticato nella
parete della montagna, sopra il paese di Civate, per estrarne materiale utile per l’edilizia, lavorato
nel vicino cementificio di Merone, oggi trasformato in un inceneritore. Il cemento della poesia è
simile ad una colata di lava e non c’è più uno spicchio di verde in mezzo a tanta terra resa quasi
simile a deserto. Non ho voluto trascrivere la traduzione per non mortificare la musicalità dei versi
in dialetto.
La cascina Torre è costruita con le pietre della montagna vicina, ecco perché è chiamata cà de sass.
Esiste da ottocento trent’anni. Oggi è un’abitazione privata, restaurata pietra su pietra, inserita
all’interno di un percorso che si snoda dal laghetto di Giussano e tocca le altre cascine della zone.
La guglia più alta del duomo di Milano ospita la Madonna, la Madunnina, nel dialetto brianzolo e
meneghino. I camini che fumano sono le ciminiere delle fabbriche, disseminate in tutto il territorio
brianteo i cui confini vanno, a sud il canale Villoresi, a nord le Prealpi Lombarde, ad ovest il fiume
Seveso, in mezzo il fiume Lambro, ad est l’Adda. Il termine La Grande Brianza, dato
dall’emittente radiofonica è un’iperbole. Il territorio non è grande ma è senz’altro uno dei più
densamente popolati. Alcuni ritengono che non esiste una sola Brianza ma più Brianze, tanto che
una rivista edita da Bellavite Editore in Missaglia, usciva alcuni anni con il titolo Brianze,
distinguendo una Brianza Milanese, una Lecchese, un’altra fetta di Brianza Comasca e la Brianza
vera e propria con Monza capoluogo di provincia. Una curiosità: la provincia di Monza e Brianza è
stata votata nello stesso giorno in cui è stata approvata quella di Fermo nelle Marche.
L’antologia di testi poetici, dal titolo Amica Brianza… da parte dei nostri ascoltatori, a cura di
Radio Torre Lombardia 1 FM 89 Giussano, raccoglie cinquantasei testi poetici in dialetto brianzolo
e centosei in lingua italiana; cinquantacinque gli autori che hanno scritto una o più poesie. I temi
sono quelli del ricordo, delle stagioni, degli affetti, della vita, dell’amore, dell’ambiente, tutti
attraversati da una costante nostalgia per il tempo che passa inesorabilmente. Nostalgia intesa nel
suo senso più classico. I nostoi, traslitterato dal greco, sono i ritorni, algos, anch’esso traslitterato, è
il dolore. La nostalgia è quel sentimento che ci prende, quando ritorniamo al passato con il dolore

per il tempo trascorso. Registriamo come uno spaesamento perché qualcosa di noi non esiste più o
se esiste è solo nella memoria. Ma in un’epoca di cambiamenti repentini è importante di tanto in
tanto fermarsi e ripensare da dove veniamo. La poesia ci aiuta in questa operazione. Il poeta è chi sa
mettere in versi ciò che tutti avvertono ma non tutti sanno dirlo in termini poetici.
Sempre l’amicizia con Angelo Elli mi ha permesso di mettermi in contatto con un’associazione di
Como e di conoscere altri poeti: Antonio Curioni e Gigi Colombo. Quest’ultimo, di cui ho saputo
solo alcune settimane fa la morte, era l’anima culturale del paese. Organizzava spettacoli teatrali in
dialetto e in lingua italiana. Quando perdiamo qualcuno che ci è stato caro, con lui muore anche una
parte di noi. Per questo ho voluto scrivere queste piccole memorie. Sono bazzecole, quisquiglie e
pinzillacchere. Ma sono anche queste piccole cose, le nugae (bagatelle) di virgiliana memoria, che
ci aiutano a vivere per prepararci all’incontro con il nulla eterno, come cantava poeticamente Ugo
Foscolo, uno che se ne intendeva di poesia come pochi altri e che non era affatto pessimista, come
viene sbrigativamente definito nella scuola.
Le poesie della silloge sopra ricordata sono tutte belle ma un altro testo mi ha sempre suscitato
emozioni e nostalgia: “Trent’anni incoeu”, di Caterina Sangalli Bianchi da Bovisio, un paesino
della Brianza. La poesia è stata riportata anche in un’altra pregevole opera dal titolo Poètta e Pittôr,
pubblicata il 4 novembre del 1981 sempre dai tipi Grafiche Boffi di Giussano. Il libro contiene
diciannove poesie e ventitré incisioni. L’espressione incoeu, nel dialetto milanese, significa oggi;
c’è chi ritiene che sia una variazione dell’espressione latina hinc hodie, in questo giorno. Padanus
latine loquitur. Parla in Latino l’abitante della Padania, oltre che celtico e lumbard.
TRENT’ANNI INCOEU
“Sont diventada mama, trent’anni incoeu! / Mama, la prima volta, mama anca mi. / Ma l’eri propri
vera, l’era no on sogn / che mi podevi streng el mè fiueu? // Noev mes… de lunga attesa, / coi man,
carezzà ‘l venter pian pianin / per nò fagh maa… e quand gh’eri paura, / andavi a ingenuggiamm,
de corsa, in Gesa! // pensavi al so faccin, ai so oggitt, / o on bell nasin schisciaa a patatina, / la
bocca tutta on fior, come una rosa, / al so crapin quatter cavejtt. // Vedevi già el manin a
sgambettaa, / corromm incontra e rid e brasciamm su / coi brascitt e strengiumm in su ‘l coll / e
ciammamm mama… e quasi buttamm là. // E ghe parlavin insemma tutti el dì / e intant coj so
pugnitt… el respondeva / e stoo cicciarament, faa cont l’amor, / ona regina el me faceva sentì. //
Poeu, quand l’è vegnuu al mond, in pienna nott, / e mi… sudaa… e morta de stanchezza / capivi pù
nient… parevi on strasc…, / nanca pù donna s’eri, ma on pover fagott! // Sentivi la sua vôs che la
strillava. / forse, per farse capii da la sua mama… / S’eromm giamò pù insemma…, s’eromm pù un,
/ ma do personn che ormai… se separava! // Podè tegnill cont mi, in di mè man, / ninnal, scaldall
cont tanta devozion, / daghe l mè latt… e invece, par nò vera, / l’è staa el primm pass che l’ha
portaa lontan!… // El temp… l’è volaa via come in d’on bott. / Incoeu…, trent’anni el gh’ha…,
ormai l’è on omm, / l’è on omm coi so fastidi e i so penser / e mi, purtoppo, ghe poedi fa nagott. //
Quand el venn chi, i oecc, che guardi semper / e cerchi de capii quel ch’el patiss, / perché l’è el mè
bagaj come una volta, / ghe dervi anmò el mè coeur… el metti denter. //Trent’anni incoeu…
Trent’anni per la tua mamma / che la venn veggia e la po' pù parlà, / Ma mi, me vedi anmò in
quella stanza / e senti… la toa vos… che la me ciama” (Caterina Sangalli Bianchi da Bovisio 4
novembre 1979, ibidem, pagg. 64- 65).
Note al testo.
Anche per questa poesia non ho curato la traduzione. Avrei snaturato la sua bellezza. Il contenuto è
comprensibile. Chi scrive è diventata vecchia. Il suo compleanno coincide con i trent’anni compiuti
dal figlio che ormai è un uomo con i suoi fastidi e i suoi pensieri. Eppure per lei è sempre ed ancora

il proprio bagaj, il proprio figlio. Scruta i suoi occhi. Vorrebbe dirgli qualcosa, capire il suo stato
d’animo, parlargli e dirgli che gli vuole bene. Quando aspettava che nascesse e l’aveva nella sua
pancia, si sentiva con lui una cosa sola. Una volta nato, da una sola persona ne sono nate due. Sono
le strade della vita che ci portano lontano l’uno dall’altro. E’ una esperienza che fanno tutti i
genitori, mamma e papà, che, diventati vecchi o comunque anziani, si consolano pensando ai propri
nipotini nei quali rivedono il proprio figlio o figlia. Il dialetto brianzolo è lontano dalla nostra
parlata marchigiana. Eppure non è difficile leggerlo. Ricordo che Gigi Colombo apprezzava i miei
progressi ogni volta che ci si incontrava. Attaccavo sempre con un “S’è gh’è de noeuv?”. E davo
anche la risposta: “Tùcc coss de vecc”. Cosa c’è di nuovo? Niente di nuovo, tutte cose vecchie.
Rideva divertito e mi incoraggiava a migliorare la dizione.
Molto belli anche i testi poetici in lingua italiana raccolti nella silloge pubblicata dalla direzione di
radio Torre Lombardia 1 , emittente radiofonica di Giussano. Ne ho scelti solo due. Il primo si
intitola Ricordami, è il ricordo di un amore, il secondo L’agguato, è una riflessione sull’uccisione
di un operaio ad opera delle Brigate Rosse, un gruppo armato che insanguinò l’Italia degli anni
settanta.
Ricordami:
“Non dimenticarmi / ricordami così: / col viso senza rughe / che ai tuoi baci sapeva arrossire. / Lo
sguardo vivo di te, / la pelle morbida / alle carezze delle tue / ruvide mani. / Ricorda / i tuoi capelli
biondi / già un poco radi e le mie trecce sfatte, / nere, tra papaveri e grano. / Ripeti / le parole di
allora / che piano mi sapevi sussurrare / e non scordare mai / che io ti ho amato” (Virginia Favaro
– Lanzetti da Lecco).
L’Agguato:
“Agiscono nel buio della notte / evitando il giorno con tutta la sua luce; / si chiamano bierre, / ma i
sistemi loro / son proprio come quelli / che usava il duce. / Sicuri che non fosse uno sbaglio / lo
hanno sottoposto a bersaglio, / strappandolo agli affetti dei suoi cari, / han soffocato la ragione
con gli spari. / Non vi sarà sapone o detergente / per lavare la stella a cinque punte; / le vostre
mani sono insanguinate, / sporche, sozze, unte. / Dormi all’ombra dei cipressi, / caro compagno
Rossa, / medaglia d’oro alla memoria. / Con il sangue uscito dal tuo cuore / hai scritto una pagina
di storia, / un capitolo d’amore. / Genova, unita alla Nazione, / ti ha reso omaggio, / ma quello che
più vale / è l’Internazionale. / L’inno suona con rispetto, / un fiore rosso è fiorito / ed è sbocciato
sul tuo petto” (Y – Franco Zanibelli da Giussano, ibidem, pag. 186).
Guido Rossa, operaio sindacalista, fu ucciso dalle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979 alle 6,35 del
mattino, mentre sta uscendo dalla propria abitazione in via Ischia 4 a Genova, per recarsi al lavoro
con la sua Fiat 850. Fu un episodio che andò ad aggiungersi ai tanti giorni terribili propri della
Notte della Repubblica, come definì quegli anni Sergio Zavoli, il grande giornalista della Rai.
Raimondo Giustozzi

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