Agostino, Alberto Moravia (1943).
Agostino è un romanzo che Alberto Moravia (1907 – 1990)oravia scrisse ad Anacapri nel mese di agosto 1942, da qui il nome dato al protagonista Agostino. Il libro non fu pubblicato per la censura fascista che considerava il contenuto troppo scabroso. Dopo la prima edizione del 1943 presso la casa editrice “Documento” dell’amico Federico Valli ma con una tiratura limitata di cinquecento copie a Roma, il romanzo fu pubblicato nel 1945 da Valentino Bompiani, vincendo il primo premio istituito dal Corriere Lombardo, il primo dopo la caduta del Fascismo. Il romanzo, considerato da molti critici una delle opere più perfette di Alberto Moravia, fu incluso nel volume Opere 1927 – 1947, curato da Geno Pampaloni, con l’Autobiografia letteraria dell’autore e pubblicato nel 1986 nella Collana dei Classici Bompiani. Il regista Mauro Bolognini realizzò nel 1962 una trasposizione cinematografica con lo stesso titolo. Il cast di attori era di tutto prestigio: Ingrid Thulin, Paolo Colombo, Mario Bartoletti e John Saxon.
Temi del romanzo.
Agostino, un ragazzo appena tredicenne, scopre in modo del tutto occasionale il mondo della sessualità, rimanendone frastornato, anche perché tutto si consuma nel giro di poche settimane, mentre il ragazzo è in vacanza con la mamma in uno stabilimento balneare presso una non meglio precisata località della Versilia. Molti critici, proprio per i temi trattati nel romanzo, lo considerano come “Romanzo di formazione”. Il romanzo di formazione è un genere letterario riguardante l’evoluzione del protagonista verso la maturazione e l’età adulta.
Agostino, scoprendo la sessualità, abbandona il mondo dell’adolescenza e si trova improvvisamente in quello degli adulti. In passato, lo scopo del romanzo di formazione era di promuovere l’integrazione sociale del protagonista, mentre oggi è quello di raccontarne emozioni e sentimenti visti nel loro nascere dall’interno. Curiosità anche morbosa, paura del nuovo, rottura con il passato, sentimenti languidi, solitudine del protagonista davanti alla vita sono le chiavi di volta che attraversano tutto il romanzo.
Agostino, proprio nelle ultime pagine del romanzo, “è lasciato solo con la sua responsabilità di giudizio di fronte anche agli affetti più gelosi e profondi come quello per la madre, Agostino è trascinato a essere complice con la vita ‘quella che è'” (Geno Pampaloni).
Trama
Il romanzo inizia con la descrizione delle giornate passate da Agostino e da sua madre di cui non si ha il nome per tutto il romanzo, in uno degli stabilimenti balneari più frequentati della Versilia, frequentato da gente facoltosa: “Nei primi giorni d’estate, Agostino e sua madre uscivano tutte le mattine sul mare in pattino. Le prime volte, la madre aveva fatto venire anche un marinaio ma Agostino aveva mostrato per così chiari segni che la presenza dell’uomo lo annoiava, che da allora i remi furono affidati a lui. Egli remava con un piacere profondo su quel mare calmo e diafano del primo mattino e la madre, seduta di fronte a lui, gli discorreva pianamente, lieta e serena come il mare e il cielo, proprio come se lui fosse stato un uomo e non un ragazzo di tredici anni. La madre di Agostino era una grande e bella donna ancora nel fiore degli anni; e Agostino provava un sentimento di fierezza ogni volta che si imbarcava con lei per una di quelle gite mattutine. Gli pareva che tutti i bagnanti della spiaggia li osservassero ammirando sua madre e invidiando lui, convinto di avere addosso tutti gli sguardi, gli sembrava di parlare con una voce più forte del solito, di gestire in una maniera particolare, di essere avvolto da un’aria teatrale ed esemplare come se invece che sopra una spiaggia, si fosse trovato con la madre sopra una ribalta, sotto gli occhi attenti di centinaia di spettatori. Talvolta la madre si presentava in un costume nuovo; e lui non poteva fare a meno di notarlo ad alta voce, con desiderio segreto che altri lo udisse; oppure lo mandava a prendere qualche oggetto nella cabina, restando ritta in piedi sulla riva, presso il pattino. Egli ubbidiva con una gioia segreta, contento di prolungare, sia pure di pochi momenti, lo spettacolo della loro partenza. Finalmente salivano sul patino, Agostino si impadroniva dei remi e lo spingeva al largo” (Cfr. Alberto Moravia, Agostino, pag. 145, Bompiani, Milano 1945).
La mamma di Agostino è vedova e il ragazzo sente su di sé le responsabilità di uomo in compensazione della figura paterna. Nutre per la mamma affetto filiale ma è oltremodo protettivo ed è geloso, come se un altro gliela strappasse. Infatti, ad interrompere il suo idillio estivo compare un giovane: “Ad un tratto l’ombra di una persona ritta parò il sole davanti a lui. Levati gli occhi, vide un giovane bruno e adusto che tendeva la mano alla madre [..] Agostino era sicuro che la madre avrebbe rifiutato questo come tanti altri simili inviti precedenti; grande perciò fu la sua sorpresa vedendola accettare, cominciare senz’altro a radunare la roba..” (pag. 147).
La mamma ritorna alla riva, dopo essere stata al largo con il giovane, e chiede ad Agostino che cosa avesse fatto durante la sua assenza. Agostino mente spudoratamente. Dice di essersi divertito molto con i bagnanti dello stabilimento attiguo. Non è per niente vero. Era stato in spiaggia da solo, stringendo la sabbia nel pugno della propria mano non capendo come mai la mamma l’avesse abbandonato e l’avesse lasciato solo, preferendo la compagnia di un giovane sconosciuto.
Il giorno dopo, la mamma decide di portare con sé e con il giovane anche Agostino sul patino. Agostino si accoccola ai piedi della madre, sentendosi quasi un intruso tra i due, vedendo nella mamma una donna e nient’altro. Tra lei e il giovane inizia una conversazione fatta di allusioni di cui Agostino non afferra quasi nulla. Capisce che la madre rimprovera al giovane di trascurarla per un’altra e intanto ride divertita. Agostino avverte che qualcosa sta per cambiare quando, seduto sul fondo del patino accanto alla mamma, sente il giovane bisbigliare qualcosa alla madre. Questa sgrida il giovane, dicendogli: “Abbia almeno riguardo a questo innocente. Agostino, al sentirsi chiamare innocente, si adira non poco come a vedersi gettare addosso un cencio sporco e non potere liberarsene” (pag. 151). Come si allontanano alquanto dalla riva, il giovane propone alla madre di fare il bagno: “Allora Agostino, che aveva tante volte ammirato la discrezione e la semplicità con cui ella si lasciava scivolare nell’acqua, non poté fare a meno di essere dolorosamente stupito dai gesti nuovi che adesso ella metteva in quell’atto antico. Il giovane si era gettato in mare ed era già rispuntato a galla che la madre stava ancora esitante ad assaggiare l’acqua con il piede, fingendo non si capiva se spavento o ritrosia. Si schermiva, protestava, ridendo e afferrandosi con le mani al sedile, finalmente si sporse con tutto un fianco e una gamba, in un atteggiamento quasi indecente e si lasciò cadere malamente tra le braccia del compagno. I due andarono sotto insieme e insieme tornarono a galla. Agostino, rannicchiato sul sedile, vide il volto ridente della madre accanto a quello bruno e serio del giovane; e gli parve che le guance si toccassero. Nell’acqua limpida si potevano vedere i due corpi dimenarsi l’uno accanto all’altro, come desiderosi di intrecciarsi, urtandosi con le gambe e con i fianchi. Agostino li guardava, guardava la spiaggia lontana e si sentiva superfluo e vergognoso. Alla vista del suo viso accigliato, la madre ebbe dall’acqua, dove si dimenava, per la seconda volta nella mattina, una frase che umiliò e riempì di vergogna Agostino. Perché stai così serio? Non vedi come è bello qui? Dio mio che figlio serio che ho. Agostino non rispose – e si limitò a girare altrove gli occhi. Il bagno durò a lungo, la madre e il compagno giocavano nell’acqua come due delfini e parevano essersi del tutto dimenticati di lui. Finalmente risalirono. Il giovane rimontò di un balzo sul patino e poi si chinò a tirar su la madre che dall’acqua invocava il suo aiuto. Agostino guardava, vide le mani del giovane che per sollevare la donna, affondavano le dita nella carne bruna, là dove il braccio è più dolce e più largo, tra l’omero e l’ascella. Poi ella sedette sospirando e ridendo accanto ad Agostino; e con le unghie aguzze si staccò dal petto il costume fradicio. In modo che non ci aderissero le punte dei capezzoli e la rotondità dei seni. Ma Agostino ricordava che quando erano soli, la madre, forte come era, non aveva bisogno di alcun aiuto per issarsi sul pattino; e attribuì quella richiesta di aiuto e quei dimenamenti del corpo che pareva compiacersi in femminili goffaggini, al nuovo spirito che aveva già operato in lei tanti e così sgradevoli cambiamenti. In verità, non poté fare a meno di pensare, pareva che la madre, donna grande e piena di dignità, risentisse adesso quella grandezza come un impaccio di cui si sarebbe disfatta volentieri; e quella dignità come un’abitudine noiosa a cui, ormai, le convenisse sostituire non si capiva che maldestra monelleria” (pag. 151- 152).
L’appuntamento della mamma con il giovane continua per qualche giorno. Agostino si reca sempre con lei al “Bagno Speranza”, finché: “Ma è proprio vero? Oggi non si va in mare? La madre forse sentì la canzonatura e il desiderio di farla soffrire. La madre leva una mano e lascia andare un manrovescio sulla guancia del ragazzo. Agostino non disse nulla; ma fece una capriola sulla rena, si allontanò per la spiaggia, a testa bassa, verso le cabine” (pag. 154). Qui incontra per caso un ragazzo. Si chiama Berto: “Indossava un paio di pantaloni corti, dal bordo rimboccato, e una canottiera scollata con un largo buco dietro la schiena. Un raggio sottile e fulgido di sole, passando tra le connessure delle assi della cabina, faceva brillare sopra la sua nuca folti ricci color rame. A piedi nudi, le mani alla fessura della porta, egli sorvegliava la spiaggia e non pareva essersi accorto della presenza di Agostino” (pag. 156). Berto è un ragazzo che staziona con i propri amici al “Bagno Amerigo Vespucci”. E’ sconfinato al Bagno Speranza perché sta giocando a guardie e ladri con la masnada dei ragazzi a cui appartiene. Agostino fa subito la conoscenza con lui. Si presenta e dice di essere nato a Pisa, da qui il soprannome “Pisa” che gli viene subito affibbiato da Berto. Agostino decide di seguirlo nella sua tana e prende dalla borsa della madre un pacchetto di sigarette per farsi amico il ragazzo che ha appena conosciuto. Berto e i suoi amici: Tortima, Homs, un ragazzo di colore e Sandro sono di un ceto sociale molto diverso da quello di Agostino. Il Bagno Vespucci è frequentato dalla gente del popolo e i ragazzi fanno capo a Saro, un marinaio adulto dalle tendenze omosessuali. Prima di arrivare al covo, Agostino impara a sue spese la prepotenza di Berto che si accende la sigaretta e la spegne sul suo braccio. Questi si scaglia contro di lui ma ha subito la peggio. Viene buttato a terra con violenza: “Agostino aveva sentito scricchiolare le vertebre del collo e più che spaventato era stupefatto dalla straordinaria brutalità del ragazzo. Gli pareva incredibile che a lui, Agostino, cui tutti avevano sempre voluto bene, ora si potesse fare un male così deliberato e spietato. Soprattutto questa spietatezza lo stupiva e lo sgomentava come un tratto affatto nuovo e quasi affascinante a forza di essere mostruoso” (pag. 160).
Dopo un po’, i due arrivano al Bagno Vespucci: “Una bassa baracca verde affondata nella sabbia indicava la dimora del bagnino. Dopo questo bagno Vespucci, il litorale, sprovvisto così di cabine sulla spiaggia come di case sulla strada, continuava a perdita d’occhio, in una solitudine di sabbia battuta dal vento, tra lo scintillio azzurro del mare e il verde polveroso della pineta. Dalla strada, le dune, più alte in quel punto che altrove, nascondevano tutto un lato della baracca. Poi, come salirono in cima alle dune, si scoprì una tenda rappezzata e sbiadita di un rosso rugginoso che doveva essere stata tagliata in una vecchia vela di paranza. Questa tenda era legata per due capi a due pertiche conficcate nella sabbia e per gli altri due alla baracca. Quella la tana, disse Berto. Si vedeva, sotto la tenda, un uomo seduto presso un tavolinetto sbilenco, in atto di accendersi un sigaro. Due o tre ragazzi circondavano l’uomo, distesi sulla sabbia. Berto spicca una corsa e cadde a sua volta ai piedi dell’uomo gridando: Tana. Un po’ imbarazzato, Agostino si avvicina al gruppo. E questo Pisa, disse Berto indicando Agostino. Il quale si meraviglia di questo soprannome datogli con tanta rapidità. Non erano ancora passati cinque minuti che aveva detto a Berto di essere nato a Pisa. Agostino si distese anche lui in terra” (pag. 161).
Nella tana, Agostino scopre che tutti i ragazzi del gruppo sono come Berto se non peggiori. Urlano, fanno scherzi villani, si picchiano per una sigaretta che lui aveva sottratto dalla borsa della mamma. Sono quasi succubi di Saro, una persona equivoca che è il punto di riferimento per tutti. Agostino lo guarda con sospetto: “Era grande e grosso, poteva avere un po’ meno dl cinquant’anni. Aveva una testa sorniona e freddamente benevola. Calvo, con la fronte curiosamente conformata come una sella, i piccoli occhi ammiccanti, il naso rosso e aquilino, le narici scoperte e piene di venuzze vermiglie ripugnanti a vedersi. Aveva baffi spioventi e sotto i baffi la bocca un po’ storta che stringeva il sigaro. Indossava un camiciotto sbiadito e un paio di pantaloni di cotone turchino, un pantalone gli scendeva fino alla caviglia, l’altro era rimboccato sotto il ginocchio. La pancia, l’aveva cinta da una fascia nera. Ultimo particolare che accrebbe in Agostino il primo ribrezzo, egli si accorse che il Saro, così si chiamava il bagnino, aveva in ambo le mani non cinque ma sei dita che davano alle mani un aspetto enorme e numeroso e più che dita parevano tozzi tentacoli. Agostino studiò a lungo quelle mani ma non gli riuscì di capire se il Saro avesse due indici o due medi o due anulari. Parevano tutti di eguale lunghezza, fuorché il mignolo che spuntava un po’ fuori dalla mano come un rametto alla base di un tronco nodoso. Il Saro si tolse di bocca il mezzo sigaro e ripete semplicemente: Allora, queste sigarette. Il biondo si levò andò a mettere la scatola sul tavolino. Bravo Sandro, disse il Saro” (pag. 164). Distribuisce le sigarette un po’ a tutti, anche ad Agostino, Pisa, come viene soprannominato dai ragazzi della banda, le restanti ordina a Pisa di portarle nella baracca. “La baracca come appariva, non aveva che una sola stanza; e gli piacque per la sua piccolezza come una casa di fiaba. Il soffitto era basso, di travi imbiancate, le pareti di assi grezze. Due finestre minuscole ma complete, con davanzale, piccoli vetri quadrati, sportelli, tendine e persino qualche vaso di fiori, diffondevano una luce bassa e smorzata. Un angolo era occupato dal letto, ben rincalzato, con un guanciale bianco di bucato e una coperta rossa, in un altro c’era un tavolo rotondo e tre seggiole. Sopra il piano di marmo di un cassettone si vedevano due di quelle bottiglie che contengono piccoli velieri o navi a vapore. Le pareti erano tutte coperte di vele agganciate a chiodi, di remi appaiati e di altri attrezzi marittimi. Agostino pensò che dovesse essere molto invidiabile chi possedeva una baracca come quella, così piccola e così comoda. Si avvicinò alla tavola sulla quale era posata una grossa ciotola slabbrata di porcellana piena di mezzi sigari, vi depose le due scatole di sigarette e riuscì fuori nella luce del sole” (pag. 165).
Agostino si trova a disagio in mezzo a loro ma fa del tutto per renderseli amici. Dice di abitare in una casa grande. Intanto, Berto si burla di lui parlando di sua madre: “Renzo e la mamma che fanno? Domandò ad un tratto Berto tutto ringalluzzito; fanno? Egli fece un gesto espressivo con la mano, e tu stai a guardarli eh? Io, ripeté Agostino spaurito volgendosi intorno. Tutti ridevano soffocando le risate nella sabbia. Il solo Saro lo osservava con attenzione, senza muoversi né far motto. Disperato, egli lo guardò, come per implorare aiuto. Il Saro parve afferrare quello sguardo. Si tolse il sigaro di bocca e disse: Ma non vedete che non sa nulla?” (pag. 167). I ragazzi sono cattivi. Imitano l’amore tra Renzo, il giovane spasimante e la madre di Agostino. Questi non sta allo scherzo e si lancia su Berto, gridandogli in faccia: “Ti proibisco di parlare di mia madre. Ma prima ancora che potesse accorgersi di quello che era successo, si ritrovò supino sulla sabbia, tenuto fermo dalle ginocchia di Berto e tempestato di pugni su tutto il viso. Gli venne da piangere, ma, comprendendo che le lagrime avrebbero offerto il destro a nuove beffe, con uno sforzo supremo riuscì a dominarsi. Quindi, coprendosi il viso con un braccio, stette immobile come morto” (pag. 169). Gli scherzi, le volgarità verso Agostino da parte dei ragazzi non si placano. Prendono a pretesto la sua ricchezza per sbeffeggiarlo in qualsiasi modo. La sfida a braccio di ferro è l’ennesima figuraccia di Agostino che esce del tutto malconcio dal confronto. Mentre la banda si lancia in mare per fare il bagno, Agostino ritorna con un groppo alla gola verso il bagno Speranza.
La visita al bagno Vespucci gli ha fatto conoscere un mondo completamente diverso dal suo. Le allusioni sui rapporti di sua madre con il giovane spasimante, di nome Renzo, lo catapultano in una realtà del tutto nuova. Viene a conoscere cosa fanno un uomo e una donna, quando si amano, dalle persone sbagliate. Ritrova sua madre che ritorna con Renzo in spieggia e con lei si avvicina alla pensione. Intanto non si dà pace: “Strano a dirsi, mentre prima, quando era ancora ignaro del bene e del male, i rapporti di sua madre con il giovane gli erano apparsi, seppure in una maniera misteriosa, tutti intrisi di colpevolezza, ora che le rivelazioni del Saro e dei suoi discepoli gli avevano aperto gli occhi e confermato quei primi dolenti sospetti della sensibilità era pieno di dubbi e di insoddisfatta curiosità. Prima era stato l’affetto filiale, geloso e ingenuo, a destare il suo animo, mentre ora, in questa nuova e crudele chiarezza, quest’affetto pur senza venir meno, si trovava in parte sostituito da una curiosità acre e disamorata, a cui quei primi leggeri indizi parevano insufficienti e insipidi. Se prima ogni parola, ogni gesto che gli fossero sembrati stonati l’avevano offeso senza illuminarlo e quasi aveva desiderato di non accorgersene, ora invece che le teneva gli occhi addosso, quelle goffaggini e quelle stonature che prima l’avevano tanto scandalizzato, gli sembravano poca cosa e quasi si augurava di sorprenderla in quegli atteggiamenti di scoperta e invereconda naturalezza di cui il Saro e i ragazzi gli avevano poco avanti fornito la nozione” (pag. 177).
Dopo aver pranzato assieme alla mamma, Agostino ha una irrefrenabile voglia di ritornare al bagno Vespucci. Aveva saputo che la banda si sarebbe riunita nel primo pomeriggio per organizzare e mettere in atto le solite scorribande. Salutata la madre, esce di casa e si incammina verso il la meta. Qui trova solo Saro. Tutti gli altri sono in un punto lontano della spiaggia dove stanno mangiando la frutta rubata nelle vicine campagne. Saro lo accompagna in barca nel punto dove sono gli altri ragazzi. In mare, Agostino si vede costretto a fronteggiare gli approcci di Saro che però, vista l’ingenuità del giovane, desiste dalle proprie pretese. Giunti a destinazione, i ragazzi della banda lo irridono e lo accusano di omosessualità se aveva accettato la compagnia di Saro. Agostino non capisce nulla di questa accusa e cade nella più profonda disperazione: “Tutto era oscuro in lui e intorno a lui. Come se invece della spiaggia, del cielo e del mare risplendenti di sole non vi fossero state che tenebre, nebbia, forme indistinte e minacciose” (pag. 191).
Le cattiverie dei compagni durano per tutto il pomeriggio. Agostino, per farsi accettare dal gruppo, è disposto a piegarsi ai voleri della banda finanche di aver avuto dei rapporti con Saro, anche se non è affatto vero. Di ritorno verso il bagno Vespucci, sulla barca carica di ragazzi vocianti, “Agostino provava un senso di oppressione e di chiuso dolore che il mare fresco e ventilato e l’incendio magnifico del tramonto sulle acque violette gli rendevano più amaro e insoffribile. Gli pareva sommamente ingiusto che in quel mare, sotto quel cielo, corresse una barca come la loro, così colma di cattiveria, di crudeltà e di perfida corruzione. Quella barca traboccante di ragazzi in tutto simili a scimmie gesticolanti e oscene, con quel Saro beato e gonfio al timone, gli pareva tra il mare e il cielo, una vista triste e incredibile. A momenti si augurava che affondasse; e pensava che sarebbe morto volentieri tanto si sentiva anche lui infetto di quella impurità e come bacato. […] Si rendeva oscuramente conto di essere entrato, con quella funesta giornata, in un’età di difficoltà e di miserie, ma non riusciva ad immaginare quando ne sarebbe uscito”.
Agostino, non sa né riesce ad uscire dai problemi che si accavallano. La madre frequenta sempre Renzo, il giovane del patino bianco. Agostino non vede più in lei la mamma ma una donna simile a tante altre che affollano la spiaggia. “Egli non metteva in dubbio che tra la madre e il giovane del patino corressero i rapporti di cui avevano parlato i ragazzi sotto la tenda del Saro. E stupiva oscuramente del cambiamento intervenuto in lui. Un tempo non c’erano stati nel suo animo che gelosia di sua madre e antipatia per il giovane; ambedue poco chiare e come assopite. Ma ora, nello sforzo di restare obbiettivo e sereno, avrebbe voluto provare un sentimento di comprensione per il giovane e di indifferenza per sua madre. Soltanto quella comprensione non riusciva ad essere che complicità e quell’indifferenza indiscrezione…Talvolta si domandava come facessero i ragazzi più grandi di lui ad amare la propria madre e al tempo stesso a sapere quello che egli stesso sapeva; e concludeva che questa consapevolezza doveva in loro uccidere a tempo l’affetto filiale, mentre in lui l’una non riusciva a scacciare l’altra e, coesistendo, torbidamente si mescolavano”.
Sente comunque un’irresistibile attrattiva verso la banda dei ragazzi violenti e volgari che fanno capo a Saro. Veste come loro. Parla sguaiato come loro: “Tuttavia, nonostante questo fallimento, egli era veramente cambiato; senza che se ne accorgesse e più per effetto del diuturno sodalizio con i ragazzi che per volontà sua, era divenuto assai simile a loro o, meglio, aveva perso gli antichi gusti senza per questo riuscire del tutto ad acquistarne dei nuovi. Più di una volta, spinto dall’insofferenza, gli accadde di non recarsi allo stabilimento Vespucci e di ricercare i semplici compagni e i giuochi innocenti coi quali, al bagno Speranza, aveva iniziato l’estate. Ma come gli apparvero scoloriti i ragazzi bene educati che qui lo aspettavano, come noiosi i loro svaghi regolati dagli ammonimenti dei genitori e dalla sorveglianza delle governanti, come insipidi i loro discorsi sulla scuola, le collezioni dei francobolli, i libri di avventure e altre simili cose. In realtà la compagnia della banda, quel parlare sboccato, quel discorrere di donne, quell’andare rubando per i campi, quelle stesse angherie e violenze di cui era vittima, lo avevano trasformato e reso insofferente delle antiche amicizie”.
In un giorno imprecisato, mentre era sul patino, gli si avvicina un uomo e suo figlio. Gli chiede se è in grado di portarli sul patino. Agostino non l’aveva mai fatto. Aveva visto Saro come faceva. Non disarma: “Senza farselo dir due volte, Agostino prese il tronco di abete grezzo che serviva da rullo e andò a sottoporlo alla prua dell’imbarcazione. Quindi afferrate con le due mani le punte del patino, con uno sforzo raddoppiato dall’amor proprio così curiosamente impegnato, spinse il patino in mare. Aiutò a salire il ragazzo e il padre, balzò a sua volta e si impossessò dei remi”. L’uomo gli chiede perché fa quel lavoro. Agostino, mentendo, gli risponde che lo fa per guadagnarsi da vivere, provenendo da una famiglia povera. L’uomo si rivolge al figlio facendogli capire che al mondo ci sono dei ragazzi più bravi di lui che non frignano per un nonnulla. Al termine dell’uscita in mare, l’uomo gli regala una piccola mancia e invita il figlio a regalare ad Agostino il pallone che tiene in mano. Il ragazzo si rifiuta dicendogli che il pallone è solo suo: “Questo piccolo incidente diede ad Agostino il sentimento definitivo di non appartenere più al mondo in cui si trovavano ragazzi del genere di quello del pallone; e comunque di essersi così incanaglito ormai da non poterci più vivere senza ipocrisia e fastidio. Troppa delicatezza restava in lui; se fosse stato simile, pensava talvolta, non avrebbe sofferto tanto delle, loro rudezze, delle loro sguaiataggini e della loro ottusità. Così si trovava ad avere perduto la primitiva condizione senza per questo essere riuscito ad acquistarne un’altra”.
La frequentazione del bagno Vespucci continua. Agostino esce con la banda dei ragazzi in cerca di funghi. Usciti da un bosco, entrano in un quartiere di periferia. Qui, Tortima fa notare a Agostino una casa di tolleranza dove alcune donne esercitano il mestiere più vecchio del mondo. Agostino pensa che per diventare uomo deve entrare in quel villino. Ritorna a casa. Rompe il salvadanaio dove custodisce i propri risparmi. Visto che i soldi sono pochi, li chiede alla mamma, adducendo il pretesto che gli servono per comparsi un libro. La mamma gli indica la borsa con i soldi. Agostino ne preleva tanti quanti pensa che possano bastare per lui e per l’amico Tortima. Questi gli aveva detto che le donnine dovevano essere pagate. All’ora convenuta, i due s’introducono nell’anticamera della casa. La tenutaria squadra subito i due. Fa passare Tortima e impedisce invece ad Agostino di entrare, data la sua giovane età. L’amico si guarda bene di restituirgli i soldi che pure Agostino gli aveva dati.
“Turbato da questa umiliante esperienza, Agostino si rifugia dalla madre. A lei chiede di tornare a casa e di non essere più trattato come un bambino ma come un uomo. Per Agostino, tutto è accaduto ma niente si è ancora compiuto. Significativo in questo senso è il finale del romanzo: “Non era un uomo, e molto tempo infelice sarebbe passato prima che lo fosse”.
Raimondo Giustozzi
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