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Giuseppe Gerini, Ermanno Giampaolini e Biagino Casci. Marche. Terra di poesia!

Belvedere Ostrensedi Stefano Bardi

Monte San Vito piccolo paese dell’entroterra anconetano di appena 6.800 abitanti risalente al 1053-1155.  Paese questo dislocato a 25 km dal mare e confinante a est con Morro d’Alba, a sud con Monsano, a ovest con Chiaravalle, a nord con Montemarciano. Un paese questo dal territorio collinare che forma la frazione di Borghetto, a differenza del centro storico posizionato sulla vetta di una collina in mezzo ai torrenti Triponzio e Guardengo.

Città questa, in cui le sue vetuste origini sono ancora visibili all’interno del nucleo castellano che raccoglie la Chiesa Collegiata di San Pietro Apostolo del 1573 e il Palazzo Malatesta ora sede municipale, del 1400-1500. Monumenti questi abbracciati e affiancati dall’Archivio Storico ora Biblioteca Comunale con documenti risalenti al 1248, dalla Chiesa di San Giovanni Apostolo del 1609, dall’ex Mulino ora sede del Teatro Condominiale “La Fortuna” del 1757-1758 e da un antico frantoio oleario del XVII secolo. Paese questo basato principalmente sulla produzione dell’olio di oliva, sulla produzione vinicola, sull’industria metallica e sul recupero della locale tradizione alimentare con prodotti come i ciarimboli, la pizza di Pasqua al formaggio, la sapa e tanto altro ancora.

 

Un paese infine, che è caratterizzato dalla poesia di Giuseppe Gerini qui nato nel 1895. Un poeta sul quale ancora oggi non conosciamo il giorno, il mese della sua nascita e il luogo, il giorno, il mese, l’anno della sua dipartita, ma, come ci riferisce la storica Sandra Cappelletti fu eternamente legato alla sua terra natia nella quale molte volte tornava durante i periodi estivi. Sappiamo, anzi conosciamo inoltre la sua intera produzione poetica composta da Bonae manus (1928), Alanda (1929), In Ascolto (1932), Nel mio eterno (1940), Armonie velate (1943), Motivi e Canti (1944), Dentro celeste sponda (1949), Alba migliore (1951), Tre pietre (1956), Goutte dans l’immense fleuve (1967) e l’opera omnia Poesie 1928-1962 (1963). Poeta che può essere definito come un vate distante dalle tradizionali tematiche della poesia italiana e che compose poesie colme di dolcezza, musicalità e trasparenza. Un primo tema è quello degli affetti familiari con particolare riguardo, alla figura della madre. Figura questa che è vista dal figlio poetica con gli occhi di un pulcino, che vede la sua mamma come una creatura buona, generosa e spiritualmente straziata per la dipartita dei suoi quattro figli. Un secondo tema è quello della terra natia concepita come un luogo alchemico, in cui nascono fantastiche storie che volano fino al cielo mutandosi in nuvole dalle forme familiari. Famiglia, terra e natura attraverso le liriche “L’Albero, il fiore”, “All’usignolo” e “Il sole prigioniero”. Nella prima lirica questi due elementi naturali, sono concepiti dal poeta come delle creature con un’anima che al pari degli Uomini, sono schiave dell’amore che è gioia, bontà, fratellanza, lacrime, strazi, dipartite e come gli Uomini, anch’esse si godono attimi di pace e vivono esistenze senza lacrime. Nella seconda lirica c’è un richiamo alla poesia “Il passero solitario” di Giacomo Leopardi. In entrambi i vati il meraviglioso canto degli uccelli viene messo in risalto poiché il loro canto, da sempre, custodisce la sua dolce musicalità. Niente di questo, però, è paragonabile al maestoso canto della natura costituito dal silenzio, che neanche il canto umano osa spezzare. Nella terza e ultima poesia la natura geriniana è una natura meccanica e bellica, dove i suoi uccelli d’acciaio portatori di morte, sono dotati di un’oscura anima capace di esaltare la violenza, lo strazio e gli innocenti pianti.

Anche i temi religiosi spuntano nella poesia di Giuseppe Gerini, attraverso Dio e la Morte. Per quanto riguarda Dio, dobbiamo riferirci alle liriche “E, se ritorni” e “Siamo le tue messe”. Nel primo testo il Padre Celeste è concepito come l’unico e vero “padrone” di tutti Noi poiché, solo Lui può comandare ogni nostra intenzione e solo Lui, è capace di frenare ogni nostra azione. Un Padre più nel dettaglio che ci farà rinascere dopo la nostra carnale dipartita, per vivere assieme a Lui un’eterna esistenza. Nella seconda poesia, invece, gli Uomini sono paragonati a chicchi di grano in mano a Dio che saranno da lui seminati per poi crescere in verginee terre, senza che nessun vento demoniaco e satanico li possa scalfire. Per quanto riguarda il tema della Morte dobbiamo concentrarci sulla poesia “Cimiteri”. Universo, questo, dove l’unico linguaggio usato da Giuseppe Gerini è il silenzio che a volte inaspettatamente è rotto dal demoniaco canto del merlo, in grado di far  sanguinare il cielo accompagnando gli spiriti che camminano sui freddi e marmorei andini sacri dei campisanti.

Un’ultima tematica da trattare molto velocemente, è quella riguardante la dipartita della figlia Magda. Dipartita quella della figlia che lacerò il cuore del padre poeta e allo stesso tempo però, l’ha trasformata in una divina creatura eternamente fresca e candida. Divina creatura e cimiteriale ombra dagli abbaglianti sguardi, dal cuore intensamente palpitante e dalla dolce voce che riflette nel cuore del padre poeta, i momenti terreni vissuti insieme a lui. Una commemorazione infine dove le dolorose lacrime paterne, si trasformano in gioiose lacrime nei riguardi della figlia che ora è la sposa di Dio.

 

Partiamo ora da Monte San Vito per raggiungere il piccolo paese di appena 1.858 abitanti posizionato sulla linea d’incrocio fra Senigallia e Jesi, che prende il nome di Morro d’Alba. Cittadina questa dalla millenaria storia divisa in due ramificazioni. Una posiziona la nascita del paese intorno all’anno Mille e una seconda, invece, la posiziona nel 1213. Un piccolo paese dalle numerose tracce storiche costituite dalle cinta murarie del XIII-XV secolo, dal camminamento “La Scarpa” del 1500, dai sotterranei del 1400-1600, dalla Chiesa di San Gaudenzio del 1700, dalla Chiesa della Santissima Annunziata del 1670 e dalla Chiesa di S. Amico del 1587. Monumenti questi affiancati dal Parco “Chico Mendes” e dal Museo Utensilia, che conserva gli antichi strumenti mezzadri usati dai contadini morresi nel 1800 e nel 1900. Storia, natura, campagna e vino attraverso la Lacrima di Morro d’Alba che costituisce la principale fonte di guadagno locale insieme all’olio di oliva e ai prodotti derivanti dalla visciola.

Parole queste che sembrano aver detto tutto, ma così non è, poiché dobbiamo spendere due velocissime parole sul poeta locale Ermanno Giampaolini nato a Morro d’Alba nel 1913. Purtroppo però non sappiamo il giorno, il mese della sua nascita e il luogo, il giorno, il mese della sua dipartita avvenuta nel 1993. Dati questi che vanno affiancati dai versi presenti sul sito del Comune di Morro d’Alba e dalle poesie “Sere de vendegna”, “Merendina scolastica” e “Bagno casalingo, d’obbligo” tratte dall’ormai introvabile raccolta Poesie in vernacolo, ma, inserite dalla Pro Loco sul loro sito con lo scopo di recuperare l’importante passato cittadino fatto non solo di Storia e Mezzadria, ma anche di Poesia. Versi quelli del sito Comunale dedicati alla sua città natale, dove l’imponente arco murario innanzi all’entrata del centro urbano ci immerge nel magico camminamento “La Scarpa” dal poeta visto come un divino e imperiale cammino. Cosa ben diversa sono le liriche del sito della Pro Loco morrese. Nella poesia “Sere de vendegna” la sera della vendemmia si trasforma in un’atmosfera magica, in cui le tenebre vincono sulle esistenziali brume e a loro volta, sono purificate dalla calorosa luce lunare in grado di addolcire le nebbie più impercettibili. Poesie “Merendina scolastica” e “Bagno casalingo, d’obbligo” infine, che, attraverso l’ironia e l’umorismo analizzano la Vita per impartire ai lettori profondi insegnamenti sociali ed etici come per esempio nella seconda poesia dove capiamo, che, chi troppo vuole nulla ottiene.

 

Ripartiamo nuovamente per raggiungere la nostra ultima meta, che è la piccola cittadina di appena 1.191 abitanti e che prende il nome di Belvedere Ostrense. Paese questo nato nel XII secolo dai resti del Castello Belvedere poggiante su dolci rilievi collinari e valli fluviali, che, permettono la coltivazione di vigneti e oliveti. Paese questo in cui sono presente varie tracce storiche come per esempio il Palazzo Comunale del 1600-1700, la Chiesa Collegiata di Santa Maria della Misericordia del 1400, il Santuario della Madonna del Sole del 1736 e il Museo Internazionale dell’Immagine Postale del 1800. Storia affiancata da un’economia agricolo-alimentare basata sulla produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi D.O.C., della Lacrima di Morro d’Alba D.O.C., della salamora, della visciolata e sul recupero della tradizione alimentare con la festa Vecchi Sapori d’Autunno, in cui degustare piatti tradizionali della cucina marchigiana.

Paese questo anch’esso legato alla poesia attraverso la figura, del poeta locale autodidatta Biagino Casci nato a Belvedere e morto il 18 giugno 2004 senza però sapere il giorno, il mese, l’anno della nascita e il luogo della dipartita. Poesia la sua estremamente sofferente al pari della sua Vita caratterizzata dalla separazione dal suo paese natale e dalla dolorosa dipartita, della moglie Vittoria. Una poesia quella di Biagino Casci dove le allucinazioni rappresentano il vitale anelito per sopravvivere all’interno di una realtà, dove lo sbaglio e la malinconia vengono canzonati e la verità è stuprata dalla cattiveria, dall’ingordigia, dall’avidità e dalle umane lacrime. Poesia la sua che può essere così riassunta: riflessione sul fato degli Uomini, totalità dell’amore, fragilità spirituale e fugacità della Vita. Temi questi in conclusione, che sono affiancati dall’intimo tema riguardante la nipote vista dal nonno poeta, come la sua salvezza spirituale e la sua eterna rinascita nell’al di là.

 

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