di Raimondo Giustozzi
Si sa che il titolo di un articolo è volutamente caldo, come si dice in gergo giornalistico. Serve per attirare la curiosità del lettore. Un titolo freddo non suscita nessun interesse. Nel caso del libro NazItalia, presentato dall’autore Paolo Berizzi, giornalista de “La Repubblica”, sabato 29 giugno 2019, alle ore 18,00, presso l’istituto Superiore Leonardo Da Vinci di Civitanova Marche, non c’è titolo più azzeccato. Il sotto titolo Viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista, lo spiega meglio. E’ sbagliato comunque fermarsi al titolo e liquidarlo come infelice, perchè l’Italia non è un paese fascista. Eppure il sonno della ragione in passato ha generato dei mostri. Non bisogna mai minimizzare certi rigurgiti del Nazismo e del Fascismo. Paolo Berizzi, dati alla mano, ripercorre con dovizia di particolari alcuni fenomeni inquietanti che vale la pena leggere con attenzione.
Com’è strana la vita! Di mattina, sabato 29 giugno, seguo presso la Biblioteca Civica Silvio Zavatti le iniziative volte a ricordare la liberazione di Civitanova Marche dal Nazi – Fascismo per merito dei Lancieri dei Carpazi, soldati del II Corpo D’Armata Polacca, giusto settantacinque anni fa. Al pomeriggio dello stesso giorno mi reco presso l’auditorium dell’Istituto Leonardo Da Vinci e vengo a sapere che l’Italia non è stata affatto liberata dal Nazi – Fascismo. Non sapevo di questa iniziativa. All’uscita dalla biblioteca, leggo su una locandina che l’ANPI, CGIL, CISL, UIL e l’Istituto Gramsci Marche avevano programmato per le ore 18,00 dello stesso giorno, un incontro con Paolo Berizzi, Annalisa Cegna dell’Istituto Storico di Macerata e con Pier Paolo Rossi, consigliere comunale di Civitanova Marche e coordinatore dell’evento.
Un signore, che aveva come me seguito le iniziative della biblioteca, uscendo, si era fermato anche lui a leggere la locandina. Non so se sia intervenuto all’altra iniziativa. Entrando nell’auditorium, ho notato subito un numero più alto di partecipanti, circa trecento, rispetto ai settanta del mattino; di tutti quelli che c’erano al mattino, non c’era quasi nessuno al pomeriggio. Eppure si parlava dello stesso argomento, la resistenza al Nazismo e al Fascismo, seppur con uno sguardo rivolto al presente. Certo, qualcuno può anche sostenere che si è liberi di partecipare a quello che si vuole e che l’incontro del pomeriggio era più politicizzato. Una volta tanto però mi sento di spezzare una lancia a favore della politica, intesa come invito rivolto alla Polis, alla città nel suo insieme, dove vivono gli stessi cittadini.
Un’altra considerazione poi mi spingeva ad intervenire anche a quest’altro incontro: “Se il passato fosse veramente finito o morto, vi sarebbe un solo atteggiamento verso di esso, lasciate che i morti sotterrino i loro morti. Ma la conoscenza del passato è la chiave per capire il presente. Gli avvenimenti passati non possono essere separati dal presente vivo senza perdere il loro significato. Il vero punto di partenza della storia è sempre qualche situazione attuale con i suoi problemi” (J. Dewey, Democrazia ed Educazione, pag. 275). Ho percepito subito che mi trovavo catapultato nel presente, quando, entrando nel parcheggio della scuola, vedo davanti a me due macchine della Polizia e una dei Carabinieri. “Dal marzo 2017 – Paolo Berizzi – “è sotto tutela in seguito a una serie di minacce e atti intimidatori, ultimo dei quali una svastica, il simbolo delle SS e un crocifisso incisi sulla sua auto” (Paolo Berizzi, NazItalia, viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista, terza pagina di copertina, Baldini + Castoldi s.r.l. Milano, 2018).
Il libro consta di 424 pagine, con un prologo dove l’autore spiega il senso del viaggio e dodici capitoli: prima gli Italiani, Milano, 24 febbraio 2018, Il Naziskin alla Leopolda, Firenze, novembre 2017, 29 aprile e altre parate nere, Milano, aprile 2017 – Roma, gennaio 2018, la spiaggia del regime, Chioggia, luglio 2017, l’ex di Forza Nuova, Padova, febbraio 2018, il solstizio dei dodici raggi di Varese, Caidate, Varese, dicembre 2017, Laboratorio Lombardo, CPI (CasaPound Italia), calci e pugni Italia, farsi stato, la rete Nazirock, il Black Web, Curva Destra, Verona, marzo 1986. Completano il saggio: Fascismo eterno, la galassia dei gruppi neri, contributi antifascisti al libro. Il linguaggio è chiaro. La passione per il proprio lavoro traspare in ogni pagina del saggio ma soprattutto nel paragrafo “Tocchi uno partono tutti quanti”, là dove Paolo Berizzi scrive: “Informare. Raccogliere notizie, Verificarle, scriverle. Penso che il dovere e la funzione sociale di un cronista non sia solo questo. Dietro il lavoro di scavo, il portare a galla ciò che è sommerso o taciuto, e scomodo, ci deve essere anche la consapevolezza che stai facendo qualcosa che può essere utile. E per questo lo devi fare ad ogni costo. Non importa quale sia la reazione delle persone o dei gruppi dei quali scrivi. Quello di capire, raccontare, e denunciare, è il tuo mestiere. Un mestiere artigianale che richiede pazienza e costanza. Ma anche impegno civile. O sei disposto a farlo in questo modo oppure è meglio che cambi lavoro. Ogni volta che confezionavo un servizio o un’inchiesta che riguardasse i Do. Ra. (Comunità militante dei Dodici Raggi) mettevo in conto che prima o poi avrebbero tradito la loro proverbiale ritrosia rispetto a reazioni plateali e muscolari – tipica ad esempio di altri gruppi, come Forza Nuova. Sapevo che rendere pubblica, e denunciare, l’anomalia tutta italiana di un gruppo dichiaratamente neonazista, avrebbe avuto un prezzo. E’ andata proprio così. Nel paese della mafia, anzi delle mafie, ci sono altri sodalizi – meno noti, non ascrivibili a un livello di criminalità così esplicita, e dunque più subdoli – che non tollerano il servizio pubblico del giornalismo. Se fai il tuo lavoro e ti occupi di gruppi di estrema destra, vieni etichettato come un vigliacco, un infame, un delatore, uno senza onore, un confidente da 30 denari (delle forze dell’ordine), uno che protegge i nomi di stupratori e pedofili. Oppure diventi automaticamente la vergogna di Bergamo (la mia città). Uno che vuole la guerra o che cerca rogne. Uno scribacchino, un manutengolo, una fogna, un troll, un represso, una mammola, uno schifo che si porterà le ferite nella bara. Se dedichi articoli al racconto di chi inneggia a Mussolini, e a Hitler, alla superiorità della razza bianca, all’odio contro gli immigrati, al negazionismo, al razzismo più becero e odioso perché innescato dalla discriminazione ereditata dalle macerie della storia, diventi un nemico. Pubblico. Uno che deve vergognarsi, che scrive assurde falsità, che fa il gioco di quali e presunti poteri forti. Uno la cui parola vale quanto il tuo giornale: 1,50 euro, uno che deve trovarsi un lavoro vero. Sono solo alcuni dei messaggi che in questi anni mi sono stati indirizzati da gruppi neofascisti e neonazi, da loro esponenti e da personaggi dell’estrema destra tra cui anche ex bombaroli nei” (Paolo Berizzi, NazItalia, viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista, pagg. 208- 209, Baldini + Castoldi s.r.l. Milano, 2018).
Anche la mutazione genetica della Lega con l’avvento di Matteo Salvini non sfugge alle acute osservazioni di Paolo Berizzi. C’era una volta la Lega Nord, quella fondata da Umberto Bossi: “Ero a Pontida il 17 settembre 2017 e non riconoscevo più la Lega. Alle mie spalle, i gomiti appoggiati alla transenna, si sbraccia un militante con in testa l’elmo e le corna tipo Attila: una delle ultime tracce della vecchia Lega a trazione padana” (ibidem, pag. 18). Di quel periodo storico ne so qualcosa perché dal 1977 al 1996 abitavo a Giussano, nel cuore della Brianza. Era il 1996, l’ultimo anno della mia permanenza in terra lombarda. Uscivo al mattino, percorrevo Viale Monza, la strada provinciale che da Giussano porta a Verano Brianza, dove insegnavo, e che prosegue per Carate Brianza, Albiate, Sovico, Macherio, Biassono, Vedano al Lambro, Monza. Trovavo che sotto la segnaletica dei paesi, era stata applicata una scritta “Repubblica del Nord”. Passavano pochi giorni, ripercorrevo la stessa strada e notavo che i nomi dei paesi erano troncati nelle lettere finali. Verano diventava Veràn, Giussano, Giussàn, Carate Brianza era diventato Carà, ecc. Qualche settimana dopo, esco da casa, mi affaccio sulla piazza San Giacomo e trovo la scritta sul muro di cinta dei giardini pubblici: Via da Roma mafiosa, via da Roma ladrona. Altrove leggevo altre scritte: Nord Nazione, Parlamento del Nord. Percorrevo a volte la Nuova Valassina, la super strada che conduce a Lecco e sui cavalcavia, a caratteri cubitali, qualcuno era salito fino in cima per vergare la scritta: “Su fratelli su libero suol”. Avevano scomodato finanche Manzoni e citato alcuni versi della poesia Marzo 1821. Pubblico alcuni articoli sul mensile Giussano, facendo della satira su tutto quello che vedevo agitarsi attorno a me, scegliendo anche uno pseudonimo, Radius, giocando con le molte vocali e consonanti del mio nome e cognome. Il direttore del mensile sapeva chi era Radius. Non l’avessi mai fatto. Al Consiglio Comunale, i rappresentanti della Lega Nord chiesero immediatamente chi fosse Radius e a nome di chi parlava. Volevo riportare tutto al livello di una garbata conversazione, con un pizzico di satira. Non ero riuscito nell’intento.
Quel periodo lontano appartiene alla preistoria della Lega Nord, espressione di una forza politica territoriale. Oggi, la Lega vince al Nord, al Centro e al Sud. Al raduno di Pontida del 17 settembre 2017, continua Paolo Berizzi, “il tipo vestito da barbaro è solo un pesce fuor d’acqua. E’ spaesato anche lui mentre guarda in faccia la nuova Lega nera… Altri invece appaiono a loro agio, soddisfatti del proclama che stanno ascoltando. Se andiamo al governo cancelliamo la legge Mancino e la legge Fiano sulla ricostituzione del partito fascista: le idee non si processano… Che cosa stava succedendo sul pratone di Pontida? Tutti con gli occhi verso il palco a fare da spettatori alla metamorfosi kafkiana voluta dal leader, tutti lì a sentirlo ringhiare nel microfono e a strizzare l’occhio all’ultradestra promettendo l’eliminazione delle norme che puniscono le esibizioni e i simboli del Ventennio… Il vecchio movimento federalista con base padana trasformato in pochi anni in un nuovo partito populista e nazionalista, con filiali meridionali affidate a proconsoli neofascisti, alcuni imparentati con imprenditori legati alla ‘Ndrangheta. Con una rete di consensi e collaborazioni attive, allargata a formazioni estremiste che s’ispirano al pensiero dei criminali di guerra nazisti. Anche questo materiale umano ha imbarcato, negli ultimi anni la Lega di Salvini” (Ibidem, pag. 19). Nelle pagine successive del libro, l’autore documenta tutti i rapporti tra Lega e personaggi discussi legati alla ‘Ndrangheta, nonostante Salvini dica che è nato “per combattere la ‘Ndrangheta, la mafia, la camorra, la Sacra Corona Unita e altre schifezze come queste” (pag. 41).
Il fossato tra la nuova Lega e quella fondata dal senatùr Umberto Bossi che aveva sempre gridato mai con i fascisti, mai, mai, si approfondisce sempre più. “Dopo l’incursione squadrista del Veneto Fronte Skinheads nella sede dell’Associazione pro – migranti Como senza frontiere, mentre Salvini strizza l’occhio ai naziskin, Bossi è tranciante. La Lega stia lontana da quei voti” (pag. 50). Anche Roberto Maroni prende le distanze da Salvini: “Dopo il blitz del Veneto Fronte Skineads a Como, mentre Salvini minimizza sostenendo che il problema non sono gli Skinheads, il 29 novembre 2017, Maroni condanna duramente l’irruzione squadrista spiegando che la Lega non è né di destra né di sinistra e non bisognerebbe lasciare spazio a coperture di questo tipo. Replica stizzita di Salvini. Maroni faccia il suo mestiere. Al botta e risposta sono seguite altre divaricazioni. Il giorno degli spari a Macerata del nazileghista Luca Traini, il 3 febbraio 2018, Maroni twitta: Che orrore. Questo è un criminale fascistoide, non c’entra nulla con la gloriosa storia della grande Lega Nord. Non vuole unirsi al coro di chi – nel suo partito come in altri del centrodestra – collega i fatti di Macerata al problema dell’immigrazione, come fa lo stesso Salvini. Nella sua rubrica settimanale sul Foglio, maroni rincara la dose: la gerarchia delle schifezze mi obbliga ad anteporre al vuoto spompato dei grillini l’orrore del criminale fascistoide di Macerata, che spara agli immigrati per risolvere il problema dei clandestini. Un pistolero che milita nella destra nostalgica e che lo scorso anno era stato candidato alle elezioni amministrative” (pag. 52). Luca Traini, nelle elezioni amministrative di Corridonia, provincia di Macerata, nel giugno del 2017, è nella stessa squadra di Luigi Baldassarri, candidato sindaco della Lega Nord. Il risultato delle urne è impietoso. Traini riporta zero voti. “Prima di avvicinarsi alla Lega, Luca Traini era vicino a Forza Nuova e Casa Pound. Era chiamato nazi per le sue idee e per il tatuaggio che percorre la tempia destra. E’ il dente di lupo di terza Posizione, il movimento neofascista eversivo fondato dal leader di Forza Nuova Roberto Fiore e da Gabriele Adinolfi. Quel graffio, ai tempi del Reich, era l’emblema della panzer division Das Reich delle SS naziste. Nel giugno del 2017, Luca Traini rivede Matteo Salvini che aveva incontrato nel 2015 in un convegno elettorale presso l’Abbadia di Fiastra” (pag. 56). Traini si avvicina alla Lega perché è deluso da Forza Nuova. Il 3 febbraio 2018, la sua auto, un’Alfa Romeo 147 nera si trasforma in un capanno da caccia. I proiettili colpiscono sei immigrati, tra cui anche una donna. E’ l’unico motivo di pentimento: “Volevo colpire solo uomini di colore”, spinto dalla rabbia per l’omicidio di Pamela Mastropietro, la diciottenne romana uccisa e fatta a pezzi da alcuni spacciatori nigeriani pochi giorni prima (pag. 58). Alle lezioni del 4 marzo la Lega di Salvini schizza al 21,52% dei consensi, quando aveva nel 2013 solo lo 0,61% dei consensi.
Tutto quello che Paolo Brizzi scrive sui gruppi eversivi di destra, è documentato in ogni pagine del libro. In un capitolo a parte fa un elenco di tutti i gruppi eversivi, presentando per ognuno di essi una scheda: Avanguardia Nazionale, CasaPound, Do.Ra. (Comunità militante dei Dodici Raggi), di chiara ispirazione neonazista, nutrita di un misticismo religioso germanico, Fascismo e Libertà – Partito socialista nazionale, Fortezza Europa, Forza Nuova, Generazione Identitaria, Hammerskin, Lealtà Azione, Manipolo d’Avanguardia Bergamo, Militia, Movimento Fasci Italiani del Lavoro, Rivolta Nazionale, Skin4Skin, Veneto Fronte Skinheads.
Nell’ultimo capitolo del libro, l’autore cita Umberto Eco quando questi parlava di Fascismo Eterno o Ur – Fascismo. “Per spiegarlo avvertiva che ancora può tornare sotto le spoglie più innocenti… In questi quindici anni con il mio lavoro di cronista ho provato a seguire questo esempio: raccontare, puntare l’indice per trarne una descrizione. Togliere la maschera alle cose e sollevare ombre, ecco. Mentre lo facevo, non mi accorgevo che stavo facendo un viaggio. Il fumo nero che attraversavo esalava nei luoghi più normali: nelle scuole, nelle università, negli stadi, nei locali, nei festival musicali. Dentro ogni cosa cercavo tracce di quel fumo, inseguivo ogni sua forma, ne pesavo la consistenza prima che le sue nubi si ripresentassero da un’altra parte. Il fumo nero mano a mano si depositava come una patina sulla mia pelle, e questo non l’avevo previsto. Diventava sempre più denso perché più densa era, progressivamente, la sua presenza nella società” (Pag. 400- 401).
Qualche benpensante si chiederà se tutto quello che è scritto nel libro, è vero. Viviamo in un periodo storico in cui il giornalismo – inchiesta non è apprezzato perché invita a fare delle scelte precise che vanno contro il qualunquismo, rintracciabile in tutte le pieghe della società, attraversata da ogni tipo di paura. Ma una volta tanto i figli della luce devono essere più forti di quelli delle tenebre.
Raimondo Giustozzi
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