Una Vita dedicata all’insegnamento di materie letterarie e allo studio è quella di Elisabetta Pigliapoco (Monsano, 1972) che ci ha regalato stupende pagine sullo scrittore, poeta e giornalista Massimo Ferretti, sul poeta Umberto Piersanti e sull’idea della marchigianità all’interno della letteratura contemporanea. Poesia questa che è stata trattata a livello critico e in prima persona, attraverso la sua opera poetica d’esordio La luce di taglio del 2018.
Opera questa divisa in tre sezioni, che sono: Dentro il cerchio (prima sezione), L’equilibrio e Storie e miraggi (seconda sezione), Altri luoghi e Paesaggi (terza sezione). Nella prima sezione possiamo leggere liriche sulla Vita, che può essere letta con più chiavi di lettura. Una prima chiave di lettura la concepisce come un mortifero vento di Novembre, ovvero un vento che uccide ogni nostra gioia e luminosità spirituale trasformando di conseguenza il nostro puro, latteo e candido viso in una valle di lacrime. Una seconda chiave di lettura la concepisce come un cerchio, in cui l’Uomo è circondato da una finta luce mascherata di verità, da venti falsamente purificatori e da glaciali bagliori solari, poiché nulla c’è di più vero, autentico e genuino del sonno eterno dal quale nessun essere vivente può scappare. Una terza chiave di lettura la legge come l’amore, perché come esso, anche la Vita crea dolcemente nuove vite e allo stesso tempo però esorcizza esistenze disumanizzate, dal glaciale e cadaverico vento invernale. Vita come amore e come acqua, che scioglie ogni cosa che tocca per creare specchi riflessi in cui sono imprigionate le nostre fanciullesche emozioni, le nostre goffe lacrime e le dolorosità da noi non volute. Una quarta chiave di lettura concepisce la Vita come un’inattesa pausa esistenziale, che ci conduce per un istante distante dalla giornaliera esistenza per trasformarci in cimiteriali spettatori, che non possono avvicinarsi a nessuno perché i nostri amici, fratelli e compagni di vita sono ormai per noi solo e unicamente delle ombre irriconoscibili dalle demoniache sembianze. Una quinta chiave di lettura paragona la Vita alla parola, perché come essa è colma di fratellanza, inimicizia, gioia, dolore, ma soprattutto si nutre delle nostre brumose e selvagge spiritualità che dilaniano le nostre carni lasciando aperte strade che conducono alla Croce di Cristo, la quale nella poesia di Elisabetta Pigliapoco e più in generale nella Poesia dal Medioevo agli anni Duemila simboleggia il dolore originale degli Uomini. Una sesta e ultima chiave di lettura concepisce la Vita come la Morte, che altro non è che l’inizio della nostra seconda e ultima esistenza. Esistenza questa, che è contraddistinta da una luce cadaverica, da una vacua spiritualità e infine da una glaciale bontà.
Nella seconda sezione è liricizzato il tema della malattia all’incontrario però. Una malattia poetica quella di Elisabetta Pigliapoco, che, attraverso il dolore ci fa scoprire il dolore in tutta la sua meraviglia con le sue infinite e irraggiungibili vertigini, le sue carni inscalfibili dai dolorosi venti esistenziali, le sue mistiche ombre, i suoi sguardi colmi di dolci lacrime, ma soprattutto con sguardi capaci di indagare nelle profondità dello spirito degli Uomini per portare alla luce le loro vacuità, i loro dubbi, le loro lacrime, le loro paure per purificarli e farli rinascere, a nuova Vita. Malattia che però è vista anche in chiave negativa, ovvero come un’infezione che muta il nostro corpo in quello di un cadavere in decomposizione, che è mangiato dalle onde esistenziali le quali producono incurabili feriti sul nostro corpo defunto e martoriato. Una sezione la seconda composta da L’equilibrio dove è trattato il tema della malattia come abbiamo visto e dalla parte Storie e miraggi, dove secondo il mio semplice e umile parere letterario non c’è traccia di una poesia dai toni sapienziali ed eruditi, ma solo un racconto in versi su quattro personaggi della storia e della letteratura passata che sono Orfeo, Lenz, Anemone e Ludwig II.
Nella terza e ultima sezione invece, la poetessa Elisabetta Pigliapoco ci conduce mano nella mano in spirituali e mistici paesaggi accarezzati da un vento colmo di melodiosi e infernali canti, illuminati da luci fiere e incuranti delle emozioni, bagnati da acque che partoriscono nuove vite spiritualmente purificare e che alimentano le nostre brumose oscurità esistenziali, ritmati da melodie che ci rapiscono l’anima e che ci fanno versare infinite lacrime, adombrati da pleniluni che acquietano tutti i nostri turbamenti psico-spirituali e che emanano luci ultraterrene e infine, abbracciati da polveri che ci immergono in Vite eternamente vacue, mortifere, cimiteriali e lacrimevoli.
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